IL CONSIGLIO DI STATO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sui  ricorsi in appello
iscritti   ai  N.R.G.  1219,  2104  e  2110  dell'anno 2003  proposti
rispettivamente:
        quanto  al primo (N.R.G. 1219/20031), dalla Regione Campania,
in   persona   del  presidente  della  giunta  regionale  in  carica,
rappresentato  e  difeso  dall'avvocato Maria D'Elia, con la quale e'
elettivamente domiciliata in Roma, via del Tritone n. 61;
    Contro   il   C.I.P.E.,   Comitato   Interministeriale   per   la
Programmazione  Economica,  in  persona  del Ministro dell'economia e
delle  finanze in carica, e Presidenza del Consiglio dei ministri, in
persona   del   Presidente   del   Consiglio   in   carica,  entrambi
rappresentanti  e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, presso
i cui uffici domiciliano ope legis in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
e nei confronti di Di Lorenzo Giovannina, in proprio e quale erede di
Picone  Michele,  Picone  Vincenzo,  Picone Francesco, Picone Andrea,
Picone   Gerardo   e   Picone   Salvatore,   rappresentati  e  difesi
dall'avvocato   Benito   Aleni,   con  il  quale  sono  elettivamente
domiciliati  in  Roma,  via  Gregorio  VII,  n. 133 (presso l'avv. Di
Rico);  nonche'  Impre.Co. Societa' Consortile S.r.l., in persona del
legale rappresentante in carica, Consorzio ASI di Caserta, in persona
del legale rappresentante in carica, e Munno Giuseppe, non costituiti
in giudizio;
        quanto  al  secondo  (N.R.G. 2104/20031, dal Consorzio ASI di
Caserta,   in   persona   del   legale   rappresentante   in  carica,
rappresentato  e  difeso  dagli  avvocati prof. Fabio Roversi Monaco,
Giovanni  Allodi  e  Arturo  Massimo,  con  i  quali e' elettivamente
domiciliato in Roma, piazza di Spagna n. 35;
    Contro  Di Lorenzo Giovannina, in proprio e quale erede di Picone
Michele,  Picone  Vincenzo,  Picone  Francesco, Picone Andrea, Picone
Gerardo  e  Picone  Salvatore,  rappresentati  e difesi dall'avvocato
Benito  Aleni,  con  il quale sono elettivamente domiciliati in Roma,
via  Gregorio  VII n. 133 (presso l'avv. Di Rico); e nei confronti di
Regione Campania, in persona del presidente della giunta regionale in
carica;
    Impre.Co.  societa'  Consortile  S.r.l.,  in  persona  del legale
rappresentante  in carica; Comune di Gricignano di Aversa, in persona
del  sindaco  in  carica;  Munno  Giuseppe,  tutti  non costituiti in
giudizio;
        quanto  al  terzo  (N.R.G.  2l10/2003), da Impre.Co. Societa'
Consortile  S.r.l.,  in  persona del legale rappresentante in carica,
rappresentata  e  difesa  dagli  avv.  prof.  Angelo Piazza e Antonio
Romano,  con  i quali e' elettivamente domiciliata in Roma, piazza di
Spagna n. 35;
    Contro C.I.P.E., Comitato Interministeriale per la Programmazione
Economica,  in  persona del ministro dell'Economia e delle Finanze in
carica,  e  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri, in persona del
Presidente  del Consiglio in carica, entrambi rappresentanti e difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano
ope  legis  in  Roma,  via  dei Portoghesi, n. 12; e nei confronti di
Lorenzo  Giovannina,  in  proprio  e  quale  erede di Picone Michele,
Picone  Vincenzo,  Picone  Francesco, Picone Andrea, Picone Gerardo e
Picone  Salvatore, rappresentati e difesi dall'avvocato Benito Aleni,
con  il  quale  sono  elettivamente domiciliati in Roma, via Gregorio
VII,  n. 133  (presso l'avv. Di Rico); e Regione Campania, in persona
del presidente della giunta regionale in carica;
    Comune di Gricignano di Aversa, in persona del sindaco in carica;
Consorzio  ASI  di  Caserta,  in persona del legale rappresentante in
carica;  Munno  Giuseppe,  non  costituiti  in  giudizio;  tutti  per
l'annullamento  della sentenza del Tribunale amministrativo regionale
della Campania, sez. V, n. 6885 del 5 novembre 2002;
    Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;
    Visti  gli  atti di costituzione in tutti i giudizi di Di Lorenzo
Giovannina,  in  proprio  e  quale  erede  di  Picone Michele, Picone
Vincenzo,  Picone  Francesco,  Picone Andrea, Picone Gerardo e Picone
Salvatore,  nonche' del C.I.P.E. e della Presidenza del Consiglio dei
ministri, nei ricorsi NRG 1219/2003 e 2110/2003;
    Viste  le  memorie  prodotte dalle parti a sostegno delle proprie
difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore   alla   pubblica   udienza   del  25 novembre  2003  il
Consigliere Carlo Saltelli;
    Uditi  gli  avvocati  Piazza,  anche per delega dell'avv. Roversi
Monaco; Romano, Aleni e Argenzio, su delega dell'avv. D'Elia;
    Visto il dispositivo di sentenza n. 385 del 27 novembre 2003;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Il Tribunale amministrativo regionale della Campania, sez. V, con
la  sentenza  n. 6885  del  5 novembre  2002,  accogliendo il ricorso
proposto  dai signori Giuseppe Munno, Giovanna Di Lorenzo, in proprio
e  quale  erede di Michele Picone, Vincenzo Picone, Francesco Picone,
Andrea  Picone,  Gerardo  Picone,  Salvatore Picone, eredi di Michele
Picone,  proprietari  in  agro  del comune di Gricignano di Aversa di
alcuni  fondi  ricompresso nel piano regolatore dell'area di sviluppo
industriale  di  Caserta, ha annullato il decreto n. 212 del 13 marzo
2002,  con  cui  il Presidente della giunta regionale della Campania,
surrogandosi  all'inadempiente  sindaco  del  Comune di Gricignano di
Aversa,  ha  disposto  l'occupazione d'urgenza, per la durata di anni
cinque,  delle  aree  occorrenti  alla  realizzazione dell'intervento
produttivo  «Filiera  del  sistema  moda  e  dei  servizi collegati»,
nell'agglomerato  industriale  di  Aversa Nord, tra cui anche i fondi
dei  predetti  ricorrenti,  oltre  a  tutti  gli atti della procedura
espropriativa.
    Ad   avviso   del  Tribunale,  infatti,  l'impugnato  decreto  di
occupazione  di  urgenza non era supportato da una valida ed efficace
dichiarazione  di  pubblica  utilita',  in quanto il piano regolatore
dell'area di sviluppo industriale di Caserta, su cui asseritamente si
fondava,  approvato  una  prima  volta con decreto del Presidente del
Consiglio  dei  ministri  del  16 gennaio  1968  e successivamente, a
seguito  di  un'estensione  dell'area  interessata,  con  decreto del
28 luglio  1970, era irrimediabilmente scaduto fin dai 28 luglio 1980
e  ad  esso  non  potevano  trovare  applicazione  ne'  le successive
«proroghe»  disposte  con  leggi statali e tanto meno quella prevista
dal  comma 9,  dell'art. 10,  della  legge  regionale  della Campania
13 agosto 1998, n. 16, autenticamente interpretato dall'art. 77 della
successiva  legge  regionale  11 agosto  2001, n. 10, alla stregua di
un'interpretazione costituzionalmente orientata.
    Avverso  tale  statuizione  hanno  proposto appello, con separati
atti,  la  Regione  Campania,  il  Consorzio  per  l'area di sviluppo
industriale  di  Caserta  e l'Impre.Co. S.r.l., i quali, riproponendo
tutti  le analoghe eccezioni svolte in primo grado, hanno rivendicato
la   piena   legittimita'   dell'impugnato   decreto  di  occupazione
d'urgenza,  sollevando tre identici motivi di gravame, lamentando, in
particolare:  a)  la  mancata  declaratoria dell'inammissibilita' per
tardivita'  del  ricorso introduttivo del giudizio di primo grado; b)
la  erronea  declaratoria della sussistenza nella controversia de qua
della giurisdizione amministrativa, laddove, vertendosi in una tipica
situazione  di mero comportamento senza potere posto in essere da una
pubblica   amministrazioxie  sussisteva  solo  la  giurisdizione  del
giudice  ordinario; c) l'erronea declaratoria dell'inesistenza di una
valida  ed  efficace  dichiarazione  di  pubblica utilita' in ragione
della  ritenuta  scadenza  del  piano  regolatore  consortile, frutto
dell'altrettanto  erronea  interpretazione e falsa applicazione delle
norme  contenute  nelle  leggi  regionali  n. 16 del 1998 e n. 10 del
2001,  concernenti la proroga dell'efficacia dei piani regolatori dei
consorzi  delle aree per lo sviluppo industriale, ivi compresi quelli
gia' scaduti.
    In  tutti  e  tre  i  giudizi  di  appello  si sono costituiti in
giudizio  tutti  gli  originari  ricorrenti,  tranne il sig. Giuseppe
Mundo,   mentre   il  C.I.P.E.,  Comitato  Interministeriale  per  la
Programmazione  Economica e la Presidenza del Consiglio dei ministri,
si  sono  costituiti  solo nei giudizi proposti rispettivamente dalla
Regione Campania e dall'Impre.Co., societa' a r.l.
    Pronunciandosi  sulle  singole  istanze  cautelari proposte dagli
appellanti,  con  le  ordinanze rispettivamente n. 2988 (sull'appello
proposto  dalla Regione Campania), n. 2995 (sull'appello proposto dal
Consorzio  per  l'area  di sviluppo industriale di Caserta) e n. 3001
(sull'appello  proposto  dall'Impre.Co., societa' Consortile a r.l.),
tutte  in  data  8 luglio  2003,  la  sezione  ha sospeso l'efficacia
dell'impugnata sentenza.
    I  predetti  appelli  sono  stati  introitati per la decisione di
merito all'udienza pubblica del 25 novembre 2003.

                            D i r i t t o

    I. - La sezione osserva che, con sentenza non definitiva, in pari
data,  sono  stati  gia'  riuniti  gli  appelli  ed e' stata ritenuta
sussistente  nella  controversia  de qua la giurisdizione del giudice
amministrativo;  sono  stati  altresi  respinti  i  motivi di appello
relativi  alla  dedotta  omessa declaratoria di inammissibilita', per
tardivita' dei ricorsi di primo grado.
    Quanto  al  terzo  motivo  di  appello, tuttavia, diversamente da
quanto ritenuto dai primi giudici, la Sezione e' dell'avviso che esso
sia  astrattamente  fondato,  non  potendo  ragionevolmente dubitarsi
dell'applicazione   al   piano   regolatore   dell'area  di  sviluppo
industriale  di  Caserta  (approvato  una prima volta con decreto del
Presidente   del   Consiglio  dei  ministri  del  16 gennaio  1968  e
successivamente,  a  seguito  di un'estensione dell'area interessata,
con  decreto  del  28 luglio  1970)  delle disposizioni contenute nel
comma 9, dell'art. 10, della legge regionale della Campania 13 agosto
1998,   n. 16,   autenticamente   interpretato   dall'art. 77   della
successiva  legge  regionale  11 agosto 2001, n. 10: su queste ultime
tuttavia grava il sospetto di contrarieta' ai principi costituzionali
di  cui  agli  artt. 3, 42, terzo comma, e 97, secondo quanto appreso
indicato.
    II.  -  Come  esposto  sinteticamente  in narrativa, con il terzo
motivo  di  appello, affidato ad identiche argomentazioni, la Regione
Campania,  il Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Caserta
e la societa' consortile a r.l. Impre.Co., hanno rivendicato la piena
legittimita'  del  decreto  n. 212  del  13 marzo  2002,  con  cui il
presidente   della   giunta  regionale  della  Campania  ha  disposto
l'occupazione d'urgenza delle aree ricadenti nel comune di Gricignano
di Aversa, occorrenti per la realizzazione della «Filiera del sistema
moda e servizi collegati» nell'agglomerato industriale di Aversa Nord
(tra  cui  anche  l'area  di  proprieta' degli originari ricorrenti),
osservando che i primi giudici avevano erroneamente ritenuto che esso
non  fosse  sorretto  da  una  valida  ed  efficace  dichiarazione di
pubblica utilita'.
    Infatti,  a  loro  avviso,  la predetta dichiarazione di pubblica
utilita'  era  da  rinvenire  nel  piano  regolatore  consortile  del
Consorzio  per  l'Area  di sviluppo industriale di Caserta, approvato
prima  con  decreto  del  Presidente  del  Consiglio dei ministri del
16 gennaio 1968 e poi con un successivo decreto del 28 luglio 1970 (a
seguito  dell'ampliamento  dell'area  interessata), la cui efficacia,
gia'  piu' volte prorogata con leggi statali, sarebbe stata da ultimo
ulteriormente  prorogata  per  effetto  dell'art. 10,  comma 9, della
legge  regionale  della  Campania 13 agosto 1998, n. 16, interpretato
autenticamente  dalla  successiva  legge  regionale  11 agosto  2001,
n. 10:  i  primi  giudici  avrebbero  erroneamente ed immotivatamente
disapplicato  tale  normativa,  pervenendo  inopinatamente ad una sua
l'inesistenza  di  una valida, efficace e perdurante dichiarazione di
pubblica utilita'.
    Al riguardo la sezione rileva quanto segue.
    II.1. - Com'e' noto, le opere comprese nei piani regolatori delle
aree e dei nuclei di sviluppo industriale previsti dal d.P.R. 6 marzo
1978,  n. 218,  sono  considerate  di  pubblica  utilita', urgenti ed
indifferibili  per effetto dell'art. 53 del citato d.P.R. n. 218, con
la  conseguenza  che,  ai  fini  dell'adozione di un provvedimento di
espropriazione, l'approvazione dei piani implica la valutazione della
preminenza  dell'interesse  pubblico su quello privato (C.d.S., IV, 3
giugno 1996 n. 720).
    I  terreni  compresi nei predetti piani sono, pertanto, vincolati
alla  realizzazione  delle opere ivi previste; tuttavia, come tutti i
vincoli  conformativi  della  proprieta'  privata,  anche  quelli  in
questione  non  possono avere durata indeterminata, perche' in questo
caso   il   vincolo   stesso   avrebbe  un  effetto  direttamente  ed
immediatamente  espropriativo:  per  tale ragione, con l'introduzione
dell'art. 25  della  legge  3 gennaio  1978 n. 1, e' stato fissato il
termine  efficacia  decennale  dei  piani regolatori delle aree e dei
nuclei di sviluppo industriale.
    La  scadenza  di  detti  vincoli  non  e'  di  ostacolo alla loro
riadozione  in  ragione  di  motivate esigenze di pubblico interesse,
previo    completo   riesame   dell'assetto   urbanistico   dell'area
industriale,  per  evitare  la  sostanziale elusione dell'intervenuta
scadenza  del precedente piano (C.d.S., II, 24 ottobre 1990, n. 438),
con  conseguente  vulnus  dei  principi  costituzionali in materia di
rispetto  della  proprieta'  privata;  ben puo' ipotizzarsi anche una
proroga  dell'efficacia  dei  piani in questione, con la precisazione
che  essa,  che  per  sua  stessa  natura  si  configura come un atto
accessorio  rispetto ad un altro atto, principale, valido ed efficace
(C.G.A.,  25 gennaio  n. 2),  non puo' legittimamente essere adottata
quando il piano originario sia gia' scaduto.
    II.2. - Nel caso di specie, posto che non e' stato contestato che
l'opera  per  la  cui  realizzazione  e'  stato emanato il contestato
decreto  di  occupazione  di  urgenza rientra nel il piano regolatore
dell'area  di  sviluppo  industriale  di  Caserta e che quest'ultimo,
originariamente  approvato  con  decreto del Presidente del Consiglio
dei   ministri   del   16 gennaio  1968,  successivamente  integrato,
relativamente  all'agglomerato di Aversa Nord e di Caserta Sud per le
zone   di  San  Marco  e  Marcianise,  era  stato  oggetto  di  nuova
approvazione  con  il successivo decreto del 28 luglio 1970, non puo'
ragionevolmente  dubitarsi  che  lo  stesso, per effetto dell'art. 25
della  legge 3 gennaio 1978, n. 1 (e dell'art. 52, secondo comma, del
d.P.R.  6 marzo  1978,  n. 218)  sia  effettivamente  scaduto in data
28 luglio  1980,  come correttamente ritenuto dai primi giudici sulla
base  di  un consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa stessa
sezione  (decisioni 4723  e  4724  del  7 settembre 2000; 3349 del 21
giugno 2001), dal quale non vi e' motivo per discostarsi.
    La  sezione,  invero,  con le ricordate decisioni ha gia' escluso
che  al  piano  consortile  in  esame sia applicabile l'art. 11 della
legge 31 maggio 1990, n. 128, che ha prorogato al 31 dicembre 1990 il
termine  di  validita'  dell'art. 25 della legge 3 gennaio 1978 n. 1,
non potendo ammettersi la prorogabilita' di un provvedimento non piu'
efficace  perche'  scaduto e ritenendo non meritevole di accoglimento
la  tesi  (sostanzialmente riproposta dagli attuali appellanti) circa
l'applicabilita',   al   caso  di  specie,  della  ulteriore  proroga
triennale  di  validita'  dei  piani  consortili prevista dal secondo
comma  dell'art. 52  del  d.P.R.  6 marzo  1978,  n. 218  (nel  testo
novellato  dall'art. 25  della legge 3 gennaio 1978, n. 1), termine a
sua  volta prorogato dal d.l. 13 febbraio 1981, n. 19 (art. 2) di tre
anni (15 gennaio 1984), dal d.l. 28 febbraio 1986, n. 48 (art. 1) per
un  altro anno, dall'art. 1 del d.l. 20 novembre 1987, n. 474 fino al
30 giugno 1988, dall'art. 13 della legge 10 febbraio 1989, n. 48 fino
al 31 dicembre 1989 e dall'art. 11 della legge 31 maggio 1990, n. 128
fino al 31 dicembre 1990.
    Cio'   in  quanto  la  predetta  norma  (id  est,  secondo  comma
dell'art. 52   del   d.P.R.   6 marzo   1978,   n. 218)  deve  essere
correttamente   interpretata   alla  luce  del  complessivo  disposto
dell'art. 52  che: a) fissa in linea generale in dieci anni la durata
dell'efficacia  dei  piani regolatori consortili ( o comma); b) fissa
altresi'   alla   data   del  15 gennaio  1981  (triennio  successivo
all'entrata  in  vigore della legge 3 gennaio 1978, n. 1) la scadenza
dell'efficacia dei piani approvati da oltre un decennio rispetto alla
data  del  15 gennaio 1978; c) conferma, in linea generale, la durata
decennale  dei  piani  approvati da meno di un decennio rispetto alla
data  del  15 gennaio 1978 (com'e' quello del Consorzio per l'Area di
sviluppo  industriale  di  Caserta),  puntualizzando che detta durata
(decennale) non potra' essere inferiore ad un triennio dalla predetta
data (del 15 gennaio 1978).
    II.3.    -    Deve   essere   quindi   esaminata   la   questione
dell'applicabilita'   al   predetto  piano  regolatore  dell'area  di
sviluppo  industriale  di Caserta della proroga di efficacia disposta
dall'art. 10,  comma 9,  della  legge  regionale 16 marzo 1998, n. 16
(recante «Assetto dei Consorzi per le aree di sviluppo industriale»),
interpretato  autenticamente  dal  secondo  comma  dell'art. 77 della
successiva   legge   regionale  11 agosto  2001,  n. 10  (concernente
«Disposizioni di finanza regionale Anno 2001), cosi' come prospettata
dalle parti appellanti.
    Il predetto art. 10, rubricato «Piani regolatori delle aree e dei
nuclei industriali», al comma 9, dopo aver fissato in via generale la
efficacia dei piani dei Consorzi in dieci anni, espressamente afferma
«La  validita'  dei  piani  esistenti e' prorogata per tre anni dalla
data di entrata in vigore»; il secondo comma dell'art. 77 della legge
regionale  n. 10 del 2001, fornendone l'interpretazione autentica, ha
disposto  che  «la  proroga  di  validita'  ed  efficacia  dei  Piani
Regolatori delle Aree e dei Nuclei di cui all'art. 10, comma 9, della
l.r.  13 agosto  1998,  n. 16,  e'  intesa nel senso che la stessa si
applica a tutti i Piani esistenti, anche se medio tempore scaduti».
    I  primi  giudici, superando ogni questione circa la legittimita'
costituzionale   della  predetta  normativa,  sollevata  dalla  parte
ricorrente  in primo grado, hanno ritenuto che l'espressione di medio
tempore  scaduti, non potesse riferirsi indiscriminatamente a tutti i
piani  dei  consorzi  delle  aree  di  sviluppo  industriali comunque
scaduti (ed indipendentemente dal momento della scadenza), ma dovesse
riferirsi  esclusivamente, in virtu' di un'interpretazione conforme a
costituzione,  a quei piani venuti in scadenza tra il 1° gennaio 1991
(data  di  scadenza  dell'ultima  proroga  degli stessi stabilita con
norma  statale  e  cioe'  con  la legge 31 maggio 1990, n. 128) ed il
25 agosto  1998,  data  di  entrata  in  vigore della legge regionale
13 agosto 1998, n. 16, essendo l'intenzione del legislatore regionale
quella di eliminare ogni incertezza in materia, raccordando in questo
modo,  ai  fini  della efficacia dei piani esistenti, la legislazione
statale  a quella regionale: pertanto, poiche' il piano del Consorzio
per  l'Area  di Sviluppo industriale di Caserta, scaduto il 28 luglio
1970  non  rientrava  in  tale  lasso  di  tempo,  ad esso non poteva
applicarsi la citata normativa di proroga.
    La sezione non condivide tale assunto.
    II.3.1.  -  Invero,  com'e' noto, il canone fondamentale che deve
guidare   l'operatore   giuridico   nella   delicata   operazione  di
interpretazione   di   un  testo  legislativo  e'  quello  letterale,
coordinato    e    completato   dall'indagine   sull'intenzione   del
legislatore:  l'art. 12  delle  Disposizioni  sulla legge in generale
dispone,  infatti, al primo comma che «nell'applicare la legge non si
puo'  ad  essa  attribuire altro senso se non quello fatto palese dal
significato  proprio  delle  parole secondo la connessione di esse, e
dall'intenzione del legislatore».
      L'interprete,  dunque,  per  applicare  ad un caso concreto una
certa  norma  deve svolgere una duplice operazione: con la prima deve
accertare  il  contenuto  della disposizione da applicare, secondo il
significato  delle parole che la compongono (elemento oggettivo); con
la seconda, poi, deve appurare l'intenzione del legislatore (elemento
soggettivo),  verificando  cioe'  quale  fosse  la  finalita'  che il
legislatore  si  proponeva  e  se  essa si rinviene nelle espressioni
letterali usate.
    Per  una  corretta  operazione di interpretazione nessuno di tali
elementi    (oggettivo    e   soggettivo)   puo'   mancare,   perche'
l'interpretazione  di  una  norma  fondata  esclusivamente  sul  dato
letterale  renderebbe  incomprensibile  la  ratio della norma stessa,
impedendole  concretamente  di  conseguire  le  finalita' che l'hanno
giustificata;   una   interpretazione  fondata  esclusivamente  sulla
intenzione  del  legislatore,  oltre  a frustare l'affidamento che la
norma  e'  capace  di  ingenerare (e di cui l'interprete non puo' non
farsi  carico),  potrebbe  pregiudicare  i  suoi  stessi fondamentali
caratteri di generalita' ed astrattezza.
    Ad  avviso  della  sezione,  poi,  la necessita' che l'operazione
interpretativa  sia  condotta  in  modo  corretto  e nel rispetto dei
canoni  indicati  dall'art. 12  delle  Disposizioni  sulla  legge  in
generale  e'  tanto  piu'  sentita  quando essa provenga dal giudice,
atteso  che  l'interpretazione  da questi datane, ultra ovvero contra
l'intenzione del legislatore, potrebbe configurare una violazione del
principio  della separazione dei poteri che rappresenta il fondamento
dell'attuale   ordinamento   democratico:   l'ammissibilita'  di  una
interpretazione conforme a costituzione (tra le varie opzioni che, in
un  caso  concreto,  possono  ricollegarsi  ad  una specifica norma e
quindi  indipendentemente dall'applicazione dello stringente criterio
letterale   ovvero   dall'apparentemente   contraria  intenzione  del
legislativo,   e   cio'  al  fine  di  evitare  la  dichiarazione  di
incostituzionalita' della norma stessa), lungi dal contraddire quanto
fin  qui  osservato, lo conferma in quanto, secondo la giurisprudenza
del  giudice  delle  leggi,  deve ritenersi, in via di principio, che
l'intenzione  del  legislatore  non  possa  essere in contrasto con i
principi  costituzionali (e solo quando sia stato appurato che di una
norma  non  e' possibile fornire alcuna interpretazione conforme alla
Costituzione,  solo  allora si potra' giungere all'annullamento della
stessa).
    Per  completezza,  poi,  deve  ricordarsi che non puo' negarsi al
legislatore  il  potere  di  porre norme retroattive che precisino il
significato  di  norme  preesistenti  ovvero  che impongano una delle
possibili varianti di senso del testo originario, fermo restando che,
in tali casi, poiche' il principio della irretroattivita' della legge
non  ha  fondamento costituzionale, salvo il caso della legge penale,
il problema da risolvere non riguarda la natura interpretativa o meno
della  legge,  quanto piuttosto i limiti dei suoi effetti retroattivi
in  relazione  ai  principi  di  ragionevolezza  o  ad  altri  valori
costituzionalmente   protetti   i   garantiti   (da   ultimo,   Corte
costituzionale 4 agosto 2003, n. 291).
    II.3.2.   -   Alla  luce  di  tali  osservazioni  la  sezione  e'
dell'avviso  che  sulla  base  del  significato  proprio delle parole
contenute  nell'art. 10,  comma 9, della legge 13 agosto 1998, n. 16,
dall'effettiva    intenzione    del    legislatore,    autenticamente
interpretato  dal  secondo  comma dell'art. 77 della successiva legge
11 agosto  2001,  n. 10,  non  puo'  ragionevolmente dubitarsi che lo
scopo  delle  ricordate  disposizioni  era  proprio quello di rendere
validi  ed  efficaci  i  piani che i Consorzi per le aree di sviluppo
industriali  avevano  gia'  elaborato  anche  da tempo e che, dunque,
fossero suscettibili di immediata attuazione.
    Proprio  tale  ultima circostanza, cioe' l'immediata attuabilita'
delle  previsioni  dei  piani  consortili, per un verso, giustifica e
sorregge  l'espressione  non  tecnica usata dal legislatore che, come
ricordato,  parla  di «piani esistenti» e, per altro verso, impedisce
l'individuazione   di   qualsiasi  lasso  di  tempo  entro  il  quale
individuare  la  eventuale  scadenza  dei piani consortili al fine di
legittimare  la  loro proroga legislativa: in realta' la voluntas del
legislatore   e'  stata  -  evidentemente  -  quella  di  «prorogare»
(impropriamente  ovvero  di far rivivere) tutti i piani approvati, in
qualsiasi  tempo  scaduti:  cio'  del resto ben puo' giustificarsi in
considerazione   del  fatto  che  la  legge  13 agosto  1998,  n. 16,
costituisce  il  primo  intervento normativo regionale nell'ambito di
una materia cosi' delicata qual e' quella dei consorzi per le aree di
sviluppo  industriale  (sul  punto e' sufficiente richiamare l'art. 1
della legge stessa).
    E'  appena  il  caso  di  osservare, del resto, che l'ardita tesi
sostenuta dai primi giudici, lungi dall'essere ancorata ad un qualche
dato positivo (non e' stato fatto alcun richiamo neppure ad eventuali
lavori  preparatori),  piuttosto  che  costituire  espressione di una
interpretazione  della  norma  conforme  a  costituzione,  finisce in
concreto per comportare una disapplicazione della legge in questione,
in   quanto  incostituzionale,  sostituendo  inammissibilmente  nella
regolazione  di  un caso concreto la volonta' del giudicante a quella
del legislatore.
    Il   motivo  di  gravame  in  esame  deve  pertanto  considerarsi
meritevole  di  accoglimento, essendo sicuramente applicabile al caso
di specie la normativa contenuta nel comma 9 dell'art. 10 della legge
regionale 13 agosto 1998, n. 16, come autenticamente interpretato dal
secondo  comma dell'art. 77 della legge 11 agosto 2001, n. 10, con la
conseguenza  della piena efficacia ovvero della rinnovata vigenza del
piano  regolatore  consortile  del  Consorzio  per l'area di sviluppo
industriale  di  Caserta,  approvato  una prima volta con decreto del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  in  data 16 gennaio 1978 e
successivamente,  a  seguito  di  un  ampliamento  territoriale dello
stesso, con decreto del 28 luglio 1970.
    II.4.  -  Tale  circostanza  impone  alla  sezione  di  delibare,
d'ufficio,   la   questione   di  legittimita'  costituzionale  della
ricordata  normativa  regionale  (timidamente delineata, senza alcuna
specifica  argomentazione  al riguardo, dal ricorrente in primo grado
con   riferimento  agli  artt. 3,  24,  97,  101,  104  e  113  della
Costituzione)  con  riferimento  agli  artt. 3, 42, terzo comma, e 97
della Costituzione in relazione alla ammissibilita' di una cosiffatta
compressione  del  diritto  di  proprieta',  che puo' essere sussulta
nell'ipotesi della reiterazione dei vincoli espropriativi.
    Infatti,  com'e'  stato gia' in precedenza rimarcato, poiche' per
effetto  delle  disposizioni contenute nel comma 9 dell'art. 10 della
legge   regionale   13 agosto   1998,   n. 16,   come  autenticamente
interpretato  dal  secondo  comma  dell'art. 77 della legge 11 agosto
2001, n. 10, all'originario piano regolatore del Consorzio per l'area
di  sviluppo  industriale  di  Caserta, approvato originariamente con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 gennaio 1968
e  successivamente,  a seguito dell'ampliamento dell'area interessata
con  l'estensione all'agglomerato di Aversa Nord e di Caserta Sud per
le  zone  di San Marco e Marcianise (la cui validita', come accennato
in  precedenza,  era  da tempo scaduta), e' stata conferita una nuova
ulteriore  vigenza  di un triennio dall'entrata in vigore della legge
13 agosto  1998,  n. 16,  il  diritto  di  proprieta' degli originari
ricorrenti  e' stato nuovamente compresso, atteso che le aree di loro
proprieta'   sono   state   nuovamente  vincolate  e  assoggettate  a
procedimento  espropriativi  per  la  realizzazione,  in particolare,
della «Filiera del sistema moda e servizi collegati».
    II.4.1.  -  Al  riguardo,  premesso  che,  com'e'  noto, ai sensi
dell'art. 42,  terzo comma, della Costituzione, la proprieta' privata
puo'  essere,  nei  casi  preveduti  dalla legge, e salvo indennizzo,
espropriata  per  motivi  di interesse generale, deve rammentarsi che
l'art. 53  del  d.P.R.  6 marzo  1978, n. 218, stabilisce che e opere
comprese  nei  piani  regolatori  delle aree e dei nuclei di sviluppo
industriale   sono  considerate  di  pubblica  utilita',  urgenti  ed
indifferibili,  con  la conseguenza, per un verso, che l'approvazione
dei  predetti  piani regolatori comporta la valutazione di preminenza
dell'interesse pubblico su quello privato dispone e, per altro verso,
che  i terreni compresi in tali strumenti sono sottoposti ad evidenti
vincoli espropriativi.
    Pertanto,  la  questione  che  la  sezione deve delibare consiste
nello stabilire se la normativa regionale, disponendo automaticamente
e  senza  alcun incombente, istruttorio e/o procedimentale in capo ai
consorzi  per  le  aree di sviluppo industriale, la proroga dei piani
regolatori  consortili  esistenti,  anche  se  medio tempore scaduti,
abbia  o  meno  violato  il principio della temporaneita' dei vincoli
espropriativi,  nonche'  l'obbligo della puntuale motivazione in caso
di reiterazione e quello di prevedere il giusto indennizzo.
    La Corte costituzionale con la sentenza n. 179 del 20 maggio 1999
ha  espressamente  affermato,  al  riguardo,  che la reiterazione dei
vincoli  decaduti  (preordinati  all'espropriazione  o  con carattere
sostanzialmente   espropriativi)   ovvero  la  loro  proroga  in  via
legislativa  non  costituiscono  fenomeni per cio' solo inammissibili
dal  punto  di vista costituzionale, potendo, in concreto sussistere,
ragioni  giustificative, accertate attraverso la opportuna e motivata
valutazione  procedimentale  dell'amministrazione  competente  ovvero
apprezzate  dalla  discrezionalita'  del  legislatore  entro i limiti
della non irragionevolezza e della non arbitrarieta'.
    Sempre   secondo   il   giudice   delle  leggi,  devono,  invece,
considerarsi  inammissibili  dal  punto  di  vista  costituzionale le
reiterazioni dei vincoli espropriativi nei casi di proroga sine die o
all'infinito  (nel senso cioe' della reiterazione di proroghe a tempo
indeterminato  che si aggiungano le une alle altre), ovvero quando il
limite   temporale   di  efficacia  delle  disposte  reiterazioni  e'
indeterminato,  cioe'  non  sia  certo, preciso e sicuro e quindi sia
sostanzialmente  irragionevole,  sempreche'  ovviamente non sia stato
previsto  l'indennizzo  (oltre  il  periodo tollerabile di durata del
vincolo stesso).
    In  altri  termini, il giudice delle leggi ha ammesso che la mera
scadenza  dei vincoli preordinati all'espropriazione contenuti in uno
strumento  di  pianificazione urbanistica non priva l'amministrazione
competente  alla  realizzazione  di progetti o interventi relativi ad
esigenze  generali  (in  funzione  dei  quali  e'  previsto  il piano
regolatore  stesso)  del  potere  di  reiterazione  degli stessi, ove
persistano  (ovvero  sopravvengano anche) situazioni che ne impongano
la realizzazione anche se per finalita' diverse da quelle originarie,
sempreche'   tuttavia   la  predetta  reiterazione  sia  puntualmente
motivata   circa   la  necessita'  e  l'attualita'  di  acquisire  la
proprieta'   privata   (da   valutare  sulla  base  di  una  apposita
istruttoria procedimentale da cui emerga la prevalenza dell'interesse
pubblico   rispetto   a   quello   privato   da  sacrificare)  e  sia
contemporaneamente   previsto  anche  la  corresponsione  del  giusto
indennizzo al cittadino sacrificato.
    Con  successiva  pronuncia  n. 411  del 18 dicembre 2001 la Corte
costituzionale,  proprio  alla  stregua  degli enunciati principi, ha
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 52 del d.P.R.
6 marzo   1978,   n. 218,   proprio   nella  parte  in  cui  consente
all'amministrazione  di  reiterare  i  vincoli  scaduti,  preordinati
all'espropriazione   o   che   comportino  l'inedificabilita',  senza
previsione di indennizzo.
    II.4.2.  - Cio' precisato, la sezione e' dell'avviso che nel caso
di  specie, i delineati presupposti, idonei a rendere compatibili con
le    previsioni   costituzionali   la   reiterazione   dei   vincoli
espropriativi scaduti, non sussistano.
    Invero,  come  si  e'  gia' avuto modo di evidenziare, il comma 9
dell'art. 10  della  legge  regionale  della Campania 13 agosto 1998,
n. 16,  nell'ambito  della  regolamentazione dell'efficacia dei piani
dei  consorzi  delle  aree  di  sviluppo  industriale  e  dei  nuclei
industriali,  fissata in via generale in dieci anni, ha stabilito sic
et simpliciter che «la validita' dei piani esistenti e' prorogata per
tre anni dalla data di entrata in vigore».
    Pur  a  volersi  ammettere,  che  con  riferimento a tale singola
disposizione  (autenticamente  interpretata  dall'art. 77 della legge
11 agosto 2001, n. 10, nel senso che la predetta proroga di validita'
si applica a tutti i piani esistenti, anche se medio tempore scaduti,
cosi'  ricomprendendovi  anche  quello  che  costituisce  oggetto del
gravame  in  esame),  la legge in esame possa essere considerata come
una   legge   provvedimento   (sulla   cui   compatibilita'   con  la
Costituzione,  da  ultimo  anche  C.d.S.,  sez.  IV,  11 marzo  2003,
n. 1321),  cio'  non  toglie che in concreto essa manchi di qualsiasi
elemento  volto  a  provare  l'effettivo  svolgimento di una puntuale
procedura  di valutazione degli interessi pubblici e privati in gioco
in  relazione  alla  necessita'  ed  all'attualita'  da  parte  della
pubblica  amministrazione  di  disporre  della proprieta' privata per
realizzare  un  progetto  di  interesse generale, difettando altresi'
della  conseguente  adeguata  motivazione;  manca  inoltre  qualsiasi
previsione di indennizzo per la ulteriore compressione delle facolta'
di godimento del diritto di proprieta'.
    Ne'  i  delineati  presupposti  possono in qualche modo ricavarsi
aliunde  ovvero  dal  contesto  normativo  in cui si collocano le due
disposizioni  in  esame; ne' risultano dai lavori preparatori, di cui
non vi e' traccia.
      Non  puo' ragionevolmente dubitarsi, sotto tale profilo, che la
richiamata    normativa    ha   cosi'   comportato   un'inammissibile
reiterazione   dei   vincoli   espropriativi  scaduti,  assoggettando
ingiustificatamente,  in  palese contrasto delle previsioni contenute
nell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, le aree rientranti nel
piano  regolatore  dell'area  di sviluppo industriale di Caserta (tra
cui  quelle  della  originaria ricorrente), approvato una prima volta
con  decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 gennaio
1968  e poi, a seguito di un ampliamento dell'estensione territoriale
dell'area consortile, con decreto del 28 luglio 1970, ad un ulteriore
vincolo  espropriativo, senza che siano state accertate e evidenziate
le  ragioni  di'  pubblico interesse che giustificavano il perdurante
sacrificio  della  proprieta'  privata  e  senza alcuna previsione di
indennizzo.
    Risultano,  altresi',  violati,  ad avviso della sezione, anche i
principi  di  ragionevolezza,  cui  deve attenersi intrinsecamente la
discrezionalita'  del  legislatore, nonche' i principi di legalita' e
di  buon  andamento,  cui  deve ispirare, ai sensi dell'art. 97 della
Costituzione, l'azione amministrativa.
    Invero,  come  si e' gia' avuto modo si evidenziare, la normativa
in  esame  proroga  automaticamente  e  indiscriminatamente qualsiasi
piano regolatore dei consorzi per le aree di sviluppo industriale per
il  fatto  della  sua semplice esistenza, indipendentemente dal fatto
che   essi   siano   eventualmente   gia'   scaduti  e  per  di  piu'
indipendentemente  dal  momento  in  cui  essi  siano  gia'  venuti a
scadenza.
    E'  noto,  al  riguardo,  che  la  proroga  di  un  provvedimento
amministrativo,   quale   provvedimento   di  secondo  grado,  accede
necessariamente  ad un precedente provvedimento esistente e efficace,
incidendo  proprio  sulla  sua  efficacia:  la  previsione  della cui
legittimita'  si  dubita,  appare pertanto evidentemente irrazionale,
rappresentando  una  vera  e  propria  contraddizione  in termini, la
proroga di un provvedimento non piu' efficace.
    In   realta',   utilizzando   in   modo   distorto  lo  strumento
dell'interpretazione   autentica  di  una  propria  precedente  norma
legislativo, il legislatore regionale, con disposizione innovativa (e
non  meramente  interpretativo)  ha  sostanzialmente  «riadottato» un
precedente atto amministrativo, che aveva definitivamente esaurito il
suo periodo di efficacia ed era quindi del tutto incapace di produrre
propri  effetti  giuridici,  conferendogli  una  nuova efficacia (con
effetto    retroattivo)   attraverso   una   ficitio   iuris   (cioe'
l'interpretazione  di  una  norma  giuridica che poteva logicamente e
razionalmente  riguardare  solo i piani validi ed efficaci al momento
della  entrata  in  vigore  della legge 13 agosto 1998, n. 16): tutto
cio'  al  di  fuori  delle norme procedimentali che ne disciplinavano
l'emanazione  e  dunque  in  patente  violazione  dell'art. 97  della
Costituzione.
    Cio'   senza   contare   che  altrettanto  irragionevolmente,  in
stridente  contrasto  con  il  principio  di  uguaglianza sostanziale
sancito  dall'art. 3, comma 2, della Costituzione, la riadozione o la
rinnovata  efficacia  attribuita  al  piano  regolatore  dell'area di
sviluppo industriale di Caserta e' avvenuta ad oltre venti anni dalla
sua   originaria   scadenza,   senza  che  sia  stata  svolta  alcuna
valutazione  sulla  necessita' dell'intervento pubblico da realizzare
in relazione al sacrificio imposto al privato.
    II.4.3. - Sotto i delineati profili la sezione e' dell'avviso che
la   questione   di  legittimita'  costituzionale  della  piu'  volte
ricordata  normativa,  di  cui  al  comma 9  dell'art. 10 della legge
regionale   della  Campania  13 agosto  1998,  n. 16,  autenticamente
interpretata  dall'art. 77 della successiva legge regionale 11 agosto
2001, n. 10, sia effettivamente non manifestamente infondata.
    Non  puo'  dubitarsi,  poi,  della sua rilevanza atteso che, come
emerge  dall'esposizione  fin  qui  svolta,  la  sua  applicazione e'
decisiva ai fini della decisione della controversia in esame.
    III.  -  Deve essere disposta la rimessione degli atti alla Corte
costituzionale   per   la   decisione  della  predetta  questione  di
legittimita' costituzionale.