ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 46, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso con ordinanza del 3 dicembre 2003 dalla Commissione tributaria regionale di Napoli sui ricorsi riuniti proposti da Esposito Enrica contro il comune di San Giorgio a Cremano, iscritta al n. 505 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, 1ª serie speciale, dell'anno 2004. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il giudice relatore Annibale Marini. Ritenuto che la Commissione tributaria regionale di Napoli, con ordinanza depositata il 3 dicembre 2003, nel corso di un giudizio di appello avente ad oggetto la statuizione relativa alla compensazione delle spese conseguente all'estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, determinata dall'annullamento dell'atto impositivo in via di autotutela, ha sollevato, in riferimento all'art. 111 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 46, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), «nella parte in cui e' disposta la compensazione delle spese anche per il caso in cui la cessazione della materia del contendere consegua ad annullamento dell'atto impositivo disposta di ufficio dalla P.A., in sede di autotutela»; che - ad avviso del rimettente - la norma impugnata, ponendo a carico del contribuente le spese anticipate per la lite anche quando la pubblica amministrazione, in corso di giudizio, ritiri o annulli l'atto impugnato, si porrebbe in contrasto con l'art. 111 della Costituzione e, in particolare, con i principi del giusto processo e dell'effettivita' della tutela giurisdizionale; che la previsione di necessaria compensazione delle spese non sarebbe d'altro canto giustificata ne' dalle peculiarita' del processo tributario ne' da esigenze di snellezza, in quanto l'accertamento della soccombenza virtuale non potrebbe dirsi di ostacolo ad una celere definizione della lite; che sarebbe altresi' violato - quanto meno con riguardo a ciascuna singola fattispecie processuale - il principio di parita' tra le parti, essendo attribuita ad una di esse la possibilita' di determinare, nel corso del processo, la cessazione della materia del contendere senza incorrere nella condanna alle spese; che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilita' o, comunque, di non fondatezza della questione; che - ad avviso dell'Avvocatura - l'ordinanza di rimessione sarebbe perplessa e contraddittoria quanto alla descrizione della fattispecie processuale; che, nel merito, il giudice a quo, con riferimento al parametro di cui al nuovo art. 111 della Costituzione, in realta' riproporrebbe, invocando i principi del «giusto processo» e delle «condizioni di parita' delle parti nel contraddittorio», le stesse censure gia' scrutinate dalla Corte, riguardo alla medesima norma, con riferimento agli artt. 3, 24, 75, 76, 97 e 113 della Costituzione, e giudicate non fondate; che, d'altro canto, il rimettente non inquadrerebbe correttamente la fattispecie normativa, in quanto la norma denunciata riguarda indistintamente tutte le ipotesi di cessazione della materia del contendere ed il riferimento alla sola ipotesi derivante dall'adozione di un atto di autotutela da parte dell'amministrazione finanziaria sarebbe inadeguato per una congrua valutazione della legittimita' della norma stessa nel suo complesso; che non vi sarebbe, infine, alcun principio costituzionale che imponga la condanna alle spese di lite in caso di soccombenza anche solo virtuale. Considerato che l'art. 46, comma 3, del decreto legislativo n. 546 del 1992 dispone la compensazione, tra le parti, delle spese del giudizio, estinto a norma del comma 1 dello stesso articolo, «nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere»; che il rimettente invoca la declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma suddetta, con riferimento esclusivo all'ipotesi di cessazione della materia del contendere conseguente ad annullamento dell'atto impositivo disposto di ufficio dall'amministrazione finanziaria in sede di autotutela; che la pronuncia di incostituzionalita', nei termini prospettati dal rimettente, determinerebbe una evidente lesione del principio di eguaglianza tra le parti, lasciando inalterata la disciplina della compensazione delle spese, prevista dalla norma censurata, per tutte le altre ipotesi di cessazione della materia del contendere, ed in particolare per quelle conseguenti al riconoscimento, da parte del contribuente, della fondatezza della pretesa tributaria; che l'incostituzionalita' conseguente all'accoglimento della questione rende quest'ultima improponibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.