ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di ammissibilita' del conflitto tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  deliberazione della Camera dei deputati del
4 febbraio    2004   relativa   alla   insindacabilita',   ai   sensi
dell'articolo 68, comma 1 della Costituzione, delle opinioni espresse
dall'onorevole  Vittorio  Sgarbi nei confronti dell'avvocato Giuseppe
Lucibello,  promosso dal Tribunale di Milano, sezione settima penale,
con  ricorso  depositato  il  10 agosto 2004 e iscritto al n. 271 del
registro ammissibilita' conflitti.
    Udito  nella  camera di consiglio del 1° dicembre 2004 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro.
    Ritenuto  che,  con  ordinanza-ricorso  del  29 aprile  2004,  il
Tribunale di Milano, settima sezione penale, ha promosso conflitto di
attribuzione  fra  poteri dello Stato, nei confronti della Camera dei
deputati, in relazione alla delibera adottata il 4 febbraio 2004, con
la  quale - in difformita' rispetto alla proposta della Giunta per le
autorizzazioni  a  procedere  - e' stato dichiarato che i fatti per i
quali il deputato Vittorio Sgarbi e' sottoposto a procedimento penale
per  il  reato  di  diffamazione nei confronti dell'avvocato Giuseppe
Lucibello  riguardano  opinioni  espresse  nell'esercizio  delle  sue
funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;
        che  il  Tribunale espone che l'on. Sgarbi deve rispondere di
diffamazione,   perche',  nel  corso  della  trasmissione  televisiva
«Sgarbi  quotidiani»  andata in onda su «Canale 5» il 17 ottobre 1996
offendeva  la  reputazione  dell'avvocato  Lucibello,  affermando che
«questi   si  sarebbe  reso  responsabile  di  abusi,  poiche'  quale
difensore  di  un  indagato arrestato ed essendo egli stesso indagato
per  reati  connessi,  aveva  la liberta', grazie all'amicizia con il
dott.  Di Pietro, di incontrare liberamente l'indagato in carcere, di
modo  che  aveva  la  possibilita' di «incontrare» Di Pietro e quindi
dire  a  Di  Pietro  quello che aveva detto Pacini Battaglia e quando
Pacini  ha detto qualcosa che lo mette in discussione, di cambiare la
versione: «sbancato, stancato»»;
        che  il  giudice  aggiunge  di aver trasmesso, il 20 novembre
2003,  gli  atti  alla  Camera  dei  deputati  ai  sensi dell'art. 3,
comma 4,  della  legge  20  giugno 2003,  n. 140,  e che la Camera ha
deliberato  nel  senso  che  i  fatti  per cui e' processo concernono
opinioni  espresse  da  un membro del Parlamento nell'esercizio delle
sue funzioni;
        che  il  Tribunale  sostiene che al fatto per cui e' processo
non  e' applicabile l'art. 68, primo comma, della Costituzione, e che
e', quindi, viziata la delibera del 4 febbraio 2004;
        che,  in  particolare, rileva che l'art. 3 della legge n. 140
del  2003  non ha innovato la portata precettiva dell'art. 68 Cost. e
che  le  dichiarazioni extra moenia, che non siano divulgative di una
scelta politica espressa in atti funzionali - come nella specie, dove
l'imputato,  conduttore  di  una trasmissione televisiva, ha espresso
giudizi  lesivi  dell'onore  altrui,  senza  alcun  collegamento  con
l'esercizio  della  funzione  parlamentare  -  cadono al di fuori del
perimetro  segnato dai suddetti articoli, richiamando, a conferma, la
relazione  della  Giunta  e  l'intervento in aula del relatore per la
maggioranza  secondo cui non e' emerso alcun aggancio tra le critiche
e  l'attivita' parlamentare dell'on. Sgarbi e nelle affermazioni rese
in trasmissione non si intravede alcun contenuto politico;
        che,  nel  riprendere  le  argomentazioni  di alcune sentenze
della  Corte  costituzionale,  il  giudice  sottolinea  che  e' stato
riaffermato il principio secondo cui «altro e' la liberta' di critica
della  quale  tutti  sono  titolari,  altro  e' la prerogativa che la
Costituzione,  onde  preservare  una  sfera  di liberta' ed autonomia
della  Camere,  riserva  ai  Parlamentari  nell'esercizio  delle loro
funzioni. Se privata del suo specifico orientamento finalistico, tale
prerogativa   si   trasformerebbe   in  un  inaccettabile  privilegio
personale  a  favore  dei  membri  delle Camere» (sentenza n. 508 del
2002);
        che,  ai  fini dell'insindacabilita', rileva il «collegamento
necessario   dell'atto   con   le  funzioni  del  Parlamento  ...,  a
prescindere  dal  suo contenuto comunicativo, che puo' essere il piu'
vario,  ma  che  in  ogni  caso  deve  essere  tale  da rappresentare
esercizio  in  concreto delle funzioni ..., anche se attuato in forma
innominata  sul  piano  regolamentare.  Sotto questo profilo non c'e'
percio'  una  sorta di automatica equivalenza tra l'atto non previsto
dai  regolamenti  ... e l'atto estraneo ..., ... giacche' deve essere
accertato in concreto se esista un nesso che permetta di identificare
l'atto  ...  come  espressione  di  attivita' parlamentare» (sentenza
n. 120 del 2004);
        che  il  giudice,  infine,  si sofferma sul proprio potere di
sollevare  conflitto, ai sensi degli artt. 134 Cost. e 37 della legge
11 marzo   1953,  n. 87,  nonche'  sulla  sussistenza  dei  requisiti
soggettivi dello stesso.
    Considerato   che,   in   questa   fase  del  giudizio,  a  norma
dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
la   Corte   costituzionale   e'   chiamata   a   deliberare,   senza
contraddittorio,  se  «esiste  la  materia  di  un  conflitto  la cui
risoluzione spetti alla sua competenza», restando impregiudicata ogni
ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilita';
        che  nella  fattispecie  sussistono i requisiti soggettivo ed
oggettivo del conflitto;
        che,   infatti,   quanto   al  requisito  soggettivo,  devono
ritenersi  legittimati ad essere parti del presente conflitto, sia il
Tribunale  di  Milano,  settima  sezione  penale,  in  quanto  organo
giurisdizionale,  in  posizione  di  indipendenza  costituzionalmente
garantita,   competente   a   dichiarare   definitivamente,   per  il
procedimento  di  cui  e'  investito,  la  volonta'  del  potere  cui
appartiene, sia la Camera dei deputati, in quanto organo competente a
dichiarare    definitivamente   la   propria   volonta'   in   ordine
all'applicabilita' dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;
        che,  quanto  al  profilo  oggettivo, sussiste la materia del
conflitto,  dal  momento  che  il ricorrente lamenta la lesione della
propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, da parte
della citata deliberazione della Camera dei deputati;
        che,  pertanto,  esiste  la  materia  di un conflitto, la cui
risoluzione spetta alla competenza di questa Corte.