IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla richiesta, presentata dal Procuratore della Repubblica di Nuoro in data 1° ottobre 2003, di revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena concesso a Sedda Donato, nato a Mamoiada il 25 ottobre 1952, con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti emessa dal giudice per le indagini preliminari di questo Tribunale in data 3 aprile 2003; Sentite le parti all'odierna udienza in camera di consiglio, ed a scioglimento della riserva, O s s e r v a La richiesta presentata dal pubblico ministero pone una questione non manifestamente infondata di illegittimita' costituzionale dell'art. 168, ultimo comma, codice penale (come modificato dall'art. 1, legge 26 marzo 2001, n. 128), in relazione all'art. 674, comma 1-bis, codice di procedura penale ed in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e a quello del contraddittorio di cui all'art. 111, commi quarto e quinto, Cost. (come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), nella parte in cui prevede la possibilita' di revoca in sede di esecuzione del beneficio della sospensione condizionale della pena concessa in violazione dell'art. 164, quarto comma, c.p. in presenza di cause ostative, nel caso in cui la sospensione sia stata concessa ai sensi dell'art. 444. terzo comma, c.p.p. Per quanto concerne la rilevanza della questione si osserva innanzitutto che risulta dagli atti, e la stessa difesa non lo ha contestato, che il beneficio della sospensione condizionale fu concesso illegittimamente al Sedda, in quanto questi ne aveva gia' usufruito per due volte (sentenze del Tribunale di Oristano in data 11 marzo 1974 e del Tribunale di Nuoro in data 18 agosto 1991). Come e' noto, in seguito alle modifiche normative introdotte con legge 26 marzo 2001, n. 128, l'illegittima concessione del beneficio puo' essere fatta valere anche in sede di esecuzione, senza necessita' di impugnazione della sentenza, a mente di quanto stabilito dall'art. 674, comma 1-bis, c.p.p., e - con specifico riferimento al beneficio concesso con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti - dall'art. 168, ultimo comma, c.p.p. (come modificato dall'art. 1 legge citata). L'interpretazione della difesa, secondo cui la norma da ultimo richiamata potrebbe essere applicata solamente nel caso di richiesta dell'imputato condizionata alla concessione del beneficio, ma non in quello della richiesta congiuntamente presentata dalle parti e subordinata alla stessa condizione, non puo' peraltro essere condivisa. Infatti, si deve osservare che come risulta chiaramente dal testo normativo dell'art. 444, terzo comma, c.p.p., e dalla sua costante interpretazione giurisprudenziale, solamente l'imputato puo' condizionare la proposta di applicazione della pena al riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale, mentre il pubblico ministero non puo' far altro che prestare o negare il proprio consenso alla richiesta, non potendo interloquire sulla concessione della sospensione condizionale, che discende dalla sussistenza dei presupposti di legge e dev'essere dunque verificata dal giudice; ed infatti, secondo la giurisprudenza di legittimita' l'eventuale condizione negativa (della mancata concessione della sospensione) formulata dal pubblico ministero si ha per non apposta (v. ad es. Cass., sez. VI, 20 settembre 1991, n. 9827, Lanciotti). Si deve dunque ritenere che il fatto che il pubblico ministero abbia o meno aderito alla richiesta dell'imputato di concessione della sospensione condizionale sia irrilevante, e non possa di conseguenza modificare il regime normativo della revoca del beneficio in sede esecutiva. Sotto un diverso profilo, si deve evidenziare che la ratio legis della modifica del 2001 e' evidentemente quella di consentire di porre rimedio in sede di esecuzione all'erronea concessione del beneficio (ad es. a causa del mancato aggiornamento del certificato del casellario giudiziale), per ragioni di difesa sociale che impongono di evitare un ingiusto trattamento di favore nei confronti dei recidivi. La dialettica tra le parti processuali non interferisce in alcun modo con lo scopo perseguito dal legislatore, cosicche' non avrebbe senso far dipendere l'applicabilita' della norma dal fatto che il pubblico ministero, invece di prestare il proprio consenso in un secondo momento, lo abbia fatto ab origine sottoscrivendo una richiesta congiunta. Pertanto, si deve concludere che la norma di cui all'art. 168, ultimo comma, c.p.p. sia senz'altro applicabile nel caso di specie. I profili di non manifesta infondatezza della questione di illegittimita' costituzionale in merito alle citate norme della Carta fondamentale sono strettamente intrecciati tra loro e si correlano alla costituzionalizzazione del principio della formazione della prova nel contraddittorio tra le parti (art. 111, quarto comma, Cost.), regola che, secondo quanto stabilito dal quinto comma dello stesso art. 111, puo' trovare una deroga legislativa solamente «...per consenso dell'imputato o per accertata impossibilita' di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita». Il legislatore ordinario, dunque, e' vincolato dalle norme costituzionali a poter prevedere limiti al principio del contraddittorio solamente nei casi sopra indicati. Ed evidentemente tale regola, in riferimento ai meccanismi dei riti alternativi, deve valere non soltanto per la possibilita' di prevedere un processo alternativo di tipo inquisitorio, ma anche per la disciplina positiva del rito, che in ogni sua parte puo' derogare alla regola della formazione della prova in contraddittorio solamente per consenso dell'imputato, impossibilita' o provata condotta illecita. Il procedimento disciplinato dagli artt. 444 e ss. c.p.p. rientra nel novero delle eccezioni fondate sul consenso dell'imputato, il quale, concordando l'applicazione della pena con il pubblico ministero accetta un giudizio di natura inquisitoria, essendo fondato sulle prove raccolte nel corso delle indagini preliminari e, dunque, in massima parte in assenza di contraddittorio. Si deve dunque ritenere, sulla base di quanto sopra affermato, che non soltanto la previsione in generale del rito alternativo, ma ogni aspetto della sua disciplina debba essere improntato al consenso come fondamento della deroga al contraddittorio. Per quanto interessa nel caso di specie, nel processo di formazione del consenso il legislatore riconosce la legittimita' della subordinazione dell'efficacia della richiesta alla concessione della sospensione condizionale della pena. A tale beneficio, conseguentemente, e' riconosciuta un'efficacia condizionante del rito; nel caso contemplato dall'art. 444, terzo comma, c.p.p., dunque, la richiesta di sospensione condizionale forma parte integrante del consenso all'applicazione di un rito non fondato sul contraddittorio delle parti. E coerentemente la disciplina positiva, nella fase di cognizione, prevede che la mancata concessione del beneficio comporti il rigetto della richiesta, e dunque il ritorno alla regola generale del processo celebrato in contraddittorio. In conformita' a tali principi, la Corte di cassazione ha sempre ritenuto che la illegittima concessione della sospensione condizionale infici non soltanto il relativo capo della sentenza, ma l'intero accordo raggiunto dalle parti, proprio perche' la concessione della sospensione costituisce parte integrante ed inscindibile dell'accordo (v. ad es. Cass., sez. I, 22 febbraio 1994, n. 5632, Giordano; Cass., sez. II, 26 marzo 1996, n. 2990, Chirichella; Cass., sez. V, 19 ottobre 1999, n. 4421, Di Biase). La razionalita' e la corrispondenza al principio dettato dall'art. 111 Cost. di tale meccanismo e' pero' alterata, in sede di esecuzione, proprio dalla previsione dell'art. 168, terzo comma, c.p., in relazione alla peculiare fattispecie di cui all'art. 444, terzo comma, c.p.p. Da un lato, infatti, la revoca del beneficio fa si' che l'imputato si trovi ad essere stato giudicato in un processo svoltosi in assenza di contraddittorio senza il suo consenso, in quanto - come piu' volte detto - il consenso era condizionato al riconoscimento del predetto beneficio, e la condizione formava parte integrante dell'accordo. Dall'altro lato, appare stridente ed ingiustificabile la disparita' di trattamento tra la fase di cognizione, nella quale il rilievo della illegittima concessione del beneficio porterebbe al rigetto della richiesta o, in sede di impugnazione, all'annullamento dell'intero accordo, riconducendo il giudizio nei binari ordinari; e quella di esecuzione, in cui invece la revoca del solo beneficio non inciderebbe sul giudicato relativo all'applicazione della pena. Si osservi che entrambi i rilievi in questione valgono solamente per lo speciale rito di cui agli artt. 444 e ss. c.p.p.: nel giudizio ordinario, infatti, non si pongono per definizione problemi di violazione del principio del contraddittorio, e la disciplina della fase esecutiva e' esattamente speculare a quella della fase di cognizione. Pertanto, solamente la fattispecie de qua si espone a censure di illegittimita', in ordine alle quali dev'essere disposta la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.