IL TRIBUNALE

    Nel procedimento penale n. 2161/03 r.g.n.r., nei confronti di Joy
Moese   nata   in   Nigeria  il  17 gennaio  1972,  sedidente  s.f.d.
elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. M. La Matina.
    In  sede  di  udienza di convalida dell'arresto in data 22 agosto
2003  ha  emesso  la seguente ordinanza (art. 23 legge 11 marzo 1953,
n. 87).
    Joy  Moese  e' stata tratta in arresto in data 21 agosto 2003 per
essersi  resa  responsabile  del reato di cui all'art. 14 comma-5-ter
d.lgs.  n. 286/1998 e succ. mod., perche', senza giustificato motivo,
si e' trattenuta nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine
impartito  dal  questore  di  Asti  ai  sensi del comma 5-bis in data
13 agosto 2003.
    Il  p.m.  ha  chiesto la convalida dell'arresto ed il contestuale
giudizio  per direttissima, ai sensi dell'art. 14, 5-quinquies, legge
cit.   e   la   difesa   ha   sollevato   questione  di  legittimita'
costituzionale della norma.
    Si   osserva   che   la   norma  che  si  assume  violata  appare
costituzionalmente  illegittima  perche'  in  contrasto  con l'art. 3
della Costituzione.
    Questo  giudice  rileva innanzitutto la rilevanza della questione
per  la  decisione  del caso in esame, atteso che l'imputata e' stata
arrestata  perche'  sorpresa  nella flagranza del reato contestatele,
sono   stati   rispettati  da  parte  della  p.g.  che  ha  proceduto
all'arresto gli obblighi previsti dall'art. 386 c.p.p., cosi' come le
prescrizioni  normative  poste  dagli artt. 390 e 391 c.p.p. e quindi
dovrebbe trovare applicazione la norma dell'art. 14 comma 5-quinquies
che imporrebbe di convalidare l'arresto in quanto obbligatorio.
    Il  parametro  costituzionale  in  relazione al quale la norma in
questione appare contrastare e' quello del principio di uguaglianza.
    In   particolare  non  conforme  al  criterio  di  ragionevolezza
(nell'accezione  ormai consolidatasi nella giurisprudenza della Corte
costituzionale)  si  rivela  il  diverso  trattamento dal legislatore
riservato  a due situazioni diverse, apparendo la disciplina prevista
per  la  condotta  di  cui  all'art. 14  comma  5-ter legge cit. piu'
rigorosa   rispetto   a  quella  prevista  per  la  condotta  di  cui
all'art. 13  commi  13 e 13-bis stessa legge, atteso che per il reato
di  cui all'art. 14 comma 5-ter e' previsto l'arresto obbligatorio in
flagranza  mentre per i reati di cui all'art. 13 commi 13 e 13-bis e'
previsto l'arresto come facoltativo.
    Risulta  prevista  l'obbligatorieta'  dell'arresto per il caso di
cittadino   extracomunitario   che   sia   stato   raggiunto   da  un
provvedimento  di  espulsione  del  questore  e  che sia sorpreso nel
territorio nazionale (art. 14 comma 5-ter legge cit.).
    E'  invece  meramente  facoltativo  l'arresto  nel  caso  che  il
cittadino extracomunitario sia stato raggiunto da un provvedimento di
espulsione  da  parte del giudice, sia stato concretamente espulso ed
abbia  ciononostante fatto ritorno sul territorio nazionale sul quale
venga sorpreso (art. 13, commi 13-bis e ter legge cit.).
    Il   maggior  rigore  riservato  alla  prima  situazione  non  si
giustifica,  ad  avviso  di  questo, giudice, sotto nessun plausibile
motivo,  apparendo anzi la condotta sanzionata dall'art. 13 cit. piu'
grave di quella punita dall'art. 14 stessa legge: prova ne sia che si
tratta,  nell'un  caso, di un delitto punito con la reclusione fino a
quattro  anni,  nell'altro  caso  di  una  contravvenzione punita con
l'arresto fino ad un anno.
    A  fondare  tale  diversita'  di  trattamento non appare emergere
neppure una valida ragione di ordine pratico.
    Nel  caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del
divieto  di  reingresso che faccia ritorno nel territorio dello Stato
non  si  trova  in una situazione fattuale diversa da colui che da un
simile  provvedimento  non  sia  mai  stato raggiunto e che sia stato
invece colpito dal provvedimento del questore ai sensi del successivo
articolo 14.
    Anzi appare certamente piu' riprovevole la condotta di colui che,
dopo  essere  stato  concretamente  espulso dal territorio nazionale,
illegittimamente  e  per la seconda volta vi faccia ritorno, rispetto
alla  condotta di chi, spesso introdotto per la prima volta in Italia
con scarsa o nessuna consapevolezza (si pensi alle giovani da avviare
alla  prostituzione,  sovente  condotte  in Italia da terzi contro la
loro  volonta),  si  trovi  a  dover  ottemperare  ad  un  ordine  di
espulsione senza neppure avere i mezzi materiali per poterlo fare.
    Anche  nel  caso del cittadino espulso che rientri nel territorio
dello  Stato  sussistono  inoltre  le medesime ragioni di urgenza che
sussistono  per  il cittadino al quale un provvedimento di espulsione
del Questore sia stato notificato.
    Appare  quindi evidente che la disciplina difforme riservata alle
due  fattispecie  non  e'  ragionevole  e  come  la  norma  in esame,
prevedendo  il  trattamento piu' rigoroso per la condotta meno grave,
appare  in  contrasto con l'art. 3 della Costituzione, ove tale norma
si raffronti con quella dell'art. 13 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.