ha pronunciato la seguente:

                              Sentenza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli articoli 150, 151,
154  e  299,  nella  parte  in  cui  abroga  l'art. 264 del codice di
procedura  penale,  del  d.P.R.  30 maggio  2002, n. 115 (Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia),  e  dell'articolo 84  del  decreto  legislativo 28 luglio
1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del
codice di procedura penale), promossi con ordinanze del 18 marzo 2003
del  giudice  per  le  indagini  preliminari del Tribunale di Napoli,
dell'8 settembre  e  del 16 dicembre 2003 del giudice per le indagini
preliminari  del  Tribunale  di  Verona  rispettivamente  iscritte ai
nn. 356  e 1188 del registro ordinanze 2003 ed al n. 492 del registro
ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 25,  1ª  serie  speciale  dell'anno 2003  e  nn. 4  e 23, 1ª serie
speciale dell'anno 2001.
    Visti  gli  atti  d'intervento  del  Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 9 febbraio 2005 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  giudice  per  le indagini preliminari del Tribunale di
Napoli,  con ordinanza del 18 marzo 2003 (reg. ord. n. 356 del 2003),
ha   sollevato,   in   riferimento   agli  artt. 3,  76  e  97  della
Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale  degli
artt. 151 e 154 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio
2002,   n. 115   (Testo   unico   delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari  in  materia di spese di giustizia), nella parte in cui
prevedono  l'emanazione  di un'ordinanza successiva rispetto a quella
prevista  dal  precedente art. 150, che dispone la restituzione delle
somme sequestrate, per violazione dei principi e criteri direttivi di
semplificazione  della  legge  delega,  nonche'  dei  canoni  di buon
andamento  della  pubblica  amministrazione  e  di ragionevolezza del
sistema.
    Il  remittente  premette  che l'avviso di restituzione all'avente
diritto  della  somma  di denaro in sequestro, disposto nella vigenza
della  precedente  normativa,  non  era  andato  a  buon fine, con la
conseguenza  che,  non  potendosi  ritenere decorso il termine di due
anni  previsto  dal  previgente  art. 264  cod. proc. pen., era stata
comunicata  la  restituzione  (di Euro 1,84) ai sensi del testo unico
intervenuto  nelle  more. Aggiunge che, essendo decorsi trenta giorni
dalla   rituale   comunicazione  senza  che  l'avente  diritto  abbia
provveduto  al ritiro, egli deve fissare, con ordinanza da comunicare
a   quest'ultimo,   il   termine   iniziale  di  decorrenza  ai  fini
dell'assegnazione successiva della somma alla Cassa delle ammende, ai
sensi  del  citato  art. 151,  commi 1  e  2, dovendo poi disporre la
devoluzione  della  stessa  somma  nel  caso  in  cui  nei  tre  mesi
successivi nessuno provi di avervi diritto, secondo la previsione del
successivo art. 154.
    Il  remittente,  precisato in punto di rilevanza che, in mancanza
di  norme  transitorie, deve applicare le disposizioni suddette anche
se  il  procedimento  era  gia'  pendente  al momento dell'entrata in
vigore   del   testo   unico,   solleva  d'ufficio  la  questione  di
legittimita' costituzionale in riferimento ai parametri indicati.
    Quanto   alla   non  manifesta  infondatezza  in  relazione  alla
violazione  dell'art. 76  della Costituzione, il giudice a quo deduce
che  il  legislatore  delegato  ha  ecceduto  dai limiti della delega
prevedendo,  nell'art. 151, l'emanazione di un'ordinanza successiva a
quella  di  cui  al  precedente art. 150, che dispone la restituzione
delle  somme, e rispetto alla quale sarebbe assolutamente superflua e
ultronea  rispondendo alle stesse finalita' di conoscenza. Richiamate
le  norme  della delega, il remittente si sofferma in particolare sui
criteri  e principi direttivi posti dall'art. 7, comma 2, lettera a),
della  legge  8 marzo  1999,  n. 50 (Delegificazione e testi unici di
norme    concernenti   procedimenti   amministrativi   -   legge   di
semplificazione 1998),   come   modificato  dall'art. 1  della  legge
24 novembre  2000,  n. 340  (Disposizioni  per  la delegificazione di
norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - legge
di   semplificazione 1999),   che   rinvia   ai  criteri  individuati
dall'art. 20  della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per
il  conferimento  di  funzioni e compiti alle regioni ed enti locali,
per   la   riforma   della   Pubblica   Amministrazione   e   per  la
semplificazione  amministrativa).  Sottolinea  che,  alla  luce della
relazione governativa al d.P.R. n. 115 del 2002, il mandato assegnato
al  legislatore delegato e' quello di semplificazione, di snellimento
dei  procedimenti, di riduzione dei tempi, di eliminazione delle fasi
inutili  e  di  soppressione  di  organi  e  fasi  endoprocedimentali
superflue,   mentre   la   disciplina  dettata  appare  assolutamente
contraria a tali principi.
    Il remittente prospetta, inoltre, la violazione degli art. 3 e 97
della  Costituzione  sotto il profilo del mancato rispetto dei canoni
di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione.
Consapevole  del  costante  orientamento  della  Corte,  secondo  cui
l'esercizio  della funzione giurisdizionale e' estraneo alla tematica
del buon andamento della pubblica amministrazione, essendo riferibile
agli  organi  dell'amministrazione  della giustizia solo per le leggi
che  definiscono  l'ordinamento  degli  uffici  giudiziari  e il loro
funzionamento  sotto  l'aspetto  amministrativo,  il  giudice  a  quo
sottolinea che i provvedimenti adottati nell'esercizio delle funzioni
giurisdizionali coinvolgono necessariamente gli uffici della pubblica
amministrazione.  Nel  caso  di  specie,  aggiunge, l'adozione di tre
diversi  successivi provvedimenti da parte del giudice ai sensi degli
artt. 151  e  154  del  citato  testo  unico  comporta  la necessaria
attivazione  della  cancelleria  e  degli  addetti alle notifiche. In
conclusione,  ad avviso del remittente l'inutile duplicazione di atti
e' manifestamente irragionevole, anche con riferimento all'incoerenza
della  disciplina  rispetto  all'interesse  pubblico perseguito; ne',
infine,  afferma  il  remittente,  dato l'inequivocabile tenore delle
norme  censurate,  sarebbe  possibile  accedere ad un'interpretazione
diversa  che  consenta  di adeguarle ai parametri invocati a sostegno
del dubbio di costituzionalita'.
    1.1 - Nel giudizio introdotto con l'ordinanza n. 356 del 2003, e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la
questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
    A  sostegno  dell'inammissibilita', la difesa erariale deduce che
le   disposizioni   che   in  precedenza  disciplinavano  la  mancata
restituzione  delle  somme  gia'  in  sequestro (artt. 264 e 265 cod.
proc.  pen. e art. 84 disposizioni di attuazione del cod. proc. pen.)
sono  state  espressamente  abrogate dall'art. 299 dello stesso testo
unico,   che   non   ha  formato  oggetto  di  censura.  Un'ipotetica
illegittimita',   pertanto,   determinerebbe  un  vuoto  legislativo;
mentre,  ipotizzando la loro reviviscenza, difetterebbe la rilevanza,
avendo  il  remittente  omesso  ogni comparazione tra vecchia e nuova
disciplina.  Inoltre,  aggiunge l'Avvocatura - anticipando le ragioni
dell'infondatezza  -  la  vecchia normativa prevedeva un procedimento
piu'  lungo  e  complesso,  attraverso  il  coinvolgimento di diversi
organi,  quali  il deposito presso l'Ufficio del registro della somma
non restituita, e la stessa devoluzione alla Cassa delle ammende dopo
due anni.
    Secondo  la difesa erariale la questione e' infondata sotto tutti
i  profili  denunciati, atteso che il legislatore delegato ha operato
una  semplificazione  rispetto  alla  disciplina previgente e che non
puo'   farsi  questione  di  cio'  che  ulteriormente  sarebbe  stato
possibile  fare  sulla  base  della  delega - nella prospettiva della
maggiore semplificazione invocata dal remittente - venendo in rilievo
profili  di  merito  inerenti  a  scelte legislative non sindacabili.
Inoltre,   al   di   la'  della  non  pertinenza  dell'art. 97  della
Costituzione,  afferma  l'Avvocatura,  non  appare  irragionevole  la
scelta  di  fissare,  dopo  il  mancato  ritiro  della somma da parte
dell'interessato,  un  termine  ai  fini della devoluzione alla Cassa
delle  ammende  per  dar modo all'interessato di fornire la prova del
proprio diritto.
    2.  -  Il  giudice  per  le indagini preliminari del Tribunale di
Verona,  con  ordinanza  dell'8 settembre 2003 (reg. ord. n. 1188 del
2003),  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3, 76 e 97 della
Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale  degli
artt. 150,  151,  154  e 299 - quest'ultimo nella parte in cui abroga
l'art. 264  del  codice di procedura penale - del decreto legislativo
30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in
materia di spese di giustizia), come riprodotti nel d.P.R. n. 115 del
2002,  e inoltre, in via subordinata, dell'art. 7 della legge 8 marzo
1999,  n. 50  (Delegificazione  e  testi  unici  di norme concernenti
procedimenti  amministrativi  -  legge di semplificazione 1998), come
modificato  dall'art. 1  della legge n. 340 del 2000, con riferimento
all'art. 76 della Costituzione.
    In  particolare, le suddette norme del testo unico sono censurate
-  in riferimento all'art. 76 della Costituzione - nella parte in cui
disciplinano  anche  il «caso prima regolato dall'art. 264 del codice
di   procedura»  per  mancanza  di  una  valida  delega  in  tema  di
restituzione  dei  beni  in  sequestro,  e inoltre, subordinatamente,
nella parte in cui disciplinano in modo difforme anche il «caso prima
regolato  dall'art. 264  del codice di procedura» per contrarieta' ai
principi  e  criteri direttivi della legge di delegazione posti dalla
lettera d), comma 2, dell'art. 7 citato, e, comunque - in riferimento
all'art. 97,   primo  comma,  anche  in  relazione  all'art. 3  della
Costituzione  -  nella  parte in cui prevedono attivita' ripetitive e
inutili   con  effetti  di  inefficienza  sull'amministrazione  della
giustizia.  La  legge  delega  e'  censurata  -  in via ulteriormente
subordinata  -  nella  parte  in  cui  non  detta  criteri e principi
direttivi  idonei  a  definire  i  tratti  fondamentali  e  le scelte
rilevanti con riferimento alle materie delegate.
    In  punto  di rilevanza, il remittente espone di aver disposto il
5 maggio 2003 la restituzione all'avente diritto della somma di circa
Euro  185, residuata dopo il recupero delle spese di giustizia - gia'
in  sequestro  conservativo  penale  in  riferimento  ad  un processo
conclusosi  con sentenza passata in giudicato il 16 dicembre 1996 - e
che,  essendo  decorsi  inutilmente trenta giorni dalla comunicazione
senza il ritiro da parte dell'avente diritto, deve emettere ordinanza
ai sensi dell'art. 151 del testo unico, comunicandola allo stesso, ai
fini   dell'eventuale  assegnazione  della  somma  alla  Cassa  delle
ammende.  Sottolinea  che  la  nuova  disciplina e' del tutto diversa
rispetto  a  quella  contenuta  nel previgente art. 264 del codice di
procedura  penale;  mentre  il testo unico impone un provvedimento di
restituzione   ed   un   ulteriore   provvedimento  di  «minaccia  di
incameramento»,  nelle  forme dell'ordinanza da comunicare all'avente
diritto, prima - sempre secondo lo stesso giudice - in mancanza della
richiesta  di restituzione in un determinato lasso di tempo, esisteva
un meccanismo semplificato di incameramento delle somme.
    Tutto cio' premesso, il giudice solleva d'ufficio le questioni di
costituzionalita' nei termini suddetti.
    In  primo  luogo  richiama  la sentenza n. 212 del 2003 di questa
Corte,  che  ha  dichiarato l'illegittimita' di altre norme del testo
unico  per  eccesso di delega, e si sofferma sul sistema delle fonti.
Osserva  il remittente che la fonte del potere legislativo esercitato
nella  specie  dal  Governo si rinviene nell'art. 7 della legge n. 50
del  1999,  come  modificato dall'art. 1 della legge n. 340 del 2000,
che  ha  attribuito  la  delega al riordino delle norme legislative e
regolamentari  nelle  materie  ivi  elencate,  mediante  testi  unici
comprendenti  le  disposizioni contenute in un decreto legislativo ed
in  un  regolamento  emanati  ai  sensi degli artt. 14 e 17, comma 2,
della  legge  23 agosto 1988, n. 400 sulla base di criteri e principi
direttivi  dettati dallo stesso articolo. La previsione di un decreto
legislativo  renderebbe  evidente la natura non meramente compilativa
dell'intervento  di  riordino  normativo rimesso all'Esecutivo, fermo
restando  che  la  capacita'  di  innovazione  del  sistema  andrebbe
riconosciuta solamente al suddetto decreto legislativo e non anche al
successivo  testo  unico,  avente  funzione  di  mera  raccolta delle
disposizioni  contenute  nel  decreto  legislativo e nel regolamento.
Nella specie, dunque, dovrebbe riconoscersi rango legislativo al solo
decreto  n. 113  del 2002, stante la natura meramente compilativa del
successivo  d.P.R.  n. 115  del  2002,  con  la  conseguenza  che  la
conformita' alla delega dovrebbe essere valutata rispetto al primo.
    Nel merito delle censure, il giudice sostiene, in via principale,
la mancanza della delega a disciplinare la materia della restituzione
dei  beni  in  sequestro. Richiamate le fonti del potere delegato del
Governo,  ed  in particolare l'art. 7 della legge n. 50 del 1999, che
tra  le  materie individua le leggi annuali di semplificazione (comma
1,   lettera b),   con   conseguente   rinvio   a  quelle  risultanti
dall'allegato  1,  numeri 9, 10 e 11, della stessa legge, si sofferma
sul n. 9 relativo al «Procedimento di gestione e alienazione dei beni
sequestrati  e  confiscati»,  che  richiama  alcuni  testi normativi.
Escluso   che   la   materia  oggetto  di  devoluzione  possa  essere
individuata  sulla  base  del titolo e sottolineato, comunque, che lo
stretto  tenore  letterale  dello  stesso  - secondo l'unico criterio
possibile   -   non  comprende  la  materia  della  restituzione,  il
remittente  sostiene  che i predetti testi normativi sono tassativi e
che,   non  casualmente,  non  richiamano  le  norme  del  codice  di
procedura,  che  non  sono  di  rango  procedimentale ma hanno natura
sostanziale.  Il  legislatore  delegato,  eccedendo  i  limiti  della
delega,  avrebbe  abrogato  l'art. 264  del  codice di rito il quale,
rispetto  al  procedimento  di  restituzione  delle  cose sequestrate
regolato  dall'art. 263  dello  stesso  codice,  disciplinava in modo
semplificato   l'ipotesi   particolare   dell'omessa   richiesta   di
restituzione  o  del  suo  rigetto,  ed  imposto  un provvedimento di
restituzione.
    In  via  subordinata,  il remittente sostiene il mancato rispetto
dei  criteri  e principi direttivi. Individuato come rilevante quello
di   cui   alla   lettera d)  del  comma 2  dell'art. 7  citato,  che
consentirebbe  il  coordinamento  formale delle disposizioni vigenti,
con  la  possibilita'  di  modificarle  solo  per  la  necessita'  di
garantire  la  coerenza  logica  e  sistematica  della normativa e di
semplificare  il  linguaggio normativo, sottolinea che certamente non
puo'  rientrare  in  tale ambito ne' la soppressione di un meccanismo
risolutivo  per  il caso in cui nessuno abbia chiesto la restituzione
ne' l'introduzione generale di un «meccanismo farraginoso» attraverso
tre provvedimenti dell'ufficio.
    Se, invece, aggiunge il remittente, si ritenesse la delega idonea
a   consentire  tali  interventi  innovativi,  allora  il  dubbio  di
costituzionalita'  dovrebbe essere riferito allo stesso art. 7, nella
parte in cui non detta criteri e principi direttivi idonei a definire
i  tratti  fondamentali  e  le  scelte rilevanti con riferimento alle
specifiche materie delegate.
    Da  ultimo il giudice a quo fa proprie le censure svolte in altra
ordinanza  di  rimessione  (reg. ord. n. 356 del 2003) in riferimento
agli  artt. 3  e 97 della Costituzione, richiamandole per relationem.
Si sofferma, poi, sul secondo parametro, invitando questa Corte ad un
ripensamento   dell'orientamento  consolidato,  sul  rilievo  che  la
procedura  non  e'  separata  dalla struttura amministrativa e che un
ufficio  e'  ben  organizzato  solo  se  opera  secondo procedure che
garantiscano  efficienza,  elencando  a  tal  fine i diversi passaggi
burocratici  cui  gli  uffici sarebbero tenuti sulla base delle nuove
norme.
    2.1.  - Nel giudizio introdotto con l'ordinanza n. 1188 del 2003,
e'   intervenuto   il   Presidente   del   Consiglio   dei  ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate.
    Con  riferimento  alla  dedotta  carenza  di  delega,  la  difesa
erariale  sottolinea  che  la  stessa e' stata conferita con l'art. 7
della  legge  n. 50  del 1999, come modificato dalla legge n. 340 del
2000,  attraverso il rinvio all'art. 1, comma 1, della stessa legge e
ai  numeri 9 e 10 del relativo allegato 1. Quanto al contrasto con la
stessa,   sostiene  che  il  remittente  non  considera  il  richiamo
all'art. 20  della  legge  n. 59 del 1997, contenuto nella lettera a)
del  comma 2  del  suddetto  art. 7.  Aggiunge,  rispetto  al mancato
espresso  richiamo delle norme del codice di procedura, che lo stesso
giudice non considera le lettere c), d) e f) del comma 2 dello stesso
art. 7,  ne'  il  comma 3  (recte:  comma 5) dell'art. 20 della legge
n. 59 del 1997 e, inoltre, che non e' esatto l'assunto secondo cui la
materia   del   procedimento  di  gestione  e  alienazione  dei  beni
sequestrati  e  confiscati  non  comprende i tempi, i modi e le forme
della  restituzione  e  mancata  restituzione  dei  beni sequestrati.
Deduce,   infine,   l'improprieta'  del  richiamo  all'art. 97  della
Costituzione,  attenendo  questo all'attivita' amministrativa e non a
quella giurisdizionale.
    3.  -  Il  giudice  per  le indagini preliminari del Tribunale di
Verona,  con  ordinanza  del  16 dicembre  2003 (reg. ord. n. 492 del
2004)  ha  sollevato,  in riferimento all'art. 77, primo comma, della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 299
del  d.P.R.  n. 115 del 2002 nella parte in cui abroga l'art. 264 del
codice   di  procedura  penale  e  l'art. 84  delle  disposizioni  di
attuazione dello stesso codice.
    Il  remittente  premette  di  essere investito della richiesta di
liquidazione di compenso avanzata dal custode di un ciclomotore, gia'
in  sequestro,  di  cui  era stata disposta vanamente la restituzione
all'avente    diritto    e   successivamente   la   distruzione   per
diseconomicita'  della vendita. Aggiunge che il custode ha chiesto il
compenso per l'intero periodo di custodia, compreso quello successivo
al trentesimo giorno decorrente dalla data in cui l'avente diritto ha
ricevuto   la   comunicazione   del  provvedimento  di  restituzione,
risultando  abrogato  l'art. 84  citato,  che  poneva  tale periodo a
carico  dell'avente  diritto;  con  la  conseguenza  che  il compenso
spettante al custode e' interamente a carico dello Stato.
    Il  medesimo  giudice,  ritenuto  che  il citato art. 299, che ha
abrogato  il  suddetto art. 84, sia stato emanato in violazione della
delega  concessa  al  Governo,  solleva  d'ufficio  la  questione  di
legittimita' costituzionale.
    In  primo  luogo  richiama  la sentenza n. 212 del 2003 di questa
Corte,  che  ha dichiarato l'illegittimita' dello stesso articolo per
eccesso  di  delega,  ritenendo  che  analoghe censure possano essere
mosse  all'art. 299  citato, nonche' alle altre norme del testo unico
che  hanno  innovato  il  procedimento  di restituzione delle cose in
sequestro,  gia'  oggetto  di  ordinanza  di  remissione sollevata da
diverso giudice dello stesso ufficio (reg. ord. n. 1188 del 2003), le
quali hanno rilevanza «in via indiretta ma necessaria», atteso che la
suddetta  abrogazione si collega a quella dell'art. 264 del codice di
rito  e  alla  nuova disciplina contenuta negli artt. 149, 150, 151 e
154 del d.P.R. n. 115 del 2002.
    Osserva  poi  il  remittente  - riportando parti della precedente
ordinanza  di  remissione  -  che  la  fonte  del  potere legislativo
esercitato  nella  specie  dal  Governo si rinviene nell'art. 7 della
legge  n. 50 del 1999, come modificato dall'art. 1 della legge n. 340
del  2000,  che  ha  attribuito  la  delega  al  riordino delle norme
legislative  e  regolamentari  nelle  materie  ivi elencate, mediante
testi  unici  comprendenti  le  disposizioni  contenute in un decreto
legislativo  ed  in  un regolamento emanati ai sensi degli artt. 14 e
17,  comma 2,  della  legge  23 agosto  1988,  n. 400,  sulla base di
criteri  e  principi  direttivi  dettati  dallo  stesso  articolo. La
previsione  di  un  decreto legislativo renderebbe evidente la natura
non  meramente  compilativa  dell'intervento  di  riordino  normativo
rimesso all'esecutivo, fermo restando che la capacita' di innovazione
del  sistema  andrebbe  riconosciuta  solamente  al  suddetto decreto
legislativo e non anche al successivo testo unico, avente funzione di
mera  raccolta delle disposizioni contenute nel decreto legislativo e
nel  regolamento.  Nella  specie, dunque, dovrebbe riconoscersi rango
legislativo  al  solo  decreto  n. 113  del  2002,  stante  la natura
meramente  compilativa  del successivo d.P.R. n. 115 del 2002, con la
conseguenza  che  la conformita' alla delega dovrebbe essere valutata
rispetto al primo.
    Sempre  riportando  la citata ordinanza di remissione, il giudice
rileva   che   l'indicazione   delle  materie  oggetto  della  delega
attraverso il rinvio a fonti esterne alla stessa legge, come nel caso
dell'art. 7, comma 1, suddetto, desta dubbi in ordine al rispetto del
requisito  previsto  dall'art. 76  della Costituzione, che imporrebbe
una  delega  conferita  per  oggetti definiti. Aggiunge tuttavia che,
rispetto  alla questione in esame, non rileva tanto il problema della
conformita'   della   delega   ai  criteri  di  specificita'  imposti
dall'art. 76  della  Costituzione, quanto il rispetto della delega da
parte  dell'art. 299, e quindi «la conformita' della menzionata norma
ai principi di cui all'art. 77», primo comma, della Costituzione.
    Ancora  riprendendo  brani dell'ordinanza di rimessione suddetta,
lo  stesso  giudice rileva che l'ambito entro cui puo' legittimamente
muoversi il legislatore delegato e' dato dalla lettera d) del comma 2
dell'art. 7  citato,  secondo cui possono essere modificati, rispetto
alla  regolamentazione  previgente,  solo  gli  aspetti che servono a
semplificare  il linguaggio normativo o a garantire coerenza logica e
sistematica  alla  normativa,  il che spiegherebbe anche l'assenza di
criteri  e  principi  direttivi  sull'oggetto delle materie delegate,
atteso  che  le  «strutture portanti» che la disciplina della materia
gia'  possiede  non  possono  essere  modificate.  In tale direzione,
l'abrogazione  dell'art. 84  citato  -  sostiene  il remittente - non
risponde a necessita' di semplificazione ne' di armonizzazione (cosi'
come  non  appare  semplificato il nuovo procedimento di restituzione
delineato dal testo unico, anche mediante l'abrogazione dell'art. 264
del  codice  di  rito),  ma  e'  il  frutto di una non condivisibile,
perche'  superficiale  ed  affrettata,  valutazione  di superfluita'.
Inoltre, il potere di semplificare e armonizzare non comprende quello
di  innovare in ordine al componimento degli interessi potenzialmente
in  contrasto,  come  ha  fatto  la  norma  impugnata che, attraverso
l'abrogazione  dell'art. 84, risulta inadeguata a tutelare le ragioni
economiche  dello  Stato  in tutti i casi in cui non si provvede alla
vendita immediatamente dopo il decorso di trenta giorni dalla rituale
comunicazione  della  restituzione  all'avente diritto. Una norma che
interviene a disciplinare l'esistente, aggiunge il giudice a quo, non
puo'  ignorare che, per effetto dei carichi di lavoro, dell'esistenza
di  termini  ordinatori  e,  in  genere, di possibili disfunzioni nel
passaggio  del  fascicolo da un ufficio all'altro, sia «assolutamente
normale  che  passi  qualche mese» prima che il giudice provveda alla
vendita.
    Conclusivamente,  sostiene  lo stesso, il legislatore delegato ha
ecceduto  i limiti della delega modificando la normativa preesistente
oltre  le  necessita' proprie della semplificazione e senza che possa
ritenersi  sussistente  il naturale rapporto di riempimento tra norma
delegata  e delegante alla luce della ratio di quest'ultima, idoneo a
far  ritenere che il silenzio della delega non osta all'emanazione di
norme  che  rappresentino lo sviluppo e il completamento della scelta
espressa dal legislatore delegante e delle ragioni ad essa sottese.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  giudice  per  le indagini preliminari del Tribunale di
Napoli   (reg.  ord.  n. 356  del  2003)  dubita  della  legittimita'
costituzionale degli artt. 151 e 154 del decreto del Presidente della
Repubblica  30 maggio  2002,  n. 115  (Testo unico delle disposizioni
legislative  e regolamentari in materia di spese di giustizia), nella
parte  in  cui  prevedono  l'emanazione  di  un'ordinanza  successiva
rispetto  a  quella  prevista dal precedente art. 150, che dispone la
restituzione  delle  somme  sequestrate,  in  riferimento all'art. 76
della  Costituzione,  ritenendo  che  il  legislatore  delegato abbia
ecceduto  dalla  delega  conferita con l'art. 7, comma 2, lettera a),
della  legge  8 marzo  1999,  n. 50 (Delegificazione e testi unici di
norme    concernenti   procedimenti   amministrativi   -   legge   di
semplificazione 1998),   come   modificato  dall'art. 1  della  legge
24 novembre  2000,  n. 340  (Disposizioni  per  la delegificazione di
norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - legge
di   semplificazione 1999),  che  rinvia  ai  criteri  -  individuati
dall'art. 20  della  legge 15 marzo 1997, n. 59 - di semplificazione,
di   snellimento   dei  procedimenti,  di  riduzione  dei  tempi,  di
eliminazione  delle  fasi  inutili e di soppressione di organi e fasi
endoprocedimentali  superflue,  mentre  la disciplina dettata sarebbe
contraria  a  tali principi; e inoltre, in riferimento agli artt. 3 e
97  della  Costituzione,  sotto  il  profilo del mancato rispetto dei
canoni   di   ragionevolezza  e  di  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione,  atteso  che i provvedimenti adottati nell'esercizio
delle funzioni giurisdizionali coinvolgono necessariamente gli uffici
amministrativi e che l'inutile duplicazione di atti e' manifestamente
irragionevole rispetto all'interesse pubblico perseguito.
    Il  giudice  per  le indagini preliminari del Tribunale di Verona
(reg. ord. n. 1188 del 2003) dubita della legittimita' costituzionale
degli  artt. 150,  151, 154 e 299 - quest'ultimo in quanto abrogativo
dell'art. 264   del   codice   di  procedura  penale  -  del  decreto
legislativo  30 maggio  2002,  n. 113 (Testo unico delle disposizioni
legislative  in  materia  di spese di giustizia), come riprodotti nel
d.P.R.  n. 115  del  2002,  nella  parte in cui disciplinano anche il
«caso  prima  regolato  dall'art. 264  del  codice  di procedura», in
riferimento  all'art. 76  della  Costituzione,  per  mancanza  di una
valida  delega  in  tema  di  restituzione  dei  beni  in  sequestro;
subordinatamente, nella parte in cui gli stessi articoli disciplinano
in  modo  difforme rispetto alla disciplina previgente anche il «caso
prima  regolato  dall'art. 264  del  codice  di procedura», sempre in
riferimento  all'art. 76  della  Costituzione,  per  contrarieta'  ai
principi   e  criteri  direttivi  posti  dalla  lettera d),  comma 2,
dell'art. 7  della  legge n. 50 del 1999, come modificato dall'art. 1
della  legge  n. 340 del 2000; e inoltre nella parte in cui prevedono
attivita'   ripetitive   e   inutili   con  effetti  di  inefficienza
sull'amministrazione  della  giustizia,  in  riferimento all'art. 97,
primo  comma, anche in relazione all'art. 3 della Costituzione, sotto
il  profilo  del  buon  andamento.  Lo  stesso giudice dubita, in via
ulteriormente   subordinata   e   in  riferimento  all'art. 76  della
Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale  dell'art. 7 della
legge  n. 50 del 1999, come modificato dall'art. 1 della legge n. 340
del  2000,  nella parte in cui non detta criteri e principi direttivi
idonei  a  definire  i  tratti fondamentali e le scelte rilevanti con
riferimento alle materie delegate.
    Altro giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona
(reg.  ord. n. 492 del 2004) dubita della legittimita' costituzionale
dell'art. 299  -  nella  parte in cui abroga l'art. 264 del codice di
procedura  penale  e l'art. 84 delle disposizioni di attuazione dello
stesso   codice   -  del  d.P.R.  n. 115  del  2002,  in  riferimento
all'art. 77,   primo   comma,   della   Costituzione.  Non  sarebbero
rispettati  i  limiti  della  delega  individuati  nella  lettera d),
comma 2,  dell'art. 7  della legge n. 50 del 1999 - che consentirebbe
la  modifica  della  normativa  previgente  solo  per gli aspetti che
servono  a  semplificare  il  linguaggio  normativo  o a garantire la
coerenza  logica  e sistematica della normativa - atteso che la norma
impugnata  innoverebbe  in  ordine  al  componimento  degli interessi
potenzialmente in contrasto, ponendo a carico dello Stato il compenso
del  custode  anche  per  il periodo successivo al trentesimo giorno,
decorrente  dalla  data  in  cui  l'avente  diritto  ha  ricevuto  la
comunicazione del provvedimento di restituzione.
    2.  - In considerazione dell'identita' della materia, nonche' dei
profili  di  illegittimita'  costituzionali  fatti  valere, i giudizi
possono essere riuniti per essere decisi con unica pronuncia.
    3.  -  Ai fini di una migliore comprensione delle singole censure
mosse  dai  giudici remittenti e' utile soffermarsi in generale sulla
nuova normativa, confrontandola con quella previgente.
    Gli  artt.  da  149  a 156 del testo unico in materia di spese di
giustizia  -  d.P.R. n. 115 del 2002, nel quale confluiscono le norme
di  legge,  emanate  con  il  d.lgs.  n. 113,  e le norme secondarie,
emanate  con  il  d.P.R.  n. 112, entrambi con la stessa data - hanno
disciplinato  la  procedura  di  restituzione  di somme e valori e la
procedura  di  vendita,  con  l'eventuale  restituzione  del ricavato
residuo,  dei  beni  gia' in sequestro nel processo penale; lo stesso
testo unico ha contestualmente abrogato (artt. 299 e 301) le norme di
legge e secondarie previgenti.
    I  giudici  remittenti impugnano, oltre all'art. 7 della legge di
delega,  quasi  tutte  le  nuove  norme  di  rango  legislativo  (con
l'eccezione  del  solo  art. 155)  e  l'art. 299,  nella parte in cui
abroga  l'art. 264  del  codice di procedura penale e l'art. 84 delle
disposizioni di attuazione dello stesso codice.
    Il  testo unico - abbassando il livello della fonte da primaria a
secondaria  tutte  le volte in cui non venivano in rilievo competenze
del  magistrato  -  ha previsto scansioni temporali delle procedure a
partire   dal   momento  in  cui  la  restituzione  e'  disposta  dal
magistrato,  e,  in  particolare,  ha  regolato  l'ipotesi  in cui la
restituzione   non   vada   a   buon   fine   e   occorra  provvedere
all'incameramento  delle  somme da parte della Cassa delle ammende, o
direttamente  se  si  tratta  di  somme o dopo la vendita nel caso di
beni.
    La  vecchia  disciplina disponeva che con ordinanza del giudice -
decorso  un  anno  dalla  inoppugnabilita'  della  sentenza - somme e
valori  venivano depositati presso l'Ufficio del registro, mentre dei
beni  veniva  disposta  la  vendita,  il  cui ricavato era depositato
presso  l'Ufficio postale con deposito giudiziale. Dopo ulteriori due
anni  da  tali  depositi, detratte le spese, le somme erano devolute,
sempre  con  provvedimento  del giudice, alla Cassa delle ammende. Il
pagamento  delle spese di custodia era - salvo specifiche eccezioni -
condizione   necessaria  per  la  restituzione  del  bene  all'avente
diritto;  queste  spese  erano  a  carico  dell'avente diritto per il
periodo   successivo   ai   trenta  giorni  dalla  comunicazione  del
provvedimento di restituzione.
    La   relazione   governativa   al   d.P.R.  n. 115  del  2002  ha
giustificato  la necessita' di interventi innovativi, ponendo il luce
i  problemi  originati dalle vecchie norme: i tempi di custodia erano
molto   lunghi,   facendo  aumentare  le  relative  spese  anticipate
dall'erario;  la  vendita  avveniva  a notevole distanza di tempo dal
sequestro  del  bene;  per non pagare le spese di custodia non veniva
chiesta  la  restituzione  del  bene,  il  cui valore era scemato nel
tempo,  con la conseguenza di dover ricorrere alla vendita a notevole
distanza  di  tempo  dal  sequestro,  il  cui ricavato non copriva le
stesse  spese,  o alla distruzione, con conseguente carico all'erario
delle  spese  di  custodia,  salvo eventuale recupero dal condannato;
l'incameramento residuale alla Cassa delle ammende avveniva con molto
ritardo.  Inoltre,  si  prevedeva  il  deposito  delle  somme  presso
l'Ufficio  del  registro,  le  cui  funzioni  di  cassa  erano  state
soppresse;  si  prevedeva  ancora  la  vendita alle pubbliche borse o
all'asta pubblica; le somme erano depositate presso l'Ufficio postale
nella forma arcaica del deposito giudiziario.
    La  nuova  disciplina, partendo dal provvedimento di restituzione
disposto dal magistrato - d'ufficio o su richiesta dell'interessato e
gia'  previsto  dall'art. 84  delle  disposizioni  di  attuazione del
codice  di  procedura  penale  -  ha chiaramente specificato che tale
provvedimento va emesso quando la sentenza e' divenuta inoppugnabile.
Decorsi  trenta giorni dalla rituale comunicazione della restituzione
(gia'  prevista dall'art 84 citato, comma 2), il giudice, nel caso di
somme,  emette  altro  provvedimento  per avvisare l'interessato che,
decorsi   ulteriori  tre  mesi  dalla  comunicazione,  esse  verranno
devolute  alla  Cassa;  nel  caso  di beni dispone la vendita, che e'
comunicata  all'interessato  ai  fini dell'utile decorso dei tre mesi
per  la  devoluzione  alla  Cassa  del  ricavato,  detratte  le spese
(artt. 150,  151,  154  del  testo  unico).  Inoltre,  la  vendita e'
eseguita  a  cura  dell'ufficio  di  cancelleria, anche a mezzo degli
istituti  di  vendite giudiziarie (art. 152 del testo unico); somme e
valori  sono  depositati  presso i concessionari, che fungono gia' da
uffici  cassa  ed  effettuano  la  riscossione coattiva (art. 153 del
testo  unico). Infine, e' stato eliminato il pagamento delle spese di
custodia,  quale  condizione  necessaria per la restituzione del bene
all'avente  diritto; e' pure caduta la previsione che poneva a carico
dell'avente diritto le spese di custodia per il periodo successivo ai
trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento di restituzione.
    4.  -  Precedenza  logica,  nonostante  sia  stata  posta  in via
subordinata,  ha  la  questione sollevata dal giudice per le indagini
preliminari  di Verona (reg. ord. n. 1188 del 2003), secondo il quale
l'art. 7   della   legge   di   delega   violerebbe  l'art. 76  della
Costituzione,  nella  parte  in  cui  non  detta  criteri  e principi
direttivi  idonei  a  definire  i  tratti  fondamentali  e  le scelte
rilevanti con riferimento alle materie delegate.
    La questione e' infondata.
    Il  testo unico in oggetto rientra tra quelli diretti al riordino
e  all'armonizzazione  delle  norme legislative e regolamentari nelle
materie  elencate  dalle  leggi  annuali  di semplificazione, secondo
quanto  previsto  dall'art. 7,  comma 1, lettera b), della delega. Ai
fini  che  qui  interessano,  la  materia delle spese di giustizia e'
prevista   dalla   stessa   legge   n. 50   del   1999,  precisamente
nell'allegato  1,  numeri  9,  10 e 11. Per tutti i testi unici della
specie  suddetta,  i  criteri e i principi direttivi sono individuati
nell'elenco del comma 2 dello stesso art. 7, anche mediante il rinvio
ai  criteri  fissati  dall'art. 20  della  legge  n. 59  del 1997. Il
legislatore  delegante  ha fissato i limiti di intervento del Governo
nell'effettuazione  dell'opera  di  riordino  e  armonizzazione della
disciplina  esistente attraverso criteri direttivi finalizzati a tale
obiettivo,  non  occorrendo criteri direttivi di merito specifici per
ciascuna materia delegata.
    Questa  Corte ha, del resto, recentemente affermato, in relazione
ad  altre  norme  dello  stesso  testo  unico  e con riferimento alla
pretesa   violazione   dell'art. 76   della   Costituzione,  che  «se
l'obiettivo   e'  quello  di  ricondurre  a  sistema  una  disciplina
stratificata  negli  anni,  con  la  conseguenza  che i principi sono
quelli  gia'  posti  dal legislatore, non e' necessario che ..... sia
espressamente  enunciato  nella  delega  il  principio  gia' presente
nell'ordinamento, essendo sufficiente il criterio del riordino di una
materia delimitata» (sentenza n. 52 del 2005).
    5.  -  Passando  ad  esaminare  le questioni di costituzionalita'
relative  alle  norme  delegate e iniziando dai profili di censura di
portata piu' ampia, viene in rilievo quella degli artt. 150, 151, 154
e 299 - quest'ultimo in quanto abrogativo dell'art. 264 del codice di
procedura  penale  -  del  decreto  legislativo n. 113 del 2002, come
riprodotti   nel  contestuale  d.P.R.  n. 115,  nella  parte  in  cui
disciplinano  anche  il «caso prima regolato dall'art. 264 del codice
di  procedura».  Secondo  il  giudice  per le indagini preliminari di
Verona  (reg.  ord.  n. 1188  del 2003), questi articoli violerebbero
l'art. 76  della  Costituzione  per  mancanza di una valida delega in
tema   di  restituzione  dei  beni  in  sequestro.  La  procedura  di
restituzione  non  sarebbe  compresa  nelle materie della delega alla
luce  del  numero  9) dell'allegato 1 della legge n. 50 del 1999, non
risultando   dal   titolo,   dove   letteralmente   si  individua  il
«procedimento  di  gestione e alienazione....» e non essendo indicato
l'art. 264 del codice di procedura penale tra le norme tassativamente
richiamate.
    Anche  tale  censura  e' infondata, per la ragione assorbente che
nel contesto in esame la vendita presuppone in via normale la mancata
restituzione.  Inoltre,  basta  considerare  le  norme menzionate nel
numero  9)  dell'allegato  1,  per  comprendere che il criterio della
tassativita'   risulterebbe   in   contrasto  con  lo  stesso  titolo
attribuito alla procedura suddetta. Infatti, sono richiamate tutte le
norme  di  attuazione  del codice di procedura penale, tutte le norme
del  regolamento  di  esecuzione  dello  stesso  codice,  nonche'  un
regolamento  del  1896  che, tra le tante materie, disciplina - in un
modo superato anche prima del testo unico - altresi' la restituzione.
    Criterio    di   interpretazione   utile,   allora,   e'   quello
logico-sistematico,   che   consente   di  leggere  il  richiamo  dei
provvedimenti   normativi   alla  luce  del  titolo  individuato  dal
legislatore   delegato.  Come  detto,  restituzione  e  vendita  sono
strettamente  intrecciate posto che il mancato buon esito della prima
e'  il presupposto normale affinche' si possa procedere alla seconda.
Inoltre,  entrambe  sono  collegate  con  la  materia  delle spese di
giustizia,  il cui ampio raggio e' delimitato dai cosiddetti campione
civile e penale di cui al numero 10) dell'allegato 1, se si considera
che  le spese di custodia sono originate dal bene in sequestro sino a
che  non  e'  restituito  o  venduto,  e  che le somme residuali sono
destinate alla Cassa delle ammende.
    Da  non  trascurare,  poi, che l'art. 264 del codice di procedura
penale  e'  stato  abrogato  in  attuazione  di  un  preciso criterio
direttivo  (art. 7,  comma 2,  lett. f), che impone l'abrogazione «di
tutte  le  rimanenti  disposizioni,  non  richiamate, che regolano la
materia»,  rientrando  tale  norma  tra  quelle che il testo unico ha
riscritto  nell'ambito  dell'opera  di coordinamento e armonizzazione
della disciplina.
    Del  resto,  questa  Corte - nel ritenere infondata la violazione
dell'art. 76  della  Costituzione  da  parte della stessa norma della
legge  delega  -  ha  avuto  modo  di  precisare  che i provvedimenti
richiamati  nell'allegato  1  servono  solo  a  delimitare la materia
oggetto di riordino, senza ritenere tassativo il richiamo dei singoli
articoli (sentenza n. 53 del 2005).
    Il  medesimo giudice (reg. ord. n. 1188 del 2003) pone, sempre in
via  subordinata,  questione  di  legittimita'  costituzionale  degli
stessi    articoli,   ancora   in   riferimento   all'art. 76   della
Costituzione,  nella parte in cui disciplinano in modo difforme anche
il  «caso  prima  regolato  dall'art. 264  del  codice di procedura»,
sostenendo  il  contrasto  con i principi e i criteri direttivi posti
dalla  lettera d),  comma 2,  dell'art. 7 della legge di delegazione.
Secondo  il  remittente,  sarebbe  consentito  solo  il coordinamento
formale  delle  disposizioni  vigenti,  con possibilita' di modifiche
limitate   alla   necessita'   di  garantire  la  coerenza  logica  e
sistematica  della  normativa e di semplificarne il linguaggio mentre
il   legislatore   delegato   avrebbe   introdotto   un   «meccanismo
farraginoso» attraverso tre provvedimenti dell'ufficio.
    La censura e' del pari infondata.
    A  prescindere  dalla  considerazione  che  questa  Corte ha gia'
affermato  che  il  coordinamento  puo'  essere  non  solo formale se
l'obiettivo  e'  quello  della  coerenza  logica  e sistematica della
normativa  riordinata  (sentenze n. 52 e n. 53 del 2005), il criterio
direttivo  invocato  non  e' pertinente. Nel riordinare la materia di
interesse,  il  legislatore  delegato  si  e' mosso nell'ambito della
semplificazione  procedurale  ed organizzativa di cui alla lettera a)
comma 2,  dell'art. 7, che rinvia ai criteri individuati nell'art. 20
della  legge n. 59 del 1997, cadenzando temporalmente il procedimento
e  pervenendo  ad una riduzione generale dei tempi, come emerge dalla
comparazione  tra  la  vecchia  e  la  nuova  disciplina  esposta  in
premessa.
    Con  riferimento ad entrambe le censure, puo' inoltre richiamarsi
il  principio,  affermato  in piu' occasioni da questa Corte, secondo
cui  l'art. 76  della  Costituzione «non osta all'emanazione di norme
che  rappresentino  un  coerente  sviluppo  e,  se del caso, anche un
completamento  delle  scelte  espresse  dal legislatore delegante; va
escluso,  infatti,  che  le  funzioni  del legislatore delegato siano
limitate ad una mera "scansione linguistica" delle previsioni dettate
dal  delegante, essendo consentito al primo di valutare le situazioni
giuridiche  da  regolamentare  e di effettuare le conseguenti scelte,
nella  fisiologica  attivita' di "riempimento" che lega i due livelli
normativi,  rispettivamente,  della  legge di delegazione e di quella
delegata»  (cosi', ex plurimis, sentenze n. 199 del 2003 e n. 308 del
2002).
    5.1.  -  Il  giudice  per le indagini preliminari di Napoli (reg.
ord.  n. 356  del  2003),  censura  i soli artt. 151 e 154 del d.P.R.
n. 115   del   2002),   sempre   in   riferimento  all'art. 76  della
Costituzione,   nella   parte   in   cui  prevedono  l'emanazione  di
un'ordinanza  successiva  rispetto  a  quella prevista dal precedente
art. 150,  che  dispone  la  restituzione  delle  somme.  Secondo  il
remittente,  il  legislatore  delegato  avrebbe ecceduto dalla delega
conferita  con  l'art. 7,  comma 2, lettera a), della legge n. 50 del
1999,  che  rinvia  ai criteri di semplificazione, di snellimento dei
procedimenti,  di  riduzione  dei  tempi,  di eliminazione delle fasi
inutili  e  di  soppressione  di  organi  e  fasi  endoprocedimentali
superflue  (tutti  individuati  dall'art. 20  della  legge  n. 59 del
1997),  prevedendo, in violazione dei suddetti principi, un'ordinanza
non necessitata.
    Anche questa censura e' infondata.
    Secondo  la relazione governativa, tale tipologia di ordinanza e'
stata introdotta per individuare un termine iniziale di decorrenza ai
fini   dell'assegnazione   di   somme   alla   Cassa  delle  ammende,
informandone  l'avente  diritto,  in considerazione della circostanza
che  i  tempi  del  procedimento  erano  stati di molto ridotti e che
dall'inutile decorso di un breve periodo di tempo sarebbe derivata la
perdita del diritto.
    Comunque,  anche a voler ammettere la superfluita' dell'ordinanza
prevista  dall'art. 151  citato  ai  fini della devoluzione di cui al
successivo art. 154, non si puo' ravvisare la violazione della delega
per  aver il legislatore delegato semplificato poco rispetto a quello
che  avrebbe  potuto,  trattandosi  di  scelte di merito rimesse alla
discrezionalita' del legislatore.
    6. - Due giudici remittenti (reg. ord. n. 356 e n. 1188 del 2003)
lamentano,  inoltre,  la violazione dell'art. 97, in collegamento con
l'art. 3,  della  Costituzione, sotto il profilo del mancato rispetto
dei   canoni  di  ragionevolezza  e  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione,  atteso  che  i provvedimenti ripetitivi ed inutili,
adottati     nell'esercizio     delle    funzioni    giurisdizionali,
coinvolgerebbero  necessariamente  gli  uffici  amministrativi  e che
l'inutile  duplicazione  di atti sarebbe manifestamente irragionevole
rispetto all'interesse pubblico perseguito.
    La  questione  e'  manifestamente  infondata,  dal momento che la
giurisprudenza  di  questa  Corte  e'  costante nell'affermare che il
principio  di  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione, pur
essendo  riferibile  anche  agli  organi  dell'amministrazione  della
giustizia,    attiene    esclusivamente    alle   leggi   concernenti
l'ordinamento  degli uffici giudiziari ed il loro funzionamento sotto
l'aspetto   amministrativo;   mentre   tale   principio  e'  estraneo
all'esercizio  della funzione giurisdizionale, che nella specie viene
viceversa in rilievo (ex plurimis, ordinanze n. 138 e n. 94 del 2004;
n. 479 del 2002; n. 408 del 2001).
    7.  -  Resta  da  esaminare  la  questione  di  costituzionalita'
sollevata  con  altra  ordinanza  dal  Tribunale di Verona (reg. ord.
n. 492  del  2004), secondo il quale l'art. 299 del d.P.R. n. 115 del
2002  -  nella parte in cui abroga l'art. 264 del codice di procedura
penale  e  l'art. 84  delle  relative  disposizioni di attuazione, ma
sostanzialmente  nella  parte in cui abroga il secondo, sulla base di
quanto  emerge  dall'ordinanza  di remissione - contrasterebbe con la
delega,  ponendo  a  carico dello Stato il compenso del custode anche
per  il periodo successivo al trentesimo giorno decorrente dalla data
in   cui   l'avente   diritto   ha   ricevuto  la  comunicazione  del
provvedimento di restituzione.
    In  proposito  va  rilevato  che - successivamente all'emanazione
dell'ordinanza  di remissione - e' intervenuta la speciale disciplina
per l'alienazione di beni sequestrati, introdotta con l'art. 1, commi
da  312 a 321, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per
la  formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria  2005),  la  quale,  per  le procedure non concluse anche
relative alle istanze di liquidazione dei compensi dei custodi (comma
321) prevede, tra l'altro, l'applicazione della tariffa forfettizzata
(commi  318-320)  per  i veicoli in possesso di determinati requisiti
(comma 312).
    Stante   tale   innovazione   legislativa,  va  disposta  in  via
preliminare  la  restituzione  degli  atti al giudice per le indagini
preliminari  del  Tribunale di Verona, affinche' lo stesso valuti se,
sulla  base  dello  ius  superveniens,  la  questione di legittimita'
costituzionale sia tuttora rilevante.