ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei   giudizi   di   legittimita'   costituzionale  dell'art. 32  del
decreto-legge  30 settembre  2003,  n. 269  (Disposizioni urgenti per
favorire  lo  sviluppo  e  per la correzione dell'andamento dei conti
pubblici),  e  dell'art. 32  del d.l. n. 269 del 2003 come risultante
dalla  conversione  ad  opera  della  legge  24 novembre 2003, n. 326
(Conversione   in   legge,   con   modificazioni,  del  decreto-legge
30 settembre  2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire
lo  sviluppo  e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici),
promossi   con   ordinanza   del   20 novembre   2003  dal  Tribunale
amministrativo  regionale  dell'Emilia-Romagna,  sezione  staccata di
Parma,   con   8   ordinanze   del  10 dicembre  2003  dal  Tribunale
amministrativo   regionale   del  Piemonte  e  con  4  ordinanze  del
5 dicembre 2003 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di Verona, rispettivamente iscritte ai numeri 10, da 104 a 109, 241 e
242  e  da  246  a  249 del registro ordinanze 2003, pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana nn. 7, 10 e 14, 1ª serie
speciale, dell'anno 2004.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  dell'11 maggio  2004  il  giudice
relatore Ugo De Siervo;
    Udito  l'avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
    Ritenuto  che  con ordinanza del 20 novembre 2003 (r.o. n. 10 del
2004),  il  Tribunale  amministrativo  regionale dell'Emilia-Romagna,
sezione   di   Parma,   ha   sollevato   questione   di  legittimita'
costituzionale  in  via  incidentale  dell'art. 32  del decreto-legge
30 settembre  2003,  n. 269  (Disposizioni  urgenti  per  favorire lo
sviluppo  e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), per
contrasto  con  gli  artt. 3,  9, secondo comma, 32, primo comma, 97,
primo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione;
        che  il  rimettente premette che, nel corso di un giudizio di
ottemperanza   proposto  in  relazione  alla  sentenza  del  medesimo
Tribunale,  con cui era stato disposto l'annullamento di una sanzione
pecuniaria  per  abuso  edilizio  «in  luogo  della  doverosa  misura
demolitoria»,  e'  intervenuto l'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, il
quale  consente  di  sanare  una serie di abusi edilizi prorogando al
31 marzo  2003 i termini al riguardo previsti dalla legge 28 febbraio
1985,   n. 47   (Norme   in   materia   di  controllo  dell'attivita'
urbanistico-edilizia,  sanzioni,  recupero  e  sanatoria  delle opere
edilizie), e successive modificazioni e integrazioni;
        che   ad  avviso  del  giudice  a  quo  la  normativa  appena
richiamata  sarebbe applicabile al caso sottoposto al suo giudizio e,
«nelle  more  del  procedimento di sanatoria e fino alla scadenza dei
termini  fissati  dall'art. 35  della  legge  n. 47  del  1985  [...]
dovrebbe  operare  la  sospensione  del  procedimento  amministrativo
sanzionatorio  e  del  [...] procedimento giurisdizionale», in virtu'
dell'art. 44 della legge n. 47 del 1985;
        che,   in   ordine  alla  non  manifesta  infondatezza  della
questione, nell'ordinanza di rimessione si richiama la giurisprudenza
costituzionale  in  materia  di  condono  edilizio,  la quale avrebbe
affermato  la  inevitabilita'  di  un  «giudizio negativo nel caso di
altra reiterazione della norma sul condono, soprattutto con ulteriore
e  persistente  spostamento  dei termini temporali di riferimento del
commesso  abuso  edilizio»,  a  causa  della  irragionevolezza di una
«ciclica   e   ricorrente   possibilita'   di  condono-sanatoria  con
conseguente convinzione di impunita»;
        che  inoltre,  secondo  il  rimettente,  il  condono edilizio
realizzerebbe   un  sistema  ingiusto  e  discriminatorio  proprio  a
svantaggio  dei  cittadini  rispettosi delle leggi, che da un lato si
vedrebbero  «privare  di  quei  beni  che  anch'essi avrebbero potuto
costruire  violando  le norme», e che dall'altro «sarebbero costretti
[...]  a  subire  il  degrado  urbanistico  prodotto dall'illegalita'
edilizia»;
        che  la  normativa  censurata, inoltre, violerebbe non solo i
principi  di  eguaglianza,  ragionevolezza,  buona  amministrazione e
tutela  ambientale,  «ma anche le competenze regionali concorrenti in
materia  di governo del territorio» di cui all'art. 117, terzo comma,
Cost.,  in  quanto  con  essa  lo  Stato,  lungi dal dettare principi
generali,  imporrebbe  invece  una eccezione che, in quanto tale, non
puo'   costituire   principio,   dettando,   peraltro,   disposizioni
estremamente  precise  e  dettagliate,  con cio' violando comunque le
competenze regionali;
        che  con otto ordinanze di identico contenuto, tutte adottate
il  10 dicembre 2003 (r.o. numeri 104, 105, 106, 107, 108, 109, 241 e
242  del 2004), il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte ha
sollevato  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 32 del
d.l.  n. 269  del  2003,  convertito,  con modificazioni, dalla legge
n. 326 del 2003, per contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e 118,
primo comma, Cost;
        che  le  ordinanze di rimessione sono state pronunciate nella
fase  cautelare di giudizi instaurati a seguito di ricorsi presentati
per  l'annullamento, previa sospensione, di ordinanze comunali con le
quali si dispone la demolizione di opere eseguite abusivamente;
        che   il   rimettente   da'   atto  che  i  ricorrenti  hanno
rappresentato   l'intenzione   di  avvalersi  della  sospensione  del
procedimento  sanzionatorio prevista dall'art. 32 del d.l. n. 269 del
2003, che richiama, sul punto, l'art. 44 della legge n. 47 del 1985;
        che  tale  norma,  secondo  le  ordinanze  di rimessione, pur
riferendo  la  sospensione  anche  ai  procedimenti  giurisdizionali,
escluderebbe   esplicitamente   le   procedure  cautelari,  con  cio'
richiedendo  comunque  lo  svolgimento  dei  giudizi  concernenti  la
richiesta  di  sospensione  dei provvedimenti impugnati, pur ove essi
siano destinati a rimanere sospesi ex lege;
        che, in particolare, tale sarebbe la situazione dei giudizi a
quibus,  cosicche',  ove l'effetto della sospensione fosse senz'altro
conseguente  alla  normativa  impugnata, al rimettente non resterebbe
altro che decidere nel senso della sopravvenuta carenza di interesse;
        che,   tuttavia,  il  rimettente  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 32 citato, poiche' ad essere rilevante per i
procedimenti  a  quibus  non sarebbe solo la questione concernente la
sospensione  del  procedimento  amministrativo,  bensi'  la questione
relativa  all'intero art. 32, dal momento che «l'esame della concreta
entita'  e  sussistenza del pregiudizio addotto dalla ricorrente (che
ha  dichiarato  di  volersi  avvalere  del  condono) va condotto alla
stregua  delle norme che non solo sospendono, ma rendono passibile di
cancellazione l'abuso commesso»;
        che,   in   ordine  alla  non  manifesta  infondatezza  della
questione,  la  disciplina  impugnata  violerebbe  l'art. 117,  terzo
comma,  Cost., ed in particolare le competenze da esso assegnate alle
Regioni   in  materia  di  governo  del  territorio,  in  quanto  non
conterrebbe  «principi  fondamentali, ma disposizioni che minutamente
stabiliscono  termini,  modalita'  e  limiti  della  sanatoria  degli
abusi»,  oltre  che  disposizioni le quali, prevedendo la sanabilita'
degli  abusi,  sono eccezionali e come tali non potrebbero costituire
principi generali;
        che  sarebbe  violato  anche  l'art. 118  Cost., in quanto la
normativa  censurata  non  sarebbe  giustificata neppure in forza del
principio  di  sussidiarieta',  ed  in  quanto l'ordinario riparto di
competenza  tra Stato e Regioni potrebbe essere derogato solo se cio'
superi  il  vaglio di ragionevolezza e proporzionalita' e sia oggetto
di   un   accordo   con  le  Regioni  stesse,  mentre  l'art. 32  non
prevederebbe  alcuna  concertazione,  o  intesa,  con le Regioni, ne'
assumerebbe rilevanza il rinvio alla disciplina regionale, alla quale
sarebbero lasciati limitatissimi margini di operativita';
        che a conclusioni diverse non potrebbe condurre la dichiarata
temporaneita'  delle  norme,  giacche' la normativa di cui al decreto
del  Presidente  della  Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico
delle  disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia),
al  cui  adeguamento  da parte delle Regioni si fa rinvio, non sembra
pertinente  al  caso  de  quo  e, inoltre, certamente non transitorio
sarebbe l'effetto prodotto dalla sanatoria di opere gia' edificate;
        che  con quattro ordinanze rese in data 5 dicembre 2003 (r.o.
numeri  246,  247,  248 e 249 del 2004), di contenuto sostanzialmente
identico,  il  giudice  per  le indagini preliminari del Tribunale di
Verona   ha   sollevato   questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 32,  commi 1, 2, 25, 26, 27, 28, 32-37, del d.l. n. 269 del
2003,  per  contrasto con gli artt. 1, 2, 9, secondo comma, 32, primo
comma,  79,  primo  comma,  97, primo comma, 111, secondo comma, 112,
117,  terzo comma, 118, secondo comma e 120 Cost., e con il principio
di uguaglianza;
        che   il   rimettente  premette  che  nell'ambito  di  taluni
procedimenti  penali  nei  confronti  di  soggetti imputati per reati
edilizi,  il  pubblico  ministero  ha chiesto l'emanazione di decreto
penale di condanna e tale richiesta non appare prima facie infondata,
mentre  in un altro procedimento concernente la medesima tipologia di
reati,   egli  ritiene  di  non  dover  accogliere  la  richiesta  di
archiviazione formulata dal pubblico ministero;
        che  i  procedimenti  dovrebbero  essere  sospesi per effetto
dell'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 il quale richiama i capi IV e V
della  legge  n. 47 del 1985, e dunque anche l'art. 44 di tale legge,
che  prescrive  la  sospensione  dei  procedimenti giurisdizionali in
corso,  fino  alla  scadenza  del  termine per la presentazione della
domanda relativa alla definizione dell'illecito edilizio;
        che  tuttavia,  ad avviso del giudice a quo, l'art. 32 citato
porrebbe  dubbi  sulla  sua legittimita' costituzionale per contrasto
con l'art. 79 Cost. che disciplina il potere di amnistia, dal momento
che il «condono edilizio» non sarebbe altro che una forma di amnistia
condizionata  mascherata,  adottata  in  violazione  della  procedura
prevista dalla norma costituzionale;
        che  non  varrebbero  le  argomentazioni utilizzate da questa
Corte nelle decisioni relative ai precedenti condoni (sentenze n. 427
del   1995   e   n. 369   del   1988),   basate   sull'eccezionalita'
dell'istituto,   dal  momento  che  tale  presupposto  sarebbe  ormai
superato  in  conseguenza  del  reiterato  utilizzo  che  del condono
edilizio e' stato fatto nell'ultimo decennio;
        che  dubbi  ulteriori sulla legittimita' costituzionale della
norma censurata conseguirebbero al fatto che l'amnistia costituirebbe
l'unica  ipotesi in cui la Carta costituzionale assegna al Parlamento
un  potere  «assolutamente eccezionale di paralisi dell'azione penale
che l'art. 112 Cost. vuole obbligatoria»;
        che  inoltre,  sostiene il giudice a quo, il condono edilizio
non  sarebbe  riconducibile  all'istituto  dell'oblazione,  la  quale
sarebbe  un mezzo di estinzione del reato previsto in via generale ed
astratta,  collegato  al pagamento di una somma di denaro pari ad una
quota  della  pena  pecuniaria  e che dunque assolverebbe alle stesse
finalita' proprie della condanna a pena pecuniaria, mentre il condono
previsto  dall'art. 32  del  d.l.  n. 269 del 2003 riguarderebbe solo
reati gia' commessi prima dell'emanazione del provvedimento e sarebbe
condizionato al pagamento di somme di denaro che non sono determinate
in relazione all'ammontare della pena pecuniaria;
        che  la  norma  censurata  violerebbe inoltre il principio di
uguaglianza  di  cui  all'art. 3  Cost.,  tra  cittadini  «che  hanno
rispettato  la  legge e quelli che non l'hanno rispettata, tra quelli
che sono stati condannati con pena di legge e quelli che [...] ancora
non  sono  stati  condannati  a pena di legge e mai lo saranno grazie
proprio al "condono"»;
        che  il  rimettente  ritiene  inoltre che la norma impugnata,
nella  parte  in  cui  consente  il rilascio di un titolo abilitativo
edilizio in sanatoria anche nel caso di opere realizzate in assenza o
in  difformita'  dal  titolo  abilitativo  e  non conformi alle norme
urbanistiche   e   alle  prescrizioni  degli  strumenti  urbanistici,
contrasti con gli artt. 118 e 120 Cost., in quanto non ricorrerebbero
i  presupposti  eccezionali, tipicamente predeterminati dall'art. 120
Cost.,  che  consentono  allo Stato l'esercizio di poteri sostitutivi
nei   confronti   degli   enti   locali,   titolari   delle  funzioni
amministrative  concernenti  l'adozione degli strumenti urbanistici e
il  rilascio  dei  titoli  abilitativi alla realizzazione delle opere
edilizie;
        che  il  giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Verona dichiara di condividere le argomentazioni svolte dal Tribunale
amministrativo   regionale  dell'Emilia-Romagna,  nell'ordinanza  del
20 novembre 2003, che vengono integralmente richiamate e riprodotte;
        che,  infine,  in  ordine  alla rilevanza della questione, il
rimettente   osserva   che   egli   sarebbe  costretto  a  sospendere
l'esercizio  dei suoi poteri e doveri giurisdizionali, «con nocumento
del principio della obbligatorieta' dell'azione penale [...], nonche'
di  quello della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111,
secondo comma, Cost.»;
        che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto nel
giudizio  incidentale promosso dal Tribunale amministrativo regionale
dell'Emilia-Romagna  e  ha  chiesto  che  la questione sia dichiarata
inammissibile  per  difetto di motivazione sulla rilevanza, in quanto
l'ordinanza di rimessione non chiarirebbe se per le opere oggetto del
giudizio  a  quo  sia  stata  presentata  istanza  di condono, ne' si
soffermerebbe sulla condonabilita' degli abusi accertati con sentenza
passata  in giudicato, ne', infine, indicherebbe quali delle numerose
norme contenute nell'art. 32 siano oggetto del dubbio di legittimita'
costituzionale;
        che  il  Presidente del Consiglio dei ministri e' intervenuto
anche  nei  giudizi incidentali promossi dal Tribunale amministrativo
regionale  del  Piemonte,  chiedendo  che la questione sia dichiarata
inammissibile  o  comunque  infondata,  in  quanto  il rimettente non
avrebbe  indicato  quali  delle  norme  contenute  nell'art. 32 siano
censurate;
        che  le questioni, ad avviso della difesa erariale, sarebbero
inoltre  analoghe  a quelle gia' prospettate dalle Regioni nei propri
ricorsi  avverso il medesimo art. 32, e tuttavia le censure mosse dal
giudice a quo sarebbero generiche e dunque non ammissibili;
        che  il  Presidente del Consiglio dei ministri e' intervenuto
altresi'  nei  giudizi  incidentali  promossi  dal  g.i.p.  presso il
Tribunale  di  Verona,  chiedendo  che  le questioni siano dichiarate
«talune  non ammissibili e tutte non fondate», dal momento che alcune
di  esse  sarebbero gia' sollevate nei ricorsi proposti dalle Regioni
avverso  l'art. 32  del  d.l. n. 269 del 2003 ed inoltre in quanto le
ordinanze   di   rimessione   non  terrebbero  conto  dei  precedenti
insegnamenti   della  Corte  ed  in  particolare  della  fondamentale
sentenza n. 369 del 1988;
        che, in prossimita' dell'udienza, l'Avvocatura dello Stato ha
depositato   una   memoria   nei   giudizi   promossi  dal  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Piemonte,  nella  quale  sostiene che
dall'ambito  della  questione sollevata dal giudice dovrebbero essere
esclusi  i  casi  in  cui  vi  sia  un  provvedimento  amministrativo
definitivo o una sentenza penale o amministrativa di condanna passata
in  giudicato,  giacche',  in  tali ipotesi, sarebbe dubbio che possa
trovare applicazione la disciplina del condono;
        che   inoltre,   sempre   secondo   l'Avvocatura,  dovrebbero
escludersi  i  casi  in  cui  il  procedimento  penale non sia ancora
iniziato  o l'ordinanza di demolizione non sia stata ancora emessa, e
nei quali peraltro il condono sarebbe ammissibile, di talche' - cosi'
delimitato   l'ambito  della  questione  -  quest'ultima  sarebbe  in
sostanza  identica  a quelle proposte dalle Regioni avverso l'art. 32
del d.l. n. 269 del 2003;
        che,  in prossimita' dell'udienza, l'Avvocatura ha depositato
una  memoria anche nel giudizio proposto dal Tribunale amministrativo
regionale  dell'Emilia-Romagna, nella quale sostiene che alla vicenda
oggetto  del  giudizio  a  quo non si applicherebbe la disciplina del
condono, ed inoltre che i parametri evocati da tale giudice (artt. 9,
32  e  97 Cost.) non sarebbero pertinenti alla vertenza al suo esame,
la quale concernerebbe solo una violazione di modestissima entita'.
    Considerato   che   l'identita'  della  normativa  impugnata,  la
parziale   coincidenza   delle   censure  proposte  e  dei  parametri
costituzionali  invocati,  nonche'  delle argomentazioni svolte nelle
ordinanze di rimessione, rendono opportuna la riunione dei giudizi;
        che  questa  Corte, con sentenza n. 196 resa in data odierna,
nel  pronunciarsi  sui  ricorsi  proposti  da diverse Regioni avverso
l'art. 32  del  decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni
urgenti  per  favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento
dei  conti  pubblici),  nonche'  sul testo del medesimo art. 32 cosi'
come  risultante  ad opera della conversione in legge intervenuta con
la   legge  24 novembre  2003,  n. 326  (Conversione  in  legge,  con
modificazioni,  del  decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante
disposizioni  urgenti  per  favorire  lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento  dei  conti  pubblici),  con  cui  venivano  sollevate
questioni  in  parte  analoghe  a quelle formulate dai rimettenti, ha
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale parziale della normativa
impugnata;
        che, pertanto, tale sentenza ha sostanzialmente modificato la
disciplina   dell'art. 32   sul  quale  i  giudici  rimettenti  hanno
sollevato  le  questioni  di  legittimita' costituzionale oggetto del
presente  giudizio,  rendendo  necessario, conseguentemente, un nuovo
esame  dei  termini delle questioni e della loro perdurante rilevanza
nei  giudizi  a quibus (si vedano, analogamente, ordinanze n. 184 del
2003 e n. 67 del 2002);
        che, alla luce delle predette considerazioni, gli atti devono
essere restituiti ai giudici rimettenti.