IL TRIBUNALE

    A  scioglimento  della  riserva  del  9  luglio 2004, nella causa
iscritta al numero 9702/A/2003 R.G., pendente tra Pellegrino Domenico
e  l'INPS,  ha pronunciato la seguente ordinanza di promuovimento del
giudizio  dinanzi  alla  Corte  costituzionale,  in ordine all'art. 7
della  legge 23 luglio 1991 n. 223, con riferimento agli articoli 3 e
38 della Costituzione.

                              In fatto

    Con  domanda del 15 luglio 2003, Pellegrino Domenico ha convenuto
in  giudizio l'I.N.P.S., chiedendo che fosse accertato il suo diritto
a  percepire,  per  l'intero  periodo  di  iscrizione  nelle liste di
mobilita'  (e  cioe'  dal  1°  aprile  1996  al  30 ottobre 1997), la
differenza  tra  i massimali di cui all'art. 7, comma 1, lettere a) e
b), della legge n. 223/1991 e quanto di fatto corrispostogli a titolo
di  indennita'  di  mobilita'  con conseguente condanna dell'Istituto
assicuratore  al  pagamento,  in suo favore, della relativa somma, da
quantificarsi in separata sede, oltre agli accessori di legge.
    Prima  dell'udienza  di  discussione, il ricorrente ha depositato
una  memoria,  con  la  quale, preso atto delle recenti pronunce rese
dalla    Cassazione    sull'oggetto    della    lite,   ha   eccepito
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  7  della legge 23 luglio
1991, n. 223, per violazione degli artt. 3 e 38 Cost.

                             In diritto

    1.  -  Il  ricorrente  si  duole  dell'erronea  liquidazione, nel
febbraio  del  1997,  dell'indennita' di mobilita', in quanto l'INPS,
anziche'  corrispondergli  l'intero  massimale mensile previsto dalla
legge,   gli   avrebbe  versato  un  importo  inferiore,  determinato
dividendo per trenta il massimale e moltiplicando il risultato per il
numero dei giorni di febbraio.
    Della  questione  si  e'  gia'  interessata  la  suprema Corte di
cassazione  (tra  le  tante, v. Cass. n. 14919/2003), che ha concluso
nel  senso  che il lavoratore in mobilita', nel mese di febbraio, non
avrebbe diritto a percepire l'intero massimale mensile previsto dalla
legge, dovendosi tenere conto, ogni volta, del numero di giornate del
mese di riferimento.
    Tale arresto del giudice di legittimita' - vista la molteplicita'
di  sentenze  rese  sull'argomento - puo' ormai considerarsi «diritto
vivente»  e,  quindi,  e'  certamente  in  grado  di  condizionare la
decisione odierna.
    Da   cio'  la  rilevanza  della  questione  di  costituzionalita'
sollevata  dalla  difesa  del ricorrente, che, nel presente giudizio,
non   potendo   fare   a   meno   di  prendere  atto  dei  richiamati
pronunciamenti  della Cassazione, pur insistendo nelle sue originarie
difese,  ha  sollevato  dei  dubbi  sulla legittimita' costituzionale
dell'art. 7  della  legge  23 luglio  1991,  n. 223: dubbi che questo
giudice sente di dover condividere.
    2.   -   Il  lavoratore  ricorrente  ha,  innanzitutto,  eccepito
l'illegittimita'  dell'art. 7 della legge n. 223/1991, nella parte in
cui - ove interpretato nei termini prospettati dalla S.C. - la durata
(maggiore  o minore) della garanzia sarebbe condizionata dalla natura
bisestile  o  meno  del  mese  di  febbraio,  con la conseguenza che,
mentre,  nel  primo  caso,  il diritto alla prestazione previdenziale
sussisterebbe per ventinove giorni, nel secondo caso, invece, sarebbe
limitata a ventotto giorni.
    In  sostanza,  il  ricorrente  -  essendo  pacifico, agli atti di
causa,  che  e'  stato iscritto nelle liste di mobilita' nel 1997 (e,
cioe',  in un anno non bisestile) - lamenta, per il mese di febbraio,
l'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  ricevuto  rispetto  ai
lavoratori  che, invece, abbiano fruito (o fruiscano) del trattamento
previdenziale in anni bisestili.
    Sul punto, non si puo' omettere di considerare che la S.C., nelle
citate  pronunce,  ha  escluso che possa dubitarsi della legittimita'
costituzionale  della  riduzione de qua, non potendo il lavoratore in
mobilita' accampare la pretesa di vedersi indennizzate delle giornate
«inesistenti».
    In  realta',  come  rilevato  dalla  difesa  del  ricorrente,  il
problema - nella fattispecie in esame - non e' quello stabilire se il
lavoratore  in  mobilita'  abbia  diritto  a percepire il trattamento
previdenziale    per   dei   giorni   «inesistenti»,   quanto,   piu'
propriamente,  quello di stabilire se sia legittima o meno - ai sensi
dell'art. 3  Cost.  -  una normativa che consenta ad un lavoratore di
rimanere  in  mobilita'  per  un periodo piu' lungo (quantunque di un
solo giorno) rispetto ad altri.
    La    non    manifesta    infondatezza    della    questione   di
costituzionalita'  sollevata  dal  ricorrente e' ancor piu' evidente,
ove  si  consideri  che  l'ingiustificata «anomalia» della differente
durata del periodo di garanzia fra lavoratori fruitori della medesima
provvidenza,  non  sussiste,  invece,  nel  campo  dell'indennita' di
disoccupazione,  per  la  quale, grazie al meccanismo della specifica
previsione  del  numero  massimo di giornate indennizzabili (180), la
minor  durata del mese di febbraio non e' in grado, in alcun modo, di
incidere  sulla  durata  complessiva  della  garanzia  previdenziale,
provocando  solamente  lo «slittamento» della sua scadenza, nel senso
che  le  giornate  perdute  (e,  quindi, non indennizzate) a febbraio
potranno   essere   (e  saranno)  regolarmente  recuperate  nei  mesi
successivi.
    Insomma,  la  disparita'  di  trattamento  -  ingiustificabile ex
art. 3 Cost. - a giudizio di questo giudice sta nel fatto che, mentre
i lavoratori in disoccupazione hanno diritto ad uno stesso periodo di
garanzia  del  salario,  per  quelli  in  mobilita'  la  durata della
garanzia  sarebbe  modulata  in ragione della natura bisestile o meno
dell'anno di riferimento, con la conseguenza che alcuni si vedrebbero
tutelati  per  un  periodo  piu' lungo rispetto ad altri, sol perche'
fruitori della prestazione in un anno bisestile.
    3.   -  L'art.  7  della  legge  23  luglio  1991  n. 223  -  ove
interpretato  nei termini prospettati dal S.C. - viola, a giudizio di
questo  giudice, anche 1'art. 38 Cost., indubbiamente l'indennita' di
mobilita'  risponde  all'esigenza  di  dare  attuazione  all'art. 38,
secondo  comma,  Cost.,  che,  com'e'  noto,  impone  allo  Stato  di
assicurare  in  favore  dei  lavoratori,  «mezzi  adeguati  alle loro
esigenze di vita in caso ...disoccupazione involontaria.».
    In  questo  senso, il massimale mensile, ove il lavoratore manchi
di  altri  mezzi  di  sostegno  (quali  la  retribuzione), diventa il
parametro  (legale) per verificare l'adeguatezza costituzionale della
prestazione assicurativa.
    Ha  certamente  ragione, quindi, il ricorrente a sostenere che la
riduzione dell'indennita' di mobilita', se e' legittima quando vi sia
«la  concomitante percezione di un salario da lavoro dipendente», non
lo  e'  «ogni  qualvolta  il  lavoratore,  rimanendo  disoccupato per
l'intero mese, non possa in alcun modo contare su di questo.».
    Ne'  puo'  contrastarsi  tale  conclusione  -  e bene ha fatto la
difesa  del ricorrente ad evidenziano - sostenendasi che, nel mese di
febbraio,  il lavoratore disoccupato «abbia bisogno di meno soldi per
far  fronte  alle necessita' della vita propria e della sua famiglia,
visto  che  ...gli impegni economici (il pagamento del fitto di casa,
del mutuo, del garage, della retta scolastica per i propri figliuoli,
del  bollo  dell'auto,  delle  polizze  assicurative, dell'ICI, delle
tasse  comunali  per  i rifiuti solidi urbani, ecc.) sono normalmente
«mensilizzati»  e  non  subiscono  certo riduzioni per il fatto che a
febbraio ci siano meno giorni.».
    Se  il  legislatore  costituzionale,  con  l'art. 38 Cost., si e'
preoccupato che fossero assicurati ai lavoratori «mezzi adeguati alle
loro  esigenze  di  vita  in  caso  ...disoccupazione involontaria» e
quello  ordinario, nel dare attuazione a questo precetto, ha fissato,
con  specifico  riferimento all'indennita' di mobilita', un massimale
mensile  (piuttosto  che un altro), questo sta a significare che, nel
nostro  ordinamento,  il  massimale  prescelto  assume  il  ruolo  di
misuratore   dell'adeguatezza   costituzionale   del  trattamento  di
mobilita',  con  la  conseguenza  che,  al  di  sotto  di  questo, la
prestazione  assicurativa  deve  ritenersi  - per espressa previsione
normativa  -  assolutamente  insufficiente,  salvo  che  nel  mese di
riferimento  (e  non  e'  il  nostro  caso)  il  lavoratore non abbia
prodotto  altri  redditi.  In  sostanza, perche' il massimale mensile
della  prestazione  di  mobilita' possa subire delle riduzioni, senza
violare   il  precetto  dell'art. 38  Cost.,  e'  necessario  che  il
lavoratore  sospenda la disoccupazione e presti lavoro (percependo il
relativo reddito).
    Se,  invece,  lo  stato di disoccupazione si protrae per l'intero
mese,  solo  il  versamento  della  piena  provvidenza e' in grado di
garantire    la    congruita'    costituzionale   della   prestazione
assicurativa.
    4.  - La illegittima' riduzione (sotto il profilo costituzionale)
del  massimale  mensile  dell'indennita'  di  mobilita',  nel mese di
febbraio,  e',  peraltro,  la  diretta  conseguenza del meccanismo di
calcolo  adottato  dalla  suprema  corte  per  la quantificazione del
trattamento giornaliero dell'indennita' di mobilita', atteso che, per
tale   operazione,   secondo  il  giudice  di  legittimita',  sarebbe
necessario  dividere  il  massimale mensile per il coefficiente fisso
«30».
    Corretto  o meno che sia il riferimento normativo su cui si fonda
tale  statuizione  (e non e' questa la sede per discuterne, potendosi
qui   solo   vagliare   la  tenuta  costituzionale  del  principio  -
costituente  ormai  diritto vivente - affermato dalla Cassazione), e'
innegabile   come   questa  conclusione  provochi  un'incoerenza  del
sistema,    difficilmente    giustificabile    sotto    il    profilo
costituzionale.
    A  questo  proposito, non e' senza rilievo il fatto che, ai sensi
dell'art. 8,  commi  6 e 7, della legge n. 223/1991, «i trattamenti e
le  indennita'  di  cui  agli articoli 7, articolo 11, comma 2, e 16»
debbano essere «sospesi» «per le giornate» in cui il lavoratore abbia
a svolgere «attivita' di lavoro subordinato, a tempo parziale, ovvero
a tempo determinato», «nonche' per quelle dei periodi di prova.».
    Questa  previsione  normativa e' chiara espressione del principio
di  incumulabilita'  dell'indennita'  di  mobilita' con i trattamenti
retributivi  e, soprattutto, e' diretta applicazione del principio di
cui all'art. 38 Cost., visto che lo Stato e' tenuto ad assicurare, in
favore  dei  lavoratori,  «mezzi  adeguati alle loro esigenze di vita
(solo) in caso ..., disoccupazione involontaria.».
    In sostanza, se il lavoratore in mobilita' - nell'arco del mese -
lavora  uno  o  piu' giorni, la prestazione previdenziale deve essere
corrispondentemente   ridotta   (perche',  ex  art. 38  Cost.,  viene
parzialmente meno il suo stato di bisogno).
    Da  questa  premessa consegue che il procedimento indicato dalla,
suprema  corte per calcolare l'importo della prestazione assicurativa
giornaliera  (e,  quindi,  la  lettura  che  dell'art. 7  della legge
n. 223/1991  offre il giudice di legittimita) non e' assolutamente in
grado  di  impedire  il  cumulo tra prestazione assicurativa e quella
retributiva,  posto  che,  quantomeno  nei  mesi composti di trentuno
giorni, ove il lavoratore lavori per un solo giorno, potendo comunque
contare  su  trenta  giorni  di  disoccupazione, maturerebbe l'intero
massimale  mensile,  cumulando  quest'ultimo  con la retribuzione del
trentunesimo  giorno, senza che vi sia la doverosa (perche' richiesta
dall'art. 38 Cost.) riduzione del salario previdenziale.
    Tale  inconveniente  -  che  si  trasforma  in  un'incoerenza del
sistema,  rilevante  sotto  il  profilo  costituzionale - e', invece,
ovviabile   adottando  un  differente  meccanismo  di  calcolo  della
prestazione  assicurativa  giornaliera e cioe' dividendo il massimale
mensile,  anziche'  per  il  divisore fisso trenta, per il numero dei
giorni  di cui si componga ogni mese di riferimento, e sottraendo poi
al massimale mensile tante prestazioni giornaliere per quante saranno
state le giornate lavorate.
    Tale  procedimento  da'  coerenza  al  sistema e, soprattutto, e'
l'unico ad essere conforme al precetto di cui all'art. 38 Cost.
    Pur   non   sfuggendo   a   questo   giudice   la  giurisprudenza
costituzionale  secondo  cui  e'  inammissibile il ricorso al giudice
delle  leggi,  nel  caso  in  cui  la  norma sia suscettibile di piu'
interpretazioni  (ed  una  di  queste  sia  conforme a Costituzione),
devesi comunque rilevare come, nella fattispecie in esame, il giudice
di  merito  non possa porsi in contrasto con i principi affermati dal
giudice  di  legittimita',  che,  in quanto consolidati da un'univoca
giurisprudenza, sono da considerarsi «diritto vivente».