ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei   giudizi   di   legittimita'   costituzionale  dell'art. 32  del
decreto-legge  30 settembre  2003,  n. 269  (Disposizioni urgenti per
favorire  lo  sviluppo  e  per la correzione dell'andamento dei conti
pubblici),  e  dell'art. 32  del d.l. n. 269 del 2003 come risultante
dalla  conversione  ad  opera  della  legge  24 novembre 2003, n. 326
(Conversione   in   legge,   con   modificazioni,  del  decreto-legge
30 settembre  2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire
lo  sviluppo  e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici),
promossi  con  due  ricorsi  della  Regione Campania, rispettivamente
notificati  il  17 ottobre  2003  e il 22 gennaio 2004, depositati in
cancelleria  il  25 ottobre e il 30 gennaio successivi ed iscritti al
n. 76  del  registro  ricorsi  2003  ed al n. 14 del registro ricorsi
2004,   con   due   ricorsi  della  Regione  Marche,  rispettivamente
notificati  il  13 novembre  2003 e il 21 gennaio 2004, depositati in
cancelleria  il 19 novembre e il 26 gennaio successivi ed iscritti al
n. 81 del registro ricorsi 2003 ed al n. 8 del registro ricorsi 2004,
con  due ricorsi della Regione Toscana, rispettivamente notificati il
12 novembre  2003 ed il 21 gennaio 2004, depositati in cancelleria il
21 novembre  e  il  29 gennaio  successivi  ed  iscritti al n. 82 del
registro  ricorsi 2003 ed al n. 10 del registro ricorsi 2004, con due
ricorsi  della  Regione Emilia-Romagna, rispettivamente notificati il
20 novembre  2003  e il 23 gennaio 2004, depositati in cancelleria il
26 novembre  e  il  29 gennaio  successivi  ed  iscritti al n. 83 del
registro  ricorsi 2003 ed al n. 13 del registro ricorsi 2004, con due
ricorsi   della   Regione   Umbria,   rispettivamente  notificati  il
25 novembre  2003  e il 23 gennaio 2004, depositati in cancelleria il
2 dicembre  e  il  29 gennaio  successivi  ed  iscritti  al n. 87 del
registro  ricorsi  2003 e al n. 11 del registro ricorsi 2004, con due
ricorsi   della   Regione   Friuli-Venezia   Giulia,  rispettivamente
notificati  il  27 novembre  2003 e il 22 gennaio 2004, depositati in
cancelleria  il  4 dicembre e il 30 gennaio successivi ed iscritti al
n. 89  del  registro  ricorsi  2003  ed al n. 12 del registro ricorsi
2004,   con  un  ricorso  della  Regione  Basilicata,  notificato  il
1° dicembre  2003, depositato in cancelleria il 5 dicembre successivo
ed iscritto al n. 90 del registro ricorsi 2003 e con un ricorso della
Regione   Lazio,   notificato   il  20 gennaio  2004,  depositato  in
cancelleria il 23 gennaio successivo ed iscritto al n. 6 del registro
ricorsi 2004.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri  nonche'  gli  atti di intervento del comune di Salerno, del
comune  di  Ischia  e  del  comune  di Lacco Ameno, dell'Associazione
Italiana  per  il  World  Wide  Fund  For  Nature  (WWF)  ONLUS e del
CODACONS, del comune di Roma;
    Udito   nell'udienza  pubblica  dell'11 maggio  2004  il  giudice
relatore Ugo De Siervo;
    Uditi  gli  avvocati  Vincenzo  Cocozza  per la Regione Campania,
Stefano  Grassi  per  la Regione Marche, Lucia Bora e Fabio Lorenzoni
per   la   Regione   Toscana,  Giandomenico  Falcon  per  la  Regione
Emilia-Romagna, per la Regione Umbria e per la Regione Friuli-Venezia
Giulia,   Gennaro  Terracciano  per  la  Regione  Basilicata,  Pietro
Pesacane  per  la Regione Lazio, Lorenzo Bruno Molinaro per il comune
di  Ischia  e per il comune di Lacco Ameno, Antonio Brancaccio per il
comune di Salerno, Alessio Petretti per il World Wide Fund For Nature
(WWF)  ONLUS,  Sebastiano  Capotorto  per  il comune di Roma, Nicolo'
Paoletti  per  il CODACONS e l'avvocato dello Stato Franco Favara per
il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Le  Regioni Campania (con ricorso notificato il 17 ottobre
2003,  depositato il 25 ottobre 2003 e iscritto al reg. ricorsi n. 76
del  2003),  Marche  (con  ricorso  notificato  il  13 novembre 2003,
depositato  il  19 novembre 2003 e iscritto al reg. ricorsi n. 81 del
2003),   Toscana   (con   ricorso  notificato  il  12 novembre  2003,
depositato  il 25 novembre 2003 e iscritto al reg. ric. 82 del 2003),
Emilia-Romagna   (con   ricorso   notificato   il  20 novembre  2003,
depositato  il  26 novembre 2003 e iscritto al reg. ricorsi n. 83 del
2003), Umbria (con ricorso notificato il 25 novembre 2003, depositato
il  2 dicembre  2003  e  iscritto  al  reg. ricorsi n. 87 del 2003) e
Friuli-Venezia  Giulia  (con  ricorso notificato il 27 novembre 2003,
depositato  il  4 dicembre  2003 e iscritto al reg. ricorsi n. 89 del
2003)  hanno impugnato l'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003,
n. 269  (Disposizioni  urgenti  per  favorire  lo  sviluppo  e per la
correzione  dell'andamento  dei  conti pubblici), ed in particolare i
commi:  1,  2, 3, 5, 14-20; 25-31; 32 e seguenti (reg. ric. n. 76 del
2003);  1,  2,  3, 5, 6, 9, 10, 13, 14-20; 24-41 (reg. ric. n. 81 del
2003);  1,  3,  5,  6,  9,  10, 14-20; 24, 25-40 (reg. ric. n. 82 del
2003);  1,  2,  3,  4,  25,  26,  lettera a), 28, 32, 35, 37, 38, 40,
nonche' l'Allegato 1 (reg. ric. nn. 83, 87 e 89 del 2003). La Regione
Marche ha impugnato anche l'art. 32 citato nel suo complesso.
    2.  -  Preliminarmente  le  ricorrenti evidenziano come - dopo la
riapertura  dei  termini  del  condono  edilizio previsto dalla legge
28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attivita'
urbanistico-edilizia,  sanzioni,  recupero  e  sanatoria  delle opere
edilizie),  disposta per effetto dell'art. 39 della legge 23 dicembre
1994,  n. 724  (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) -
l'art. 32  del  d.l.  n. 269  del  2003 abbia nuovamente aperto detti
termini,  riproponendo, con qualche modifica, le regole sostanziali e
procedurali  dei  due  precedenti  condoni  edilizi,  di  modo  che -
sostiene  la  Regione  Emilia-Romagna - «sommando tutti i periodi, ne
risulta  che  [...] chiunque negli ultimi venti anni abbia effettuato
opere  edilizie  in  spregio  alle  regole  sostanziali  e formali di
governo  del  territorio  ha  potuto  o  potra'  trarre vantaggio dal
proprio illecito».
    Sostengono  le  ricorrenti  che  il comma 2 della norma censurata
dispone   che   la  normativa  in  questione  e'  posta  «nelle  more
dell'adeguamento  della  disciplina  regionale  al  testo unico delle
disposizioni   legislative   e  regolamentari  in  materia  edilizia,
approvato  con  d.P.R.  6  giugno 2001,  n. 380»,  e facendo comunque
«salve   le   competenze  delle  autonomie  locali  sul  governo  del
territorio».  Su  tale  base,  alcune  delle  Regioni (ad esempio, la
Regione  Toscana)  sostengono  che quanto appena evidenziato dovrebbe
comportare  l'inapplicabilita'  del medesimo art. 32 nei territori di
quelle   Regioni  che  abbiano  gia'  provveduto  a  dotarsi  di  una
disciplina  coerente  con le linee guida fornite dallo Stato mediante
il  citato  testo  unico.  In  tale evenienza verrebbe meno lo stesso
motivo   di   doglianza  delle  Regioni  in  questione.  Le  censure,
viceversa,  sono  proposte  per  il  caso  in cui si ritenesse che la
prescrizione  di  cui  al  comma 2  citato  non valga ad escludere le
Regioni  che  si  sono  gia'  adeguate  al  disposto  del testo unico
dall'ambito   di   applicabilita'   della  disciplina  impugnata.  In
relazione  al  citato  comma 2,  la Regione Marche ritiene «del tutto
formale  e  pretestuoso» il richiamo compiuto da tale disposizione al
testo unico dell'edilizia, in quanto quest'ultimo «non ha innovato il
sistema  normativo,  ma ha confermato e riordinato i principi vigenti
senza peraltro prevedere alcuna esigenza di sanatoria».
    Il  fulcro  della disciplina oggetto delle doglianze regionali e'
contenuto  nel  comma 25  dell'art. 32,  il  quale  prevede  che  «le
disposizioni  di  cui  ai  capi  IV e V della legge 28 febbraio 1985,
n. 47,  e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente
modificate  dall'articolo 39  della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e
successive   modificazioni   e  integrazioni,  nonche'  dal  presente
articolo,  si  applicano  alle  opere  abusive che risultino ultimate
entro  il  31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del
manufatto   superiore   al   30  per  cento  della  volumetria  della
costruzione  originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a
750  metri  cubi»,  e  che «le suddette disposizioni trovano altresi'
applicazione  alle  opere abusive realizzate nel termine di cui sopra
relative  a  nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri
cubi   per  singola  richiesta  di  titolo  abilitativo  edilizio  in
sanatoria».  Le  ricorrenti  riconoscono  che il comma 3 dell'art. 32
afferma  che «le condizioni, i limiti e le modalita' del rilascio del
(...) titolo abilitativo sono stabilite dal presente articolo e dalle
normative   regionali»,   evidenziando  tuttavia  come  le  minute  e
dettagliate  disposizioni  del  medesimo  art. 32  lascino margini di
manovra  del  tutto  esigui  alle autonomie regionali, per di piu' da
esercitare  entro  il  termine  temporale assai ristretto fissato dal
comma 33.
    In  definitiva,  gli spazi nei quali sarebbe ammesso l'intervento
regionale sarebbero: a) l'aumento sino ad un massimo del 10 per cento
della   misura   dell'oblazione;   b)  l'incremento  degli  oneri  di
concessione   sino   ad   un   massimo  del  100  per  cento;  c)  la
individuazione   delle  modalita'  di  attuazione  della  regola  che
consente a coloro che intendano eseguire in tutto o in parte le opere
di  urbanizzazione  primaria  di  «detrarre  dall'importo complessivo
quanto   gia'   versato,   a  titolo  di  anticipazione  degli  oneri
concessori»;  d)  la  possibilita' di prevedere l'obbligo di allegare
«ulteriore   documentazione»   alla   domanda   di   condono;  e)  la
possibilita' di consentire con proprie leggi la sanatoria degli abusi
di  minore  gravita' (restauro e risanamento conservativo, nonche' la
semplice manutenzione straordinaria), mentre per gli abusi piu' gravi
non vi sarebbe alcun margine di scelta per le autonomie regionali.
    3.  -  Con  un  primo  gruppo  di censure le Regioni lamentano la
violazione  dell'art. 117  della  Costituzione.  In  particolare,  la
Regione  Marche  sostiene  che la disciplina in esame dovrebbe essere
collocata nell'ambito della materia «edilizia», la quale, non essendo
«nominata»   tra   le   materie   dell'art. 117   Cost.,   ricadrebbe
automaticamente nella competenza legislativa residuale delle Regioni.
Cio'   basterebbe  per  ritenere  costituzionalmente  illegittime  le
disposizioni  impugnate,  in quanto dettate in un ambito nel quale lo
Stato  non  avrebbe  alcuna  potesta'  legislativa. Anche a non voler
considerare la disciplina dell'edilizia come afferente ad una materia
autonoma, secondo la Regione Marche, essa andrebbe comunque collocata
nell'ambito  dell'urbanistica,  la  quale  - dovendo essere distinta,
sulla base di quanto appena evidenziato, dal «governo del territorio»
- non potrebbe che essere considerata materia di competenza residuale
delle  Regioni. Le conclusioni sarebbero dunque le medesime di quelle
piu'  sopra  richiamate,  ossia  la  illegittimita' costituzionale di
qualunque normativa statale in detto ambito materiale.
    Analoghe sono le argomentazioni svolte dalla Regione Campania, la
quale  -  adducendo  in termini meramente formali anche la violazione
dell'art. 114  Cost.  -  considera  la normativa oggetto del presente
giudizio  ricadente  nell'ambito dell'urbanistica, e quindi afferente
alla competenza residuale delle Regioni.
    Quale  ulteriore  ipotesi  interpretativa  le  Regioni  Marche  e
Campania  suggeriscono  la  collocazione  della  disciplina impugnata
nell'ambito  della  materia  «governo  del  territorio»,  contemplata
dall'art. 117,  terzo  comma, Cost. A tale conclusione si giungerebbe
considerando  l'urbanistica  -  cui  afferirebbe  l'art. 32  del d.l.
n. 269  del  2003 - non quale materia autonoma ma ricompresa in tale,
piu'  ampia,  qualificazione.  A  sostegno di tale impostazione viene
richiamata  la  sentenza di questa Corte n. 303 del 2003, nella quale
si  affermerebbe  che  la  disciplina  dei  titoli  abilitativi  alla
edificazione  rientrerebbe  nell'ambito  dell'urbanistica,  che a sua
volta sarebbe compresa nel «governo del territorio».
    Anche  collocandosi  in  tale  ordine  di  idee, l'illegittimita'
costituzionale della disciplina impugnata sarebbe del tutto evidente.
Cio'  in  quanto, nell'ambito della materia «governo del territorio»,
lo  Stato  potrebbe  porre  solo  norme  idonee ad esprimere principi
fondamentali. E tali non potrebbero certo essere considerate le norme
che prevedono e regolano la sanatoria edilizia.
    Le   ricorrenti,  infatti,  evidenziano  come  la  giurisprudenza
costituzionale   abbia  a  piu'  riprese  sottolineato  che  principi
fondamentali  possono  essere  ritenuti «solo i nuclei essenziali del
contenuto  normativo che quelle disposizioni esprimono per i principi
enunciati   o  da  esse  desumibili»  e  che,  comunque,  i  principi
fondamentali  devono  essere caratterizzati da «un livello di maggior
astrattezza   rispetto   alle   regole  positivamente  stabilite  dal
legislatore regionale» (vengono richiamate al riguardo le sentenze di
questa Corte n. 482 del 1995 e n. 65 del 2001).
    La disciplina impugnata, invece, sarebbe senz'altro qualificabile
come    normativa    di    dettaglio,   contenendo   una   disciplina
particolareggiata del procedimento di rilascio del titolo abilitativo
edilizio  in  sanatoria.  Le ricorrenti ritengono, in sintesi, che la
normativa  posta  dalle  disposizioni  impugnate  sia illegittima, in
quanto   «minuziosa,   dettagliata,   autoapplicativa,   direttamente
operativa  nei  confronti dei privati interessati, laddove, invece, i
principi  fondamentali  della  materia  dovrebbero  essere rivolti al
legislatore  regionale  che  poi  dovrebbe  articolare  la  normativa
applicabile ai terzi interessati». Ne' essa sarebbe stata configurata
come normativa cedevole rispetto alle leggi regionali.
    Piu'  in  generale, secondo le ricorrenti, sarebbe la stessa idea
di  condono  edilizio  a  porsi irrimediabilmente in contrasto con la
possibilita'  di qualificare le norme che lo prevedono quali principi
fondamentali della materia.
    A  questo  riguardo  le  Regioni  richiamano,  tra  le  altre, le
sentenze  di  questa  Corte n. 369 del 1988, n. 416 del 1995 e n. 427
del  1995.  Da tali decisioni emergerebbe con chiarezza come, secondo
il  giudice  costituzionale,  il condono edilizio possa giustificarsi
esclusivamente  quale  misura del tutto straordinaria ed eccezionale,
in  quanto  tale non reiterabile, e tale da dover trovare - per poter
essere  ritenuto conforme a Costituzione - specifiche giustificazioni
in punto di ragionevolezza, le quali, pur se ritenute sussistenti nel
caso  dei  precedenti  condoni,  sarebbero del tutto assenti nel caso
presente.
    La   correttezza   di   tali  argomentazioni,  peraltro,  sarebbe
corroborata - secondo le ricorrenti - da quelle decisioni della Corte
costituzionale   le   quali   evidenziano  che,  affinche'  si  possa
discorrere  di  principio fondamentale, e' necessario che la norma in
questione  esprima una consapevole scelta di politica legislativa, o,
quantomeno,   sia   in   grado   di  orientare  i  futuri  interventi
legislativi: cio' che, con tutta evidenza, mancherebbe nel caso della
sanatoria. Anzi, quest'ultima si porrebbe in contrasto con i principi
fondamentali  vigenti nella materia in questione, travolgendoli senza
appello,  dal  momento  che  tali  principi contemplerebbero, invece,
proprio  l'obbligo  di  perseguire e sanzionare gli abusi, nonche' la
necessita'   di   ridurre   ed  eliminare  per  quanto  possibile  le
conseguenze lesive di questi ultimi.
    Ne'  sarebbe  possibile  considerare la disciplina impugnata come
espressione   della   competenza  statale  concernente  l'ordinamento
penale.   Al   riguardo,   la   Regione  Emilia-Romagna  ritiene  che
«l'irriducibilita'  del  condono edilizio alla questione penale [sia]
gia'  stata affermata [dalla Corte costituzionale] nel momento stesso
in  cui  essa  ha dichiarato ammissibile il ricorso regionale avverso
l'art. 39  della legge n. 724 del 1994». In secondo luogo - espone la
Regione  -  in contestazione non e' affatto l'esclusivita' del potere
statale  nel  disporre  del  «potere  di clemenza in materia penale»;
viceversa,  ad  essere oggetto di contestazione «e' che disponendo di
cio'  di  cui lo Stato poteva disporre, lo Stato abbia anche disposto
di  cio'  di  cui non poteva disporre, cioe' della sanzionabilita' in
via  amministrativa  degli  illeciti  edilizi».  Secondo  la  Regione
Marche, nel caso di specie, lo Stato, utilizzando una norma penale di
favore,  in realta' «disciplinerebbe procedimenti e norme sostanziali
relative  all'ordinato assetto del territorio e al corretto esercizio
delle attivita' edilizie, determinando la violazione delle competenze
in materia di governo del territorio».
    Neanche   in   base  alla  norma  costituzionale  concernente  il
«coordinamento  della finanza pubblica» sarebbe possibile ritenere lo
Stato  legittimato  a  dettare norme quali quelle impugnate. In primo
luogo,   non   sarebbe  giustificabile  in  base  a  tale  competenza
«asservire»   la   materia  urbanistica  ed  edilizia  alle  esigenze
finanziarie.  In  secondo  luogo,  in  vista  del coordinamento della
finanza pubblica, lo Stato potrebbe solo porre principi fondamentali;
e  la  normativa  impugnata  non sarebbe in alcun modo classificabile
quale determinazione di principi fondamentali.
    4.   -  Diverse  sono  le  argomentazioni  svolte  dalla  Regione
Friuli-Venezia Giulia, in considerazione dei caratteri di specialita'
che contraddistinguono il suo regime di autonomia.
    In particolare, la ricorrente afferma di essere dotata - ai sensi
dell'art. 14,  numero 12, della legge costituzionale 31 gennaio 1963,
n. 1  (Statuto  speciale  della  Regione  Friuli-Venezia Giulia) - di
competenza  legislativa esclusiva in materia urbanistica, ossia nella
materia  in  cui  ricadrebbe  la  disciplina posta dalle disposizioni
impugnate.   Quanto   alle  funzioni  amministrative  connesse,  esse
spetterebbero  alla  Regione  in  virtu' dell'art. 8 dello Statuto, e
sarebbero   state   ad   essa   trasferite  dall'art. 27  del  d.P.R.
25 novembre  1975, n. 902 (Adeguamento ed integrazione delle norme di
attuazione   dello  statuto  speciale  della  Regione  Friuli-Venezia
Giulia).  Quanto  alla  normativa  regionale, la ricorrente espone di
aver fatto uso della propria potesta' primaria con la legge regionale
19 novembre 1991, n. 52 (Norme regionali in materia di pianificazione
territoriale ed urbanistica).
    La  Regione  Friuli-Venezia  Giulia ritiene, nel proprio ricorso,
essenzialmente  ambigua  la  clausola  che  dispone la salvezza delle
attribuzioni  previste  dagli  Statuti  per  le  Regioni ad autonomia
speciale.  In  particolare,  dal  comma 4 dell'art. 32 - nel quale e'
contenuta   tale  clausola  -  non  sarebbe  possibile  desumere  con
chiarezza  la  applicabilita'  o  meno della normativa dettata con le
disposizioni  oggetto del presente giudizio. Nel ricorso si evidenzia
che,  ove si ritenesse di interpretare il citato comma 4 nel senso di
escludere la applicabilita' dell'art. 32 del d.l. n. 269 alle Regioni
speciali,  le  doglianze  esposte  nello  stesso  ricorso «verrebbero
meno».
    Ad  avviso della Regione Friuli-Venezia Giulia, stante la propria
potesta'  legislativa  primaria  nella materia sulla quale insiste la
disciplina impugnata, potrebbero vincolare legittimamente l'autonomia
regionale   esclusivamente   la  Costituzione,  i  principi  generali
dell'ordinamento  giuridico e le norme fondamentali di grande riforma
economico-sociale.  Tra  queste,  secondo la ricorrente, non potrebbe
certo  essere  annoverata  la  previsione  di  un  condono  edilizio.
Quest'ultimo,  infatti,  sarebbe incompatibile sia con il concetto di
riforma che con quello di norma fondamentale.
    5.  - Tutte le ricorrenti censurano la disciplina impugnata anche
per   violazione  dell'art. 118  Cost;  in  particolare,  le  Regioni
Campania,  Marche  e Toscana affermano che cio' deriverebbe dal fatto
che   la   disciplina   del   condono   edilizio   determinerebbe  la
vanificazione  degli interventi di pianificazione e controllo locale,
nonche'  la necessita' di apprestare appositi strumenti urbanistici e
soluzioni   di   governo  del  territorio  che  tengano  conto  delle
conseguenze  della disciplina statale impugnata, cosicche' le Regioni
e  gli enti locali sarebbero costretti a subire anziche' governare le
destinazioni urbanistiche del territorio.
    6.  - In subordine, la Regione Campania sostiene che la normativa
impugnata  sarebbe  illegittima  anche  perche'  -  ove la si volesse
ritenere  idonea  ad  esprimere principi fondamentali - questi ultimi
non   potrebbero   essere   posti   mediante   un  decreto-legge.  Il
decreto-legge, in altre parole, in quanto giustificato esclusivamente
dall'esistenza   della   straordinaria   necessita'   ed  urgenza  di
provvedere,  non  sarebbe costituzionalmente legittimo ove prevedesse
principi  fondamentali,  dal  momento  che la struttura normativa dei
principi  non  sarebbe  idonea  a  perseguire  obiettivi con assoluta
urgenza. In questa prospettiva, risulterebbe dunque violato l'art. 77
Cost.,  dal  momento  che difetterebbero i presupposti costituzionali
per  l'esercizio  della  decretazione  d'urgenza (il che, in tesi, e'
sostenuto  anche  dalla  Regione Marche, secondo la quale l'esistenza
dell'urgenza   sarebbe  smentita  dalle  modalita'  e  dai  tempi  di
attuazione  della  stessa  disciplina).  Ancora,  secondo  la Regione
Campania,  l'art. 32  impugnato sarebbe incostituzionale in quanto il
decreto-legge  nel  quale  e'  contenuto  difetterebbe del requisito,
costituzionalmente necessario, della omogeneita' del contenuto.
    7.  -  Altro motivo di doglianza esposto nei ricorsi regionali e'
la   pretesa   violazione   dell'autonomia   organizzativa,   nonche'
dell'art. 119  Cost.  e  dell'autonomia  finanziaria  delle Regioni e
degli enti locali in esso contemplata.
    Il  condono  edilizio  -  evidenziano le Regioni - e' disposto in
vista di esigenze finanziarie del bilancio statale, ma comporta spese
particolarmente  ingenti,  e  di vario genere, a carico delle finanze
delle  autonomie  territoriali,  a fronte di una compartecipazione al
gettito  delle  operazioni  di  condono  che risulterebbe decisamente
esigua.
    Tali   spese   sarebbero  -  come  nota  la  Regione  Campania  -
presumibilmente  superiori  a quanto lo stesso condono e' in grado di
far recuperare all'erario statale e sarebbero individuabili, in primo
luogo,  nelle  risorse  necessarie  allo  svolgimento delle attivita'
amministrative finalizzate alla attuazione della normativa impugnata,
che  e' demandata alle amministrazioni regionali e locali. In secondo
luogo,  l'autonomia finanziaria sarebbe violata anche perche' sarebbe
necessario   -   nel   caso  in  cui  venissero  concessi  titoli  di
abilitazione  a edificare in sanatoria - procedere alla realizzazione
di  opere  di  urbanizzazione  primaria  e  secondaria,  il cui costo
peserebbe non poco sui bilanci delle autonomie territoriali.
    8.   -  Secondo  la  Regione  Marche,  inoltre,  le  disposizioni
impugnate  violerebbero il principio di tassativita' e certezza delle
norme   penali   sancito   dall'art. 25   Cost.  Cio'  in  quanto  la
reiterazione   con   cadenza   novennale   della  sanatoria  edilizia
implicherebbe  «non  solo  la  lesione del principio di legalita», ma
lederebbe  «soprattutto  la  fiducia  dei  cittadini  nella effettiva
capacita'  degli  organi pubblici di garantire il rispetto dei valori
costituzionali coinvolti nella disciplina urbanistica ed edilizia».
    9. - L'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 contrasterebbe, altresi',
con il principio di eguaglianza.
    Infatti,  la  disciplina  in  esame,  riaprendo  ed  estendendo i
termini   del  condono,  introdurrebbe  un  sistema  di  sfavore  nei
confronti   di  coloro  che,  rispettando  la  normativa,  non  hanno
costruito  perche' privi del titolo abilitativo, dovendo subire pero'
le  conseguenze  in  termini di degrado urbanistico del condono. Tale
normativa,  in  primo luogo, ingiustamente tratterebbe in modo uguale
situazioni  diverse,  ossia  quella di chi ha costruito in base ad un
titolo  legittimo  e  quella  di  chi  ha  costruito abusivamente; in
secondo  luogo,  altrettanto  ingiustamente,  non  consentirebbe  «di
riportare  ad uguaglianza, attraverso la sanzione, chi si e' astenuto
da comportamenti illeciti e chi illecitamente li ha compiuti».
    Ancora,  secondo le ricorrenti, sarebbe irrimediabilmente violato
il principio di ragionevolezza.
    Come statuito da questa Corte con la sentenza n. 416 del 1995, la
previsione  di  un  provvedimento  di condono deve essere considerata
costituzionalmente  legittima  solo  a  patto  di  essere  del  tutto
straordinaria  ed eccezionale, e di essere giustificata da situazioni
altrettanto  straordinarie  ed  eccezionali. Viceversa, una ulteriore
reiterazione  del condono edilizio farebbe venir meno tali caratteri,
e costituirebbe una indubbia violazione dei parametri costituzionali,
secondo quanto affermato esplicitamente nella sentenza richiamata.
    Dunque,    per   le   Regioni   ricorrenti,   la   illegittimita'
costituzionale   delle   disposizioni   impugnate  dipenderebbe  gia'
semplicemente  - alla luce della citata giurisprudenza costituzionale
-  dalla  circostanza che esse pongono in essere una reiterazione del
condono;  in  secondo  luogo, nel caso in questione mancherebbero del
tutto   quelle   circostanze   eccezionali   che,   nelle  precedenti
situazioni,   hanno   portato  la  Corte  costituzionale  a  ritenere
giustificata  la  sanatoria.  Inoltre, si afferma che se i precedenti
condoni  trovavano  una  giustificazione costituzionale nelle carenze
legislative e gestionali delle Regioni e degli enti locali, oggi cio'
non  sarebbe  piu' vero, poiche' le Regioni si sarebbero ormai dotate
degli  strumenti  normativi  ed  amministrativi  necessari al fine di
reprimere  e  sanzionare  gli episodi di illegalita', ed avrebbero in
concreto intrapreso con incisivita' l'attivita' di controllo.
    Il  principio  di  ragionevolezza,  peraltro,  secondo la Regione
Campania,  sarebbe  violato  anche  per  il  fatto  che  la normativa
introdotta  dall'impugnato  art. 32 inciderebbe in modo significativo
su numerosi principi costituzionali senza pero' riuscire a perseguire
adeguatamente  l'obiettivo  per  il  quale  essa e' stata posta. Cio'
sarebbe  vero  innanzi tutto in relazione all'obiettivo «dichiarato»,
desumibile  dal  comma 2  dell'art. 32,  in  quanto «non si riesce in
alcun  modo  a  comprendere in qual maniera si possa collegare questa
terza   sanatoria  edilizia  con  una  eventuale,  gia'  intervenuta,
modifica  legislativa  di  settore»;  ne'  sarebbe  comprensibile «il
rapporto tra questa disciplina e la successiva di livello regionale».
La Regione Campania, peraltro, evidenzia come il fine esclusivo della
disciplina  impugnata  sia quello di «recuperare gettito all'erario»:
ma  anche  in  relazione a tale fine lo strumento del condono sarebbe
del  tutto  inadeguato  -  e  quindi viziato da irragionevolezza - in
quanto  non  terrebbe  conto  «degli  effetti  ulteriori  e deleteri»
determinati  a  carico degli enti territoriali, i quali «dovranno far
fronte  a spese per l'urbanizzazione e il recupero ambientale». Spese
che  -  si  prosegue  -  solo  in modo molto limitato potranno essere
coperte  dagli  oneri  di  urbanizzazione  a  carico di coloro che si
avvantaggeranno della sanatoria.
    Quanto  detto, peraltro, secondo le ricorrenti, renderebbe palese
anche   la   violazione   di   altri   parametri  costituzionali.  In
particolare, risulterebbero violati il principio di imparzialita' dei
pubblici   poteri,   nonche'   il   principio   di   buon   andamento
dell'amministrazione.  Tale  principio,  infatti,  sarebbe  frustrato
dalla  inanita' degli sforzi compiuti dalle amministrazioni locali al
fine di reprimere l'abusivismo.
    10.  -  Altro parametro che secondo le ricorrenti sarebbe violato
dalla  normativa  oggetto  del  giudizio  e' l'art. 9 Cost., nonche',
secondo  la  Regione  Campania,  la  competenza  regionale in tema di
valorizzazione  dei  beni ambientali e, secondo la Regione Emilia, il
principio    costituzionale    di    indisponibilita'    dei   valori
costituzionalmente  tutelati.  Tra  questi  rientrerebbe  sicuramente
«l'ordinato  assetto  del  territorio», il quale non potrebbe «essere
scambiato  con  valori puramente finanziari», come invece avviene nel
caso  della sanatoria edilizia. Da questo punto di vista, ben diversa
sarebbe  la  situazione  del  condono  edilizio  rispetto  al condono
fiscale,  dal  momento che in quest'ultimo caso lo Stato «rinuncia ad
una  pretesa  economica  in  vista  di  una  diversa, e sia pure piu'
ridotta,  pretesa  economica:  sicche' la questione acquista, nel suo
oggetto  specifico,  un  connotato  quasi di transazione ordinaria in
relazione  ad  una lite patrimoniale». Viceversa, il condono edilizio
finirebbe per sacrificare ad un interesse economico «beni e interessi
indisponibili e costituzionalmente tutelati della comunita».
    Similmente,  la  Regione  Marche censura la norma impugnata anche
con  riferimento  agli artt. 9, 32, 41 e 42 Cost., dal momento che la
sanatoria    prevista    dalla   disciplina   impugnata   inciderebbe
negativamente  nei  confronti  di  valori  costituzionali che tutti i
livelli  di  governo  -  e  in  particolare  le  Regioni  -  hanno il
diritto-dovere   di   tutelare  nella  loro  effettivita':  i  valori
paesistico-ambientali, il valore della salute, il valore del corretto
e  ordinato  svolgimento  dell'attivita'  imprenditoriale  in materia
edilizia, la tutela del diritto di proprieta'.
    In  relazione  a tali parametri costituzionali, nonche' a tutti i
parametri invocati che risultino diversi da quelli che specificamente
presiedono   al  riparto  di  competenze  tra  Stato  e  Regioni,  le
ricorrenti  sostengono la sussistenza del proprio interesse a dedurne
in giudizio la violazione. Cio' in quanto i vizi di costituzionalita'
derivanti  da  tali violazioni si tradurrebbero automaticamente in un
danno   alla  sfera  di  competenza  delle  Regioni,  che  vedrebbero
irrimediabilmente  frustrata  la  propria  attivita'  legislativa  ed
amministrativa  di  governo del territorio, dal momento che gli abusi
futuri  potrebbero  sfuggire  alle sanzioni amministrative risultando
cosi' incentivati.
    11.  -  Ancora,  a risultare violato - a giudizio delle Regioni -
sarebbe il principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di
governo,  dal  momento che ne' in sede di adozione del decreto-legge,
ne'  in  sede  di  adozione  del  disegno di legge di conversione, le
autonomie  regionali  sono  state consultate attraverso la Conferenza
Stato-Regioni.  In  particolare,  sarebbe stato contraddetto l'art. 2
del  d.lgs.  28 agosto  1997, n. 281 (Definizione e ampliamento delle
attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le   regioni   e   le  province  autonome  di  Trento  e  Bolzano  ed
unificazione,  per  le materie ed i compiti di interesse comune delle
regioni,  delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-citta'
ed  autonomie  locali),  il  quale  prevede  che  la Conferenza debba
obbligatoriamente essere sentita «in ordine agli schemi di disegni di
legge  e  di  decreto  legislativo o di regolamento del Governo nelle
materie  di  competenza  delle  regioni  o delle province autonome di
Trento e di Bolzano». D'altra parte, il contrasto con le prescrizioni
del  d.lgs.  n. 281  del 1997 sarebbe evidente anche ove si reputasse
che  nel  caso  in questione la Conferenza non dovesse essere sentita
preventivamente,  a  causa  dell'urgenza di provvedere: in situazioni
similari,  infatti, l'art. 2, comma 5, del citato decreto legislativo
prevede  la  consultazione successiva della Conferenza, e dispone che
«il  Governo  tiene  conto  dei  suoi  pareri:  a)  in  sede di esame
parlamentare  dei  disegni  di legge o delle leggi di conversione dei
decreti-legge».  Quindi,  anche in caso di urgenza, il coinvolgimento
della  Conferenza  -  secondo  le  ricorrenti  -  non  sarebbe potuto
mancare.
    Ad  ulteriore sostegno delle argomentazioni appena richiamate, la
Regione   Emilia-Romagna   ritiene   che   dall'art. 11  della  legge
costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3  (Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione) sarebbe desumibile - pur in assenza
dell'attivazione   della   «speciale   composizione  integrata  della
Commissione parlamentare per le questioni regionali» in esso prevista
-  l'esistenza  di  un  principio  costituzionale  che  prescrive «la
partecipazione  regionale  al  procedimento  legislativo  delle leggi
statali   ordinarie,   quando   queste  intervengono  in  materia  di
competenza concorrente».
    12.  - Secondo la Regione Campania, inoltre, a risultare travolto
per  effetto  della  normativa  impugnata sarebbe lo stesso giudicato
costituzionale;  in  particolare, sarebbero state violate le sentenze
di  questa  Corte  n. 427 del 1995, n. 416 del 1995, n. 231 del 1993,
n. 369  del  1988 e n. 302 del 1988, concernenti i precedenti condoni
edilizi.  Con  tali  decisioni,  infatti,  il  giudice costituzionale
avrebbe  chiaramente  riconosciuto  al  regime di sanatoria carattere
episodico,   delimitandolo   temporalmente,  pena  la  illegittimita'
costituzionale.
    13.  - Le Regioni ricorrenti, in subordine, per il caso in cui le
censure  appena  illustrate  fossero  ritenute infondate, prospettano
alcune  doglianze  rivolte  nei  confronti di specifiche disposizioni
dell'art. 32 impugnato.
    In   particolare,   viene   dedotta   anzitutto  l'illegittimita'
costituzionale del comma 26, lettera a), nella parte in cui subordina
alla  legge  regionale  la sanabilita' degli abusi minori in zone non
vincolate, mentre sottrae alla decisione regionale gli abusi maggiori
e gli abusi minori in zone vincolate. Cio' determinerebbe la evidente
violazione  dei principi di eguaglianza e ragionevolezza, nonche', in
via mediata, degli artt. 117 e 118 Cost.
    Ancora,  incostituzionale  sarebbe  il  comma 25,  «in quanto non
eccettua   dal   condono  gli  abusi  per  i  quali  il  procedimento
sanzionatorio  sia  gia' iniziato» (cosi' la Regione Emilia-Romagna).
La  illegittimita'  costituzionale dipenderebbe dal fatto che in casi
di  questo  tipo la possibilita' del condono risulterebbe «ancor piu'
irragionevole»,  in  quanto il condono edilizio non porterebbe nessun
vantaggio  al  pubblico  interesse,  ne' - ovviamente - in termini di
«uscita  allo  scoperto» di situazioni di illegalita', ne' in termini
economici.
    Incostituzionali   sarebbero,   altresi',   i  commi 3,  25,  26,
lettera a),  28,  32,  35,  lettere b)  e  c),  37,  38 e 40, nonche'
l'Allegato   1,   in   quanto   -   con   disciplina  dettagliata  ed
autoapplicativa - stabiliscono le modalita', i termini e le procedure
relative  al  condono  edilizio,  cosi'  violando l'art. 117 Cost. La
competenza  dello  Stato  a  dettare  norme  non cedevoli non sarebbe
giustificata,  nel  caso di specie, ne' dall'art. 117, secondo comma,
Cost.,  ne'  dall'attrazione di funzioni amministrative allo Stato in
base all'art. 118, Cost.
    Le  Regioni  censurano inoltre i commi 25 e 35 per violazione del
principio  di  ragionevolezza, dal momento che, estendendo il condono
agli  abusi compiuti sino a sei mesi prima dell'entrata in vigore del
decreto-legge   impugnato,   renderebbero  particolarmente  difficile
distinguere  le  opere  ultimate  da quelle non ultimate, complicando
notevolmente  l'attivita' di vigilanza amministrativa. Peraltro, tale
norma  -  collegata  al  disposto  del comma 35 in forza del quale e'
sufficiente,  ove  l'opera  abusiva  non superi i 450 metri cubi, una
autocertificazione   per   la   prova  dello  «stato  dei  lavori»  -
consentirebbe  di  far  passare  per gia' costruite opere in corso di
costruzione.   Il   comma 25   non  andrebbe  esente  da  censure  di
incostituzionalita'  anche  da  un  differente  punto  di vista: esso
sarebbe  infatti  lesivo degli artt. 3, 9, 97, 117 e 118 Cost., nella
parte  in  cui  prevede un limite di volume (750 metri cubi) per ogni
singola  richiesta  di  sanatoria, senza pero' precisare che non sono
ammesse piu' richieste riferite alla medesima area.
    Costituzionalmente illegittimo sarebbe inoltre il comma 37, nella
parte in cui prevede la formazione del silenzio-assenso nei confronti
delle  istanze  di  sanatoria,  dal  momento  che  sarebbe  palese la
irragionevolezza  di  una norma che sana gli abusi in virtu' del solo
decorso del tempo. La norma, inoltre, contrasterebbe con gli artt. 9,
97,  117  e  118  Cost. (e con gli artt. 4 e 8 dello Statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia), perche' renderebbe eventuale il
controllo  dei  comuni  sull'ammissibilita' delle domande di condono,
ledendo  altresi'  le  competenze regionali in materia di governo del
territorio.
    Secondo  le  ricorrenti,  andrebbero  dichiarati incostituzionali
anche  i  commi  da  14  a 20 ed il comma 24, i quali disciplinano la
sanatoria  degli  abusi  commessi  sulle  aree di proprieta' statale,
facendola dipendere unicamente dalla volonta' e dalla decisione dello
Stato  proprietario,  senza dare «alcuna rilevanza a quanto in merito
stabilito  dal  legislatore  regionale, cui, invece, l'art. 117 Cost.
affida  la  competenza  a  disciplinare  l'ammissibilita' urbanistica
degli  interventi  anche  sulle  aree  di proprieta' dello Stato» (in
questi  termini  la Regione Toscana). Le norme in parola violerebbero
altresi'  gli  artt. 118  e  119  Cost.,  perche'  la decisione sulla
ammissibilita'   della   sanatoria  verrebbe  riservata  al  soggetto
proprietario dell'area, senza possibilita' di contraddittorio con gli
enti  locali  interessati  e  in  assenza di una previa intesa con le
Regioni.
    Specifiche  censure sono rivolte anche nei confronti del comma 6,
il  quale  affida  al  Ministro delle infrastrutture l'individuazione
degli   interventi   da  ammettere  a  finanziamento  tra  quelli  di
riqualificazione  urbanistica  attivati  dalle  Regioni previo parere
della     Conferenza    unificata.    Tale    disposizione    sarebbe
incostituzionale,  nella  prospettazione delle ricorrenti, perche' in
una  materia  regionale  determinerebbe  la  avocazione  di  funzioni
amministrative  al  centro  senza  prevedere,  come  richiesto  dalla
sentenza  n. 303  del 2003, l'intesa con la Regione interessata; essa
contrasterebbe,  peraltro,  anche  con l'art. 119 Cost., il quale non
ammette  finanziamenti  vincolati  alla  realizzazione  di interventi
scelti  dal Ministro. Incostituzionali, infine, sarebbero i commi 9 e
10, per ragioni analoghe a quelle appena illustrate.
    14.  -  Le  Regioni  Campania,  Marche, Toscana ed Emilia-Romagna
(quest'ultima  con  atto  separato,  notificato  il 9 febbraio 2004 e
depositato   il   10 febbraio   2004)   hanno  formulato  istanza  di
sospensione   in   via   cautelare   dell'atto  impugnato,  ritenendo
sussistenti  le condizioni previste dall'art. 35 della legge 11 marzo
1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale),   come   sostituito   dall'art. 9   della   legge  5
giugno 2003,  n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento
della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3). In
particolare,  vi  sarebbe  il  rischio di un pregiudizio irreparabile
all'interesse  pubblico,  in quanto in caso contrario si dovrebbe dar
luogo  alla  attivazione  delle  procedure  di  condono  da parte dei
comuni,   con   notevoli  spese  per  far  fronte  all'organizzazione
dell'attivita'. Peraltro, ulteriore danno deriverebbe dal fatto che -
come  insegnerebbe  la passata esperienza - provvedimenti legislativi
del tipo di quello impugnato, «producendo nella societa' una notevole
aspettativa   di  sanatoria,  inevitabilmente  [determinerebbero]  un
aumento  vertiginoso  [...]  dei  fenomeni  di  abusivismo» (cosi' la
Regione Campania). Tutto cio' quando, invece, l'eventuale sospensione
dell'efficacia   dell'atto   impugnato   non   comporterebbe   alcuna
conseguenza dannosa.
    15.  -  In  tutti  i  giudizi  si e' costituito il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  contestando  i  singoli motivi che i ricorsi
pongono    a    fondamento    della    richiesta    declaratoria   di
incostituzionalita'.
    Infondata  sarebbe  la violazione dell'art. 77 Cost., dal momento
che  la  sussistenza  dei  presupposti di straordinaria necessita' ed
urgenza  formerebbe  oggetto  di  una valutazione «rimessa a ciascuna
Camera»,  e  comunque la loro eventuale mancanza sarebbe destinata ad
essere  sanata  per effetto della conversione in legge. In ogni caso,
tale   doglianza   sarebbe   inammissibile   in  quanto  non  sarebbe
ravvisabile  alcun  interesse delle Regioni a farla valere. Peraltro,
la  situazione  di  straordinaria  necessita'  ed  urgenza sarebbe in
concreto   ravvisabile  nella  finalita'  dell'art. 32  in  esame  di
«supportare  la  manovra annuale finanziaria e di bilancio attraverso
gli introiti del condono edilizio».
    Quanto  alle  censure  concernenti  la  presunta  violazione  del
riparto   di  competenze  legislative  costituzionalmente  garantito,
l'Avvocatura   dello   Stato   ritiene   che  il  titolo  abilitativo
dell'intervento   statale,  nel  caso  de  quo,  sarebbe  ravvisabile
nell'art. 117,   secondo   comma,   lettera l),   Cost.,  riguardante
l'ordinamento   penale,   nonche',   «seppur  indirettamente»,  nella
competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile. Cio'
in quanto la sanatoria edilizia sarebbe «rilevante in occasione delle
compravendite  immobiliari».  Ancora,  titolo  di  intervento statale
sarebbe  ravvisabile  nell'art. 81  Cost.  e  nell'art. 119 Cost., in
quanto  «essenziale dovere costituzionale dello Stato e' assicurare a
se stesso e agli enti a finanza derivata le risorse occorrenti».
    Del  resto, secondo l'Avvocatura, sarebbe infondata la pretesa di
alcune   delle   ricorrenti  di  ricondurre  la  normativa  in  esame
all'edilizia   o   all'urbanistica,   e   dunque   al   quarto  comma
dell'art. 117  Cost.  Se peraltro si volesse considerare l'art. 32 in
questione   insistente   nella   materia  «governo  del  territorio»,
egualmente   le   doglianze  regionali  dovrebbero  essere  respinte,
giacche'  la  disciplina dei titoli abilitativi e' stata riconosciuta
spettare  allo  Stato  dalla  sentenza  n. 303  del  2003,  in quanto
relativa  alla  competenza  statale a dettare i principi fondamentali
della materia.
    La  normativa  in  esame, inoltre, sfuggirebbe anche alle censure
che  ne  denunciano la natura «di dettaglio» anziche' «di principio»,
poiche'   «esigenze   tecnico-giuridiche   impongono  una  normazione
esaustiva,   self   executing,   unitaria   per  l'intero  territorio
nazionale, e [...] idonea a confluire nell'ordinamento penale».
    La pretesa lesione dell'art. 9 Cost. sarebbe anch'essa infondata,
dal  momento  che  la normativa in esame conterrebbe l'indicazione di
una serie di tipi di opere abusive non suscettibili di essere sanate,
proprio in considerazione del valore in tale articolo cristallizzato.
    Le  censure  concernenti gli artt. 32, 41 e 97 Cost., mosse dalla
Regione  Marche,  sarebbero inammissibili, in quanto non argomentate.
Analogo   discorso   dovrebbe   farsi   per   la  dedotta  violazione
dell'art. 25,  secondo  comma, Cost., il quale peraltro opererebbe «a
senso unico», posto che esso non escluderebbe la costituzionalita' di
norme che eliminino la rilevanza penale di determinati fatti.
    In   relazione   al   preteso   contrasto  con  il  principio  di
eguaglianza,  l'Avvocatura  osserva  che,  al  fine di poter ritenere
sussistente  la  violazione  dell'art. 3  Cost., e' necessario che la
comparazione compiuta nella relativa doglianza sia «non diacronica» e
sia  possibile  «tra  situazioni uguali o almeno confrontabili»: cosa
questa che non accadrebbe nel caso di specie.
    Quanto  alle spese per l'urbanizzazione cui dovrebbero far fronte
gli  enti  territoriali, l'Avvocatura osserva, in primo luogo, che si
tratterebbe    di   una   doglianza   «attinente   alla   convenienza
politico-economica»,  e  quindi inammissibile; in secondo luogo, tale
censura  sarebbe  comunque infondata, in quanto le Regioni potrebbero
far fronte a tali spese aumentando fino al 100 per cento gli oneri di
concessione  relativi  alle  opere  abusive oggetto di sanatoria. Del
resto, secondo la difesa erariale, sarebbe inammissibile la doglianza
in  questione  nella  parte  in  cui intendesse far valere un preteso
squilibrio  finanziario  degli  enti  locali, non rappresentati dalle
Regioni.
    Quanto  alla  coerenza del condono con il disposto della sentenza
n. 416    del   1995,   l'Avvocatura   dello   Stato   osserva   come
«eccezionalita' e straordinarieta' si ripropongono ora, a distanza di
dieci   anni,   ove   si   consideri   la  persistenza  del  fenomeno
dell'abusivismo,  con  conseguente indefettibile esigenza di recupero
della legalita».
    La  richiesta  di  sospensione avanzata dalle ricorrenti, secondo
l'Avvocatura,  sarebbe  del  tutto  inammissibile,  in  quanto l'atto
impugnato  «non  e'  un provvedimento amministrativo», e comunque non
sussisterebbero le condizioni previste dall'art. 35 della legge n. 87
del 1953, come sostituito dall'art. 9 della legge n. 131 del 2003.
    16.  -  Con  atto  depositato  il  27 novembre  2003 il comune di
Salerno  e'  intervenuto  ad  adiuvandum  nel giudizio concernente il
decreto-legge  n. 269  del 2003 promosso con il ricorso della Regione
Campania.  Il  comune  espone  innanzi  tutto  di  essere  dotato  di
competenze  costituzionalmente  garantite  -  in virtu' dell'art. 118
Cost.,  cosi' come riformato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001
-  inerenti  l'esercizio  di  tutte  le  funzioni  amministrative non
espressamente  conferite  ad  enti  «superiori».  Tra  tali  funzioni
rientrerebbe anche quella di «pianificazione del territorio», a mezzo
del piano regolatore generale. Cio' basta al comune interveniente per
affermare che «l'ennesimo condono edilizio [...] pregiudica [...] gli
interessi  pubblici  primari perseguiti» dallo stesso in ordine «alla
tutela  dell'ambiente,  del  paesaggio  e  del  corretto sviluppo del
territorio».
    Il  comune di Salerno propone poi argomentazioni a sostegno delle
censure   prospettate   dalla   Regione  Campania,  per  vero  spesso
coincidenti con quelle contenute nel ricorso di quest'ultima.
    17.   -  Hanno  presentato  atto  di  intervento  ad  opponendum,
depositato  per  entrambi in data 3 marzo 2004, il comune di Ischia e
il  comune  di  Lacco Ameno, anch'essi nel giudizio introdotto con il
ricorso   della   Regione   Campania.   Tali  comuni,  con  deduzioni
sostanzialmente   identiche,   dopo   aver   affermato   la   propria
legittimazione   ad   intervenire   in   virtu'   di  una  «posizione
individualizzata»  in  relazione alla normativa impugnata, nonche' in
virtu'  della  qualita' di «destinatari» di quest'ultima, argomentano
nel  senso  della  declaratoria  di infondatezza del ricorso, «previa
reiezione» dell'istanza di sospensione cautelare.
    18.  -  Con  atti depositati rispettivamente il 3 febbraio 2004 e
13 gennaio  2004 il CODACONS - Coordinamento delle Associazioni e dei
Comitati per la tutela dei consumatori e dell'ambiente e' intervenuto
ad  adiuvandum  nei giudizi aventi ad oggetto il d.l. n. 269 del 2003
promossi  con  i ricorsi della Regione Emilia-Romagna e della Regione
Toscana.
    Quanto alla propria legittimazione ad intervenire in giudizio, il
CODACONS  ritiene  che  questa  derivi, da un lato, dalla circostanza
secondo la quale il perseguimento di obiettivi di tutela ambientale e
sanitaria  e' previsto dal proprio statuto; dall'altro, dal fatto che
svariati   atti   normativi   riconoscono  allo  stesso  CODACONS  la
legittimazione  ad agire in giudizio a tutela degli interessi diffusi
di rango costituzionale dei quali e' portatore.
    Nel  merito,  il  CODACONS espone argomentazioni a sostegno delle
doglianze  proposte  dalla  Regione  Emilia-Romagna, tali peraltro da
coincidere spesso con quelle contenute nel ricorso di quest'ultima.
    19.  - Anche il comune di Roma, con atto depositato il 2 febbraio
2004,  e'  intervenuto  ad  adiuvandum  nel  giudizio  promosso dalla
Regione   Umbria   avverso   il   d.l.  n. 269  del  2003,  chiedendo
l'accoglimento   delle   questioni   di  legittimita'  costituzionale
sollevate nel ricorso.
    Preliminarmente,  a  sostegno  della  ammissibilita'  del proprio
intervento,   il   comune   sostiene   che  le  competenze  normative
riconosciute  ai  comuni  dagli  artt. 117,  sesto comma, e 118 Cost.
renderebbero gli enti locali titolari di interessi costituzionalmente
qualificati  che  li  legittimerebbero  ad  agire avanti alla Corte a
tutela di tali interessi.
    Nel  merito,  l'interveniente  ritiene  che  un  nuovo  ed esteso
condono  incida  negativamente  sulle  capacita'  normative  e  sulle
funzioni amministrative dell'ente locale, azzerandone il ruolo, oltre
ad «alterare» il principio della legislazione concorrente.
    20.  -  La  Regione  Marche (con ricorso notificato il 21 gennaio
2004,  depositato  il 26 gennaio 2004 e iscritto al reg. ricorsi n. 8
del  2004),  ha  sollevato  questioni  di legittimita' costituzionale
anche nei confronti della legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione
in  legge,  con  modificazioni,  del decreto-legge 30 settembre 2003,
n. 269,  recante  disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per
la  correzione dell'andamento dei conti pubblici); in particolare, la
ricorrente impugna l'art. 32 del decreto-legge, cosi' come convertito
dalla   legge  sopra  indicata,  nel  suo  complesso,  nonche',  piu'
specificamente, i commi 1, 2, 3, 5, 6, 9, 10, 13, 14-20; 24-41.
    La  Regione  Toscana  (con ricorso notificato il 21 gennaio 2004,
depositato  il  29 gennaio  2004 e iscritto al reg. ricorsi n. 10 del
2004), ha impugnato i commi 1, 3, 5, 14-20; 25-43 e 49-ter, mentre la
Regione  Emilia-Romagna  (con  ricorso notificato il 23 gennaio 2004,
depositato  il  29 gennaio  2004 e iscritto al reg. ricorsi n. 13 del
2004)  ha  impugnato i commi 1, 2, 3, 25, 26, lettera a), 28, 32, 35,
37, 38, 40, e l'Allegato 1.
    La  Regione  Campania (con ricorso notificato il 22 gennaio 2004,
depositato  il  30 gennaio  2004 e iscritto al reg. ricorsi n. 14 del
2004)  ha  invece  sollevato questioni di legittimita' costituzionale
sia  nei  confronti dell'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, cosi' come
convertito  dalla  legge  n. 326  del  2003,  nel  suo complesso, sia
specificamente con riguardo ai commi 1, 2, 3, 5, 14-20, 25-50.
    Peraltro,  la  Regione  Toscana  ha  proposto  impugnazione anche
dell'art. 14  del  decreto-legge  in questione, cosi' come risultante
dalla  conversione  in legge, il quale introduce modifiche in tema di
servizi   pubblici   locali   di   rilevanza  economica;  la  Regione
Emilia-Romagna   contesta   la   legittimita'   costituzionale  anche
dell'art. 21  del  medesimo atto normativo (concernente l'assegno per
ogni  secondo  figlio  e  l'incremento  del fondo nazionale politiche
sociali),  nonche'  dell'art. 32,  commi 21  e  22  (sull'aumento dei
canoni  per  le concessioni d'uso del demanio marittimo per finalita'
turistico-ricreative);   la   Regione   Campania   invece   coinvolge
nell'impugnativa, in ambedue i suoi ricorsi, i commi 21-23 del citato
art. 32.
    Hanno  sollevato questione sull'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003,
nel  testo  risultante  dalla  conversione in legge, anche la Regione
Lazio  (con  ricorso  notificato  il  20 gennaio  2004, depositato il
23 gennaio 2004 e iscritto al reg. ricorsi n. 6 del 2004), la Regione
Umbria  (con  ricorso  notificato  il  23 gennaio 2004, depositato il
29 gennaio  2004  e  iscritto  al  reg.  ricorsi  n. 11 del 2004), la
Regione  Friuli-Venezia  Giulia (con ricorso notificato il 23 gennaio
2004,  depositato il 29 gennaio 2004 e iscritto al reg. ricorsi n. 12
del  2004)  e  la  Regione  Basilicata  (con  ricorso  notificato  il
1° dicembre  2003,  depositato  il 5 dicembre 2003 e iscritto al reg.
ricorsi  n. 90  del  2003). Da evidenziare, peraltro, che tale ultima
Regione ha impugnato congiuntamente sia il decreto-legge che la legge
di conversione.
    In  particolare,  la  Regione Lazio - nel ricorso notificato solo
all'Avvocatura  dello  Stato  e non anche al Presidente del Consiglio
dei ministri - impugna i commi 1, 2, 3, 9, 14-23; 25, 26, 32-38; 41 e
42 dell'art. 32 cosi' come risultante a seguito della conversione; le
Regioni  Umbria e Friuli-Venezia Giulia impugnano i commi 1, 2, 3, 4,
25,  26, lettera a), 28, 32, 35, 37, 38, 40 e l'Allegato 1, mentre la
Regione  Basilicata  rivolge  le  proprie  censure  in  generale  nei
confronti dell'intero art. 32.
    21.  -  Tutti  i  ricorsi ripropongono sostanzialmente le censure
gia'  prospettate nelle impugnazioni dell'art. 32 del d.l. n. 269 del
2003 nel testo originario, tenendo tuttavia conto sia delle modifiche
introdotte  in  sede  di  conversione,  sia  della  abrogazione - per
effetto  della  legge  24 dicembre  2003, n. 350 (Disposizioni per la
formazione  del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - Legge
finanziaria 2004) - dei commi 6, 9, 11, e 24.
    I   ricorsi   espongono  innanzi  tutto  doglianze  di  carattere
generale,  fondate  sull'assunto  secondo  il  quale  il  difetto dei
presupposti  di  necessita'  ed  urgenza  -  che  contraddistingueva,
secondo la prospettazione delle ricorrenti, il d.l. n. 269 del 2003 -
si  estenderebbe,  quale  vizio  in  procedendo,  anche alla legge di
conversione, con conseguente violazione dell'art. 77 Cost.
    Ancora, secondo la Regione Marche sarebbe violato anche l'art. 79
Cost.,  in  quanto  il  provvedimento  impugnato costituirebbe, nella
sostanza,  una  vera e propria amnistia, adottata senza percorrere le
vie  del  procedimento  aggravato  previsto dalla citata disposizione
costituzionale.
    Inoltre,  secondo le ricorrenti, dalla normativa risultante dalle
modifiche   operate   in   sede  di  conversione  e  derivanti  dalle
abrogazioni disposte dalla legge finanziaria per il 2004, emergerebbe
chiaramente  che sarebbe rimasto soltanto il condono edilizio, mentre
sarebbero  stati abrogati i fondi per la riqualificazione urbanistica
e ambientale, pur ritenuti evidentemente insufficienti dalle Regioni.
Cio'  renderebbe  palese,  secondo  la  Regione  Emilia-Romagna,  «la
irragionevolezza e la scarsa attendibilita' del meccanismo congegnato
attraverso  le  varie disposizioni di cui all'art. 32, per realizzare
finalita'  di  reale  e  credibile  intento  di  riqualificazione del
territorio».
    La   Regione   Friuli-Venezia   Giulia   propone   argomentazioni
sostanzialmente   coincidenti   con   quelle   svolte   in  occasione
dell'impugnazione,  da  parte  di questa Regione, del d.l. n. 269 del
2003.
    La  Regione  Lazio  evidenzia  di aver favorito numerose opere di
demolizione,  nella  logica di una inversione di tendenza rispetto al
passato.   Tali   scelte   politiche   regionali  sarebbero  tuttavia
irrimediabilmente  frustrate  dalla  legge  impugnata. La ricorrente,
inoltre,  sottopone  alla  Corte  ulteriori  ragioni  per le quali la
disciplina  in  esame  dovrebbe  essere considerata irragionevole: in
particolare,  osserva  che la modifica dell'art. 32 della legge n. 47
del  1985,  ad opera della norma censurata, renderebbe applicabile il
condono   anche  alle  pratiche  restate  inevase  sotto  l'egida  di
precedenti  condoni,  con  il risultato di realizzare l'effetto di un
«condono `open'».
    Sarebbe  violato,  secondo  tale  Regione,  anche il principio di
eguaglianza. Al riguardo, oltre a proporre le medesime argomentazioni
svolte   negli  altri  ricorsi,  si  evidenzia  come  tale  principio
costituzionale  verrebbe  leso  anche  dalla  perdita di valore degli
immobili   dei   cittadini  rispettosi  della  legge  a  causa  della
immissione  sul  mercato  di  immobili  abusivi, nonche' dall'aumento
della  pressione  fiscale  a carico dei medesimi cittadini al fine di
reperire  le risorse finanziarie volte alla realizzazione delle opere
di urbanizzazione.
    22.  -  Le  ricorrenti  censurano,  inoltre,  talune disposizioni
modificate  in sede di conversione e successivamente abrogate. Cosi',
il   comma 6,  che,  anche  dopo  la  conversione,  continuerebbe  ad
attribuire   la   competenza  al  Ministro.  Il  comma 9,  nel  testo
risultante  a  seguito della conversione, prevedrebbe l'intesa con la
Conferenza  unificata,  laddove  prima  disponeva  che questa dovesse
essere  soltanto  sentita;  tale disposizione, tuttavia - e di qui il
persistere  della doglianze regionali - prevederebbe comunque che sia
data  priorita'  alle  aree  oggetto di programmi di riqualificazione
approvati con decreto del Ministro dei lavori pubblici.
    Quanto  ai  commi  da  14  a  20  e  al  comma 24, concernenti la
sanatoria   in   terreni   di  proprieta'  statale,  nei  ricorsi  si
ripropongono le medesime doglianze gia' illustrate in precedenza, con
la  precisazione  che  il comma 24, modificato in sede di conversione
nel senso di prevedere un programma di interventi di riqualificazione
delle  aree  demaniali  in  relazione al quale era previsto che fosse
«sentita»  la  Conferenza  Stato-Regioni,  e'  stato  successivamente
abrogato  dalla  legge  n. 350 del 2003 (art. 2, comma 70). Comunque,
secondo  quanto espongono le ricorrenti, sarebbe necessario acquisire
non il mero parere, ma l'intesa della Regione interessata.
    Viene  ribadita  anche  la  censura  concernente il comma 25, pur
modificato  in  sede  di  conversione. A seguito di tale modifica, la
norma   prevede   un   limite  massimo  per  la  costruzione  abusiva
considerata   nel   suo  complesso  pari  a  3000  metri  cubi.  Tale
disposizione  violerebbe  gli  artt. 9,  97,  117 e 118 Cost., per la
parte  in  cui  non  preciserebbe che non sono ammesse piu' richieste
riferite  alla  medesima  area. Poiche' tuttavia gli emendamenti - si
afferma  nel  ricorso - potrebbero valere solo pro futuro, le censure
sono  rivolte al presente comma sia nella sua versione originaria che
in quella risultante a seguito della conversione.
    E'  inoltre  censurato  il  comma 49-ter,  introdotto  in sede di
conversione.  Tale  disposizione  viene  ritenuta  costituzionalmente
illegittima per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.,
in quanto determinerebbe l'accentramento della competenza concernente
le  demolizioni  in  capo al  prefetto.  La  norma - si osserva - non
esprimerebbe   un  principio  fondamentale,  ne'  del  resto  sarebbe
giustificabile    in   base   ad   esigenze   unitarie,   in   quanto
l'amministrazione statale non sarebbe adeguata allo svolgimento della
funzione   di  demolizione,  non  disponendo  nemmeno  dei  dati  per
effettuare il controllo degli interventi edilizi.
    23.  -  Le  Regioni  Marche,  Toscana  e Campania, nei rispettivi
ricorsi,  hanno  proposto  anche  istanza  di  sospensione  dell'atto
impugnato  ai  sensi  dell'art. 35  della legge n. 87 del 1953, cosi'
come   novellato   dall'art. 9  della  legge  n. 131  del  2003,  con
argomentazioni   non   dissimili   da   quelle   poste  a  fondamento
dell'istanza  di  sospensione  degli  effetti  del  decreto-legge. La
Regione Emilia-Romagna ha proposto istanza di sospensione con il gia'
richiamato   atto   autonomo,  separato  dall'atto  introduttivo  del
giudizio e formalmente relativo al ricorso n. 83 del 2003, ma rivolto
congiuntamente a decreto-legge e legge di conversione.
    24.  -  In  tutti  i  giudizi  si e' costituito il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  proponendo  argomentazioni  non dissimili da
quelle,  piu' sopra esposte, contenute negli atti di costituzione nei
giudizi aventi per oggetto l'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003.
    L'Avvocatura  dello  Stato  evidenzia,  in  aggiunta, come «se la
spettanza regionale di alcuni (invero moltissimi) settori costituisse
limite  alla potesta' legislativa del Parlamento nazionale, questo in
pratica  solo  in pochi casi potrebbe deliberare interventi o manovre
di politica economica».
    In  relazione alle doglianze svolte con riguardo ai commi da 14 a
20,  l'Avvocatura  rileva  che  la  Regione non sarebbe legittimata a
ricorrere,  in  quanto  essa  pretenderebbe  di  far  valere  non una
competenza propria, ma, semmai, degli enti locali.
    Quanto alle censure concernenti il comma 25, l'Avvocatura ritiene
che  esse  prospettino  un  inammissibile  intervento  additivo della
Corte;  e inammissibile sarebbe anche l'intervento additivo richiesto
in  ordine  al  comma 37,  anche  se - si riconosce - tale intervento
«potrebbe fugare le addotte preoccupazioni».
    Con  riferimento  al  giudizio  promosso  dalla Regione Lazio, la
difesa  erariale  evidenzia come a suo avviso andrebbe delimitata, in
ragione  della  motivazione  offerta  nel  ricorso,  la  materia  del
contendere,  escludendo  da  quest'ultima  i  commi  da  14 a 24 e il
comma 41, in quanto ad essi non sarebbe riferita alcuna doglianza.
    Nel merito, l'Avvocatura dello Stato ritiene innanzi tutto che il
«monito»  indirizzato al legislatore dalla sentenza n. 416 del 1995 -
ed  orientato  nel  senso  di  vietare una ulteriore reiterazione del
condono  -  non  varrebbe ad escludere la legittimita' costituzionale
della  normativa  oggetto  del  giudizio,  in  quanto,  dinanzi ad un
abusivismo «di massa» (quale sarebbe quello che ha contraddistinto il
periodo  successivo alla citata sentenza), il legislatore statale non
potrebbe   rimanere  «indifferente  o  estraneo»,  dovendo  viceversa
intervenire  per  necessita' «sia di carattere economico [...] sia di
carattere giuridico».
    Quanto alla pretesa violazione dell'art. 3 Cost., e del principio
di  eguaglianza,  nelle difese dell'Avvocatura si evidenzia come, nel
caso  de  quo,  si  tratterebbe  di  disuguaglianze  di  mero  fatto,
«empiriche», e in quanto tali non suscettibili di essere censurate in
punto di legittimita' costituzionale.
    In   relazione   alle   pretese   spese   di  urbanizzazione  che
conseguirebbero  al  condono  edilizio,  l'Avvocatura  nota come tali
spese  sussisterebbero  comunque,  dal  momento  che,  per  quanto le
costruzioni   abusive  possano  soddisfare  un  effettivo  fabbisogno
abitativo  od  un  fabbisogno  di  spazi per attivita' produttive, le
spese per l'urbanizzazione sarebbero ineludibili.
    Il  fulcro  dei  ricorsi  regionali,  secondo la difesa erariale,
sarebbe  pero'  non gia' l'incostituzionalita' in se' del condono, ma
la  circostanza  che  la disciplina in questione pretermetta il ruolo
delle  autonomie  territoriali.  L'Avvocatura, al riguardo, ribadisce
che «esigenze tecnico-giuridiche» imporrebbero, nel caso de quo, «una
normazione   esaustiva,   self   executing,   unitaria  per  l'intero
territorio   nazionale,   e   -  in  sintesi  -  idonea  a  confluire
nell'ordinamento penale».
    25.  -  Il  comune di Salerno ha depositato atto di intervento ad
adiuvandum  nel  giudizio  promosso  con  il  ricorso  della  Regione
Campania  avverso l'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, come convertito
dalla  legge n. 326 del 2003, sostenendo nel merito la fondatezza del
ricorso  e  associandosi  alla  richiesta  di  sospensione  dell'atto
impugnato.
    Il  comune  di  Roma  e'  intervenuto  ad adiuvandum nel giudizio
promosso   dalla   Regione   Lazio,  chiedendo  l'accoglimento  della
questione  di legittimita' costituzionale con motivazioni identiche a
quelle  addotte a sostegno dell'intervento nel ricorso proposto dalla
Regione  Umbria avverso l'art. 32 nel testo originario di cui al d.l.
n. 269 del 2003.
    Nello  stesso  giudizio, promosso dalla Regione Lazio, nonche' in
quello  promosso  dalla  Regione  Marche  avverso  l'art. 32 del d.l.
n. 269  del  2003,  come  convertito  dalla legge n. 326 del 2003, ha
presentato  atto  di intervento ad adiuvandum l'Associazione italiana
per  il  World  Wide  Fund  for Nature (WWF) - ONLUS, la quale svolge
argomentazioni  sostanzialmente  coincidenti  con quelle proposte nei
ricorsi   introduttivi  dei  giudizi,  e  conclude  nel  senso  della
declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  delle  disposizioni
impugnate.
    26. - In prossimita' della camera di consiglio del 24 marzo 2004,
fissata  per  la  trattazione delle istanze di sospensione degli atti
impugnati,  la  Regione  Marche,  la  Regione  Campania  e la Regione
Toscana  hanno  depositato  memorie  nelle quali espongono le proprie
argomentazioni  in  relazione  alle  istanze  proposte,  oltre che in
relazione al merito dei ricorsi.
    La   Regione  Marche  evidenzia  come  lo  strumento  predisposto
dall'art. 35  della  legge  n. 87  del  1953,  cosi'  come modificato
dall'art. 9  della  legge  n. 131  del 2003, sarebbe utilizzabile non
solo  nel caso di giudizi promossi dallo Stato nei confronti di leggi
regionali,  ma  anche ove siano state le Regioni ad impugnare un atto
normativo primario dello Stato.
    Quanto  alle  motivazioni  poste  a  fondamento  dell'istanza, la
Regione  osserva  come  la disciplina impugnata esponga l'ordinamento
giuridico al rischio di numerosi pregiudizi irreparabili. Tra questi,
innanzi   tutto,   vi   sarebbe   quello  della  ineffettivita',  con
particolare  riguardo  alla  «funzione preventiva delle norme penali,
[...] all'efficacia delle funzioni di polizia amministrativa e locale
[...],  alla  coerenza e alla certezza nell'attuazione delle funzioni
di  programmazione in materia di gestione del territorio». Viceversa,
la  tempestiva  sospensione  delle  disposizioni oggetto del giudizio
sarebbe  in  grado  di  restituire,  almeno in parte, effettivita' ai
valori costituzionali conculcati. Peraltro, si nota, l'utilita' della
sospensione  sarebbe ancor maggiore ove risultasse fondata la notizia
di  un provvedimento normativo del Governo di proroga del termine per
la  presentazione  delle  istanze  di  sanatoria.  Secondo la Regione
Marche   sarebbero   pregiudicati  dalla  mancata  sospensione  della
normativa statale anche i diritti dei cittadini. Infatti, se la legge
di  conversione impugnata fosse dichiarata incostituzionale, le norme
penali  di  favore in essa previste non potrebbero essere applicate a
quei soggetti che nel frattempo avessero gia' presentato l'istanza di
sanatoria,  denunciando  spontaneamente gli illeciti commessi, e cio'
in  virtu'  del  principio  secondo  il  quale  le  norme  penali che
prevedono   un   trattamento  piu'  favorevole  non  possono  trovare
applicazione,  se  dichiarate  incostituzionali,  ai  fatti anteriori
rispetto  alla  loro  entrata in vigore. Di qui la menzionata lesione
dei  diritti  dei  cittadini,  ed  in  particolare di quelli tutelati
dall'art. 24 Cost.
    La  Regione Toscana ribadisce le motivazioni gia' esposte in sede
di  ricorso, evidenziando come il rigetto dell'istanza di sospensione
comporterebbe la necessaria attivazione delle procedure di condono da
parte  dei  comuni,  con  conseguenti spese a carico degli stessi. In
relazione a tale profilo, peraltro, la Regione Marche sottolinea come
la  irreparabilita' del suddetto danno risulterebbe chiaramente dalla
circostanza  che,  ove  la  disciplina  del  condono fosse dichiarata
incostituzionale,  verrebbero  meno  i  pur  esigui finanziamenti, da
quest'ultimo   derivanti,   previsti   in   favore   delle  autonomie
territoriali.  Ancora, si evidenzia come l'esecuzione della normativa
statale  determinerebbe  la  necessita'  di  adeguare  gli  strumenti
urbanistici  di programmazione, «piegando cosi' le esigenze pubbliche
di  corretta pianificazione territoriale alla volonta' di alcuni che,
pur  avendo commesso illeciti, sono riusciti ad incidere sull'uso del
territorio».  La  sospensione della normativa statale sarebbe inoltre
necessaria  al  fine di preservare il ruolo della Regione «quale ente
di  governo  del  territorio». Rilevante sarebbe inoltre - sempre nel
senso  dell'accoglimento  dell'istanza  cautelare - «la situazione di
incertezza  che  si  crea,  in  attesa  della  definizione  del [...]
giudizio,  per  i  cittadini destinatari della normativa». Ancora, si
evidenzia  come  la  mancata  sospensione  della  normativa impugnata
determinerebbe   il   blocco   dell'attivita'  di  controllo  che  le
amministrazioni  stanno  eseguendo  sul territorio regionale, nonche'
dei  procedimenti  giurisdizionali aventi ad oggetto l'irrogazione di
sanzioni per abusi che potrebbero rientrare nel nuovo condono.
    La  Regione  Campania  sostiene  che la propria domanda cautelare
andrebbe accolta in quanto vi sarebbe la «ragionevole possibilita' di
conformare  rapporti  in base ad una normativa la cui legittimita' e'
contestata»:  cio'  determinerebbe  una  situazione  di fatto tale da
rendere  «assai difficile e costoso» riportare lo status quo ante nel
caso di esito positivo della decisione nel merito.
    Secondo   le   Regioni   ricorrenti  le  istanze  di  sospensione
andrebbero  accolte anche perche', a fronte di danni di tale gravita'
in  caso  di  perdurante efficacia della normativa statale impugnata,
non  deriverebbe  nessun  pregiudizio ad interessi costituzionalmente
garantiti  ove invece quest'ultima fosse sospesa. Le esigenze di tipo
finanziario  cui  si  intende  far  fronte  con  il condono edilizio,
infatti,  ben  potrebbero  essere  soddisfatte con altri strumenti, e
comunque  lo  Stato  ben  potrebbe  incassare gli stessi introiti «da
condono»  successivamente  alla  decisione  di  merito della proposta
questione  di  costituzionalita',  ove tale decisione fosse orientata
nel senso del rigetto dei ricorsi.
    27.  -  L'Avvocatura  dello  Stato  ha depositato una memoria per
argomentare  l'infondatezza  delle  istanze  di sospensione formulate
dalle Regioni.
    Preliminarmente, la difesa erariale afferma che dalle espressioni
contenute  nel  novellato  art. 35  della  legge  n. 87  del 1953 per
indicare  i  presupposti in presenza dei quali la Corte e' chiamata a
sospendere   l'efficacia   degli  atti  normativi  impugnati  sarebbe
desumibile  la  conseguenza  che  la sospensione puo' essere disposta
solo su leggi regionali, e non anche in relazione a leggi statali. In
particolare,  la  formula  «ordinamento  giuridico  della Repubblica»
sarebbe «sostanzialmente equivalente» a quella «ordinamento giuridico
dello Stato», contenuta in diversi statuti speciali: tale conclusione
sarebbe  corroborata,  oltre  che  dall'argomento  letterale  - ossia
l'utilizzazione  del termine «ordinamento» al singolare - anche dalla
considerazione   della   «intrinseca   unitarieta»   dell'ordinamento
italiano.    Quanto   all'espressione   «interesse   pubblico»   (che
l'Avvocatura  qualifica ulteriormente «della Repubblica»), secondo la
difesa   erariale   esso   andrebbe   assimilato   -   in  virtu'  di
argomentazioni  analoghe  a  quelle  appena  esposte  - all'interesse
nazionale.  La  possibilita' di sospendere solo le leggi regionali, e
non  anche  quelle  statali,  inoltre, risponderebbe anche alla ratio
politico-sistematica legata alla necessita' di porre un «contrappeso»
alla abolizione del rinvio governativo delle leggi regionali previsto
dal  previgente  sistema  di  controllo  di  costituzionalita' di cui
all'art. 127 Cost.
    Cio',  peraltro,  sarebbe  confermato  anche  dal  fatto  che  la
competenza  statale  non  sarebbe  «circoscritta  alle  sole  materie
`elencate' nei commi secondo e terzo dell'art. 117 Cost.», risultando
semplicemente  «compressa dall'esterno» nei casi - come quello de quo
-  «in  cui  la  pluralita'  di  `materie'  congiuntamente  coinvolte
impedisce  di  assegnare  integralmente  la  competenza»  alla  sfera
regionale.   Lo   Stato,  non  essendo  titolare  di  una  competenza
«racchiusa  in  una sfera», potrebbe «esprimere quei parametri e quei
valori [...] cui l'art. 35 citato rimanda».
    In  relazione  all'ultimo  dei  presupposti in presenza dei quali
puo'  essere sospesa l'efficacia della legge oggetto di impugnazione,
l'Avvocatura  evidenzia innanzi tutto che il «rischio di pregiudizio»
debba  ritenersi connesso, non tanto alla disposizione legislativa in
se',   quanto  piuttosto  alla  illegittimita'  costituzionale  della
stessa,   dal   momento   che,  «se  tale  illegittimita'  non  fosse
ravvisabile,   mancherebbe   la  configurabilita'  dei  diritti»,  e,
conseguentemente, il rischio del pregiudizio agli stessi.
    In  astratto,  secondo  la difesa erariale, anche una legge dello
Stato  e'  idonea a generare un simile pregiudizio; tuttavia, poiche'
la  Regione  puo'  agire nel giudizio in via principale solo a tutela
della  propria sfera di competenza, la sospensione di cui all'art. 35
citato potra' disporsi nei confronti di una legge statale solo quando
questa  comporti  prima  facie  il rischio di un pregiudizio sia alla
sfera  di competenza della Regione che ai diritti dei cittadini (che,
comunque,   andrebbero   intesi   come   «diritti  costituzionalmente
garantiti»).
    In  relazione alla sussistenza in concreto dei presupposti di cui
all'art. 35  della  legge  n. 87  del  1953  per la sospensione della
efficacia  degli atti legislativi impugnati, l'Avvocatura osserva che
gli   argomenti   proposti   dalle   Regioni   dovrebbero   ritenersi
inammissibili,  in  quanto non concernenti i «diritti dei cittadini»,
salvo  quello  addotto dalla Regione Marche, secondo cui l'esecuzione
della  normativa  oggetto  del giudizio determinerebbe il pregiudizio
irreparabile  del  diritto  dei cittadini ad un territorio rispettoso
dei valori costituzionali.
    Tuttavia  tale argomento, seppur ammissibile, sarebbe, secondo la
difesa  erariale, del tutto infondato. Cio', innanzi tutto, in quanto
«all'immagine  [...]  di  un diritto [...] al `territorio rispettoso'
non     corrisponde    una    situazione    giuridica    riconosciuta
dall'ordinamento  ed  attribuita  ai  singoli  individui»; in secondo
luogo,  in quanto la compromissione di tali «diritti» non deriverebbe
da  fatto  del legislatore, ma di coloro che, in passato, hanno posto
in  essere  i  comportamenti abusivi; infine, in quanto, comunque, la
normativa  impugnata  escluderebbe  la  possibilita'  di sanare abusi
compiuti   «in   presenza  di  vincoli  pre-urbanistici  o  di  altre
situazioni di particolare lesivita' dell'ambiente e/o di pericolo per
l'incolumita».
    Una  ulteriore ragione di inammissibilita', propria delle istanze
aventi  per  oggetto  il decreto-legge, sarebbe inoltre individuabile
nella  circostanza che quest'ultimo, in quanto tale, non sarebbe piu'
esistente, in quanto convertito in legge.
    28. - L'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria separata
per  difendersi  nel  giudizio  instaurato  dal ricorso della Regione
Emilia-Romagna  avverso  il  d.l.  n. 269  del  2003,  nella quale si
osserva  come  l'argomento  che fa perno sull'incertezza dei rapporti
giuridici  nelle  more  della  decisione  di  merito  non meriterebbe
considerazione,  in  quanto  tale  circostanza caratterizzerebbe ogni
controversia  costituzionale.  Peraltro  -  si evidenzia - il «dubbio
circa  l'operativita' delle norme impugnate» e' stato provocato dalla
stessa Regione Emilia-Romagna, che non potrebbe dunque avvalersene in
questa sede.
    A  cio'  la difesa erariale aggiunge la considerazione secondo la
quale   la  circostanza  che  le  autodenunce  di  abusi  non  ancora
«scoperti»  solitamente  attendono  la  decisione  nel  merito  della
controversia   da   parte   della  Corte,  «unitamente  al  probabile
differimento  del  termine» per proporre istanza di condono «potrebbe
indurre le parti a non chiedere un duplice esame della controversia».
Infine,   sarebbe  ingiustificata  la  preoccupazione  addotta  dalla
Regione   secondo  cui  essa  non  potrebbe  emanare  una  disciplina
legislativa  dell'attivita' urbanistico-edilizia finche' permangano i
vincoli  posti  dalle  disposizioni impugnate; la Regione infatti non
avrebbe   ancora   predisposto  «quanto  occorre  per  la  produzione
legislativa».
    Chiedendo il rigetto dell'istanza di sospensione, l'Avvocatura si
richiama  per  ogni  altra  considerazione alle memorie relative alle
controversie instaurate con i ricorsi delle Regioni Toscana, Marche e
Campania.
    29.  -  Successivamente,  le  Regioni  Toscana, Marche e Campania
hanno  depositato  ulteriori atti nei quali - in considerazione della
rinuncia  da parte dello Stato alla immediata pronunzia sulle istanze
di  sospensione  da  essa presentate in separati giudizi promossi nei
confronti  delle  leggi  regionali  concernenti il condono edilizio -
hanno  aderito  alla  «richiesta  di  differimento»  dell'esame delle
istanze  cautelari  auspicata  dall'Avvocatura  contestualmente  alla
propria rinuncia.
    Preso  atto  di  tale  rinuncia, con ordinanza n. 116 del 2004 la
Corte  ha disposto il rinvio dell'esame di tali istanze unitamente al
merito.
    30.  -  In prossimita' dell'udienza pubblica, la Regione Campania
ha   depositato  una  memoria  integrativa  delle  argomentazioni  in
precedenza   svolte.  La  ricorrente,  in  particolare,  contesta  le
affermazioni  dell'Avvocatura secondo le quali gli «scopi di recupero
erariale»  determinerebbero  la acquisizione della disciplina oggetto
del  giudizio  all'ambito  di  una  materia  diversa dal «Governo del
territorio».  Tale  tesi  avrebbe,  infatti, effetti «devastanti» sul
riparto  di  competenze tra Stato e Regioni e «sulla stessa effettiva
rigidita'   della  Costituzione»  e  contrasterebbe  con  la  recente
giurisprudenza  di  questa Corte, che avrebbe chiarito come i singoli
ambiti  di legislazione devono essere qualificati in base all'oggetto
cui afferiscono e non in base a criteri finalistici.
    Anche  la  Regione  Emilia-Romagna  ha  depositato  una  memoria,
replicando  alle  osservazioni  dell'Avvocatura.  In  particolare, la
Regione sostiene che allo Stato sarebbe vietato «sovvertire qualsiasi
norma costituzionale» invocando le «ragioni di bilancio». Infatti, il
riconoscimento  del rilievo costituzionale del valore dell'equilibrio
di  bilancio implicherebbe soltanto che «gli interessi costituzionali
che porterebbero ad imporre spese allo Stato vanno [...] contemperati
con  le  esigenze  di  bilancio,  al  quale  non si possono addossare
indiscriminatamente  ulteriori  spese».  Viceversa,  nel  reperimento
delle  risorse  finanziarie  lo  Stato  dovrebbe «rispettare i limiti
posti  dalla  Costituzione»: da tale assunto deriverebbe il carattere
eccezionale riconosciuto da questa Corte al condono del 1994.
    Quanto  alla pretesa dell'Avvocatura di giustificare il carattere
dettagliato  ed  autoapplicativo della normativa impugnata in ragione
della  competenza  penale riconosciuta allo Stato, la ricorrente nota
come  «la  previsione  del condono penale non giustifichi l'esenzione
dalle   sanzioni   amministrative,   e   tanto  meno  una  disciplina
dettagliata    della    materia».   Ancora,   la   Regione   sostiene
l'infondatezza   del   rilievo   dell'Avvocatura   secondo  il  quale
mancherebbe  nella  doglianza  regionale  avverso  il  meccanismo del
silenzio-assenso  la  proposta  di  «una  soluzione alternativa», dal
momento  che,  automaticamente,  dall'accoglimento di detta doglianza
risulterebbe   «la   necessita'  di  un  provvedimento  esplicito  di
sanatoria».
    Anche  la  Regione  Umbria ha depositato una memoria, relativa ad
entrambi  i  ricorsi da essa presentati, replicando alle osservazioni
contenute    nelle    memorie   dell'Avvocatura   dello   Stato   con
argomentazioni  del  tutto  analoghe  a  quelle  svolte dalla Regione
Emilia-Romagna nella memoria sopra richiamata.
    La  Regione  Toscana,  nelle  memorie  depositate  in  entrambi i
giudizi promossi, afferma innanzitutto l'infondatezza dell'eccezione,
sollevata   dall'Avvocatura   nei   propri   scritti   difensivi,  di
inammissibilita'   dell'impugnazione   delle  norme  della  legge  di
conversione  del  decreto-legge  non impugnate nel ricorso presentato
avverso  il  d.l.  n. 269  del 2003. La giurisprudenza costituzionale
avrebbe  ormai pacificamente affermato che la mancata impugnazione di
una norma di un decreto-legge convertito in legge senza modificazioni
non  preclude  l'impugnazione delle norme della legge di conversione,
perche'  questa stabilisce in via definitiva la disciplina normativa.
Sarebbe  quindi  ammissibile  l'impugnazione  dei  commi 41,  42 e 43
dell'art. 32  del  decreto-legge cosi' come convertito dalla legge di
conversione.
    La  Regione  precisa,  poi,  di  non aver riproposto, nel ricorso
avente  ad  oggetto il testo del decreto-legge convertito, la censura
sui commi 9 e 10, perche' modificati in sede di conversione nel senso
di   prevedere   l'intesa   con   la   Conferenza  unificata  per  la
individuazione  degli ambiti territoriali oggetto di riqualificazione
e  di  messa  in  sicurezza;  la  ricorrente evidenzia inoltre che il
comma 9  e'  stato  successivamente  abrogato  dalla legge n. 350 del
2003.
    La  ricorrente  ribadisce  che l'art. 32 censurato, relativamente
agli   effetti  amministrativi  del  condono  edilizio,  non  sarebbe
applicabile  nel  proprio  territorio  in  forza della previsione del
secondo  comma  dello  stesso art. 32. Infatti, la Regione Toscana si
sarebbe gia' dotata di una compiuta normativa edilizia che disciplina
anche  le conseguenze degli illeciti, consentendo la regolarizzazione
di   quelli   meramente  formali  e  di  quelli  sostanzialmente  non
rilevanti, secondo quanto previsto dall'art. 34-ter della legge della
Regione  Toscana 5 agosto  2003, n. 43 [Modifiche e integrazioni alla
legge  regionale  14 ottobre 1999, n. 52 (Norme sulle concessioni, le
autorizzazioni   e  le  denunce  d'inizio  delle  attivita'  edilizie
disciplina  dei  controlli  nelle  zone  soggette  al rischio sismico
disciplina   del  contributo  di  concessione  sanzioni  e  vigilanza
sull'attivita'  urbanistico/edilizia,  modifiche ed integrazioni alla
legge   regionale  23 maggio  1994,  n. 39  e  modifica  della  legge
regionale  17 ottobre  1983, n. 69)], nonche' escludendo del tutto la
sanatoria  degli  illeciti  compiuti  in difformita' dalla disciplina
urbanistica  ed  edilizia  (art. 37  della medesima legge regionale).
Conseguentemente, il ricorso della Regione contro l'art. 32 impugnato
dovrebbe   ritenersi   inammissibile   per  carenza  di  interesse  e
parallelamente  infondata  sarebbe la questione sollevata dallo Stato
avverso   la   legge   regionale   Toscana 4 dicembre   2003,   n. 55
(Accertamento di conformita' delle opere edilizie eseguite in assenza
di  titoli  abilitativi,  in  totale  o  parziale  difformita'  o con
variazioni essenziali, nel territorio della Regione Toscana).
    In  subordine,  la  Regione  Toscana ribadisce le proprie censure
avverso  la norma impugnata che violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost.,
in quanto l'art. 32 sarebbe in contrasto con la politica regionale in
materia  di  abusi  edilizi,  volta a sanare solo quelli minori e non
invece  quelli  piu'  gravi;  inoltre,  sarebbe  violata  la potesta'
normativa regionale in conseguenza del carattere di dettaglio proprio
della norma censurata e dell'impossibilita' di configurare il condono
edilizio come un principio fondamentale della materia del governo del
territorio. La ricorrente, infine, riafferma che l'intervento statale
non  puo'  ritenersi  legittimo  in quanto strumento di coordinamento
della  finanza  pubblica,  sia  perche'  questo  non  potrebbe essere
utilizzato  per  scardinare  l'ordine  delle  competenze  posto dalla
Costituzione,  sia  perche'  tale  coordinamento  in  realta'  non si
realizzerebbe,   comportando   per   i  comuni  spese  aggiuntive  ed
impreviste  per  lo  svolgimento  delle  procedure amministrative per
evadere  le  domande di condono e per la realizzazione delle opere di
urbanizzazione, nonche' una riduzione delle entrate degli enti locali
conseguente   al   venir   meno   degli   introiti   delle   sanzioni
amministrative per gli abusi edilizi.
    La Regione Friuli-Venezia Giulia, nella sua ulteriore memoria, si
richiama  esplicitamente  alle  argomentazioni  esposte dalla Regione
Emilia-Romagna.  Inoltre, evidenzia come l'art. 119, secondo comma, -
invocato  dall'Avvocatura  unitamente  all'art. 118  per affermare la
competenza  statale  in  relazione  alla  «gestione complessiva della
finanza   pubblica»   -   e   l'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,  non
affiderebbero  allo  Stato una potesta' esclusiva, ma solo il compito
di dettare principi fondamentali.
    Anche  la  Regione  Lazio  ha  depositato una memoria integrativa
delle  argomentazioni  svolte  nel proprio ricorso. Innanzi tutto, la
Regione   evidenzia   come  le  censure  proposte,  pur  se  riferite
specificamente nei confronti di alcuni commi, debbano essere intese -
come gia' evidenziato nel ricorso - come relative all'intero art. 32.
In secondo luogo - sempre sul versante processuale - nella memoria si
richiama   quella   giurisprudenza  costituzionale  che  ha  ritenuto
ammissibili  i ricorsi nei confronti della legge di conversione di un
decreto-legge,  anche  se non contenente emendamenti allo stesso, pur
quando non sia stato impugnato il decreto.
    Nel  merito,  la  Regione  Lazio ribadisce le argomentazioni gia'
esposte,  sottolineando  ulteriormente  come  solo  il  carattere  di
straordinarieta', eccezionalita' e non ulteriore ripetibilita' avesse
consentito  alla  Corte  costituzionale  di  «salvare»  i  precedenti
condoni   edilizi.   Ragionando   in  termini  diversi,  infatti,  si
giungerebbe  a  «teorizzare  la  legittimita'  costituzionale  di  un
condono   edilizio   sine  die,  i  cui  effetti,  com'e'  intuibile,
paralizzerebbero  ogni  tentativo  di  dare una soluzione al problema
attraverso lo strumento della legislazione ordinaria».
    Ancora,  del  tutto infondato sarebbe l'argomento dell'Avvocatura
secondo   il   quale   il   fondamento  della  normativa  oggetto  di
impugnazione  andrebbe  reperito nell'art. 120 Cost., dal momento che
non  vi sarebbero emergenze istituzionali di particolare gravita' che
sole  possono  consentire  l'attivarsi del potere contemplato da tale
disposizione,  peraltro  esclusivamente  nei  casi ivi tassativamente
previsti.  Da  ultimo,  si  evidenzia  come  anche la Corte dei conti
avrebbe  avanzato  dubbi  sulla  razionalita',  da  un punto di vista
finanziario, dell'operazione realizzata con il d.l. n. 269 del 2003.
    La  Regione  Marche, nella propria memoria, contesta le eccezioni
di  inammissibilita'  dei ricorsi sollevate dalla difesa dello Stato.
In  particolare, sulle censure concernenti la violazione dell'art. 77
Cost.,   richiama   la   giurisprudenza   costituzionale  che  ne  ha
riconosciuto  l'ammissibilita'  quando  «la violazione denunciata sia
potenzialmente   idonea   a   determinare   una   vulnerazione  delle
attribuzioni  costituzionali  delle Regioni o delle Province autonome
ricorrenti».  In  ordine  alla  ammissibilita'  del ricorso regionale
anche  a  tutela  di posizioni costituzionalmente garantite agli enti
locali,  la  ricorrente  richiama  l'attuale testo dell'art. 32 della
legge  n. 87  del 1953, che prevede la possibilita' per la Regione di
sollevare  questione di legittimita' costituzionale anche su proposta
del Consiglio delle autonomie. Nel merito, insiste sulle censure gia'
proposte.
    31.  -  In  prossimita' dell'udienza pubblica, anche il comune di
Roma  ha depositato una nuova memoria, svolgendo ulteriori rilievi in
ordine alla ammissibilita' dello stesso e richiamando, nel merito, le
argomentazioni  dell'atto  di  intervento e dei ricorsi delle Regioni
Umbria e Lazio.
    32.  -  L'Avvocatura  dello  Stato  ha presentato una memoria nei
giudizi  instaurati dalla Regione Campania, evidenziando come in essi
siano  intervenuti alcuni comuni esponendo punti di vista differenti.
Cio'  proverebbe,  secondo  l'Avvocatura,  la  difficolta' degli enti
locali  minori,  che  non  sarebbero  in  grado  di  fronteggiare  le
situazioni in cui si trovano.
    Nel  merito,  si osserva come «una manovra di finanza statale che
ricolleghi   introiti   all'esercizio   (eventuale)   da   parte  dei
proprietari  di edifici in tutto o in parte abusivi della facolta' di
definire  gli  illeciti  commessi,  rimane  pur sempre una manovra di
finanza  statale autonomamente giustificata dalle esigenze di questa,
e   radicata  nella  competenza  legislativa  dello  Stato  ai  sensi
dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera e),  e  dell'art. 119, comma
secondo, Cost.».
    Da   ultimo,   la   difesa   erariale  precisa  che  il  richiamo
all'art. 120   Cost.  deve  essere  inteso  nel  senso  che  da  tale
disposizione  sarebbe  desumibile  un principio generale, consistente
nella  possibilita'  (anzi,  necessita)  di  interventi  di carattere
straordinario e aggiuntivo per evitare la compromissione di interessi
superiori.
    Con  la  memoria depositata nel giudizio instaurato dalla Regione
Lazio,  l'Avvocatura  dello  Stato  ribadisce  che  il  ricorso  deve
considerarsi  inammissibile,  in  quanto  rivolto nei confronti della
legge  di  conversione, anche in relazione alle parti del decreto non
modificate,   pur   non   essendo   stato   quest'ultimo  oggetto  di
impugnazione.
    Anche  nei  giudizi instaurati dalla Regione Toscana, l'ulteriore
memoria    difensiva   dell'Avvocatura   ribadisce   l'eccezione   di
inammissibilita'  del  ricorso  avverso  il  testo  del decreto-legge
convertito,  in  quanto avrebbe ad oggetto anche disposizioni vigenti
fin  dal  2 ottobre  2003,  le quali dunque sarebbero state impugnate
oltre  il termine fissato dall'art. 127, secondo comma, Cost. Inoltre
l'impugnazione  dei  commi 41,  42  e  43  dell'art. 32  non  sarebbe
sorretta  da  alcuna  motivazione.  Nel merito, l'Avvocatura sostiene
l'infondatezza    della    censura    concernente   il   comma 49-ter
dell'art. 32,  dal  momento  che la norma si limiterebbe ad assegnare
alla  prefettura  compiti  meramente  esecutivi  delle  ordinanze  di
demolizione  o di acquisizione gratuita delle opere abusive, disposte
dagli  enti  locali,  e  pertanto  nessun  potere  autonomo  verrebbe
riconosciuto  alla  prefettura.  In  ordine  alle altre censure mosse
dalla  Regione,  la  difesa  erariale richiama le argomentazioni gia'
svolte nei precedenti scritti difensivi.
    Nella  memoria  concernente  i  giudizi  promossi  dalla  Regione
Marche,   l'Avvocatura   ribadisce  l'eccezione  di  inammissibilita'
conseguente all'impossibilita' per la Regione di far valere parametri
costituzionali  diversi  da  quelli  che  definiscono l'assetto delle
competenze.  Nel  merito  ritiene  che  il  ricorso regionale sarebbe
carente  di attualita' dell'interesse ove fosse vera la situazione di
efficienza    di    tutela    del   territorio   sotto   il   profilo
urbanistico-edilizio che la ricorrente vorrebbe accreditare.

                       Considerato in diritto

    1. - Le Regioni Campania, Marche, Toscana, Emilia-Romagna, Umbria
e  Friuli-Venezia  Giulia hanno impugnato l'art. 32 del decreto-legge
30 settembre  2003,  n. 269  (Disposizioni  urgenti  per  favorire lo
sviluppo  e  per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), ed
in particolare i commi: 1, 2, 3, 5, 14-20; 25-31; 32 e seguenti (reg.
ric.  n. 76  del 2003); 1, 2, 3, 5, 6, 9, 10, 13, 14-20; 24-41; (reg.
ric.  n. 81 del 2003); 1, 3, 5, 6, 9, 10, 14-20; 24, 25-40 (reg. ric.
n. 82 del 2003); 1, 2, 3, 25, 26, lettera a), 28, 32, 35, 37, 38, 40,
nonche' l'Allegato 1 (reg. ric. nn. 83, 87 del 2003); 1, 2, 3, 4, 25,
26,  lettera a),  28,  32, 35, 37, 38, 40, nonche' l'Allegato 1 (reg.
ric.  n. 89 del 2003). La Regione Marche ha impugnato anche l'art. 32
citato nel suo complesso.
    Le  prospettazioni contenute nei ricorsi introduttivi dei giudizi
sollevano  rilievi  di  costituzionalita'  sostanzialmente analoghi e
sintetizzabili   nella  pretesa  violazione  dei  seguenti  parametri
costituzionali:
        a) l'art. 117,  quarto  comma,  della  Costituzione (nonche',
secondo  i  ricorsi  della  Regione  Campania,  l'art. 114 Cost.), in
quanto   la   normativa   impugnata   interverrebbe   nella   materia
dell'edilizia,  affidata  alla  competenza  residuale  delle Regioni;
ovvero,  in  subordine,  l'art. 117,  quarto  comma, Cost., in quanto
interverrebbe   nella   materia   dell'urbanistica,   affidata   alla
competenza  residuale delle Regioni (cosi', in particolare, i ricorsi
della  Regione  Campania  e  della  Regione  Marche);  ovvero, in via
ulteriormente  subordinata, l'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto
interverrebbe  con  una disciplina di dettaglio in una materia, quale
quella   del  «Governo  del  territorio»,  affidata  alla  competenza
concorrente  di  Stato e Regioni, e non essendo, piu' in generale, la
stessa  idea  di  condono edilizio idonea ad essere qualificata quale
principio fondamentale della materia;
        b) l'art. 118  Cost.,  in  quanto  la  disciplina del condono
edilizio   determinerebbe   la   vanificazione  degli  interventi  di
pianificazione   e   controllo   locale,  nonche'  la  necessita'  di
apprestare  appositi strumenti urbanistici e soluzioni di governo del
territorio  che  tengano  conto  delle  conseguenze  della disciplina
statale  impugnata,  cosicche' le Regioni e gli enti locali sarebbero
costretti  a subire, anziche' governare, le destinazioni urbanistiche
del  territorio  (cosi',  in  particolare,  i  ricorsi  della Regione
Campania, della Regione Marche e della Regione Toscana);
        c) l'art. 77   Cost.,   dal   momento  che  difetterebbero  i
presupposti   costituzionali   per   l'esercizio  della  decretazione
d'urgenza  (cosi'  i  ricorsi  della Regione Campania e della Regione
Marche);   difetterebbe   inoltre  il  requisito,  costituzionalmente
necessario,  della omogeneita' del contenuto del decreto-legge (cosi'
i  ricorsi  della Regione Campania); infine, il decreto-legge sarebbe
inidoneo  a  porre i principi fondamentali di cui all'art. 117, terzo
comma, Cost;
        d) l'art. 119  Cost., e l'autonomia finanziaria delle regioni
e  degli  enti  locali  in  esso  contemplata,  in  quanto il condono
edilizio,  disposto  in  vista  di  esigenze finanziarie del bilancio
statale,  comporterebbe  spese  particolarmente  ingenti  e  di vario
genere  a carico delle finanze delle autonomie territoriali, a fronte
di  una  compartecipazione al gettito delle operazioni di condono che
sarebbe decisamente esigua;
        e) l'art. 25  Cost.,  in  quanto  la reiterazione con cadenza
novennale  della  sanatoria edilizia, implicando «non solo la lesione
del  principio  di  legalita», ma ledendo «soprattutto la fiducia dei
cittadini   sulla   effettiva  capacita'  degli  organi  pubblici  di
garantire  il  rispetto  dei  valori  costituzionali  coinvolti nella
disciplina urbanistica ed edilizia», determinerebbe la violazione del
principio  di  tassativita'  e  certezza  delle norme penali (cosi' i
ricorsi della Regione Marche);
        f) l'art. 3   Cost.,   in  quanto  la  disciplina  in  esame,
riaprendo  ed  estendendo  i  termini  del  condono, introdurrebbe un
sistema  discriminatorio  a  svantaggio di coloro che, rispettando la
normativa,  non hanno costruito perche' privi del titolo abilitativo,
dovendo subire pero' le conseguenze in termini di degrado urbanistico
del  condono,  trattando  in  modo  uguale  situazioni diverse, ossia
quella di chi ha costruito in base ad un titolo legittimo e quella di
chi  ha  costruito  abusivamente,  e non consentendo «di riportare ad
uguaglianza,   attraverso   la   sanzione,  chi  si  e'  astenuto  da
comportamenti illeciti e chi illecitamente li ha compiuti»;
        g) l'art. 3  Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, in
quanto  la  reiterazione  del  condono  edilizio farebbe venir meno i
caratteri    di    assoluta   straordinarieta',   eccezionalita'   ed
irripetibilita'  che  soli, secondo la giurisprudenza costituzionale,
possono   giustificare   la   sanatoria;   nel   caso   in  questione
mancherebbero  del  tutto  quelle  circostanze eccezionali che, nelle
precedenti  situazioni,  hanno  portato  la  Corte  costituzionale  a
ritenere   giustificata   la  sanatoria;  sarebbero  incisi  numerosi
principi costituzionali, senza pero' che sia perseguito adeguatamente
l'obiettivo della stessa disciplina impugnata;
        h) l'art. 97   Cost.,   ed   in  particolare  i  principi  di
imparzialita'    dei    pubblici   poteri   e   di   buon   andamento
dell'amministrazione,  che  sarebbero  frustrati dalla inanita' degli
sforzi  compiuti  dalle  amministrazioni  locali al fine di reprimere
l'abusivismo;
        i) l'art. 9 e l'art. 117, terzo comma, Cost. (che sancisce la
competenza  regionale in tema di valorizzazione dei beni ambientali),
nonche'  il  «principio costituzionale di indisponibilita' dei valori
costituzionalmente  tutelati»,  in  quanto  il  valore costituzionale
dell'ordinato  assetto  del territorio non potrebbe «essere scambiato
con  valori  puramente  finanziari», come invece avviene nel caso del
condono edilizio;
        j) gli  artt. 9,  32,  41  e  42  Cost.,  dal  momento che la
sanatoria    prevista    dalla   disciplina   impugnata   inciderebbe
negativamente  nei  confronti  di  valori  costituzionali che tutti i
livelli   di   governo   e   in   particolare  le  regioni  hanno  il
diritto-dovere  di  tutelare nella loro effettivita', quali: i valori
paesistico-ambientali, il valore della salute, il valore del corretto
e  ordinato  svolgimento  dell'attivita'  imprenditoriale  in materia
edilizia,  la tutela del diritto di proprieta' (cosi' i ricorsi della
Regione Marche);
        k) il principio di leale collaborazione tra i diversi livelli
di  governo,  nonche'  l'art. 2  del  d.lgs.  28 agosto  1997, n. 281
(Definizione   e  ampliamento  delle  attribuzioni  della  Conferenza
permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e le Province
autonome  di  Trento  e  Bolzano ed unificazione, per le materie ed i
compiti  di  interesse  comune  delle  regioni,  delle province e dei
comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali), che tale
principio  recepisce, e il principio costituzionale che prescrive «la
partecipazione  regionale  al  procedimento  legislativo  delle leggi
statali   ordinarie,   quando   queste  intervengano  in  materia  di
competenza   concorrente»,   desumibile   dall'art. 11   della  legge
costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3  (Modifiche al titolo V della
parte  seconda  della  Costituzione),  dal  momento  che,  in sede di
adozione  del  decreto-legge,  le  autonomie regionali non sono state
consultate attraverso la Conferenza Stato-Regioni;
        l) il giudicato costituzionale, ed in particolare le sentenze
di  questa  Corte  n. 427 del 1995, n. 416 del 1995, n. 231 del 1993,
n. 369  del 1988 e n. 302 del 1988, con cui sarebbe stato «attribuito
al  regime  di  sanatoria  [...]  carattere  episodico  e  delimitato
temporalmente»,   pena  la  illegittimita'  costituzionale  (cosi'  i
ricorsi della Regione Campania);
        m) l'art. 4, numero 12, e l'art. 8 della legge costituzionale
31 gennaio  1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia
Giulia),  in  riferimento  all'autonomia legislativa e amministrativa
della  Regione  nella  materia  urbanistica,  in quanto le competenze
regionali in detta materia potrebbero essere legittimamente vincolate
solo  dalla  Costituzione,  dai  principi  generali  dell'ordinamento
giuridico    e   dalle   norme   fondamentali   di   grande   riforma
economico-sociale,  tra le quali non potrebbe certo essere annoverata
la previsione di un condono edilizio.
    2.  -  Le ricorrenti hanno altresi' proposto, in via subordinata,
le seguenti specifiche censure:
        n) il  comma 26, lettera a), dell'art. 32 del d.l. n. 269 del
2003,  nella  parte  in  cui  subordina  la  sanabilita'  alla  legge
regionale  nel  caso  degli  abusi  minori  in  zone  non  vincolate,
sottraendo  viceversa  alla  decisione regionale gli abusi maggiori e
gli  abusi  minori  in  zone  vincolate,  violerebbe  i  principi  di
eguaglianza e ragionevolezza, nonche' gli artt. 117 e 118 Cost;
        o) il comma 25, «in quanto non eccettua dal condono gli abusi
per  i  quali  il  procedimento  sanzionatorio  sia  gia'  iniziato»,
violerebbe  il  principio  di  ragionevolezza,  poiche'  -  una volta
iniziato  il  procedimento  sanzionatorio  -  il condono edilizio non
porterebbe  alcun  vantaggio al pubblico interesse, ne' in termini di
«uscita  allo  scoperto» di situazioni di illegalita', ne' in termini
economici,  poiche'  le  sanzioni urbanistiche sono essenzialmente di
carattere pecuniario;
        p) i  commi 3,  25,  26, lettera a), 28, 32, 35, lettere b) e
c),  37,  38, 40 e l'allegato 1, in quanto con disciplina dettagliata
ed   autoapplicativa  stabiliscono  le  modalita',  i  termini  e  le
procedure  relative  al  condono  edilizio,  violerebbero  l'art. 117
Cost., perche' la competenza dello Stato a dettare norme non cedevoli
non sarebbe giustificata, nel caso di specie, ne' da materie indicate
dall'art. 117,   secondo   comma,  ne'  dall'attrazione  di  funzioni
amministrative allo Stato in base all'art. 118;
        q) i   commi 25   e   35   violerebbero   il   principio   di
ragionevolezza,  in  quanto  la  disciplina  del  comma 25 estende il
condono  agli  abusi  compiuti  sino a sei mesi prima dell'entrata in
vigore   del   decreto-legge  impugnato  (mentre  nel  caso  dei  due
precedenti  condoni  il  termine  era rispettivamente di un anno e di
diciassette   mesi)   e  cio'  renderebbe  particolarmente  difficile
distinguere  le  opere  ultimate  da quelle non ultimate, complicando
notevolmente  l'attivita'  di vigilanza amministrativa; la disciplina
risulterebbe  collegata  al disposto del comma 35, in forza del quale
e'  sufficiente, ove l'opera abusiva non superi i 450 metri cubi, una
autocertificazione per la prova dello «stato dei lavori», consentendo
cosi' di far passare per gia' costruite opere in corso di costruzione
o ancora da costruire;
        r) il  comma 25  violerebbe  gli  artt. 3,  9,  97, 117 e 118
Cost.,  nella  parte  in  cui  prevede un limite di volume (750 metri
cubi)  per ogni singola richiesta di sanatoria, senza pero' precisare
che non sono ammesse piu' richieste riferite alla medesima area;
        s) il comma 37 violerebbe il principio di ragionevolezza, dal
momento  che  sarebbe «palese» il contrasto con tale principio di una
norma  che sana gli abusi in virtu' del solo decorso del tempo con un
meccanismo  di «silenzio-assenso», nonche' gli artt. 9, 97, 117 e 118
Cost.  (e  gli  artt. 4  e  8  dello  Statuto  speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia), perche' renderebbe eventuale il controllo dei
comuni sull'ammissibilita' delle domande di condono, ledendo altresi'
le competenze regionali in materia di governo del territorio;
        t) i  commi  da  14  a 20 ed il comma 24, che disciplinano la
sanatoria  degli  abusi  commessi  sulle  aree di proprieta' statale,
facendola dipendere unicamente dalla volonta' e dalla decisione dello
Stato  proprietario,  senza  dare alcuna rilevanza a quanto in merito
stabilito  dal  legislatore regionale, violerebbero l'art. 117 Cost.,
che affida alle Regioni la competenza a disciplinare l'ammissibilita'
urbanistica  degli  interventi  anche  sulle aree di proprieta' dello
Stato,  nonche'  gli  artt. 118  e  119,  perche'  la decisione sulla
ammissibilita'   della   sanatoria   viene   riservata   al  soggetto
proprietario dell'area, senza possibilita' di contraddittorio con gli
enti  locali  interessati  e  in  assenza di una previa intesa con le
Regioni;
        u) il   comma 5,   il   quale   affida   al   Ministro  delle
infrastrutture   e  dei  trasporti  un  ruolo  di  coordinamento  per
l'applicazione  della normativa sul condono, violerebbe gli artt. 117
e 118 Cost., perche' non vi sarebbe alcuna esigenza unitaria in grado
di giustificare l'attribuzione ad un organo statale di tale funzione,
in  una  materia,  come  il «governo del territorio», attribuita alla
competenza regionale;
        v) il  comma 6  violerebbe  l'art. 118  Cost., perche' in una
materia   regionale   determinerebbe   la   avocazione   di  funzioni
amministrative  al  centro  senza  prevedere,  come  richiesto  dalla
sentenza  n. 303  del  2003,  l'intesa  con  la  Regione interessata,
nonche'   l'art. 119   Cost.,  il  quale  non  ammette  finanziamenti
vincolati alla realizzazione di interventi scelti dal Ministro;
        w) i  commi 9 e 10 violerebbero gli artt. 118 e 119 Cost. per
ragioni analoghe a quelle appena richiamate.
    3.  -  Le  Regioni  Campania,  Marche,  Toscana ed Emilia-Romagna
(quest'ultima  con  atto  separato,  notificato  il 9 febbraio 2004 e
depositato  il  10 febbraio  2004)  chiedono  inoltre  l'applicazione
dell'art. 35   della   legge   11 marzo   1953,  n. 87  (Norme  sulla
costituzione  e  sul  funzionamento della Corte costituzionale), come
sostituito    dall'art. 9   della   legge   5   giugno 2003,   n. 131
(Disposizioni  per  l'adeguamento  dell'ordinamento  della Repubblica
alla   legge   costituzionale   18 ottobre   2001,  n. 3),  ritenendo
sussistenti  le  condizioni  ivi  previste  perche'  la  Corte  possa
sospendere in via cautelare l'esecuzione della normativa impugnata.
    4.  -  Le  Regioni Lazio, Marche, Toscana, Umbria, Friuli-Venezia
Giulia,  Emilia-Romagna e Campania hanno impugnato l'art. 32 del d.l.
n. 269  del 2003, cosi' come risultante dalla conversione in legge ad
opera della legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con
modificazioni,  del  decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante
disposizioni  urgenti  per  favorire  lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento  dei conti pubblici), ed in particolare i commi: 1, 2,
3,  9, 14-23; 25, 26, 32-38; 41 e 42 (reg. ric. n. 6 del 2004); 1, 2,
3,  5, 6, 9, 10, 13, 14-20; 24-41 (reg. ric. n. 8 del 2004); 1, 3, 5,
14-20;  25-43;  49-ter  (reg.  ric.  n. 10  del  2004); 1, 3, 25, 26,
lettera a),  28,  32,  35, 37, 38, 40 e l'Allegato 1 (reg. ric. n. 11
del  2004);  1,  3,  4,  25, 26, lettera a), 28, 32, 35, 37, 38, 40 e
l'Allegato 1 (reg. ric. n. 12 del 2004); 1, 2, 3, 25, 26, lettera a),
28,  32, 35, 37, 38, 40 e l'Allegato 1 (reg. ric. n. 13 del 2004); 1,
2, 3, 5, 14-20; 25-50 (reg. ric. n. 14 del 2004). Le Regioni Marche e
Campania hanno impugnato anche l'art. 32 citato nel suo complesso.
    Le  ricorrenti  ripropongono  sostanzialmente le medesime censure
gia'  sollevate  nei  confronti dell'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003
nel testo originario, con le seguenti precisazioni e aggiunte.
    L'art. 77  Cost.  sarebbe  violato  anche  dalla legge n. 326 del
2003,  dal  momento  che  la carenza dei requisiti costituzionalmente
previsti  per  la  decretazione  d'urgenza  si ripercuoterebbe, quale
vizio in procedendo, anche nei confronti della legge di conversione.
    La  Regione  Marche  lamenta la violazione dell'art. 79 Cost., in
quanto  il  provvedimento  normativo  impugnato  costituirebbe, nella
sostanza,  una  vera e propria amnistia, adottata senza percorrere le
vie  del  procedimento  aggravato  previsto dalla citata disposizione
costituzionale
    L'art. 3  Cost.  e'  invocato,  nel  ricorso della Regione Lazio,
anche  in  quanto  la disciplina impugnata violerebbe il principio di
eguaglianza  a  causa  della  perdita  di  valore  degli immobili dei
cittadini  rispettosi  della  legge  conseguente  alla immissione sul
mercato  di  immobili  abusivi,  nonche' dell'aumento della pressione
fiscale  a  carico  dei  medesimi  cittadini  al  fine di reperire le
risorse   finanziarie   volte   alla  realizzazione  delle  opere  di
urbanizzazione.
    Sempre  secondo la Regione Lazio, il principio di ragionevolezza,
sancito  dal  medesimo  art. 3  Cost.,  sarebbe violato anche perche'
dalla  normativa  risultante  dalle  modifiche  operate  in  sede  di
conversione  e  derivante  dalle  abrogazioni  disposte  dalla  legge
finanziaria  per il 2004, emergerebbe chiaramente che sarebbe rimasto
soltanto il condono edilizio, mentre sarebbero stati abrogati i fondi
per  la  riqualificazione  urbanistica  e  ambientale,  pur  ritenuti
evidentemente insufficienti dalle Regioni, cio' che renderebbe palese
«la  irragionevolezza  e  la  scarsa  attendibilita'  del  meccanismo
congegnato  attraverso  le varie disposizioni di cui all'art. 32, per
realizzare finalita' di reale e credibile intento di riqualificazione
del  territorio»; inoltre, la modifica dell'art. 32 della legge n. 47
del  1985  renderebbe  applicabile  il  condono  anche  alle pratiche
restate inevase sotto l'egida di precedenti condoni, con il risultato
di realizzare l'effetto di un «condono "open"».
    Per   quel   che   concerne  le  singole  disposizioni  contenute
nell'art. 32  del  d.l.  n. 269 del 2003, cosi' come risultante dalla
conversione  ad  opera  della  legge  n. 326  del  2003,  le  Regioni
ricorrenti  ribadiscono  le  censure  gia' proposte nei confronti del
testo  originario  del  decreto-legge, evidenziando, tuttavia, alcuni
profili  nuovi  di  impugnazione  connessi con le modifiche normative
introdotte dalla legge di conversione.
    Il comma 25 dell'art. 32 viene censurato in quanto, prevedendo un
limite  massimo  per  la  costruzione  abusiva  considerata  nel  suo
complesso  pari a 3000 metri cubi, violerebbe gli artt. 3, 9, 97, 117
e  118  Cost.,  poiche'  non  preciserebbe  che non sono ammesse piu'
richieste riferite alla medesima area; viene peraltro mantenuta ferma
la censura rivolta al medesimo comma 25 nella versione originaria del
d.l. n. 269 del 2003, in quanto gli emendamenti introdotti in sede di
conversione opererebbero soltanto pro futuro.
    Dei  commi 9 e 10 si ribadisce il contrasto con l'art. 118 Cost.,
nonostante  che  il  comma 9,  nel  testo  risultante a seguito della
conversione,  preveda l'intesa con la Conferenza unificata, in quanto
risulterebbe comunque riconosciuta una priorita' alle aree oggetto di
programmi  di riqualificazione approvati con decreto del Ministro dei
lavori pubblici.
    Nei  ricorsi  suddetti  si  propone,  infine,  censura avverso il
comma 49-ter,   introdotto   in   sede   di  conversione,  il  quale,
determinando   l'accentramento   della   competenza   concernente  le
demolizioni  in  capo al  prefetto,  violerebbe  gli artt. 117, terzo
comma,  e  118  Cost;  cio'  in quanto tale norma non esprimerebbe un
principio  fondamentale, ne' del resto sarebbe giustificabile in base
ad esigenze unitarie, in quanto l'amministrazione statale non sarebbe
adeguata  allo  svolgimento  di tale funzione, non disponendo nemmeno
dei dati per effettuare il controllo degli interventi edilizi.
    5.  -  Le  Regioni  Campania,  Marche,  Toscana ed Emilia-Romagna
chiedono  inoltre,  anche  nei confronti dell'art. 32 come risultante
dalle  modifiche  operate  in  sede  di  conversione,  l'applicazione
dell'art. 35  della legge n. 87 del 1953, come sostituito dall'art. 9
della  legge n. 131 del 2003, ritenendo sussistenti le condizioni ivi
previste   perche'   la  Corte  possa  sospendere  in  via  cautelare
l'esecuzione della normativa impugnata.
    6.  -  La  Regione Basilicata ha impugnato, con un unico ricorso,
l'art. 32  del d.l. n. 269 del 2003, sia nel testo originario che nel
testo  risultante  dalla  legge  di  conversione,  esponendo  censure
rivolte   in   generale   nei   confronti   dell'intero   art. 32,  e
sostanzialmente  corrispondenti,  nel  merito,  a  quelle  piu' sopra
richiamate.
    7.  -  La  Regione  Toscana,  con  il  ricorso n. 10 del 2004, ha
impugnato  anche  l'art. 14,  commi 1  e 2, del d.l. n. 269 del 2003,
come convertito della legge di conversione n. 326 del 2003, mentre la
Regione  Emilia-Romagna,  con il ricorso n. 13 del 2004, ha impugnato
anche  l'art. 21,  nonche'  i commi 21 e 22 dell'art. 32. Tali ultime
disposizioni,   congiuntamente   al   comma 23,  risultano  impugnate
altresi' dalla Regione Campania, con entrambi i propri ricorsi (n. 76
del 2003 e n. 14 del 2004).
    Per   ragioni  di  omogeneita'  di  materia,  tali  questioni  di
costituzionalita'   verranno   trattate   separatamente   da   quelle
concernenti  la  disciplina  del  condono edilizio di cui all'art. 32
sollevate  con  i  medesimi  ricorsi  e appena illustrate, per essere
definite con distinte decisioni di questa Corte.
    8.  - In considerazione dell'identita' della materia, nonche' dei
profili di illegittimita' costituzionale fatti valere, i ricorsi, per
la parte relativa all'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, sia nel testo
originario, che in quello risultante dalla conversione ad opera della
legge  n. 326  del 2003, possono essere riuniti per essere decisi con
un'unica pronuncia.
    9.  -  Con  ordinanza letta nella pubblica udienza dell'11 maggio
2004  e  allegata  alla  presente  sentenza,  sono  stati  dichiarati
inammissibili  gli  interventi  spiegati  nel  giudizio dai Comuni di
Roma,  Salerno,  Ischia  e Lacco Ameno, dal CODACONS e dal World Wide
Fund for Nature (WWF) ONLUS.
    10.  - Deve essere dichiarata l'inammissibilita' del ricorso n. 6
del  2004,  proposto  dalla  Regione  Lazio,  in quanto notificato al
Presidente  del  Consiglio  dei ministri presso l'Avvocatura generale
dello  Stato  e  non  presso la Presidenza del Consiglio dei ministri
(cfr., da ultimo, la sentenza n. 333 del 2000).
    11.   -   Il   ricorso   della   Regione  Basilicata  si  rivolge
genericamente   nei  confronti  dell'intero  art. 32,  pur  motivando
soltanto  in  relazione  al condono edilizio. E' possibile tuttavia -
non  essendo  specificamente  indicati  i commi dell'articolo nei cui
confronti vengono rivolte le doglianze - interpretare il ricorso come
rivolto   esclusivamente   nei   confronti   delle  disposizioni  che
disciplinano  il  condono  edilizio (cfr., ad esempio, sentenza n. 15
del  2004).  Analogamente  e'  da dirsi in relazione ai ricorsi delle
Regioni   Marche   e  Campania,  nella  parte  in  cui  si  rivolgono
all'art. 32 nella sua interezza.
    12.  -  Inammissibili,  invece, devono essere ritenute le censure
rivolte  dalla  Regione  Campania  specificamente  nei  confronti dei
commi 44,  45,  46,  47,  48,  49 e 50 del d.l. n. 269 del 2003 e dei
medesimi  commi,  nonche'  dei  commi 49-bis  e  49-quater, del testo
dell'art. 32  convertito  dalla  legge n. 326 del 2003, in quanto non
sorrette  da  alcuna  delle argomentazioni in diritto rinvenibili nei
ricorsi.  Cio'  a  prescindere  dal  fatto  che  la  medesima Regione
Campania,   nel   ricorso   n. 14  del  2004  avverso  il  testo  del
decreto-legge  cosi'  come convertito in legge dalla legge n. 326 del
2003,  impugna  erroneamente  i  commi 48  e 49, soppressi in sede di
conversione in legge.
    Ancora, va esclusa l'ammissibilita' delle censure sollevate dalla
Regione  Marche,  con  i  ricorsi  n. 81 del 2003 e n. 8 del 2004, in
relazione  ai  parametri costituiti dagli artt. 32, 41 e 42 Cost., in
quanto  non  viene  fornita alcuna motivazione autonoma rispetto agli
altri profili di doglianza.
    Del  pari  inammissibile  e'  la  censura  proposta dalla Regione
Campania,  con  i  ricorsi  n. 76  del  2003  e  n. 14  del  2004, in
riferimento  al parametro dell'art. 114 Cost., anch'essa non motivata
in  alcun  modo.  Il rilievo di incostituzionalita' di cui alla sopra
indicata lettera h) - fondato sulla violazione dell'art. 97 Cost., in
quanto  i  principi  di  imparzialita'  dei pubblici poteri e di buon
andamento  dell'amministrazione  sarebbero  frustrati  dalla inanita'
degli  sforzi  compiuti  dalle  amministrazioni  locali  al  fine  di
reprimere  l'abusivismo - deve invece essere dichiarato inammissibile
perche' eccessivamente generico.
    Quanto   alla   censura  concernente  il  comma 10  dell'art. 32,
formulata  in  entrambi  i ricorsi della Regione Marche e nel ricorso
della  Regione  Toscana avverso il testo del d.l. n. 269 del 2003, ne
va  dichiarata l'inammissibilita' con riferimento al ricorso n. 8 del
2004   della   Regione  Marche  per  carenza  di  qualunque  autonoma
motivazione, mentre le modifiche apportate dalla legge di conversione
debbono  ritenersi  satisfattive  delle  doglianze  prospettate delle
ricorrenti  in  relazione  al  testo  originario  del  decreto-legge,
consentendo  -  in assenza di un'attuazione medio tempore della norma
impugnata  - di dichiarare la cessazione della materia del contendere
(cfr., da ultimo, ordinanza n. 137 del 2004).
    13. - Numerose tra le questioni proposte dalle Regioni ricorrenti
fanno  riferimento  a  parametri  differenti da quelli specificamente
concernenti  il  riparto  di competenze tra le stesse e lo Stato. Non
possono  essere  ritenute  ammissibili le censure relative ad aspetti
che  non  siano potenzialmente idonei «a determinare una vulnerazione
delle  attribuzioni  costituzionali delle Regioni o Province autonome
ricorrenti»  (sentenza  n. 303  del  2003; cfr., inoltre, le sentenze
n. 353  del  2001, n. 503 del 2000, n. 408 del 1998, n. 87 del 1996).
Alla  luce di tale criterio deve essere dichiarata l'inammissibilita'
della  questione  di  cui  alla sopra indicata lettera f), secondo la
quale  la  disciplina  impugnata  violerebbe l'art. 3 Cost., sotto il
profilo  del  principio  di  eguaglianza, perche' discriminerebbe tra
cittadini rispettosi della legalita' e cittadini che non lo siano, in
sfavore dei primi. E' del tutto evidente, infatti, che tale vizio non
sarebbe  in  grado di incidere in alcun modo sulla sfera di autonomia
delle  ricorrenti.  Per le medesime ragioni e' inammissibile anche la
censura  di  cui  alla sopra indicata lettera e), secondo la quale la
disciplina  impugnata violerebbe l'art. 25 Cost. e, in particolare, i
principi di legalita', tassativita' e certezza delle norme penali.
    14.  -  Vanno disattese, invece, le eccezioni di inammissibilita'
formulate  dall'Avvocatura dello Stato nei confronti delle censure di
cui  alle sopra indicate lettere d) e t), secondo le quali le Regioni
non   sarebbero   legittimate   a  ricorrere  avverso  la  disciplina
impugnata,  in  quanto  pretenderebbero  di far valere competenze non
solo proprie, ma anche degli enti locali.
    Infatti,  la  stretta  connessione,  in  particolare  in  materia
urbanistica  e  in  tema  di  finanza  regionale  e  locale,  tra  le
attribuzioni  regionali  e  quelle delle autonomie locali consente di
ritenere  che  la  lesione delle competenze locali sia potenzialmente
idonea  a  determinare  una  vulnerazione delle competenze regionali.
Cio'  al  di  la'  del  fatto che il nuovo quarto comma dell'art. 123
Cost.  ha configurato il Consiglio delle autonomie locali come organo
necessario  della Regione e che l'art. 32, secondo comma, della legge
n. 87  del  1953  (cosi'  come sostituito dall'art. 9, comma 2, della
legge n. 131 del 2003), ha attribuito proprio a tale organo un potere
di  proposta  alla  giunta  regionale  relativo  al  promovimento dei
giudizi di legittimita' costituzionale in via diretta contro le leggi
dello Stato.
    15. - Nel periodo intercorrente tra l'approvazione della legge di
conversione  n. 326  del  2003  e  la  proposizione  dei  ricorsi nei
confronti  di quest'ultima, e' intervenuta la legge 24 dicembre 2003,
n. 350  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale  dello Stato - legge finanziaria 2004), che ha abrogato i
commi 6,  9  e  24  dell'art. 32  in  questione.  Tale sopravvenienza
normativa, in considerazione del tenore delle censure rivolte avverso
le  disposizioni  menzionate, deve essere ritenuta satisfattiva delle
pretese  regionali.  Conseguentemente, anche alla luce della evidente
inattuazione   medio   tempore  di  tali  disposizioni,  deve  essere
dichiarata  la  cessazione della materia del contendere riguardo alle
predette censure.
    16.  - A questo punto e' possibile passare ad esaminare i profili
di   merito   delle   rimanenti  censure  prospettate  dalle  Regioni
ricorrenti, tenendo conto che i riferimenti che si faranno di seguito
alle  disposizioni  oggetto  del giudizio devono intendersi relativi,
salvo  diversa  esplicita indicazione, al testo dell'art. 32 del d.l.
n. 269  del  2003  quale  convertito  in legge dalla legge n. 326 del
2003.
    17.  -  In  via  preliminare  appare opportuno evidenziare alcune
caratteristiche generali di questo nuovo condono edilizio.
    Malgrado   la   titolazione   dell'art. 32  sia  «Misure  per  la
riqualificazione   urbanistica,   ambientale   e  paesaggistica,  per
l'incentivazione   dell'attivita'   di   repressione  dell'abusivismo
edilizio,  nonche'  per la definizione degli illeciti edilizi e delle
occupazioni  delle  aree  demaniali»,  l'oggetto fondamentale di tale
disposizione  e'  la  previsione  e la disciplina di un nuovo condono
edilizio   esteso   all'intero  territorio  nazionale,  di  carattere
temporaneo  ed eccezionale rispetto all'istituto a carattere generale
e  permanente  del «permesso di costruire in sanatoria», disciplinato
dagli  artt. 36  e  45  del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico
delle  disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia),
ancorato  a  presupposti  in  parte  diversi  e comunque sottoposto a
condizioni assai piu' restrittive.
    Si  tratta,  peraltro,  di  un  condono  che  si  ricollega sotto
molteplici   aspetti  ai  precedenti  condoni  edilizi  che  si  sono
succeduti  dall'inizio  degli  anni  ottanta:  cio' e' reso del tutto
palese  dai  molteplici  rinvii  contenuti  nell'art. 32  alle  norme
concernenti   i  precedenti  condoni,  ma  soprattutto  dal  comma 25
dell'art. 32,  il  quale  espressamente  rinvia alle disposizioni dei
«capi  IV  e  V  della  legge  28 febbraio  1985, n. 47, e successive
modificazioni   e   integrazioni,   come   ulteriormente   modificate
dall'art. 39  della  legge  23 dicembre  1994,  n. 724,  e successive
modificazioni  e  integrazioni»,  disponendo che tale normativa, come
ulteriormente modificata dal medesimo art. 32, si applica «alle opere
abusive»  cui  la nuova legislazione appunto si riferisce. Attraverso
questa  tecnica  normativa,  consistente nel rinvio alle disposizioni
dell'istituto del condono edilizio come configurato in precedenza, si
ha  una  esplicita  saldatura  fra  il  nuovo  condono  ed  il  testo
risultante  dai due precedenti condoni edilizi di tipo straordinario,
cui si apportano solo alcune limitate innovazioni.
    Resta,   in   particolare,   la  caratteristica  fondamentale  di
mantenere    collegato   il   condono   penale   con   la   sanatoria
amministrativa:   l'integrale   pagamento   dell'oblazione,  oltre  a
costituire   il  presupposto  per  l'estinzione  dei  reati  edilizi,
estingue  anche  i relativi procedimenti di esecuzione delle sanzioni
amministrative  (cfr.  art. 38,  secondo comma, della legge n. 47 del
1985)  e  costituisce  uno  dei  requisiti per il rilascio del titolo
abilitativo  in  sanatoria (commi 32 e 37 dell'art. 32 in questione);
ancora,  l'oblazione  interamente  corrisposta costituisce condizione
perche'  la sanatoria renda inapplicabili le sanzioni amministrative,
«ivi  comprese  le  pene  pecuniarie e le sovrattasse previste per le
violazioni  delle  disposizioni  in  materia  di  imposte sui redditi
relativamente  ai  fabbricati  abusivamente  eseguiti» (cfr. art. 38,
quarto comma, della legge n. 47 del 1985).
    Cio'  non  esclude,  peraltro,  che  -  ove  sia stata effettuata
l'oblazione  - pur in presenza di diniego di sanatoria, si estinguano
i   reati  edilizi  e  le  sanzioni  amministrative  consistenti  nel
pagamento   di   una   somma  di  denaro  siano  «ridotte  in  misura
corrispondente  all'oblazione versata» (art. 39 della legge n. 47 del
1985).
    Rispetto  ai  precedenti,  l'attuale  condono  risulta per alcuni
profili  piu'  ristretto,  dal momento che il comma 25, relativamente
alle  nuove  costruzioni  residenziali, pone un limite complessivo di
3.000  metri  cubi  ai volumi sanabili, e definisce analiticamente le
tipologie  di abusi condonabili (comma 26 e allegato 1), introducendo
altresi'  alcuni  nuovi  limiti all'applicabilita' del condono (comma
27),  che  si  aggiungono a quanto previsto negli artt. 32 e 33 della
legge n. 47 del 1985. A fianco di tali previsioni, viene disciplinata
analiticamente  la  possibilita' di sanare opere abusive edificate su
aree  di proprieta' dello Stato o facenti parte del demanio statale o
su aree gravate da diritti di uso civico (commi da 14 a 20).
    Il  richiamo  all'intero capo IV della legge n. 47 del 1985 rende
applicabile anche al presente condono la sospensione dei procedimenti
amministrativi  e  giurisdizionali  disposta dall'art. 44 della legge
n. 47  del  1985,  con  effetto  dalla  data di entrata in vigore del
decreto e fino alla scadenza dei termini fissati per la presentazione
delle  domande di sanatoria [stabilito, come e' noto, originariamente
al   31 marzo   2004,   quindi   differito   al  31 luglio  2004  dal
decreto-legge  31 marzo  2004,  n. 82  (Proroga di termini in materia
edilizia),  convertito  in  legge ad opera della legge 28 maggio 2004
n. 141  (Conversione in legge del decreto-legge 31 marzo 2004, n. 82,
recante proroga di termini in materia edilizia)].
    La  regolare e tempestiva presentazione di tale domanda al comune
competente,   nonche'  il  versamento  dell'oblazione,  «sospende  il
procedimento   penale   e  quello  per  le  sanzioni  amministrative»
(art. 38, primo comma, della legge n. 47 del 1985).
    Il  titolo abilitativo e' rilasciato dal comune, ove non vi siano
motivi  ostativi (art. 35 della legge n. 47 del 1985), ma il comma 37
dell'art. 32  del  d.l.  n. 269 del 2003 dispone che il decorso di 24
mesi dalla consegna della documentazione, senza che l'amministrazione
abbia  adottato  un  provvedimento  negativo,  integra  un'ipotesi di
silenzio-assenso,  che equivale al rilascio del titolo abilitativo in
sanatoria.
    Da   notare,  infine,  che  permane  l'atipicita'  dell'oblazione
delineata  da questa legislazione (e destinata all'erario statale, ai
sensi  dell'art. 34,  primo  comma,  della legge n. 47 del 1985), che
differisce  sotto piu' profili dall'istituto disciplinato in generale
dagli artt. 162 e 162-bis del codice penale, e la cui quantificazione
e'   determinata  o  forfetariamente  o  in  misura  rapportata  alla
tipologia  dell'abuso, alla qualita' degli immobili e alla superficie
della  costruzione  abusivamente realizzata (si veda, al riguardo, la
sentenza n. 369 del 1988).
    Quanto   al   ruolo  riconosciuto  in  questa  legislazione  alle
autonomie  territoriali,  i  comuni,  principali  titolari dei poteri
pianificatori  in  materia urbanistica nonche' dei poteri gestionali,
ivi  compreso  -  come  accennato  -  il  «permesso  di  costruire in
sanatoria», sono tenuti da questa legislazione a rilasciare il titolo
abilitativo in sanatoria (artt. 31 e 35, quattordicesimo comma, della
legge n. 47 del 1985), anche per le opere edilizie contrastanti con i
loro  atti di pianificazione. A seguito della sanatoria sono altresi'
vincolati  a  rilasciare «il certificato di abitabilita' o agibilita'
anche  in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, qualora
le  opere  sanate  non  contrastino  con  le  disposizioni vigenti in
materia  di  sicurezza  statica»  (art. 35, diciottesimo comma, della
legge n. 47 del 1985).
    Tutto  cio'  comporta,  come gia' ricordato, prima la sospensione
del   procedimento   relativo   alle   sanzioni  amministrative,  poi
l'estinzione  dei  relativi procedimenti di esecuzione, e infine, ove
si   giunga   al   rilascio   del   titolo   in  sanatoria,  la  loro
inapplicabilita'.  Al  tempo  stesso, questo condono straordinario di
fatto  esclude,  o  comunque limita fortemente, la possibilita' per i
comuni   di   rilasciare   l'ordinario   «permesso  di  costruire  in
sanatoria».
    Per  quel  che  concerne  i maggiori costi che le amministrazioni
comunali  devono  affrontare,  sia per lo svolgimento delle procedure
amministrative sia per la realizzazione delle opere di urbanizzazione
e  in  genere  per  gli  interventi  di  riqualificazione  delle aree
interessate  dalle  opere  abusive,  l'art. 32  prevede  il ricorso a
quattro  diverse  forme di introiti. La legge regionale puo' disporre
un  incremento  dell'oblazione fino al massimo del 10 per cento della
misura  indicata dallo stesso art. 32 (tabella C dell'allegato 1) «ai
fini  della  attivazione  di  politiche  di  repressione  degli abusi
edilizi  e  per  la  promozione di interventi di riqualificazione dei
nuclei  interessati  da fenomeni di abusivismo edilizio», nonche' per
l'effettuazione  di controlli periodici del territorio (comma 33). La
legge  regionale,  ancora, puo' incrementare «fino al massimo del 100
per  cento»  gli  oneri  di  concessione  relativi alle opere abusive
oggetto  di  sanatoria (comma 34). La stessa amministrazione comunale
puo' aumentare fino ad un massimo del 10 per cento i diritti ed oneri
ordinariamente  previsti  per  il  rilascio  dei  titoli  abilitativi
edilizi  «da  utilizzare  con  le  modalita'  di  cui all'articolo 2,
comma 46,  della  legge 23 dicembre 1996, n. 662» (comma 40). Infine,
il  Ministero  dell'economia  attribuisce  ai  comuni il 50 per cento
delle  somme  riscosse  a  conguaglio  dell'oblazione,  «al  fine  di
incentivare la definizione delle domande di sanatoria» (comma 41).
    La  nuova  normativa  sul condono, peraltro, prevede direttamente
(al comma 38, che rinvia all'allegato 1) la misura dell'anticipazione
degli   oneri  concessori,  la  cui  determinazione  e',  invece,  di
competenza  del  comune  e  della legge regionale (cfr. art. 37 della
legge n. 47 del 1985, nonche' art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001).
    Quanto  alle  Regioni,  malgrado  l'intervenuto accrescimento dei
loro  poteri in conseguenza della riforma del titolo V della parte II
della  Costituzione,  l'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 riserva loro
ambiti  di  intervento assai ristretti ed entro termini molto esigui.
Infatti,  la  normativa  oggetto del presente giudizio prevede che le
Regioni mediante leggi possano intervenire solo in questi limiti: per
i   soli  illeciti  relativi  ad  opere  di  restauro  e  risanamento
conservativo  o  ad opere di manutenzione straordinaria realizzate in
aree non soggette ai vincoli di cui all'art. 32 della legge n. 47 del
1985,  come  modificato  dal  comma 43  dell'impugnato art. 32, entro
sessanta  giorni dalla data di entrata in vigore della disciplina qui
esaminata,  la  Regione,  con  propria  legge,  puo'  determinare «la
possibilita',  le  condizioni  e  le modalita' per l'ammissibilita' a
sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio» (comma 26, lettera b);
entro i medesimi sessanta giorni, possono anche essere emanate «norme
per  la  definizione  del  procedimento  amministrativo  relativo  al
rilascio  del  titolo  abilitativo edilizio in sanatoria» (comma 33);
inoltre, nello stesso termine, puo' essere previsto, tra l'altro, «un
incremento  dell'oblazione  fino  al  massimo  del 10 per cento della
misura  determinata nella tabella C» (comma 33); ancora, e' possibile
aumentare  «gli  oneri  di  concessione  relativi  alle opere abusive
oggetto  di  sanatoria  [...]  fino  al  massimo  del 100 per cento»,
nonche'  individuare  modalita' di attuazione della norma secondo cui
chi  esegua in tutto o in parte le opere di urbanizzazione primaria o
secondaria   puo'   detrarre  dall'importo  complessivo  degli  oneri
concessori  quanto gia' versato a titolo di anticipazione (comma 34);
infine,  si  puo'  prevedere  l'obbligo  di  allegare alla domanda di
definizione  dell'illecito ulteriore documentazione rispetto a quella
gia' determinata dalla legge statale (comma 35, lettera c).
    18.   -   La   pluralita'   ed   eterogeneita'   dei  profili  di
costituzionalita'   sollevati   dalle   ricorrenti   rende  opportuno
esaminare,  in  via  prioritaria,  le  censure  mosse  nei  confronti
dell'intero  istituto  disciplinato dall'art. 32 oggetto del presente
giudizio e delle sue caratteristiche complessive. A tale riguardo, e'
ovviamente  preliminare  l'analisi  dei  rilievi di costituzionalita'
relativi alla fonte utilizzata.
    Le  Regioni  ricorrenti  hanno  anzitutto impugnato l'art. 32 del
d.l.  n. 269 del 2003 per asserito contrasto con l'art. 77 Cost., sia
per  carenza  dei  presupposti  di  necessita'  e urgenza, sia per la
disomogeneita'  del contenuto del decreto-legge, sia, infine, perche'
il  decreto-legge sarebbe inidoneo a porre i principi fondamentali di
cui  all'art. 117,  terzo  comma,  Cost. Inoltre, le ricorrenti hanno
negato  la  legittimita'  costituzionale  della  conversione in legge
dell'art. 32  ad  opera della legge n. 326 del 2003, in quanto i vizi
del  decreto-legge si ripercuoterebbero come vizi in procedendo sulla
stessa legge di conversione.
    Le questioni non sono fondate.
    Per   cio'  che  riguarda  in  particolare  l'art. 32  nel  testo
originario del decreto-legge n. 269 del 2003, non puo' negarsi che la
delicata  materia  del  condono  edilizio  potrebbe meritare una piu'
meditata  elaborazione tramite l'ordinario procedimento di formazione
delle leggi; al tempo stesso, peraltro, potrebbero essere addotti per
questo   particolare  istituto  anche  alcuni  specifici  motivi  per
un'immediata  adozione  ed  entrata  in  vigore  del testo normativo,
destinato  ad  avere - come prima esposto - efficacia sulle procedure
giurisdizionali  ed  amministrative  in  corso,  ma  soprattutto  per
evitare  o ridurre spinte alla modifica del disegno di legge sotto la
pressione di interessi favorevoli a nuove opere abusive.
    Se  a cio' si aggiunge che in questo caso sembra aver pure pesato
-   seppur   opinabilmente   -   la  necessita'  di  inserire  questo
provvedimento   in  un  assai  piu'  ampio  decreto-legge  intitolato
«Disposizioni  urgenti  per  favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento  dei conti pubblici», non puo' negarsi che ci si trovi
in un contesto nel quale la Corte costituzionale non puo' rilevare un
caso  di  «evidente  mancanza»  dei  presupposti  di  necessita' e di
urgenza  prescritti  dal secondo comma dell'art. 77 Cost., secondo la
sua  ormai  consolidata giurisprudenza in materia (fra le molte, cfr.
da ultimo la sentenza n. 341 del 2003 e la sentenza n. 6 del 2004).
    Quanto  poi alla presunta carenza di omogeneita' dell'oggetto del
decreto-legge, e' sufficiente rilevare che non si tratta di requisito
costituzionalmente   imposto   (seppur  opportunamente  previsto  dal
comma 3  dell'art. 15  della  legge  23 agosto  1988, n. 400, recante
«Disciplina dell'attivita' di Governo ed ordinamento della Presidenza
del Consiglio dei ministri»).
    In  ordine alla pretesa secondo la quale il decreto-legge sarebbe
una   fonte  strutturalmente  inidonea  alla  posizione  di  principi
fondamentali,  deve  essere  osservato  che questa Corte ha gia' piu'
volte  chiarito  che  «un  decreto-legge  puo'  di per se' costituire
legittimo esercizio dei poteri legislativi che la Costituzione affida
alla  competenza  statale,  ivi  compresa anche la determinazione dei
principi   fondamentali   nelle   materie   di  cui  al  terzo  comma
dell'art. 117 Cost.» (sentenza n. 6 del 2004).
    Tali  considerazioni,  peraltro,  valgono  anche  ad escludere la
lamentata  violazione  dell'art. 77  Cost.  da  parte  della legge di
conversione,  senza  che  occorra in questa sede prendere in esame la
possibilita'  secondo la quale i vizi del decreto-legge relativi alla
carenza  dei  presupposti  costituzionali  per  la  sua  adozione  si
riverberino  anche  su  quest'ultima  quali  vizi  in procedendo (sul
punto,  cfr.  comunque le sentenze n. 341 del 2003, n. 29 e n. 16 del
2002, n. 398 del 1998 e n. 330 del 1996).
    19.  - La Regione Marche, nel ricorso contro l'art. 32 convertito
dalla  legge  n. 326  del  2003,  ha  sollevato anche la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'intero  istituto  del  condono  in
riferimento   alla   presunta   lesione   dell'art. 79  Cost.,  cosi'
riproponendo  una  tesi  che  gia'  piu'  volte  in passato era stata
sostenuta   in   atti   introduttivi   di   giudizi  di  legittimita'
costituzionale.   In   base   a   tale   ricostruzione,   il  condono
costituirebbe  in  realta'  un tipo di amnistia impropria, che quindi
andrebbe prevista e disciplinata solo tramite una legge conforme alle
rigide prescrizioni di cui all'art. 79 Cost.
    La questione non e' fondata.
    L'assoluta  mancanza  di  nuove  argomentazioni  a  sostegno  del
rilievo  di  costituzionalita'  sollevato,  rispetto a quelle gia' in
passato  affrontate  da  questa  Corte, induce a confermare gli esiti
della precedente giurisprudenza: se nella sentenza n. 369 del 1988 si
era  negata la natura di amnistia impropria al condono, a causa della
«complessa  fattispecie  estintiva»  del  reato, che «viene ad essere
[...]  almeno  di  regola, costitutiva (di effetti amministrativi) ed
estintiva  (di  effetti penali)», e nella quale la non punibilita' si
produce «soltanto a seguito delle manifestazioni di concrete volonta'
degli  interessati  e  dell'autorita' amministrativa», nella sentenza
n. 427  del  1995 - adottata dopo la modificazione dell'art. 79 Cost.
ad  opera  della  legge  costituzionale  6 marzo 1992 n. 1 (Revisione
dell'art. 79 della Costituzione in materia di concessione di amnistia
e   indulto)  -  questa  tesi  e'  stata  esplicitamente  confermata,
sottolineandosi  inoltre come esistano nell'ordinamento casi di altre
leggi  determinanti  «lo  stesso effetto estintivo del reato prodotto
dal condono edilizio».
    D'altra  parte - come in precedenza evidenziato - l'attuale testo
dell'art. 45  del  d.P.R.  n. 380 del 2001 prevede un analogo effetto
estintivo  del reato a seguito del rilascio del permesso di costruire
in sanatoria ai sensi dell'art. 36 del medesimo d.P.R.
    20.  -  In  relazione  alle  censure di ordine sostanziale che le
ricorrenti  muovono  nei  confronti dell'intero istituto disciplinato
nelle  disposizioni impugnate, nonostante alcune di esse si rivolgano
a  contestare  la  stessa  ammissibilita'  di un condono edilizio, e'
opportuno  prendere  in  esame  anzitutto  i  rilievi  fondati  sulla
lamentata violazione del sistema costituzionale delle competenze, dal
momento  che  tutte le Regioni ricorrenti contestano primariamente la
legittimita'  costituzionale  dell'art. 32  sulle  base delle proprie
attribuzioni  costituzionali in tema di edilizia, di urbanistica o di
governo del territorio: se le Regioni ad autonomia ordinaria lo fanno
in  riferimento  ai commi terzo o quarto dell'art. 117 e all'art. 118
Cost.,   la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  lo  fa  in  riferimento
all'art. 4,  numero  12, e all'art. 8 della legge costituzionale n. 1
del 1963 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).
    Solo  la  Regione Campania e la Regione Marche sostengono la tesi
secondo  la  quale  il condono edilizio inciderebbe in una materia di
competenza   residuale   delle   Regioni   di  cui  al  quarto  comma
dell'art. 117  Cost.  (l'edilizia  o  l'urbanistica), mentre tutte le
Regioni  ad  autonomia  ordinaria  ritengono  che,  ove la disciplina
oggetto del presente giudizio dovesse essere collocata nell'ambito di
una  materia  affidata alla competenza concorrente di Stato e Regioni
(nel   caso   di   specie,   «governo   del   territorio»),  comunque
contrasterebbe con l'art. 117, terzo comma, Cost., per violazione dei
limiti  posti  da  tale  disposizione  al  legislatore statale. Cio',
innanzi  tutto,  in  quanto  l'art. 32  detterebbe  una  normativa di
dettaglio,  per  di  piu'  intrinsecamente  non  cedevole; in secondo
luogo,  a  causa della circostanza secondo la quale la stessa idea di
condono  edilizio,  in  quanto  disciplina  eccezionale,  non sarebbe
idonea  ad  essere  qualificata  quale  principio  fondamentale della
materia.
    Inoltre,  si  sostiene  che,  anche non contestandosi il pieno ed
esclusivo  potere  del  legislatore statale in materia penale, che lo
abilita  ad escludere la punibilita' di determinate condotte, sarebbe
inammissibile  che  la  legge  statale  incida  contestualmente sulla
sanzionabilita'  amministrativa  degli  illeciti  edilizi, che invece
spetta all'autonomia regionale in quanto relativa alla disciplina del
«governo del territorio».
    La Regione Friuli-Venezia Giulia sostiene che, disponendo essa di
competenza   legislativa   primaria   in   materia   di  urbanistica,
l'autonomia  regionale  in tale ambito potrebbe essere legittimamente
vincolata  esclusivamente  dalla  Costituzione, dai principi generali
dell'ordinamento  giuridico e dalle norme fondamentali delle leggi di
grande  riforma  economico-sociale,  tra le quali non potrebbe essere
annoverata  la  previsione  di un condono edilizio quale disciplinato
dall'art. 32 anche sul versante della disciplina urbanistica.
    A  loro  volta, alcune Regioni ad autonomia ordinaria (la Regione
Campania,  la  Regione  Marche  e la Regione Toscana) evidenziano che
alcune  parti  significative  della  disciplina  del  condono  di cui
all'art. 32  contrasterebbero  con il nuovo art. 118 Cost., specie in
riferimento  al  radicale svuotamento del principio di sussidiarieta'
che   deriverebbe   dalla   disciplina   impugnata   in   un   ambito
caratterizzato  sia  da funzioni indubbiamente proprie delle regioni,
che  da  un'area  di tradizionale titolarita' di funzioni di gestione
amministrativa  da  parte  dei  comuni.  Ne',  certo, la natura delle
funzioni  amministrative  di gestione in materia urbanistica potrebbe
legittimare  la  loro  attribuzione  al  livello centrale in nome del
principio  di  adeguatezza, come dimostrato dalla stessa legislazione
sul  condono, che le mantiene ai comuni pur vincolandone radicalmente
l'esercizio.
    I  suddetti  rilievi  appaiono  in  parte fondati, secondo quanto
meglio di seguito specificato.
    Il   condono   edilizio   di  tipo  straordinario,  quale  finora
configurato   nella   nostra   legislazione,   appare  essenzialmente
caratterizzato  dalla  volonta'  dello  Stato  di  intervenire in via
straordinaria  sul piano della esenzione dalla sanzionabilita' penale
nei  riguardi  dei  soggetti  che, avendo posto in essere determinate
tipologie  di  abusi edilizi, ne chiedano il condono tramite i comuni
direttamente  interessati,  assumendosi  l'onere del versamento della
relativa  oblazione  e  dei costi connessi all'eventuale rilascio del
titolo  abilitativo  edilizio in sanatoria, appositamente previsto da
questa legislazione.
    Non  vi  e' dubbio sul fatto che solo il legislatore statale puo'
incidere  sulla  sanzionabilita'  penale  (per  tutte, v. la sentenza
n. 487  del  1989)  e  che  esso,  specie  in  occasione di sanatorie
amministrative,  dispone  di assoluta discrezionalita' in materia «di
estinzione  del reato o della pena, o di non procedibilita» (sentenze
n. 327  del  2000,  n. 149  del 1999 e n. 167 del 1989). Peraltro, la
circostanza  che  il  comune  sia  titolare di fondamentali poteri di
gestione  e di controllo del territorio rende necessaria la sua piena
collaborazione  con  gli organi giurisdizionali, poiche', come questa
Corte   ha   affermato,   «il   giudice   penale  non  ha  competenza
`istituzionale'  per  compiere  l'accertamento  di  conformita' delle
opere  agli  strumenti  urbanistici» (sentenza n. 370 del 1988). Tale
doverosa  collaborazione  per concretizzare la scelta del legislatore
statale  di  porre  in  essere  un condono penale si impone quindi su
tutto   il   territorio   nazionale,   inerendo  alla  strumentazione
indispensabile per dare effettivita' a tale scelta.
    Al  tempo  stesso  rileva  la parallela sanatoria amministrativa,
anche  attraverso  la  previsione da parte del legislatore statale di
uno  straordinario titolo abilitativo edilizio, a causa dell'evidente
interesse  di coloro che abbiano edificato illegalmente ad un condono
su entrambi i versanti, quello penale e quello amministrativo; ma sul
piano  della  sanatoria  amministrativa  i vincoli che legittimamente
possono  imporsi all'autonomia legislativa delle Regioni, ordinarie e
speciali,  non  possono  che  essere  quelli  ammissibili  sulla base
rispettivamente delle disposizioni contenute nel nuovo art. 117 Cost.
e degli statuti speciali.
    Per  cio'  che  riguarda  l'art. 117  Cost., la giurisprudenza di
questa  Corte  ha gia' chiarito (cfr. le sentenze n. 303 e n. 362 del
2003)  che  nei  settori  dell'urbanistica  e  dell'edilizia i poteri
legislativi   regionali   sono   senz'altro  ascrivibili  alla  nuova
competenza di tipo concorrente in tema di «governo del territorio». E
se e' vero che la normativa sul condono edilizio di cui all'impugnato
art. 32   certamente   tocca  profili  tradizionalmente  appartenenti
all'urbanistica  e  all'edilizia, e' altresi' innegabile che essa non
si  esaurisce  in  tali  ambiti specifici ma coinvolge l'intera e ben
piu'  ampia disciplina del «governo del territorio» - che gia' questa
Corte  ha ritenuto comprensiva, in linea di principio, di «tutto cio'
che  attiene all'uso del territorio e alla localizzazione di impianti
o  attivita»  (cfr. sentenza n. 307 del 2003) - ossia l'insieme delle
norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base
ai  quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio.
Se  poi  si  considera anche l'indubbio collegamento della disciplina
con   la   materia   della  «valorizzazione  dei  beni  culturali  ed
ambientali», appare evidente che alle Regioni e' oggi riconosciuta al
riguardo  una  competenza  legislativa  piu'  ampia,  per oggetto, di
quella  contemplata  nell'originario testo dell'art. 117 Cost; cio' -
e'  bene  ricordarlo  - mentre le potesta' legislative dello Stato di
tipo  esclusivo,  di  cui  al secondo comma dell'art. 117 Cost., sono
state consapevolmente inserite entro un elenco conchiuso.
    Inoltre,  nel  nuovo  art. 118  Cost.  per  la  prima volta si e'
stabilito che, in virtu' del principio di sussidiarieta' garantito in
una  disposizione  costituzionale, i comuni sono normalmente titolari
delle funzioni di gestione amministrativa, riconoscendosi inoltre che
«i  Comuni,  le  Province  e le Citta' metropolitane sono titolari di
funzioni  amministrative  proprie».  A sua volta, il quarto comma del
nuovo  art. 119  Cost.  per  la  prima  volta  afferma che le normali
entrate  dei comuni devono consentire «di finanziare integralmente le
funzioni pubbliche loro attribuite».
    Tutto  cio'  implica  necessariamente  che,  in  riferimento alla
disciplina del condono edilizio (per la parte non inerente ai profili
penalistici,  integralmente  sottratti  al legislatore regionale, ivi
compresa  -  come gia' affermato in precedenza - la collaborazione al
procedimento  delle  amministrazioni  comunali), solo alcuni limitati
contenuti  di  principio  di  questa  legislazione  possono ritenersi
sottratti  alla  disponibilita' dei legislatori regionali, cui spetta
il  potere  concorrente  di  cui  al nuovo art. 117 Cost. (ad esempio
certamente la previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria
di  cui  al  comma 1  dell'art. 32,  il  limite  temporale massimo di
realizzazione   delle  opere  condonabili,  la  determinazione  delle
volumetrie  massime  condonabili).  Per  tutti  i restanti profili e'
invece  necessario  riconoscere  al  legislatore  regionale  un ruolo
rilevante  - piu' ampio che nel periodo precedente - di articolazione
e  specificazione  delle disposizioni dettate dal legislatore statale
in tema di condono sul versante amministrativo.
    Al  tempo  stesso,  se  i comuni possono, nei limiti della legge,
provvedere  a  sanare  sul piano amministrativo gli illeciti edilizi,
viene  in  evidente  rilievo  l'inammissibilita'  di una legislazione
statale  che determini anche la misura dell'anticipazione degli oneri
concessori   e   le  relative  modalita'  di  versamento  ai  comuni;
d'altronde,  l'ordinaria  disciplina vigente attribuisce il potere di
determinare  l'ammontare  degli  oneri concessori agli stessi comuni,
sulla  base  della  legge  regionale  (art. 16  del d.P.R. n. 380 del
2001).
    Per  cio'  che  riguarda le Regioni ad autonomia particolare, ove
nei  rispettivi  statuti  si prevedano competenze legislative di tipo
primario,  lo  spazio di intervento affidato al legislatore regionale
appare  maggiore,  perche'  in  questo  caso  possono operare solo il
limite  della  «materia  penale»  (comprensivo  delle  connesse  fasi
procedimentali)  e quanto e' immediatamente riferibile ai principi di
questo   intervento   eccezionale  di  «grande  riforma»  (il  titolo
abilitativo  edilizio  in  sanatoria,  la  determinazione massima dei
fenomeni  condonabili),  mentre  spetta  al  legislatore regionale la
eventuale indicazione di ulteriori limiti al condono, derivanti dalla
sua  legislazione  sulla  gestione  del territorio: d'altra parte, su
questo piano esiste il precedente costituito dalla sentenza di questa
Corte  n. 418  del 1995, pronunciata appunto in relazione al rapporto
tra  le competenze statali relative al condono edilizio del 1994 e le
competenze  della  Provincia autonoma di Trento, dotata in materia di
potesta' legislativa primaria.
    E'   significativo   che   questa   stessa   sentenza   prendesse
positivamente  atto  dell'avvenuta adozione, nelle more del giudizio,
della  legge  della Provincia autonoma di Trento 18 aprile 1995, n. 5
(Definizione agevolata delle violazioni edilizie - condono edilizio),
che,  determinando  «disposizioni di coordinamento per l'applicazione
nel  territorio  nella  Provincia  delle norme contenute nell'art. 39
della  legge  23 dicembre  1994,  n. 724», subordinava la sanabilita'
amministrativa  delle  opere  abusive  anche al rispetto di tutta una
serie di vincoli determinati dalla legislazione provinciale (cfr., in
particolare,   gli  artt. 1  e  8),  da  accertare  tramite  speciali
procedimenti  dell'amministrazione  provinciale, con esiti vincolanti
per le amministrazioni comunali (cfr. gli articoli 5, 6 e 7).
    Questa   legislazione   conferma,   in  una  particolare  realta'
territoriale,  quella  che  e' una piu' generale caratteristica della
legislazione  sul  condono,  nella  quale normalmente quest'ultimo ha
effetti   sia   sul   piano  penale  che  sul  piano  delle  sanzioni
amministrative,  ma  che non esclude la possibilita' che le procedure
finalizzate  al conseguimento dell'esenzione dalla punibilita' penale
si applichino ad un maggior numero di opere edilizie abusive rispetto
a  quelle  per  le quali operano gli effetti estintivi degli illeciti
amministrativi;   cio'   e'   reso   d'altra   parte  evidente  nelle
disposizioni  dello  stesso  capo IV  della  legge  n. 47 del 1985, e
successive  modificazioni e integrazioni, che nell'art. 38 disciplina
separatamente,  al  secondo  ed  al  quarto  comma, i presupposti del
condono    penale    (il   versamento   dell'intera   oblazione)   ed
amministrativo (il conseguimento del titolo abilitativo in sanatoria)
e  nell'art. 39  prevede  che,  ove si sia effettuata l'oblazione, si
produca  comunque  l'estinzione  dei  reati  anche  ove «le opere non
possano conseguire la sanatoria».
    D'altra  parte, anche l'art. 32 impugnato prevede, al comma 36, i
presupposti  per il verificarsi dell'effetto estintivo penale, mentre
i  diversi presupposti per il conseguimento del titolo abilitativo in
sanatoria  sono  regolati  dal  comma 37, cosi' confermando che i due
effetti possono essere indipendenti l'uno dall'altro, dal momento che
l'effetto   penale   si   produce   a   prescindere  dall'intervenuta
concessione  della  sanatoria  amministrativa e anche se la sanatoria
amministrativa non possa essere concessa.
    21.  - L'insieme delle considerazioni fin qui sviluppate induce a
ritenere  alcune  parti  della  nuova disciplina del condono edilizio
contenuta  nell'art. 32 impugnato contrastanti con gli articoli 117 e
118  Cost.,  per cio' che riguarda le Regioni ad autonomia ordinaria,
nonche'  con  gli  artt. 4, numero 12, e 8 della legge costituzionale
n. 1  del  1963,  per  cio'  che  riguarda  la Regione Friuli-Venezia
Giulia:   cio'   perche'   questa  norma,  in  particolare,  comprime
l'autonomia  legislativa delle Regioni, impedendo loro di fare scelte
diverse  da  quelle  del legislatore nazionale, ancorche' nell'ambito
dei principi legislativi da questo determinati.
    L'individuazione  di  profili  di sicura competenza statale nella
disciplina   in  esame,  sia  per  la  parte  relativa  agli  aspetti
penalistici  sia  per  la  parte  relativa  alla  determinazione  dei
principi  fondamentali  sul  governo  del territorio, inducono questa
Corte  ad  una  dichiarazione  di  illegittimita' costituzionale solo
parziale,  limitandola  a  quelle  disposizioni del testo legislativo
che,  in  contraddizione  con  gli  stessi enunciati dell'art. 32 (il
comma 3  afferma  che  «le  condizioni,  i  limiti e le modalita' del
rilascio  del predetto titolo abilitativo sono stabilite dal presente
articolo  e  dalle normative regionali», mentre il comma 4 stabilisce
che  «sono  in  ogni  caso  fatte salve le competenze delle Regioni a
statuto  speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano»),
escludono  il legislatore regionale da ambiti materiali che invece ad
esso   spettano,  sulla  base  delle  disposizioni  costituzionali  e
statutarie.
    Il   riconoscimento  in  capo alle  regioni  di  adeguati  poteri
legislativi,   da   esercitare   entro   termini   congrui,  rafforza
indirettamente   anche   il   ruolo   dei  comuni,  dal  momento  che
indubbiamente  questi  possono  influire sul procedimento legislativo
regionale   in   materia,  sia  informalmente  sia,  in  particolare,
usufruendo  dei  vari  strumenti  di  partecipazione  previsti  dagli
statuti  e  dalla  legislazione  delle Regioni (in anticipazione o in
attuazione   di   quanto   ora   previsto   dal  nuovo  quarto  comma
dell'art. 123 Cost.).
    Alla  stregua  di  quanto  sopra  detto,  deve  essere dichiarato
costituzionalmente  illegittimo  anzitutto  il comma 26 dell'art. 32,
nella  parte  in  cui  non  prevede  che  la  legge  regionale  possa
determinare  la  possibilita',  le  condizioni  e  le  modalita'  per
l'ammissibilita'  a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio
di cui all'allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003.
    Analoga   dichiarazione   di   illegittimita'  costituzionale  va
pronunziata  per  il  comma 25  dell'art. 32,  nella parte in cui non
prevede  che  la legge regionale di cui al comma 26 possa determinare
limiti   volumetrici  inferiori  a  quelli  indicati  nella  medesima
disposizione.
    In terzo luogo, i possibili diversi limiti opponibili dalla legge
regionale  non  possono non riguardare anche quelle opere situate nel
territorio  regionale  cui i commi 14 e seguenti dell'art. 32 rendono
applicabile  il  condono, malgrado si tratti di beni che insistono su
aree  di  proprieta' dello Stato o facenti parte del demanio statale:
da   cio'  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  del
comma 14,  nella  parte  in cui non prevede che la legge regionale di
cui  al  comma 26 si applichi anche a questa categoria particolare di
opere.
    In  quarto  luogo,  appare  del  tutto  incongrua,  rispetto alla
complessita'  delle  scelte  spettanti  alle  autonomie regionali, la
determinazione  nel  comma 33  di  un  termine perentorio di sessanta
giorni - connesso alla previsione di cui alla lettera b) del comma 26
-  entro  il  quale  le  Regioni dovrebbero esercitare il loro potere
normativo;  da cio' la dichiarazione di illegittimita' costituzionale
dell'inciso  «entro  sessanta  giorni dalla data di entrata in vigore
del  presente decreto» e la necessita' che esso sia sostituito con il
rinvio esplicito alla legge regionale di cui al comma 26.
    In  quinto  luogo,  va altresi' dichiarata la incostituzionalita'
del  comma 37,  nella parte in cui non prevede che la legge regionale
di  cui  al  comma 26 possa disciplinare diversamente gli effetti del
silenzio, protratto oltre il termine ivi previsto, del comune cui gli
interessati abbiano presentato la documentazione richiesta.
    In sesto luogo, va dichiarata l'illegittimita' costituzionale del
comma 38,  nella  parte  in  cui  prevede  che sia l'Allegato 1 dello
stesso  d.l.  n. 269  del 2003, anziche' la legge regionale di cui al
comma 26,  a  determinare  la  misura  dell'anticipazione degli oneri
concessori,    nonche'   le   relative   modalita'   di   versamento;
conseguentemente,  e' da dichiarare costituzionalmente illegittimo lo
stesso   allegato   1,   nelle  parti  in  cui  determina  la  misura
dell'anticipazione  degli oneri concessori e le relative modalita' di
versamento.
    In   settimo   luogo,  deve  essere  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 32 impugnato, nella parte in cui non prevede
che  la legge regionale di cui al comma 26 debba essere emanata entro
un congruo termine da stabilirsi ad opera del legislatore statale.
    Infatti, il necessario riconoscimento del ruolo legislativo delle
regioni  nella  attuazione  della  legislazione  sul condono edilizio
straordinario  esige,  ai  fini  dell'operativita' della normativa in
esame,  che  il legislatore nazionale provveda alla rapida fissazione
di  un  termine,  che  dovra'  essere congruo perche' le regioni e le
province  autonome  possano  determinare  tutte le specificazioni cui
sono chiamate dall'art. 32 - quale risultante dalla presente sentenza
-  sulla  base  del  dettato  costituzionale e dei rispettivi statuti
speciali.  Il  legislatore  nazionale  dovra'  inoltre  provvedere  a
ridefinire i termini previsti, per gli interessati, nei commi 15 e 32
dell'art. 32,  nonche'  nell'allegato  1  al  d.l.  n. 269  del 2003,
convertito  in legge ad opera della legge n. 326 del 2003, di recente
gia' prorogati dal d.l. n. 82 del 2004, convertito dalla legge n. 141
del  2004 (cio' ovviamente facendo salve le domande gia' presentate).
E'  peraltro evidente che la facolta' degli interessati di presentare
la  domanda  di  condono  dovra'  essere  esercitabile  in un termine
ragionevole  a  partire  dalla scadenza del termine ultimo posto alle
Regioni per l'esercizio del loro potere legislativo.
    In   considerazione   della  particolare  struttura  del  condono
edilizio  straordinario  qui  esaminato, che presuppone un'accentuata
integrazione  fra  il legislatore statale ed i legislatori regionali,
l'adozione  della legislazione da parte delle Regioni appare non solo
opportuna,  ma  doverosa e da esercitare entro il termine determinato
dal  legislatore  nazionale;  nell'ipotesi  limite  che una Regione o
Provincia  autonoma  non  eserciti  il  proprio potere legislativo in
materia   nel   termine   massimo  prescritto,  a  prescindere  dalla
considerazione  se cio' costituisca, nel caso concreto, un'ipotesi di
grave  violazione  della leale cooperazione che deve caratterizzare i
rapporti  fra Regioni e Stato, non potra' che trovare applicazione la
disciplina  dell'art. 32  e dell'allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003,
cosi'  come  convertito  in  legge dalla legge n. 326 del 2003 (fatti
salvi i nuovi termini per gli interessati).
    Le  suddette  considerazioni  assorbono  i rilievi mossi contro i
commi 1, 2, 3 e 4 dell'art. 32.
    22.   -   Le  conclusioni  appena  raggiunte  circa  la  parziale
illegittimita'   costituzionale   delle  disposizioni  impugnate  per
violazione  delle  attribuzioni  costituzionalmente riconosciute alle
autonomie  regionali non possono non influire sulla valutazione delle
ulteriori  e  piu'  generali  censure  di ordine sostanziale proposte
dalle Regioni ricorrenti.
    23.  -  Alcune delle Regioni ricorrenti contestano la complessiva
legittimita'  costituzionale  della  nuova  legislazione  sul condono
edilizio  poiche'  opererebbe un illegittimo bilanciamento fra valori
costituzionali  primari  ed altri interessi pubblici: in particolare,
si  sacrificherebbe irrimediabilmente la tutela dei beni ambientali e
paesaggistici  di  cui  al  secondo  comma  dell'art. 9  Cost., cosi'
violando  anche  l'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,  che  affida alla
competenza  regionale  la  valorizzazione  dei  beni  ambientali.  La
giurisprudenza   costituzionale   avrebbe   elaborato  un  «principio
costituzionale  di  indisponibilita'  dei  valori  costituzionalmente
tutelati»;  conseguentemente, il valore costituzionale di un ordinato
assetto  del  territorio  non  potrebbe  «essere scambiato con valori
puramente   finanziari»,   come  invece  avverrebbe  nel  caso  della
sanatoria edilizia.
    La questione non e' fondata.
    Non v'e' dubbio che gli interessi coinvolti nel condono edilizio,
in  particolare quelli relativi alla tutela del paesaggio come «forma
del   territorio   e   dell'ambiente»,   siano   stati  ripetutamente
qualificati  da  questa  Corte  come  «valori costituzionali primari»
(cfr.,  tra le molte, le sentenze n. 151 del 1986, n. 359 e n. 94 del
1985);  primarieta'  che  la  stessa giurisprudenza costituzionale ha
esplicitamente  definito come «insuscettibilita' di subordinazione ad
ogni  altro  valore  costituzionalmente tutelato, ivi compresi quelli
economici»  (in  questi  termini,  v. sentenza n. 151 del 1986). Tale
affermazione  rende evidente che questa «primarieta» non legittima un
primato  assoluto  in  una  ipotetica  scala  gerarchica  dei  valori
costituzionali,  ma  origina  la  necessita'  che essi debbano sempre
essere presi in considerazione nei concreti bilanciamenti operati dal
legislatore  ordinario  e  dalle  pubbliche amministrazioni; in altri
termini, la «primarieta» degli interessi che assurgono alla qualifica
di  «valori  costituzionali» non puo' che implicare l'esigenza di una
compiuta ed esplicita rappresentazione di tali interessi nei processi
decisionali  all'interno  dei  quali  si  esprime la discrezionalita'
delle scelte politiche o amministrative.
    Il   bilanciamento   che   nel   caso   di   specie  verrebbe  in
considerazione,  secondo  le  ricorrenti,  e'  quello  tra  i  valori
tutelati  in base all'art. 9 Cost. e le esigenze di finanza pubblica;
a  questo proposito, pero', le Regioni ritengono che nella disciplina
impugnata  si  opererebbe  una  totale  e  definitiva  compromissione
dell'interesse  paesistico-ambientale:  cio'  in  quanto  uno dei due
interessi (quello relativo alla tutela dell'ambiente, del paesaggio e
del  territorio) apparirebbe, a differenza dell'altro, sacrificato in
via  del tutto definitiva (e cio' a differenza di altri condoni, come
quello fiscale, che pure comportano effetti di clemenza penale).
    In  realta',  questa  Corte,  nella sua copiosa giurisprudenza in
tema di condono edilizio, ha piu' volte riconosciuto - in particolare
nella sentenza n. 85 del 1998 - come in un settore del genere vengano
in   rilievo   una  pluralita'  di  interessi  pubblici,  che  devono
necessariamente  trovare  un  punto di equilibrio, poiche' il fine di
questa  legislazione  e'  quello di realizzare un contemperamento dei
valori  in  gioco: quelli del paesaggio, della cultura, della salute,
della  conformita'  dell'iniziativa  economica  privata  all'utilita'
sociale,  della  funzione  sociale  della  proprieta' da una parte, e
quelli,  pure  di  fondamentale  rilevanza  sul  piano della dignita'
umana,  dell'abitazione e del lavoro, dall'altra (sentenze n. 302 del
1996 e n. 427 del 1995).
    Alla  luce  di  tali  considerazioni,  la  disciplina del condono
edilizio  di  cui  all'art. 32  impugnato, come risultante dalle gia'
argomentate  dichiarazioni  di illegittimita' costituzionale parziale
(che  ne  determinano,  tra  l'altro,  la  sostanziale discontinuita'
rispetto ai precedenti condoni del 1985 e del 1994), non appare, allo
stato  attuale,  in  contrasto  con la primarieta' dei valori sanciti
nell'art. 9   Cost.   E'   infatti  evidente  che  la  tutela  di  un
fondamentale  valore costituzionale sara' tanto piu' effettiva quanto
piu'  risulti  garantito  che  tutti  i soggetti istituzionali cui la
Costituzione   affida  poteri  legislativi  ed  amministrativi  siano
chiamati  a contribuire al bilanciamento dei diversi valori in gioco.
E  il doveroso riconoscimento alla legislazione regionale di un ruolo
specificativo  -  all'interno  delle  scelte riservate al legislatore
nazionale  - delle norme in tema di condono contribuisce senza dubbio
a  rafforzare  la  piu'  attenta e specifica considerazione di quegli
interessi pubblici, come la tutela dell'ambiente e del paesaggio, che
sono  -  per loro natura - i piu' esposti a rischio di compromissione
da parte delle legislazioni sui condoni edilizi.
    24.  -  Non  pochi  rilievi  di costituzionalita' sollevati dalle
Regioni  concernono la violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo
della   pretesa  irragionevolezza  del  nuovo  condono  edilizio,  in
relazione  ad  una  serie  di  elementi  convergenti,  essenzialmente
caratterizzati dalla mancata considerazione, da parte del legislatore
statale,  dei mutamenti che si sono prodotti nel periodo piu' recente
nella  legislazione  e  nella  gestione  urbanistica. In sostanza, la
attuale  disciplina  in  tema  di  condono  edilizio  si  porrebbe in
contrasto  con  il principio di ragionevolezza, poiche' mancherebbero
del  tutto  quelle  circostanze  eccezionali  che,  nelle  precedenti
situazioni,  avevano  portato  la  Corte  costituzionale  a  ritenere
giustificata  la  sanatoria; inoltre, l'irragionevolezza scaturirebbe
dalla  inidoneita'  intrinseca  dello  strumento  rispetto agli scopi
perseguiti in modo esplicito o implicito.
    Le  predette argomentazioni sono basate sulla circostanza secondo
la  quale,  nelle precedenti occasioni, il condono era stato ritenuto
strumento   costituzionalmente  accettabile  in  quanto  inteso  come
«chiusura  di  una  epoca  di  illegalita' e punto di partenza di una
nuova  legalita»;  e cio' in considerazione sia delle caratteristiche
della  normativa urbanistica allora in vigore, che appariva arcaica e
farraginosa,  sia della evidente incapacita' dei comuni di assicurare
il rispetto della medesima normativa.
    Secondo  le  ricorrenti, invece, occorrerebbe prendere atto che -
al  momento  attuale  -  da  una  parte  la ripetizione nel tempo del
condono vanificherebbe i suoi effetti positivi, rinviando di continuo
il  punto  di «ripartenza» della nuova legalita', mentre, dall'altra,
sarebbe venuta meno quella situazione di farraginosita' normativa che
aveva  giustificato  la  sanatoria  del  1985  e  che  gia'  nel 1994
(sentenza   n. 427  del  1995)  non  era  piu'  considerata  elemento
rilevante.  Inoltre,  nel  periodo  piu'  recente  si  sarebbe potuto
registrare  non  solo  il  consolidamento  della  nuova  legislazione
urbanistica,   specie   tramite  l'adozione  del  testo  unico  delle
disposizioni  legislative  e regolamentari in materia edilizia di cui
al d.P.R. n. 380 del 2001, ma anche un significativo incremento delle
attivita'  di  repressione degli illeciti edilizi e dunque un aumento
del tasso complessivo di legalita' nel settore.
    Conseguentemente,  la  disciplina  di  sanatoria in esame, per le
ricorrenti, da un lato sarebbe priva degli antichi presupposti che ne
potevano  sorreggere l'intrinseca adeguatezza rispetto agli obiettivi
di  riassetto  del territorio, dall'altro assumerebbe inevitabilmente
una  potenzialita' dannosa rispetto ai medesimi obiettivi, poiche' si
vanificherebbe  quanto  fino  ad  oggi  e'  stato  realizzato  con il
decisivo apporto delle autonomie territoriali.
    In relazione agli obiettivi impliciti (l'entrata finanziaria), le
Regioni  ricorrenti  affermano  che  la quantificazione delle risorse
acquisibili  alle  casse dello Stato risulterebbe fondata su elementi
assolutamente  incerti  e  aleatori; in secondo luogo, si afferma che
alle  entrate programmate dovrebbero corrispondere certamente ingenti
oneri  di  spesa  aggiuntiva  a carico degli enti territoriali per la
realizzazione delle opere di urbanizzazione e per la riqualificazione
del territorio, oneri che non sarebbero stati stimati esattamente dal
legislatore  statale, cosi' impedendo ogni corretto bilanciamento dei
valori costituzionali in gioco.
    Le questioni, nei termini appena precisati, non sono fondate.
    Questa  Corte,  nella  gia'  richiamata giurisprudenza in tema di
condono  edilizio,  ha  piu'  volte  messo in evidenza che fondamento
giustificativo  di  questa  legislazione  e'  stata  la necessita' di
«chiudere  un passato illegale» in attesa di poter infine giungere ad
una  repressione  efficace  dell'abusivismo edilizio, pur se non sono
state  estranee  a  simili  legislazioni anche «ragioni contingenti e
straordinarie  di  natura  finanziaria»  (tra le altre, cfr. sentenze
n. 256 del 1996, n. 427 del 1995 e n. 369 del 1988, nonche' ordinanza
n. 174 del 2002).
    Cio' a giustificazione di un provvedimento normativo senza dubbio
eccezionale  e  straordinario,  che deve trovare la propria ratio sia
nella  «persistenza  del  fenomeno  dell'abusivismo,  con conseguente
esigenza di recupero della legalita», sia nella imputabilita' di tale
fenomeno   di  abusivismo  «almeno  in  parte,  proprio  alla  scarsa
incisivita'  e  tempestivita' dell'azione di controllo del territorio
da parte degli enti locali e delle Regioni» (cfr. sentenza n. 256 del
1996 e, analogamente, sentenze n. 302 del 1996 e n. 270 del 1996).
    Su  questo  piano,  non  puo' negarsi che la legislazione statale
negli   ultimi   anni  sia  profondamente  mutata,  prevedendo  ormai
strumenti preventivi e repressivi adeguati, e che abbia trovato anche
una  sua  relativa  stabilizzazione  nel  recente  testo  unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia adottato
con  d.P.R.  n. 380  del  2001  (non  a caso, il comma 2 dello stesso
art. 32  impugnato si riferisce appunto - seppur con norma contestata
dalle  ricorrenti ed alla quale si fara' riferimento oltre - a questo
testo  unico  come  ad una fonte idonea a creare discontinuita' nella
stessa legittimazione ad adottare un condono edilizio).
    Al  tempo stesso, non poche realta' comunali e regionali sembrano
aver  assunto linee di politica amministrativa e legislativa coerenti
con  un'azione  di contrasto dell'abusivismo edilizio, anche se certo
non in modo omogeneo in tutto il territorio nazionale.
    In   realta',   la  giurisprudenza  di  questa  Corte  ha  sempre
considerato   ogni   condono  edilizio,  che  incide  -  come  si  e'
ripetutamente  sottolineato  -  sulla  sanzionabilita' penale e sulla
stessa   certezza   del  diritto,  nonche'  sulla  tutela  di  valori
essenziali come il paesaggio e l'equilibrato sviluppo del territorio,
solo   come   un  istituto  «a  carattere  contingente  e  del  tutto
eccezionale»  (in  tale senso, ad esempio, sentenze n. 427 del 1995 e
n. 416  del  1995), ammissibile solo «negli stretti limiti consentiti
dal  sistema  costituzionale»  (sentenza n. 369 del 1988), dovendo in
altre   parole   «trovare   giustificazione   in   un   principio  di
ragionevolezza» (sentenza n. 427 del 1995).
    Pertanto   questa   Corte,   specie   dinanzi   alla  sostanziale
reiterazione  -  tramite  l'art. 39 della legge n. 724 del 1994 - del
condono  edilizio  degli anni ottanta, piu' volte ha ammonito che non
avrebbe   superato  il  vaglio  di  costituzionalita'  una  ulteriore
reiterazione  sostanziale della preesistente legislazione del condono
(fra  le  molte,  cfr.  sentenze  n. 427  del 1995 e n. 416 del 1995,
nonche' ordinanze n. 174 del 2002, n. 45 del 2001 e n. 395 del 1996).
    Tali   affermazioni,  tuttavia,  non  implicano  l'illegittimita'
costituzionale  di  ogni  tipo di condono edilizio straordinario, mai
affermata da questa Corte.
    Piuttosto,  occorre  uno  stretto  esame di costituzionalita' del
testo  legislativo  che preveda un nuovo condono edilizio, al fine di
individuare   un   ragionevole   fondamento,   nonche'   elementi  di
discontinuita'  rispetto  ai  precedenti  condoni edilizi, in modo da
evitare  l'obiezione  secondo  cui  si sarebbe in realta' prodotto un
vero   e   proprio   ordinamento   legislativo   stabile,  diverso  e
contrapposto  a quello ordinario, della cui gestione per di piu' sono
in larga parte titolari soggetti istituzionali diversi dallo Stato.
    Sottoponendo l'art. 32 oggetto del presente giudizio all'esame se
sussista una giustificazione del condono, rileva il comma 2 di questo
articolo,  il  quale  esprime  -  seppure  con  linguaggio  in  parte
improprio  -  l'opportunita'  che  si  preveda  ancora  una  volta un
intervento   straordinario  di  condono  edilizio  nelle  contingenze
particolari  della  recente  entrata  in vigore del testo unico delle
disposizioni  in  materia  edilizia  (che  - tra l'altro - disciplina
analiticamente  la vigilanza sull'attivita' urbanistico-edilizia e le
relative  responsabilita' e sanzioni), nonche' dell'entrata in vigore
del  nuovo  Titolo  V  della  seconda  Parte  della Costituzione, che
consolida ulteriormente nelle regioni e negli enti locali la politica
di  gestione  del  territorio.  In  tale  particolare  contesto,  pur
trattandosi  ovviamente  di scelta nel merito opinabile, non sembrano
rilevare  elementi  di  irragionevolezza  tali  da  condurre  ad  una
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 32.
    In  realta',  il  comma 2  dell'art. 32  e' stato interpretato da
alcune  ricorrenti  come  finalizzato  a  sospendere  l'esercizio dei
poteri  legislativi delle stesse Regioni «nelle more dell'adeguamento
della  disciplina  regionale ai principi contenuti nel testo unico» e
quindi   a   legittimare   l'intervento   legislativo   statale,  che
supplirebbe   al   mancato   intervento   delle   Regioni.  Peraltro,
un'interpretazione  del  genere  urterebbe  in modo palese sia con la
nuova  disciplina  costituzionale,  che non subordina l'esercizio dei
poteri regionali al previo recepimento dei principi fondamentali, sia
con  l'indirizzo  giurisprudenziale  di questa Corte sul principio di
continuita'  legislativa (cfr. fra le altre, sentenze n. 383 e n. 376
del 2002, nonche' ordinanza n. 270 del 2003).
    Da cio' la necessita' che, invece, al comma 2 dell'art. 32 si dia
l'interpretazione    prima   esposta,   compatibile   con   l'attuale
ordinamento  costituzionale,  tra  l'altro cosi' valorizzando il dato
testuale  dell'inciso  in  esso contenuto «in conformita' al titolo V
della Costituzione».
    25.  -  Quanto  agli altri rilievi di costituzionalita' formulati
dalle  Regioni  ricorrenti in relazione alla complessiva normativa di
cui  all'art. 32,  va  anzitutto  fatto  riferimento a quello fondato
sulla  pretesa  violazione  del  giudicato  costituzionale e cioe' di
quanto  previsto  dal  terzo  comma  dell'art. 137  Cost.: a tal fine
vengono  citate,  in  particolare,  le sentenze n. 427 e n. 416 e del
1995,  n. 231  del  1993,  n. 369  e n. 302 del 1988, con cui sarebbe
stato  «attribuito al regime di sanatoria [...] carattere episodico e
delimitato temporalmente», pena la sua illegittimita' costituzionale.
    La questione non e' fondata.
    Anche  volendosi  prescindere  dal  fatto  che, come affermato in
precedenza,  la  giurisprudenza  di  questa  Corte  non  puo'  essere
interpretata    come    assolutamente    preclusiva   rispetto   alla
ammissibilita'  di  condoni edilizi straordinari, la censura e' priva
di  fondamento, in quanto l'ultimo comma dell'art. 137 Cost. non puo'
essere  riferito  ad  un nuovo atto legislativo ritenuto contrastante
con  precedenti  affermazioni  di questa Corte relative ad altri atti
legislativi.
    26.   -   Le   ricorrenti   sostengono,  inoltre,  che  l'art. 32
contrasterebbe  con  l'art. 119  Cost., in quanto il condono edilizio
previsto dalla normativa impugnata sarebbe stato disposto in vista di
esigenze  finanziarie  del  bilancio  statale, ma comporterebbe spese
particolarmente  ingenti,  di  vario  genere,  a carico delle finanze
comunali,   a  fronte  di  una  compartecipazione  al  gettito  delle
operazioni di condono che sarebbe decisamente esigua.
    La questione non e' fondata.
    All'evidente  interesse  dello  Stato  agli introiti straordinari
derivanti dall'oblazione (solo parzialmente ridotti dalla previsione,
di cui al comma 41, secondo cui spetta ai comuni la meta' delle somme
riscosse  a  conguaglio  dell'oblazione), corrispondono, nell'art. 32
impugnato,  quattro  diverse  forme  di  possibile  incremento  delle
finanze  locali, previste dai commi 33, 34, 40 e 41; tali entrate non
solo   sono   di   ardua   quantificazione,   ma  sono  difficilmente
raffrontabili   con  gli  impegni  finanziari  delle  amministrazioni
comunali  conseguenti  all'applicazione  del condono edilizio (a loro
volta  di  incerta  entita).  Inoltre,  l'attribuzione al legislatore
regionale  del  potere  di  specificare la disciplina del condono sul
piano  amministrativo, secondo quanto esposto al precedente punto 21,
potra'  far  considerare  in  questa legislazione regionale i profili
attinenti alle conseguenze del condono sulle finanze comunali.
    27.   -   In   relazione  alla  censura  concernente  la  pretesa
illegittimita'   costituzionale   dell'art. 32,  per  violazione  del
principio  di leale collaborazione nei procedimenti legislativi - che
sarebbe affermato o deducibile dall'art. 2 del d.lgs. n. 281 del 1997
-   e   del   principio   costituzionale   che   prescriverebbe   «la
partecipazione  regionale  al  procedimento  legislativo  delle leggi
statali   ordinarie,   quando   queste  intervengono  in  materia  di
competenza  concorrente»,  che  sarebbe desumibile dall'art. 11 della
legge  costituzionale  n. 3  del  2001,  secondo  le  ricorrenti tale
violazione  sarebbe  resa  palese  dal  fatto che le Regioni non sono
state  consultate  attraverso la conferenza Stato-Regioni ne' in sede
di adozione del decreto-legge, ne' in sede di adozione del disegno di
legge di conversione.
    La questione non e' fondata.
    Cio'   anzitutto  perche'  non  e'  individuabile  un  fondamento
costituzionale  dell'obbligo  di  procedure legislative ispirate alla
leale  collaborazione tra Stato e Regioni (ne' risulta sufficiente il
sommario  riferimento all'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del
2001).
    Quanto  alla  disciplina  contenuta nell'art. 2 del d.lgs. n. 281
del  1997  (atto normativo primario), essa prevede solo un parere non
vincolante della Conferenza Stato-Regioni sugli «schemi di disegni di
legge  e di decreto legislativo o di regolamento», mentre non prevede
ovviamente  nulla  di analogo per i decreti-legge, la cui adozione e'
consentita,  ai  sensi  dell'art. 77,  secondo comma, Cost., solo «in
casi  straordinari  di necessita' e di urgenza»; ne' e' pensabile che
il  parere  della  Conferenza  Stato-Regioni possa essere chiesto sul
disegno   di   legge  di  conversione,  che  deve  essere  presentato
immediatamente  alle  Camere e non puo' che avere il contenuto tipico
di un testo di conversione. In relazione alla previsione, nel comma 5
dell'art. 2  del d.lgs. n. 281 del 1997, che il Governo debba sentire
la   conferenza   Stato-Regioni  successivamente,  nella  fase  della
conversione  dei  decreti-legge,  la  procedura  ivi  prevista appare
configurata come una mera eventualita'.
    28.  -  Debbono  a  questo  punto  essere esaminati gli specifici
profili  di censura di singole disposizioni avanzati dalle ricorrenti
nell'ipotesi in cui questa Corte non avesse dichiarato la complessiva
illegittimita' costituzionale dell'art. 32.
    Al  riguardo sono da considerare assorbiti non soltanto i rilievi
relativi   alle   disposizioni  in  precedenza  dichiarate  in  parte
costituzionalmente  illegittime  -  commi 25,  26  e 37 - ma anche la
specifica  impugnazione del comma 35 (relativo alla documentazione da
allegare alla domanda di condono), in quanto il particolare ruolo che
viene  ad  essere  riconosciuto  ai legislatori regionali consente di
ritenere  soddisfatte le pretese delle ricorrenti. Analogamente e' da
dirsi  in  riferimento  alla  censura  relativa  ai  commi da 14 a 20
dell'art. 32,   dal   momento   che   la  dichiarazione  di  parziale
illegittimita'  costituzionale  del comma 14 risponde pienamente alle
ragioni  di  doglianza  fatte  valere  nei  ricorsi  introduttivi del
giudizio.
    Va   invece  dichiarata  non  fondata  la  particolare  questione
concernente  il  comma 5  in relazione agli articoli 117 e 118 Cost.,
la'  dove  e'  affidato  al  Ministero  delle  infrastrutture  e  dei
trasporti,  d'intesa  con  le  Regioni  interessate,  un  compito  di
supporto  alle  amministrazioni  comunali  ai  fini dell'applicazione
della disciplina oggetto del presente giudizio e per il coordinamento
con  la  legge  n. 47 del 1985 e con l'art. 39 della legge n. 724 del
1994.   La   previsione   dell'intesa   con  ciascuna  delle  Regioni
interessate, quale condizione affinche' il Ministero possa esercitare
questa  attivita'  di  semplice  «supporto»  agli  enti locali, rende
evidente  l'assenza  di qualunque profilo di lesione delle competenze
costituzionalmente riconosciute alle ricorrenti.
    29. - Da ultimo, viene in considerazione la questione concernente
il  comma 49-ter,  introdotto  dalla  legge di conversione, che viene
impugnato  in  quanto,  concentrando  nell'autorita'  prefettizia  la
competenza  a  far  effettuare  le  demolizioni  conseguenti ad abusi
edilizi,  violerebbe  il  terzo  comma dell'art. 117 Cost., in quanto
norma  di dettaglio e non principio fondamentale, e l'art. 118 Cost.,
in   quanto  sottrarrebbe  ai  comuni  una  funzione  amministrativa,
concentrandola in un organo statale senza che cio' sia giustificabile
in base ad esigenze unitarie.
    La questione e' fondata.
    La  norma  in oggetto sostituisce l'art. 41 del d.P.R. n. 380 del
2001,  che,  nella  sua formulazione originaria, prevedeva le diverse
procedure  che  il  comune  poteva  seguire in tutti i casi in cui la
demolizione  dovesse  avvenire  a cura dello stesso comune (anche con
l'intervento  a  sostegno  di  organi  statali), con la possibilita',
qualora   si   rivelasse  impossibile  l'affidamento  dei  lavori  di
demolizione,  di  darne notizia all'ufficio territoriale del Governo,
il  quale provvedeva alla demolizione. Il comma 49-ter prevede invece
che  il  comune,  cosi'  come le amministrazioni statali e regionali,
debbano  trasmettere  ogni  anno  al prefetto l'elenco delle opere da
demolire e che il prefetto provveda all'esecuzione delle demolizioni.
    La  disposizione  in oggetto contrasta con il primo ed il secondo
comma dell'art. 118 Cost., dal momento che non si limita ad agevolare
ulteriormente  l'esecuzione  della demolizione delle opere abusive da
parte  del  comune  o  anche,  in  ipotesi,  a sottoporre l'attivita'
comunale  a  forme  di  controllo  sostitutivo  in  caso  di  mancata
attivita',  ma  sottrae al comune la stessa possibilita' di procedere
direttamente  all'esecuzione  della  demolizione delle opere abusive,
senza  che  vi  siano  ragioni  che  impongano  l'allocazione di tali
funzioni amministrative in capo ad un organo statale.
    30. - Resta assorbito l'esame di ogni altra doglianza relativa ad
ulteriori singoli commi dell'art. 32.
    31.  -  Non vi e' luogo a provvedere sulle istanze di sospensione
dell'art. 32  del  d.l.  n. 269  del 2003 e dell'art. 32 dello stesso
d.l.  come risultante dalla conversione in legge ad opera della legge
n. 326  del  2003, presentate dalle Regioni Campania, Marche, Toscana
ed Emilia-Romagna.