L'Assemblea  regionale  siciliana nella seduta del 30 luglio 2003
ha   approvato  il  disegno  di  legge  n. 634/A  dal  titolo  «Norme
finanziarie  e  disposizioni  in  materia  di  razionalizzazione  dei
servizi  e  per  la  gestione  del  territorio»  pervenuto  a  questo
Commissariato  dello  Stato,  ai sensi e per gli effetti dell'art. 28
dello Statuto Speciale, il 2 agosto 2003.
    Il  provvedimento legislativo, che nel testo elaborato per l'aula
dalle competenti commissioni permanenti constava di un solo articolo,
secondo  cui  il  tennine  previsto dall' art. 17 della recente, l.r.
n. 4/2003  per  la  presentazione  delle domande di definizione delle
pratiche  di  concessione  edilizia in sanatoria ex l.r. n. 37/1985 e
legge  n. 724/1994 veniva riaperto sino al 31 dicembre 2003, e' stato
trasformato   durante   la   discussione   assembleare,   a   seguito
dell'approvazione  di  numerosi emendamenti, in un contenitore in cui
sono  confluite  disposizioni  non  attinenti alla materia oggetto di
originaria  disciplina  bensi'  vertenti sui piu' disparati ambiti di
intervento  regionale quali per citare ad esempio soltanto alcuni, la
classificazione  delle  carcasse bovine, il regime giuridico di parte
del personale degli enti locali, l'inquadramento dei dirigenti medici
del servizio sanitario regionale etc.
    Verosimilmente   l'eterogeneita'  delle  materie  trattate  e  il
ristretto  lasso  di  tempo  disponibile  prima del rinvio dei lavori
parlamentari  per  la pausa estiva non hanno consentito all'Assemblea
regionale  l'approfondimento  e  la  ponderazione  necessari, nonche'
l'esposizione  delle  eventuali  ragioni poste a fondamento di talune
disposizioni   che   danno   adito   a   censure   di  illegittimita'
costituzionale.
    Gli  articoli  1,  9  e  13  sono, infatti, oggetto di rilievi di
ordine costituzionale per le motivazioni che di seguito si espongono.
    L' art. 1 testualmente recita:
        «Vigilanza  venatoria)  1.  Le somme impegnate nell'esercizio
finanziario  2002  ai  sensi  dell'art.  17  della legge regionale 23
dicembre  2002,  n. 23, per le finalita' di cui all'articolo 44 della
legge  regionale  1°  settembre l997, n. 33 (U.P.B. 2.2.13.2 capitolo
143311)   possono   essere   utilizzate  per  le  medesime  finalita'
nell'esercizio finanziario 2003».
    La     disposizione     sostanzialmente    consente    l'utilizzo
nell'esercizio  in  corso  di  somme  (2-583  migliaia  di euro) gia'
impegnate  regolarmente  nell'anno precedente. E', pertanto, evidente
ed   incontestabile   la   violazione  del  principio  costituzionale
dell'annualita' del bilancio, e delle spese dallo stesso autorizzate,
posto,  tra  l'altro  a  garanzia del corretto e trasparente utilizzo
delle   risorse   pubbliche.   Peraltro,  ne'  durante  il  dibattito
parlamentare   sono   state   espresse  le  particolari  ragioni  che
sorreggono  la scelta del legislatore di introdurre una deroga a tale
principio,     ne',     tantomeno,     dai     chiarimenti    forniti
dall'Amministrszione  regionale,  ai  sensi  dell'art.  3  del  d.P.R
488/1969,   emergono  situazioni  eccezionali  e  specifiche  che  in
astratto  potrebbero giustificare l'adozione della norma de qua (all.
1).
    La  disposizione censurata, inoltre, nell'infrangere un principio
generale dell'ordinamento contabile innegabilmente ingenera refluenze
negative  sul buon andamento della pubblica amministrazione ponendosi
cosi' in contrasto anche con il dettato dell'art. 97 Cost.
    L'art. 9, frutto di un emendamento approvato in aula senza alcuna
approfondita  discussione  e ponderato esame, il cui testo di seguito
si  riporta,  si  pone  in  contrasto  con  gli articoli 9 e 97 della
Costituzione.
        «(Contenimento  del  consumo  di nuovo territorio). Alla fine
del comma 2 dell'art. 18, della legge regionale 16 aprile 2003, n. 4,
sono  aggiunte le seguenti parole «o altresi' con la variazione della
destinazione d'uso di tutti i volumi regolarmente realizzati anche in
verde   agricolo   sia   per  favorire  l'insediamento  di  attivita'
produttive sia per fini abitativi».
    In  buona  sostanza  con la norma teste' approvata si consente ad
libitum  del  soggetto  richiedente  la  possibilita'  di  variare la
destinazione  d'uso degli immobili ovunque realizzati, anche in verde
agricolo,  con  indici  di  edificabilita'  diversi  a  secondo della
tipologia originariamente autorizzata.
    Ne  consegue  la  possibilita'  di  sanare,  peraltro senza alcun
onere,  costruzioni  edificate  in difformita' alla vigente normativa
urbanistica  evitando  di incorrere nelle previste sanzioni penali di
cui  al  combinato  disposto  degli  articoli  7,  8 e 20 della legge
n. 47/1985 lettere a) e b).
    La   disposizione   de   qua   invero  rappresenta  una  indebita
interferenza  in  materia  penale, ritenuta piu' volte illegittima da
codesta,  ecc.ma  Corte (ex plurimis sentenza n. 179/1986) atteso che
consente  tout  court  il  mutamento  della destinazione d'uso, anche
nell'ipotesi   in   cui   implichi   la  variazione  degli  standards
urbanistici  di  cui  al  d.m.  2  aprile  1968,  fattispecie  questa
sanzionata penalmente dal cennato art. 8 legge n. 47/1985.
    La  norma censurata inoltre, consentendo a regime la possibilita'
di  variare  senza alcun limite e prescrizione, la destinazione d'uso
degli  immobili  mina  alle  fondamenta  l'ordinata  pianificazione e
gestione  del  territorio che costituisce il diritto - dovere di ogni
comunita' locali per tutelare l'ambiente in cui vive ed opera.
    Dalla  previsione  in  questione verrebbero infatti vanificate le
scelte  operate  dall'amministrazione locale di destinare determinate
aree  del proprio territorio ad uso abitativo ed altre alle attivita'
industriali ed artigianali, peraltro dotandole delle necessarie opere
di  urbanizzazione  ed  infrastrutture, e trasformate le aree rurali,
peraltro  gia'  pesantemente  interessate  in  Sicilia  dal  fenomeno
dell'edilizia  abusiva,  in  indifferenziate  aree  residenziali  con
l'innegabile  devastante refluenza sull' ambiente, che l'art. 9 della
Costituzione impone di salvaguardare.
    L'articolo   13,   che  si  trascrive,  infine  configura  palese
violazione degli articoli 3, 97 e 81 della Costituzione.
    «(Disposizioni  per  il  personale  degli  enti)  1.  Il  comma 7
dell'articolo  55  della  legge  regionale  30 aprile 1999, n. 10, e'
sostituito  con  il  seguente:  «7.  Le  disposizioni  previste dall'
articolo  31 della legge regionale 7 marzo 1997, n.6 non si applicano
al personale degli enti previsti dal presente articolo».
    La  norma censurata esclude, senza alcuna plausibile motivazione,
il  personale  dell'IRCAC  e  della  CRIAS  dalla  disiplina generale
introdotta  dalla l.r. n. 6/1997, art. 31, secondo cui il trattamento
giuridico-economico  dei  dipendenti  di  tutti  gli enti, aziende ed
istituti   sottoposti   a  vigilanza  e  tutela  dell'Amministrazione
Regionale  e le cui spese di funzionamento sono a carico del bilancio
regionale  non  puo'  essere  superiore  a  quello  stabilito  per  i
dipendenti  regionali, secondo tabelle di equiparazione appositamente
adottate.
    Tale   previsione   introdotta   nel   piu'   ampio  contesto  di
razionalizzazione  e  contenimento  della spesa regionale di cui alla
cennata   l.r.   n. 6/1997,  e'  stato  inoltre  dall'  art. 55  l.r.
n. 10/1999  espressamente  dichiarato applicabile, a decorrere dal 31
dicembre 1998, al personale dell'IRCAC e della CRIAS anche al fine di
procedere al risanamento economico dei predetti enti.
    Orbene, la deroga teste' introdotta al cennato principio generale
di omogeneita' del trattamento economico e giuridico del personale di
tutti  gli enti comunque soggetti a tutela e vigilanza della Regione,
per  l'assenza  di una qualsivoglia peculiarita' e specificita' delle
posizioni  dei  dipendenti dell'IRCAC e della CRIAS rispetto a quella
della  generalita' dei dipendenti regionali, peraltro non rinvenibile
o richiamata neanche durante il dibattito parlamentare, configura una
indebita   disparita'   di   trattamento  vietata  dall'art. 3  della
Costituzione.
    La norma, inoltre, nell'introdurre un privilegio in favore di una
parte del personale pubblico inevitabilmente ingenererebbe tensioni e
rivendicazioni  all'interno  dell'apparato  regionale  con innegabili
refluenze  sul  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione che
verrebbe   compromesso   dall'introduzione   di   doppi   livelli  di
retribuzione per attivita' assimilabili.
    Come   evidenziato  da  taluni  deputati  al  momento  dell'esame
dell'emendamento,  la  deroga introdotta consentirebbe l'applicazione
al  personale  degli  enti  in  questione  del  contratto  collettivo
nazionale  per il settore bancario nonostante l'IRCAC e la CRIAS, per
il ristretto ambito di attivita' e l'esiguo numero di dipendenti, non
possano   essere   assimilabili   alle   banche  nazionali  con  cio'
comportando  un  notevole  maggiore  e  non  giustificato  esborso di
risorse  pubbliche di cui peraltro il legislatore non ha provveduto a
dare   copertura   finanziaria   violando  altresi'  l'art. 81  della
Costituzione.