ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 15 del decreto
legislativo  28 agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni sulla competenza
penale  del  giudice  di  pace,  a  norma  dell'art. 14  della  legge
24 novembre   1999,   n. 468),   promossi,   nell'ambito  di  diversi
procedimenti  penali,  dal  giudice di pace di Bari con ordinanze del
27 marzo  e  8 aprile  2003,  dal  giudice  di  pace  di Altamura con
ordinanza  del  9 aprile  2003 e dal giudice di pace di Frosinone con
ordinanza del 5 maggio 2003, iscritte al n. 410, al n. 450, al n. 564
e  al n. 1192 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale   della  Repubblica  n. 27,  n. 28  e  n. 34,  prima  serie
speciale, dell'anno 2003, e n. 4, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 28 aprile 2004 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto che i Giudici di pace di Bari (r.o. n. 410 e n. 1192 del
2003), di Altamura (r.o. n. 450 del 2003) e di Frosinone (r.o. n. 564
del  2003)  hanno sollevato su eccezione della difesa, in riferimento
agli artt. 3, 24 e 111, terzo comma, della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 15  del  decreto  legislativo
28 agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni  sulla  competenza penale del
giudice  di  pace,  a  norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre
1999,  n. 468),  nella  parte in cui non prevede che nel procedimento
dinanzi  al  giudice  di  pace  sia  dato  avviso  all'indagato della
conclusione delle indagini preliminari ai sensi dell'art. 415-bis del
codice di procedura penale;
        che,   ad   avviso  dei  rimettenti,  la  mancata  previsione
dell'avviso  di  conclusione  delle indagini si pone in contrasto con
gli artt. 3 e 24 Cost. per la irragionevole disparita' di trattamento
che  si determina in danno dell'imputato citato a giudizio dinanzi al
giudice  di  pace  rispetto  alla  persona sottoposta ad indagini nel
procedimento dinanzi al «giudice ordinario»;
        che,  al  riguardo,  i rimettenti sottolineano che l'imputato
viene a conoscenza del procedimento a suo carico solo a seguito della
citazione  a  giudizio  e che tale disciplina comporta «una negazione
del  diritto di difesa ante causam», in contrasto con l'art. 24 Cost.
in  quanto  l'indagato  non  puo'  «verificare» gli elementi di prova
raccolti  dal  pubblico  ministero  durante  la  fase  delle indagini
preliminari  ed e' quindi impossibilitato a svolgere adeguatamente la
sua  difesa,  optando se lo ritiene per la definizione anticipata del
procedimento;
        che  sarebbe  inoltre violato l'art. 111, terzo comma, Cost.,
in quanto la disciplina censurata viola il principio secondo cui «nel
processo  penale,  la  legge  assicura  che la persona accusata di un
reato  sia,  nel piu' breve tempo possibile, informata riservatamente
della  natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga
del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa»;
        che  in  tutti  i  giudizi  e'  intervenuto il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che siano dichiarate inammissibili le
questioni sollevate con le ordinanze iscritte al n. 1192 del registro
ordinanze  del  2003  (per  omessa indicazione della norma censurata,
mancata  descrizione  della  fattispecie  e difetto di motivazione in
ordine  alla  rilevanza  della  questione)  e  al n. 450 del registro
ordinanze  del  2003  (per  assoluta  carenza  di  motivazione  sulla
rilevanza,   in  particolare  in  ordine  alla  individuazione  delle
opportunita'   difensive   in  concreto  sottratte  all'indagato),  e
manifestamente infondate le altre;
        che,   nel  merito,  l'Avvocatura  ritiene  che  i  dubbi  di
legittimita'  costituzionale  sollevati  dai rimettenti devono essere
esaminati avendo riguardo alla particolare struttura del procedimento
dinanzi al giudice di pace, come delineato dalla Corte costituzionale
nell'ordinanza n. 231 del 2003;
        che,  in  particolare,  per  quanto  riguarda  la  fase delle
indagini  preliminari,  con  una scelta di segno opposto a quella che
caratterizza il procedimento ordinario, il decreto legislativo n. 274
del 2000 ha individuato il fulcro delle indagini nelle investigazioni
di  polizia  giudiziaria  (art. 11) e non ha riprodotto la figura del
giudice per le indagini preliminari (art. 19);
        che,  in sintesi, manca «tutto quell'apparato processuale che
giustifica  una  ponderazione  delle  indagini  compiute dagli organi
inquirenti»,    in    quanto    «l'istruzione   del   caso   avviene,
sostanzialmente, in sede dibattimentale».
    Considerato  che tutti i rimettenti dubitano, in riferimento agli
artt. 3,   24   e   111,   terzo  comma,  della  Costituzione,  della
legittimita'  costituzionale  dell'art. 15  del  decreto  legislativo
28 agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni  sulla  competenza penale del
giudice  di  pace,  a  norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre
1999,  n. 468),  nella  parte in cui non prevede che nel procedimento
dinanzi  al  giudice  di  pace  sia  dato  avviso  all'indagato della
conclusione  delle indagini preliminari a norma dell'art. 415-bis del
codice di procedura penale;
        che,  stante  la  sostanziale identita' delle questioni, deve
essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
        che  secondo  i  rimettenti la disciplina censurata determina
una irragionevole disparita' di trattamento tra l'imputato dinanzi al
giudice di pace, che viene a conoscenza del procedimento a suo carico
solo  attraverso  la  citazione  a giudizio (e che quindi, trovandosi
nell'impossibilita'  di  conoscere  gli  elementi  di  prova raccolti
durante  le indagini preliminari, non potrebbe svolgere le sue difese
prima  del  dibattimento),  e la persona sottoposta alle indagini nel
procedimento davanti al «giudice ordinario», destinataria dell'avviso
di cui all'art. 415-bis cod. proc. pen.;
        che  la disciplina censurata si porrebbe inoltre in contrasto
con l'art. 111, terzo comma, Cost., nella parte in cui dispone che la
persona  accusata  sia  informata  nel  piu'  breve  tempo  possibile
dell'accusa  sollevata  a  suo  carico  e  disponga del tempo e delle
condizioni necessarie per preparare la difesa;
        che    le    eccezioni    di    inammissibilita'    sollevate
dall'Avvocatura  dello Stato non possono essere accolte: anche se nel
dispositivo dell'ordinanza iscritta al n. 1192 del registro ordinanze
del  2003  non  sono  indicati  la  norma  censurata  e  i  parametri
costituzionali  evocati,  tali  elementi sono desumibili dal contesto
della  parte  motiva dell'ordinanza; quanto all'ordinanza iscritta al
n. 450  del  registro  ordinanze  del 2003, emerge chiaramente che le
opportunita'  difensive,  di  cui l'indagato sarebbe privato e che il
rimettente avrebbe omesso di esporre al fine di valutare la rilevanza
della  questione, sono quelle menzionate nell'art. 415-bis cod. proc.
pen.;
        che,  nel  merito, non vi e' dubbio che, come affermato dalla
giurisprudenza     di     legittimita',    l'istituto    disciplinato
dall'art. 415-bis  cod.  proc.  pen., pur non essendo compreso tra le
disposizioni  elencate  nell'art. 2, comma 1, del decreto legislativo
n. 274  del  2000,  non  e'  applicabile  al  procedimento davanti al
giudice di pace;
        che,  quanto  alle  censure  prospettate con riferimento agli
artt. 3  e  24  Cost.,  questa Corte ha gia' avuto modo di affermare,
decidendo   su   questioni   relative  al  giudizio  immediato  e  al
procedimento  per  decreto,  che  l'omessa  previsione dell'avviso di
conclusione  delle  indagini  preliminari  non  e' costituzionalmente
illegittima, in base al rilievo che le forme di esercizio del diritto
di  difesa  possono essere modulate in relazione alle caratteristiche
dei  singoli  riti  speciali  ed  ai  criteri  di massima celerita' e
semplificazione  che  li  ispirano  (v.,  rispettivamente,  ordinanze
n. 203 del 2002 e n. 32 del 2003);
        che,   tenendo  conto  delle  peculiarita'  del  procedimento
davanti al giudice di pace, analoghe considerazioni valgono a maggior
ragione   in   relazione   alle  questioni  sollevate  dagli  attuali
rimettenti;
        che  mediante  il  procedimento  penale davanti al giudice di
pace  il  legislatore  ha  inteso  delineare  un modello di giustizia
caratterizzato  da  forme  particolarmente  snelle,  di  per  se' non
comparabile  con  il  procedimento  per  i  reati  di  competenza del
tribunale (v., al riguardo, ordinanza n. 290 del 2003);
        che,  per quanto riguarda la fase precedente al dibattimento,
il  procedimento  penale  davanti al giudice di pace e' connotato dal
ruolo   marginale   assegnato   alle  indagini  preliminari,  che  si
sostanziano in una fase investigativa affidata in via principale alla
polizia  giudiziaria,  alla  quale  e' anche attribuito il compito di
disporre la citazione a giudizio;
        che  la sostanziale svalutazione della fase delle indagini e'
coerente  con le esigenze di massima semplificazione «rese necessarie
dalla  competenza»  riconosciuta  al  giudice  di  pace  (v. art. 17,
comma 1,  della  legge  24 novembre  1999,  n. 468,  contenente,  tra
l'altro, la delega al Governo in materia di competenza penale di tale
giudice)  e  con  la  "finalita'  conciliativa"  che  costituisce  il
principale  obiettivo  della giurisdizione penale del giudice di pace
(enunciato  dall'art. 2,  comma 2, del decreto legislativo n. 274 del
2000  e  richiamato  dall'art. 29,  comma 4, del medesimo decreto, in
attuazione  dell'art. 17,  comma 1, lettera g, della legge n. 468 del
1999), posto che la sede idonea per promuovere la conciliazione e per
verificare  la  praticabilita'  di  altre  possibili  alternative  al
giudizio  e'  l'udienza di comparizione, ove avviene appunto il primo
contatto tra le parti e il giudice (v. ordinanze numeri 231 del 2003;
10, 11, 55, 56 e 57 del 2004);
        che,   quanto   alla   censura   proposta   con   riferimento
all'art. 111,   terzo   comma,  Cost.,  questa  Corte  ha  affermato,
relativamente   al   procedimento   per   decreto,  che  «il  dettato
costituzionale,  da  un  lato,  non  impone che il contraddittorio si
esplichi  con  le  medesime modalita' in ogni tipo di procedimento e,
soprattutto,  che  debba  essere sempre collocato nella fase iniziale
del  procedimento  stesso,  dall'altro  non  esclude  che  il diritto
dell'indagato  di essere informato nel piu' breve tempo possibile dei
motivi  dell'accusa  a suo carico possa essere variamente modulato in
relazione  alla peculiare struttura dei singoli riti alternativi» (v.
ordinanza  n. 8 del 2003, nonche' ordinanze numeri 32, 131, 132 e 257
del 2003, e in precedenza ordinanza n. 432 del 1998);
        che  nel  procedimento davanti al giudice di pace le esigenze
di informazione dell'imputato prima dell'udienza di comparizione sono
comunque assicurate dall'avviso, contenuto nella citazione a giudizio
disposta  dalla  polizia  giudiziaria, che il fascicolo relativo alle
indagini  preliminari e' depositato presso la segreteria del pubblico
ministero  e  che  le  parti  e  i  loro  difensori hanno facolta' di
prenderne  visione  e  di  estrarne  copia, nonche' dall'indicazione,
contenuta  sempre  nel  medesimo atto, delle fonti di prova di cui il
pubblico  ministero  chiede l'ammissione e, ove venga chiesto l'esame
di testimoni, delle circostanze su cui deve vertere l'esame (art. 20,
comma 1, lettere f e c, del decreto legislativo n. 274 del 2000);
        che  l'innesto  della  disciplina  dell'avviso di conclusione
delle  indagini snaturerebbe la struttura del procedimento davanti al
giudice di pace, introducendo una procedura incidentale incompatibile
con  i  caratteri di particolare snellezza e rapidita' del rito e una
garanzia  incongrua  con  le finalita' di questa particolare forma di
giurisdizione penale;
        che   le   questioni   devono   pertanto   essere  dichiarate
manifestamente   infondate   in   relazione   a   tutti  i  parametri
costituzionali evocati dai rimettenti.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.