Ricorso  per  il Presidente del Consiglio dei ministri, rapp.to e
difeso  dall'Avvocatura  generale dello Stato e presso la sua sede in
Roma, via dei Portoghesi n. 12, domiciliato;

    Contro  la  Regione Campania, in persona del Presidente in carica
per  la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli
2, comma 2, lettere b) e d), nonche' 3, comma 4 della legge regionale
20  dicembre  2004,  n. 13,  concernente «Promozione e valorizzazione
delle  universita' della Campania», pubblicata sul B.U.R.C. n. 63 del
22 dicembre 2004.

                              F a t t o

    Con   la  legge  indicata  in  epigrafe  la  Regione  Campania  -
evidentemente   attivando   il  potere  di  legislazione  concorrente
attribuito  (specularmente  a quanto previsto dall'art. 117, comma 2,
lett.   n)  della  Costituzione)  dall'articolo  117  comma  3  della
Costituzione  alle Regioni in materia - tra l'altro - di «istruzione,
salva  l'autonomia  delle  istituzioni scolastiche e con l'esclusione
della  istruzione  e della formazione professionale» ha emanato norme
volte   alla   dichiarata   finalita'  di  promozione  della  tutela,
valorizzazione  e  sviluppa delle universita' operanti sul territorio
regionale campano.
    A   tale   scopo   risultano   enunciate   disposizioni  di  tipo
strumentale, organizzativo e finanziario, culminanti nella formazione
di  uno  strumento  triennale  di  programmazione  e  gestione  degli
interventi  relativi  ai vari atenei ed alle rispettive attivita', da
adottarsi nel rispetto della normativa nazionale di riferimento.
    Alcune  di  tali  previsioni,  peraltro, risultano incidere sulla
competenza  legislativa  e  regolamentare attribuita in via esclusiva
allo  Stato dalla Costituzione (art. 33, comma 6 e art. 117, comma 2,
lett. n).
    Si  tratta  in  particolare: a) dell'art. 2, comma 2, lettera b),
che  attribuisce  alla  programmazione  regionale «l'istituzione e il
finanziamento  di  scuole di eccellenza e di master»; b) dell'art. 2,
comma  2,  lettera  d), che attribuisce alla programmazione regionale
«gli  accordi  di  programma  tra  ministero, atenei e altri soggetti
pubblici  e  privati»; c) dell'art. 3, comma 4, laddove prevede che i
docenti  universitari  che  compongono  il  comitato  di  indirizzo e
programmazione   «non  possono  ricoprire  le  funzioni  di  rettore,
presidente  di  polo,  preside  di  facolta'  o  altri  incarichi  di
direzione accademica».
    Cosicche'  in  relazione  a  dette disposizioni il Presidente del
Consiglio dei ministri, previa intervenuta delibera del Consiglio dei
minilstri, con il presente ricorso promuove questione di legittimita'
costituzionale,  a  norma dell'art. 127, comma 1, della Costituzione,
per il seguente motivo di

                            D i r i t t o

    Violazione   dell'art   117,  comma  6,  della  Costituzione,  in
relazione  all'art.  33,  comma  6  e all'art. 117, comma 2, lett. n)
della Costituzione.
    Come  di recente ribadito da codesta Corte con la sentenza n. 423
del  2004, l'art. 33, comma 6 della Costituzione, allorquando prevede
che  «Le  universita'  hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi
nei  limiti stabiliti dalle leggi dello Stato», introduce una riserva
di  legge statale in materia di universita' che include, tra l'altro,
la  disciplina dei percorsi formativi e dei relativi titoli di studio
(laurea,  laurea magistrale, etc.) della programmazione universitaria
e dello stato giuridico del personale docente e non docente.
    E'  nell'ambito della cornice in tal modo definita dalla potesta'
legislativa e regolamentare dello Stato che le universita' esercitano
la  propria  autonomia  didattica:  ed e' fuor di dubbio che anche la
potesta'  regolamentare  in materia spetti allo Stato, in relazione a
quanto previsto dall'art. 117, comma 6, della Costituzione.
    Del  resto,  secondo  la  Costituzione  tutto l'ordinamento della
pubblica  istruzione e' unitario, e l'unita' resta assicurata, per il
sistema  scolastico  in  genere  da  «norme  generali», dettate dalla
Repubblica  (art. 33,  comma 2, e art. 117, comma 2, lett. n) Cost.);
per  il  sistema  universitario, in quanto costituito da «ordinamenti
autonomi», da «limiti stabiliti da leggi dello Stato» (art. 33, comma
6, Cost.).
    In tali termini si e' espressa codesta Corte costituzionale nella
sentenza  27  novembre  1999  n. 383,  precisando  altresi' che: «Gli
ordinamenti   autonomi  delle  universita',  cui  la  legge,  secondo
l'art. 33  della  Costituzione,  deve  fare  da  cornice, non possono
considerarsi   soltanto   sotto   l'aspetto   organizzativo  interno,
manifestatesi   in  amministrazione  e  in  normazione  statutaria  e
regolamentare.  Per  l'anzidetto  rapporto  di  necessaria  reciproga
implicazione,  l'organizzazione  deve considerarsi anche sul suo lato
funzionale esterno, coinvolgente i diritti e incidente su di essi:
    La  necessita'  di leggi dello Stato, quali limiti dell'autonomia
ordinamentale   universitaria   vale   pertanto   sia  per  l'aspetto
organizzativo  sia,  a  maggior ragione, per l'aspetto funzionale che
coinvolge i diritti di accesso alle prestazioni.
    In  questo modo, all'ultimo comma dell'art. 33 viene a conferirsi
una  funzione,  per  cosi'  dire,  di  cerniera,  attribuendosi  alla
responsabilita'  del legislatore statale la predisposizione di limiti
legislativi     all'autonomia     universitaria     relativi    tanto
all'organizzazione  in  senso  stretto, quanto al diritto di accedere
all'istruzione universitaria».
    Ne consegue che, in conformita' al dettato costituzionale, nessun
altro  soggetto  che non sia lo Stato puo' introdurre limiti di sorta
all'autonomia universitaria, tanto sotto il profilo organizzativo che
sotto  quello  attinente  al  diritto  allo  studio e allo status del
relativo personale, docente e non.
    A  tanto  aggiungasi  che la medesima gia' citata sentenza n. 383
del  1998  ha  anche  precisato che «sotto l'aspetto dei rapporti tra
potesta'  legislativa  e  potesta' normativa del Governo, nulla nella
Costituzione   esclude   1'eventualita'  che  un'attivita'  normativa
secondaria possa legittimamente essere chiamata dalla legge stessa ad
integrarne i contenuti sostanziali, quando - come nella specie - , si
versi  in  aspetti della materia che richiedono determinazioni bensi'
unitarie,  e quindi non rientranti nelle autonome responsabilita' dei
singoli   atenei,   ma  anche  tali  da  dover  essere  conformate  a
circostanze  e possibilita' materiali varie e variabili, e quindi non
facilmente   regolabili   in  concreto  secondo  generali  e  stabili
previsioni legislative».
    In  altri  termini  (come soggiunge codesta Corte) «la riserva di
legge  e'  tale  da  comportare,  da  un  lato,  la necessita' di non
comprimere  l'autonomia  delle  universita',  per quanto riguarda gli
aspetti della disciplina che ineriscono a tale autonomia; dall'altro,
la   possibilita'   che  la  legge,  ove  non  disponga  essa  stessa
direttamente   ed   esaustivamente,  preveda  l'intervento  normativo
dell'esecutivo,  per  la sua specificazione concreta della disciplina
legislativa,   quando  la  sua  attuazione,  richiedendo  valutazioni
d'insieme, non e' attribuibile all'autonomia delle universita».
    Tale  ultima  proposizione  risulta  compatibile,  ed anzi appare
rafforzata  dal  disposto  del  comma  3 del nuovo art. 117, il quale
stabilisce  che  «La  potesta'  regolamentare spetta allo Stato nelle
materie  di  legislazione esclusiva» cosicche' non e' ammissibile che
la legislazione regionale in alcun modo possa entrarvi.
    Alla  stregua di quanto sin qui esposto, si rivelano lesive delle
attribuzioni  legislative  e  regolamentari  esclusive dello Stato le
seguenti  disposizioni  contenute  nella  legge  regionale  di cui in
epigrafe.
    A)  L'art. 2, comma 2, lettera b) attribuendo alla programmazione
regionale «l'istituzione e il finanziamento di scuole di eccellenza e
di  master»,  contrasta,  in  particolare,  con  il principio dettato
dall'art. 17, comma 95, della legge n. 127 del 1997, secondo il quale
i  criteri generali dell'ordinamento degli studi dei corsi di diploma
universitario,  di laurea e di specializzazione sono definiti con uno
o piu' decreti del Ministro dell'Universita'.
    In attuazione di tale disposizione, infatti, e' stato adottato il
decreto  ministeriale  n. 270,  recante norme concernenti l'autonomia
didattica  degli atenei, il quale individua, tra l'altro, all'art. 3,
«i corsi di studio e i titoli» rilasciati dalle universita'.
    B) L'art. 2, comma 2, lettera d), attribuendo alla programmazione
regionale  «gli  accordi  di  programma tra Ministero, atenei e altri
soggetti  pubblici  e  privati»,  si pone in contrasto con l'art. 20,
comma  8, lettere a) e b), della legge n. 59 del 1997, che demanda ad
appositi  regolamenti  da  emanarsi  ai  sensi dell'art. 17, comma 2,
della   legge  n. 400/1988,  l'individuazione  delle  norme  generali
regolatrici   dello  sviluppo  e  della  programmazione  del  sistema
universitario.
    Piu'  in  particolare,  la  disposizione  regionale  si  pone  in
contrasto   con  lo  specifico  strumento  attuativo  del  menzionato
art. 20,  comma  8,  lett.  a) della legge n. 59/1997, costituito dal
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n. 25 del 1998 il quale,
all'art. 2, comma 2, demanda espressamente ad un decreto del Ministro
dell'istruzione   la   programmazione,  tra  l'altro,  proprio  degli
«accordi di programma tra Ministero, atenei e altri soggetti pubblici
e privati».
    C)  L'art. 3,  comma 4, prevedendo che i docenti universitari che
compongono  il  comitato  di  indirizzo e programmazione «non possono
ricoprire  le  funzioni  di  rettore,  presidente di polo, preside di
facolta'  o  altri incarichi di direzione accademica», viola la legge
n. 28  del  1980,  che  conferisce  delega  al  Governo  in  ordine a
riordinamento della docenza universitaria.
    Esso,  in  particolare, si pone in aperto contrasto con l'art. 13
del  decreto  del  Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382
che,  nell'attuare  detta delega, stabilisce tassativamente i casi di
incompatibilita' dei docenti universitari.