ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 7, del
decreto   legislativo   30 marzo   2001,   n. 165   (Norme   generali
sull'ordinamento  del  lavoro  alle  dipendenze delle amministrazioni
pubbliche),  promossi  con  ordinanze del 26 marzo 2004 dal Tribunale
amministrativo  regionale  del  Friuli-Venezia Giulia, del 27 gennaio
(tre  ordinanze)  e  del  26 marzo  2004 dal Tribunale amministrativo
regionale  della  Calabria  -  sezione  staccata  di Reggio Calabria,
rispettivamente  iscritte  ai  numeri  522,  542,  622, 625 e 710 del
registro  ordinanze  del  2004  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della  Repubblica  numeri  23,  24,  28  e  37,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2004.
    Visti   gli   atti   di   costituzione  di  Anna  Di  Bartolomeo,
dell'Azienda  ospedaliera  «S.  Maria  della Misericordia» di Udine e
della Regione Calabria, nonche' gli atti di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 20 aprile 2005 il giudice
relatore Romano Vaccarella.
    Ritenuto  che,  nel corso di un giudizio amministrativo, promosso
da  Anna  Di  Bartolomeo  nei  confronti dell'Azienda ospedaliera «S.
Maria  della  Misericordia»  di Udine, per ottenere l'accertamento di
crediti  retributivi  derivanti  da  un  rapporto di pubblico impiego
cessato il 3 dicembre 1997, il Tribunale amministrativo regionale del
Friuli-Venezia  Giulia,  con ordinanza del 26 marzo 2004 (n. 522 r.o.
del  2004), ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in
riferimento   agli  articoli 3,  24,  76  e  77  della  Costituzione,
dell'art. 69,  comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
(Norme  generali  sull'ordinamento  del  lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni  pubbliche), nella parte in cui stabilisce il termine
di  decadenza  del  15 settembre 2000 per la proposizione, davanti al
giudice  amministrativo,  delle  controversie riguardanti rapporti di
lavoro alle dipendenzedelle pubbliche amministrazioni (con esclusione
dei  rapporti  non  «privatizzati»),  purche'  relative  a  questioni
attinenti  al  periodo del rapporto di lavoro anteriore alla data del
30  giugno 1998,  in  quanto tale norma: a) viola la norma delegante,
che  non  consentiva  l'introduzione  di  un termine decadenziale; b)
rende  piu'  gravoso,  per  meri  motivi  organizzativi,  al pubblico
dipendente  far  valere i propri diritti patrimoniali, se sorti prima
del   30  giugno 1998;  c)  detta  una  disciplina  irragionevolmente
differenziata  e vessatoria per i dipendenti i cui diritti sono sorti
prima di quella data rispetto agli altri dipendenti;
        che  il  giudice  a  quo  riferisce  in punto di fatto che la
ricorrente  ha  introdotto  il  giudizio  con  ricorso  notificato il
13 settembre   2000,   ma   depositato  nella  segreteria  dell'adito
tribunale  il  10 ottobre  2000 e che lo stesso giudice, nel medesimo
giudizio, con ordinanza del 31 agosto 2001, ha gia' sollevato analoga
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 45, comma 17, del
decreto  legislativo  31 marzo  1998,  n. 80  (Nuove  disposizioni in
materia   di   organizzazione   e   di   rapporti   di  lavoro  nelle
amministrazioni  pubbliche,  di  giurisdizione  nelle controversie di
lavoro  e  di  giurisdizione  amministrativa,  emanate  in attuazione
dell'articolo 11,   comma 4,   della  legge  15 marzo  1997,  n. 59),
questione  che e' stata dichiarata manifestamente inammissibile dalla
Corte costituzionale, con ordinanza n. 184 del 2002, essendo stata la
norma  denunciata  abrogata  dal  d.lgs.  n. 165 del 2001 (entrato in
vigore   prima   della  pronuncia  dell'ordinanza  di  rimessione)  e
riformulata  nell'art. 69, comma 7, del medesimo decreto legislativo,
senza  che il giudice rimettente avesse «svolto alcuna argomentazione
circa  la  perdurante  applicabilita'  della disposizione abrogata ai
fini della definizione del giudizio dinanzi a lui pendente»;
        che,  in  ordine  alla  rilevanza della questione, il giudice
rimettente  osserva che la controversia al suo esame riguarda crediti
maturati  prima  del  30  giugno 1998,  essendo il rapporto di lavoro
della  ricorrente  cessato il 3 dicembre 1997, ma che la controversia
medesima  deve  ritenersi  proposta  dopo la scadenza del termine del
15 settembre  2000,  in  quanto,  secondo  consolidata giurisprudenza
amministrativa,  il  giudizio amministrativo si instaura non gia' con
la  notificazione  del  ricorso,  bensi'  solo con il deposito (nella
specie,  avvenuto  il 10 ottobre 2000) nella segreteria del tribunale
del ricorso notificato, giacche' solo con tale deposito il giudice e'
investito   del  giudizio  e  si  costituisce,  quindi,  il  rapporto
processuale;
        che,  quanto alla non manifesta infondatezza della questione,
il  giudice  rimettente  rileva  che  l'art. 45, comma 17, del d.lgs.
n. 80  del  1998 - il quale stabiliva che «le controversie relative a
questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore» alla
data  del  30  giugno 1998  «restano  attribuite  alla  giurisdizione
esclusiva  del  giudice  amministrativo  e debbono essere proposte, a
pena  di  decadenza,  entro il 15 settembre 2000» - e' stato abrogato
dall'art. 72,  comma 1, lettera bb), del d.lgs. n. 165 del 2001 ed e'
stato   sostituito   dall'art. 69,   comma 7,  del  medesimo  decreto
legislativo, a norma del quale «sono attribuite al giudice ordinario,
in   funzione   di   giudice  del  lavoro,  le  controversie  di  cui
all'articolo 63  del presente decreto, relative a questioni attinenti
al  periodo  del  rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le
controversie  relative  a questioni attinenti al periodo del rapporto
di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione
esclusiva   del  giudice  amministrativo  solo  qualora  siano  state
proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000»;
        che   tale  norma  non  ha  sostanzialmente  innovato  quella
previgente,  ma  ne  ha riprodotto il contenuto precettivo - sia pure
con  una  diversa  formulazione giustificata dalla circostanza che al
momento  dell'emanazione  del  d.lgs.  n. 165 del 2001 era gia' stata
superata   la  data  del  15 settembre  2000  -  confermando  per  le
controversie relative a diritti maturati prima del 30 giugno 1998, il
termine del 15 settembre 2000 non quale limite alla persistenza della
giurisdizione  esclusiva del giudice amministrativo, ma quale termine
di  decadenza  per la proponibilita' della domanda giudiziale, com'e'
ormai  «diritto vivente» nella giurisprudenza sia delle sezioni unite
della Corte di cassazione sia del Consiglio di Stato;
        che   la   prospettata   interpretazione  e'  avallata  dalla
considerazione  che  il  d.lgs.  n. 165  del 2001 e' stato emanato in
attuazione  della  delega contenuta nell'art. 1, comma 8, della legge
24 novembre  2000,  n. 340  (Disposizioni  per  la delegificazione di
norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge
di  semplificazione 1999), con la quale al Governo e' stato conferito
il  potere  di  «emanare  un testo unico per il riordino delle norme,
diverse  da  quelle  del  codice civile e delle leggi sui rapporti di
lavoro  subordinato  nell'impresa,  che regolano i rapporti di lavoro
dei   dipendenti   di   cui   all'articolo 2,  comma 2,  del  decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n. 29», ossia dei rapporti di lavoro dei
dipendenti   delle   pubbliche  amministrazioni  «contrattualizzati»,
«apportando  le  modifiche  necessarie  per il migliore coordinamento
delle diverse disposizioni»;
        che,  con  tale  delega,  e'  stata  demandata  all'esecutivo
un'attivita'   meramente   compilativa,  con  facolta'  di  apportare
modifiche  alle  disposizioni in vigore solo a fini di coordinamento,
vale  a  dire modifiche non sostanziali, tra le quali vi e', appunto,
quella  meramente  lessicale recata dall'art. 69, comma 7, del d.lgs.
n. 165 del 2001;
        che,  pertanto,  nei  riguardi dell'art. 69 del d.lgs. n. 165
del  2001  si pongono gli stessi dubbi di legittimita' costituzionale
gia'  sollevati  per  l'analoga  disposizione dell'art. 45 del d.lgs.
n. 80 del 1998;
        che il decreto legislativo n. 165 del 2001 - emanato, come si
legge nel preambolo, «vista la legge 15 marzo 1997, n. 59» (Delega al
Governo  per  il  conferimento  di funzioni e compiti alle regioni ed
enti  locali,  per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la
semplificazione  amministrativa)  -  deve,  quanto  al suo contenuto,
ritenersi  adottato  «in esecuzione della citata legge delega», ed in
particolare  dell'art. 11, comma 4, lettera g), della legge n. 59 del
1997,   che   abilitava   l'esecutivo   a  «devolvere,  entro  il  30
giugno 1998,   al  giudice  ordinario  [...]  tutte  le  controversie
relative  ai  rapporti  di  lavoro  dei  dipendenti  delle  pubbliche
amministrazioni  [...] prevedendo: misure organizzative e processuali
anche  di  carattere  generale atte a prevenire disfunzioni dovute al
sovraccarico del contenzioso»;
        che,   ad  avviso  del  giudice  rimettente,  il  legislatore
delegato,  con  l'art. 69,  comma 7,  del  d.lgs.  n. 165  del  2001,
nell'attuazione  della  legge  delega,  ha violato gli artt. 76 e 77,
primo  comma,  Cost.,  in  quanto le previste «misure organizzative e
processuali  anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni
dovute  al  sovraccarico  del contenzioso» sarebbero dovute servire a
fronteggiare  il  notevole  aumento  di  carico di lavoro del giudice
ordinario  (non  di  quello  amministrativo),  in  conseguenza  della
estensione  della  sua  giurisdizione  alle  controversie relative ai
rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni;
        che  non  trova,  percio',  supporto  nella  legge  delega la
disposizione  dell'art. 69,  comma 7,  del d.lgs. n. 165 del 2001, la
quale,  comminando la decadenza dall'azione per le pretese creditorie
dei  pubblici  dipendenti attinenti al periodo del rapporto di lavoro
anteriore  al  30  giugno 1998,  mira  a sgravare non gia' il giudice
ordinario,  bensi'  il giudice amministrativo, alla cui giurisdizione
esclusiva le relative controversie rimangono attribuite;
        che,  sotto  altro  profilo,  la  previsione  di  un  termine
decadenziale importa, in violazione dell'art. 24, Cost., compressione
del  diritto  di  difesa  dei  pubblici  dipendenti,  i  cui  diritti
patrimoniali  siano maturati anteriormente al 30 giugno 1998, poiche'
costoro,  che  normalmente  sarebbero  esposti  al  solo  termine  di
prescrizione  quinquennale,  debbono  far  valere  i  loro diritti in
giudizio  entro  il  15 settembre  2000,  pena la perdita dei diritti
medesimi,  senza  che  simile  comminatoria  sia  giustificata  dalla
riorganizzazione del riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e
giudice amministrativo;
        che,  sotto  altro  profilo  ancora,  l'art. 69, comma 7, del
d.lgs.  n. 165  del  2001  «introduce  [...]  anche  un'irragionevole
discriminazione  fra soggetti che agiscono per la tutela delle stesse
posizioni    soggettive»,    rendendo    piu'   gravosa   la   tutela
giurisdizionale  per  i dipendenti titolari di diritti maturati entro
il  30  giugno 1998  rispetto  a  tutti  gli  altri  dipendenti delle
pubbliche amministrazioni;
        che,   ritualmente   costituitasi,   la  ricorrente  Anna  Di
Bartolomeo  contesta  preliminarmente la rilevanza della questione di
legittimita'  costituzionale, osservando che il termine di decadenza,
stabilito  dall'art. 69,  comma 7,  del  d.lgs. n. 165 del 2001, deve
ritenersi  rispettato - contrariamente a quanto sostenuto dal giudice
rimettente  -  se  il  ricorso introduttivo viene notificato, come e'
accaduto  nella  specie, entro la data fissata, senza che occorra che
esso   venga   anche   depositato   nella  segreteria  del  tribunale
amministrativo regionale non oltre la data medesima;
        che,  secondo  la  deducente,  l'art. 69, comma 7, del d.lgs.
n. 165  del  2001,  va  correttamente  inteso  nel  senso che, per le
questioni  attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore alla
data  del  30  giugno 1998,  rimane  ferma  l'attribuzione al giudice
amministrativo  delle  controversie  promosse  entro  il 15 settembre
2000,  mentre  quelle  non  promosse entro tale data sono devolute al
giudice ordinario;
        che,  nel  merito,  la  deducente  osserva  che, ove la norma
denunciata   sia   interpretata  nel  senso  propugnato  dal  giudice
rimettente,  la  questione  medesima  sarebbe  fondata,  in quanto la
disposizione  dell'art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998 - poi
sostituita  dall'art. 69,  comma 7,  del  d.lgs.  n. 165  del  2001 -
sarebbe  viziata da eccesso di delega, perche' con la legge n. 59 del
1997  al  Governo  non  era stato conferito il potere di limitare nel
tempo  l'esercizio  dei diritti dei soli dipendenti pubblici, nei cui
confronti  la giurisdizione e' stata trasferita al giudice ordinario,
«trasformando  la  prescrizione  dei  loro  diritti  in decadenza», e
perche'  l'imposizione di un termine di decadenza «non puo' ritenersi
misura  organizzativa  processuale,  ma criptica modifica sostanziale
del diritto e della possibilita' di esercitarlo»;
        che,  quanto  alle censure relative agli artt. 3 e 24, Cost.,
la   deducente   osserva   che   la  norma  denunciata  comporta  una
ingiustificabile  e  irrazionale  disparita'  di  trattamento  fra  i
dipendenti  i  cui  rapporti  di  impiego  sono stati trasferiti alla
giurisdizione  del  giudice  ordinario  e quelli i cui rapporti sono,
invece,  rimasti  attribuiti alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, prevedendosi solo per i primi il termine di decadenza
del  15 settembre  2000  e  cosi'  conculcandosi  il  loro diritto di
difesa;
        che,   ritualmente   costituitasi,   la   resistente  Azienda
ospedaliera   «S.   Maria   della   Misericordia»,   ha  eccepito  la
inammissibilita'   della   questione,   sull'assunto  che  l'art. 69,
comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, va inteso nel senso che, dopo la
scadenza  del  termine  del  15 settembre  2000,  e'  fatta  salva la
facolta'  per il pubblico dipendente di far valere le proprie pretese
patrimoniali davanti al giudice ordinario;
        che,   intervenuto   nel  giudizio  a  mezzo  dell'Avvocatura
generale  dello  Stato,  il Presidente del Consiglio dei ministri, ha
chiesto  che  la  questione  sia  dichiarata inammissibile, in quanto
l'art. 69,  comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 (come pure l'art. 45,
comma 17,   del  d.lgs.  n. 80  del  1998)  sarebbe  suscettibile  di
un'interpretazione  costituzionalmente  orientata,  nel  senso che il
termine del 15 settembre 2000 non costituisce un termine di decadenza
sostanziale,  ma  il limite temporale della giurisdizione del giudice
amministrativo,  oltre  il quale le controversie relative a questioni
attinenti   al  periodo  del  rapporto  di  lavoro  anteriore  al  30
giugno 1998 sono devolute al giudice ordinario;
        che,  quanto  al  denunciato  vizio  di  eccesso  di  delega,
l'Avvocatura  sostiene  che - poiche' la ratio della norma denunciata
sta  nel contemperamento di due contrapposte esigenze: da un lato, di
subordinare il «passaggio» delle controversie di pubblico impiego dal
giudice  amministrativo  al  giudice  ordinario alla decorrenza di un
periodo  transitorio, al fine di evitare un immediato e generalizzato
sovraccarico   del   contenzioso  davanti  al  giudice  ordinario  e,
dall'altro,  di delimitare il periodo transitorio, al fine di evitare
che  le  controversie  rimaste  attribuite  al giudice amministrativo
«potessero  rimanere  devolute ad infinitum (in forza, ad esempio, di
una pluralita' indefinita di atti interruttivi della prescrizione) al
giudice  ormai  non  piu'  munito,  in  linea generale, di competenza
giurisdizionale» in materia - il previsto termine di decadenza per la
proposizione  delle  controversie  davanti  al giudice amministrativo
costituisce   soluzione  ottimale  e  perfettamente  ragionevole  per
contemperare  le  opposte  esigenze  in  armonia con il dettato della
legge delega;
        che,  quanto  alla  sospettata  violazione degli artt. 3 e 24
Cost.,  la  difesa  erariale  osserva  che un termine decadenziale di
oltre  due  anni  non  confligge  con  la  giurisprudenza della Corte
costituzionale,  secondo  la  quale  l'art. 24 Cost. non esige che la
tutela   dei  diritti  ed  interessi  sia  regolata  dal  legislatore
ordinario  con  uniformita'  di  requisiti  ed effetti, ne' vieta che
l'esercizio di tale tutela sia sottoposto a termini di decadenza o di
prescrizione,  nei  limiti  in  cui tale regolamentazione non risulti
manifestamente   irragionevole   o   non   imponga   oneri   tali  da
compromettere  irreparabilmente  la tutela stessa (sentenze n. 87 del
1962,  n. 113  del  1963,  n. 47 del 1964, n. 100 del 1964, n. 85 del
1968,  n. 77  del  1974, n. 406 del 1993, n. 461 del 1997, n. 210 del
1998);
        che,  quanto  alla  censura  di  irragionevolezza,  la difesa
erariale  ne eccepisce l'inammissibilita', perche' prospettata in via
meramente  ipotetica,  senza  alcuna  attinenza  con  la controversia
all'esame  del giudice a quo, e, comunque, la manifesta infondatezza,
in   quanto,   rientrando   nella  discrezionalita'  del  legislatore
modificare   i  criteri  di  riparto  di  giurisdizione  fra  giudice
ordinario   e   giudice   amministrativo,   non   puo'   considerarsi
irragionevole una disciplina transitoria, con la quale sia fissato un
termine  oltre  il quale una certa controversia non possa piu' essere
portata davanti a un giudice, ma debba essere conosciuta dall'altro;
        che, nel corso di quattro giudizi amministrativi, promossi da
altrettanti   pubblici  dipendenti  nei  confronti  delle  rispettive
pubbliche   amministrazioni   datrici   di   lavoro,   per   ottenere
l'accertamento  di  crediti retributivi maturati in periodi anteriori
al  30  giugno 1998,  il  Tribunale  amministrativo  regionale  della
Calabria   -  sezione  staccata  di  Reggio  Calabria,  con  distinte
ordinanze del 27 gennaio 2004 (numeri 542, 622 e 625 r.o. del 2004) e
del  26 marzo  2004  (n. 710  r.o.  del 2004), di pressoche' identica
motivazione,  ha  sollevato questione di legittimita' costituzionale,
in  riferimento  agli  artt. 3,  24,  113  e  76 Cost., dell'art. 69,
comma 7,  del  d.lgs. n. 165 del 2001, limitatamente all'inciso «solo
qualora   siano  state  proposte,  a  pena  di  decadenza,  entro  il
15 settembre 2000»;
        che  il  giudice  a  quo  premette, in punto di fatto, che le
controversie  sono  state  proposte  dopo  la scadenza del termine di
decadenza  del  15 settembre  2000,  in quanto i ricorsi introduttivi
sono stati depositati nella segreteria dell'adito tribunale dopo tale
data,  precisando  che  solo  in  una  delle  quattro controversie (e
precisamente   quella  promossa  da  Nicola  Rogolino  nei  confronti
dell'Azienda  ospedaliera  «Bianchi  - Melacrino - Morelli» di Reggio
Calabria, di cui all'ordinanza di rimessione n. 625 r.o. del 2004) il
ricorso   introduttivo   e'  stato  non  solo  depositato,  ma  anche
notificato in data successiva al 15 settembre 2000;
        che  il  tribunale rimettente afferma, per tutte e quattro le
controversie   in   discorso,   la  propria  giurisdizione,  aderendo
all'orientamento  delle  sezioni  unite  della  Corte  di cassazione,
secondo  cui  la  data  15 settembre  2000  e'  fissata dall'art. 69,
comma 7,  del  d.lgs.  n. 165  del  2001  non  quale mero limite alla
persistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
ma  quale  termine  di  decadenza per la proponibilita' della domanda
giudiziale;
        che,  quanto  alla  rilevanza  della  questione, il Tribunale
osserva   che,  in  applicazione  della  norma  denunciata,  dovrebbe
dichiararsi   l'estinzione  per  decadenza  delle  pretese  azionate,
essendo stati i ricorsi proposti dopo il 15 settembre 2000;
        che,  quanto alla non manifesta infondatezza della questione,
il  giudice a quo sospetta di incostituzionalita' la norma denunciata
per  violazione, in primo luogo, dell'art. 3 Cost., poiche' introduce
una   ingiustificata  disparita'  di  trattamento  fra  i  dipendenti
pubblici,  cui  e'  imposto  il termine di decadenza del 15 settembre
2000  per  la  proposizione delle domande relative a diritti maturati
entro  il 30 giugno 1998, e i dipendenti privati, per i quali valgono
gli ordinari termini di prescrizione;
        che  la norma denunciata - ad avviso del giudice rimettente -
si pone inoltre in contrasto con gli artt. 24 e 113 Cost., in quanto,
da  un  lato,  rende oltremodo difficoltosa la tutela giurisdizionale
del pubblico dipendente, specie con riferimento a situazioni in cui i
presupposti  necessari per una tutela giurisdizionale si completino e
si  consolidino  in  epoca successiva al 30 giugno 1998, e in quanto,
dall'altro  lato  e  in  generale,  l'imposizione  di  un  termine di
decadenza cosi' ristretto non trova giustificazione in alcun generale
interesse dell'ordinamento;
        che, ancora, la norma denunciata contrasterebbe con l'art. 76
Cost., in quanto la legge di delega n. 59 del 1997, «ai cui contenuti
deve  riportarsi  anche  il  d.lgs.  n. 165  del  2001», demandava al
Governo  di  adottare  «misure  organizzative  e processuali anche di
carattere   generale   atte   a   prevenire   disfunzioni  dovute  al
sovraccarico  del  contenzioso»  -  art. 11, comma 4, lettera g) -, e
l'imposizione di un termine di decadenza per agire dinanzi al giudice
amministrativo  non  costituisce  misura  processuale  (e,  comunque,
avrebbe potuto riferirsi solo alle controversie trasferite al giudice
ordinario, non anche a quelle rimaste al giudice amministrativo);
        che,  intervenuto nei quattro giudizi a mezzo dell'Avvocatura
generale  dello  Stato,  il  Presidente del Consiglio dei ministri ha
chiesto,  con  atti  di  identico  contenuto,  che  la  questione sia
dichiarata  inammissibile  o,  comunque,  infondata,  sulla  base  di
argomentazioni  del  tutto  analoghe  a  quelle  svolte  nell'atto di
intervento   nel   giudizio  promosso  dal  Tribunale  amministrativo
regionale del Friuli-Venezia Giulia (n. 522 r.o. del 2004);
        che  si  e'  ritualmente  costituita  nel  giudizio,  di  cui
all'ordinanza  di  rimessione  n. 710  r.o.  del  2004, la resistente
Regione  Calabria,  la  quale  ha  concluso  per l'infondatezza della
questione, in quanto tra le «misure organizzative e processuali», che
il  Governo  era  stato abilitato ad adottare, ben potevano rientrare
sia  la  conservazione  della  giurisdizione  amministrativa  per  le
controversie attinenti al periodo anteriore al 30 giugno 1998, sia la
fissazione  di  un  termine  di decadenza per la proposizione di tali
controversie,  volto ad evitare il «sovraccarico del contenzioso» non
solo  per  le  controversie trasferite al giudice ordinario, ma anche
per quelle rimaste al giudice amministrativo;
        che,  richiamata  una recente sentenza del Consiglio di Stato
che ha ritenuto manifestamente infondata la questione dell'eccesso di
delega,  la  Regione  Calabria  osserva che la questione sollevata in
riferimento  agli  artt. 3,  24  e  113  Cost.,  e' inammissibile, in
quanto,  una  volta  acclarato  che  la  norma  censurata costituisce
corretta  attuazione  della  legge  di  delega,  la questione avrebbe
dovuto coinvolgere anche il criterio direttivo stabilito dalla stessa
legge  di delega, non essendo censurato il modo in cui il legislatore
delegato  ha  esercitato  la  delega,  ma  la stessa previsione della
decadenza sostanziale;
        che,   successivamente,   la   Di   Bartolomeo   e  l'Azienda
ospedaliera  «S.  Maria  della  Misericordia» nel giudizio n. 522 del
2004,  e  la  Regione  Calabria  nel  giudizio n. 710 del 2004, hanno
depositato   memorie   nelle   quali   illustrano   ulteriormente  le
conclusioni di cui ai rispettivi atti di costituzione in giudizio.
    Considerato  che  sia  il  Tribunale amministrativo regionale del
Friuli-Venezia  Giulia  (ordinanza  n. 522  r.o.  del  2004)  sia  il
Tribunale  amministrativo regionale della Calabria - sezione staccata
di  Reggio  Calabria  (ordinanze  numeri  542, 622, 625, 710 r.o. del
2004)   dubitano   della  legittimita'  costituzionale  dell'art. 69,
comma 7,   del  decreto  legislativo  30 marzo  2001,  n. 165  (Norme
generali   sull'ordinamento   del   lavoro   alle   dipendenze  delle
amministrazioni   pubbliche),  nella  parte  in  cui  -  riproducendo
sostanzialmente l'art. 45, comma 17, del decreto legislativo 31 marzo
1998,  n. 80  (Nuove  disposizioni  in materia di organizzazione e di
rapporti  di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione
nelle  controversie  di  lavoro  e  di  giurisdizione amministrativa,
emanate in attuazione dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo
1997,  n. 59)  -  stabilisce il termine di decadenza del 15 settembre
2000  per  la  proposizione, davanti al giudice amministrativo, delle
controversie  riguardanti  rapporti  di  lavoro alle dipendenze delle
pubbliche   amministrazioni   (con   esclusione   dei   rapporti  non
«privatizzati»),  purche'  relative  a questioni attinenti al periodo
del  rapporto  di  lavoro  anteriore alla data del 30 giugno 1998, in
riferimento:  a)  all'art. 76  Cost.,  per avere travalicato i limiti
della  delega, conferita con la legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al
Governo  per  il  conferimento  di funzioni e compiti alle regioni ed
enti  locali,  per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la
semplificazione    amministrativa),    la    quale   non   consentiva
l'introduzione  di  un termine decadenziale; b) all'art. 24 Cost., in
quanto rende piu' gravoso, per meri motivi organizzativi, al pubblico
dipendente  far  valere i propri diritti patrimoniali, se sorti prima
del  30  giugno 1998;  c)  all'art. 3  Cost.,  in  quanto  detta  una
disciplina   irragionevolmente   differenziata  e  vessatoria  per  i
pubblici dipendenti i cui diritti sono sorti prima del 30 giugno 1998
rispetto  agli  altri  pubblici  dipendenti (Tribunale amministrativo
regionale  del  Friuli-Venezia  Giulia) ovvero rispetto ai dipendenti
privati (Tribunale amministrativo regionale della Calabria);
        che  le  questioni  sollevate  dai  due  Tribunali  -  pur se
divergenti  nell'individuazione  del tertium comparationis, quanto al
punto  c),  e  pur  se  la  prima  ordinanza  indica  quale parametro
costituzionale  ulteriore  l'art. 77,  primo  comma, Cost., quanto al
punto  a),  e  le  altre  ordinanze  indicano anche l'art. 113 Cost.,
quanto  al  punto  b)  - sono sostanzialmente identiche, e, pertanto,
devono essere riuniti i relativi giudizi;
        che correttamente entrambi i Tribunali rimettenti individuano
nell'art. 69,  comma 7,  del  d.lgs.  n. 165  del  2001  la  norma da
sottoporre  al  sindacato  di  legittimita'  costituzionale  (come da
ordinanza   n. 184   del   2002   di  questa  Corte),  e  cio'  anche
relativamente  al  parametro  dell'art. 76  Cost., in quanto la norma
censurata  e'  stata  emanata  in  attuazione di una delega - art. 1,
comma 8,  della  legge  24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la
delegificazione  di  norme  e  per la semplificazione di procedimenti
amministrativi  -  Legge  di semplificazione 1999) - che conferiva al
Governo  il  potere di «emanare un testo unico per il riordino» delle
norme   sul  rapporto  di  lavoro  «contrattualizzato»  dei  pubblici
dipendenti, con facolta' di apportare «le modifiche necessarie per il
migliore  coordinamento  delle  diverse  disposizioni»,  e, pertanto,
apportando  modifiche  puramente lessicali - dettate dall'esigenza di
far  riferimento  ad  un  termine (15 settembre 2000), «futuro» nella
norma  sostituenda, e «passato» in quella sostitutiva (cfr. ordinanza
n. 214  del  2004)  -  a  quanto previsto dall'art. 45, comma 17, del
d.lgs. n. 80 del 1998;
        che,  conseguentemente,  anche l'art. 69, comma 7, del d.lgs.
n. 165 del 2001 - cosi' come, in precedenza, l'art. 45, comma 17, del
d.lgs.  n. 80  del  1998  - e' suscettibile di sindacato, quale norma
delegata  ed  in  riferimento  all'art. 76  Cost., avendo riguardo al
principio  direttivo  di  cui all'art. 11, comma 4, lettera g), della
legge delega n. 59 del 1997;
        che  deve  ribadirsi (cfr. ordinanza n. 214 del 2004), in via
preliminare,  l'inaccettabilita'  della  tesi  secondo  la  quale  il
termine  del  15 settembre 2000 si configurerebbe come di confine tra
la  giurisdizione  del  giudice  amministrativo  e quella del giudice
ordinario, essendo viceversa evidente per la formulazione della norma
ed  assolutamente  dominante  nella  giurisprudenza sia delle Sezioni
unite   della   Corte  di  cassazione  sia  del  Consiglio  di  Stato
l'interpretazione  secondo  la quale tale termine - come previsto sia
dall'abrogato  art. 45,  comma 17,  del  d.lgs.  n. 80  del 1998, sia
dall'art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 - deve ritenersi di
decadenza per l'esercizio del diritto di azione;
        che  le  questioni  sollevate dall'ordinanza (n. 522 r.o. del
2004)  del  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Friuli-Venezia
Giulia  e  da tre ordinanze (numeri 542, 622 e 710 r.o. del 2004) del
Tribunale amministrativo regionale della Calabria sono manifestamente
inammissibili,  essendo  palesemente irrilevante nei giudizi a quibus
la  previsione  di  un termine di decadenza, fissato nel 15 settembre
2000,  per  la  proposizione di controversie introdotte con ricorsi -
riferiscono i Tribunali rimettenti - notificati anteriormente a detto
termine, pur se depositati in data ad esso successiva;
        che,  per  principio  generale  del  processo, ribadito dalla
legge disciplinatrice del processo amministrativo - art. 36 del regio
decreto  26  giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle
leggi  sul  Consiglio  di Stato), richiamato dall'art. 19 della legge
6 dicembre  1971,  n. 1034  (Istituzione dei tribunali amministrativi
regionali);  artt. 21 e 23-bis, comma 7, della legge n. 1034 del 1971
-,  la  controversia  deve  ritenersi «proposta» e, conseguentemente,
impedita  ogni  decadenza,  con la notifica del ricorso, assumendo il
deposito  del  ricorso  rilevanza  esclusivamente  al  fine della sua
procedibilita'  (ovvero,  in  via  transitoria  ed  eccezionale,  per
radicare  l'originaria  -  ed  eccezionale,  dopo  l'introduzione del
doppio  grado  nel giudizio amministrativo - competenza del Consiglio
di  Stato rispetto a quella, sopravvenuta ed ordinaria, dei tribunali
amministrativi  regionali,  come  previsto  dall'art. 38  della legge
n. 1034  del  1971:  cfr.  Consiglio  di  Stato  -  adunanza plenaria
28 luglio 1980, n. 35);
        che la questione sollevata dal Tribunale amministrativo della
Calabria  con  ordinanza n. 625 del 2004 - rilevante per essere stato
il  ricorso  notificato  in data successiva al 15 settembre 2000 - e'
manifestamente infondata sotto tutti i profili dedotti;
        che  non  sussiste  alcuna  violazione  dell'art. 3 Cost., in
quanto la disparita' di trattamento tra i dipendenti privati e quelli
pubblici,  soggetti  -  relativamente  ai diritti sorti anteriormente
alla  data  del  30  giugno 1998  -  ad  un  termine di decadenza, e'
ragionevolmente  giustificata dall'esigenza di contenere gli effetti,
temuti   dal   legislatore   come  pregiudizievoli  per  il  regolare
svolgimento     dell'attivita'    giurisdizionale,    prodotti    dal
trasferimento della competenza giurisdizionale al giudice ordinario e
dal  temporaneo  mantenimento di tale competenza in capo ai tribunali
amministrativi,  ed  in  quanto  e'  ampia  la  discrezionalita'  del
legislatore  nell'operare  le  scelte  piu'  opportune  - purche' non
manifestamente  irragionevoli  e  arbitrarie  -  per  disciplinare la
successione di leggi processuali nel tempo (sentenza n. 400 del 1996;
ordinanze n. 294 del 1998 e n. 490 del 2000);
        che  non  sussiste  nemmeno  violazione  degli artt. 24 e 113
Cost.,  dal momento che, da un lato, non e' certamente ingiustificata
-  per  quanto  si  e'  appena detto - la previsione di un termine di
decadenza  e,  dall'altro lato, tale termine (di oltre ventisei mesi)
non  e' certamente tale da rendere «oltremodo difficoltosa» la tutela
giurisdizionale;
        che  non  sussiste,  infine,  alcuna  violazione dell'art. 76
Cost.,  dal  momento  che l'art. 11, comma 4, lettera g), della legge
delega  15 marzo  1997,  n. 59,  conferiva  al  Governo  il potere di
«adottare  misure  organizzative  e  processuali  anche  di carattere
generale  atte  a  prevenire  disfunzioni  dovute al sovraccarico del
contenzioso»,   in   occasione  del  trasferimento  della  competenza
giurisdizionale  dai tribunali amministrativi regionali all'autorita'
giudiziaria   ordinaria   in   materia  di  pubblico  impiego  e  del
contestuale  trasferimento  da quest'ultima ai primi della competenza
giurisdizionale  in  materie  attinenti  ai  servizi  pubblici  ed al
governo del territorio;
        che,  in  tema  di  rapporti  tra  legge  di delega e decreto
legislativo, questa Corte ha costantemente affermato che «il giudizio
di  conformita'  della norma delegata alla norma delegante si esplica
attraverso  il  confronto  tra  gli esiti di due processi ermeneutici
paralleli,  tenendo  conto delle finalita' che, attraverso i principi
ed   i  criteri  enunciati,  la  legge  delega  si  prefigge  con  il
complessivo  contesto  delle  norme  da essa poste e tenendo altresi'
conto  che  le  norme  delegate  vanno  interpretate  nel significato
compatibile  con  quei principi e criteri» (sentenze n. 425 del 2000,
n. 15  del  1999), in quanto «la delega legislativa non fa venir meno
ogni  discrezionalita'  del  legislatore delegato, che risulta piu' o
meno ampia a seconda del grado di specificita' dei principi e criteri
direttivi  fissati  nella  legge delega» (ordinanza n. 490 del 2000);
sicche',  «per  valutare di volta in volta se il legislatore delegato
abbia ecceduto tali - piu' o meno ampi - margini di discrezionalita',
occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma
delegata  sia  ad essa rispondente» (sentenze n. 163 del 2000, n. 199
del  2003);  e che la disposizione di cui all'art. 76 Cost. «non osta
all'emanazione  di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se
del   caso,   anche   un  completamento  delle  scelte  espresse  dal
legislatore»,  essendo  escluso  «che  le  funzioni  del  legislatore
delegato  siano  limitate  ad  una mera «scansione linguistica» delle
previsioni dettate dal delegante», ed «essendo consentito al primo di
valutare le situazioni giuridiche da regolamentare e di effettuare le
conseguenti  scelte, nella fisiologica attivita' di «riempimento» che
lega   i  due  livelli  normativi,  rispettivamente  della  legge  di
delegazione  e di quella delegata» (sentenze n. 199 del 2003 e n. 308
del 2002);
        che,  alla  luce  di  tali  principi,  deve affermarsi che il
legislatore  delegato  ha  fatto corretto uso del potere conferitogli
dal  Parlamento, allorche' ha individuato nella decadenza dal diritto
di azione una «misura processuale» idonea a conseguire l'obiettivo di
evitare   il   «sovraccarico   di   lavoro»   che,  per  i  tribunali
amministrativi   regionali,   si   sarebbe   determinato  conservando
temporaneamente  la  giurisdizione sul pubblico impiego ed acquisendo
quella  in  materie  correlate  ai servizi pubblici ed al governo del
territorio;
        che  la  circostanza che il termine di decadenza produca, ove
questa  si  verifichi,  effetti  sul  diritto sostanziale non vale ad
escluderne  la natura di «misura processuale», essendo tale locuzione
manifestamente  volta  a  designare  -  come  e'  reso  palese  dalla
genericita'  del  termine  «misura»  -  i piu' opportuni accorgimenti
aventi quale effetto il contenimento del contenzioso;
        che  l'art. 11, comma 4, lettera g), della legge delega n. 59
del  1997,  infatti, vincolava il legislatore delegato esclusivamente
«a  devolvere,  entro  il  30  giugno 1998,  al giudice ordinario» le
controversie  del pubblico impiego «contrattualizzato», rimettendogli
integralmente la scelta concreta del regime transitorio attraverso il
quale «prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso»;
        che  il  legislatore  delegato ha fatto ragionevole uso della
discrezionalita'  insita  nel  potere legittimamente conferitogli dal
Parlamento,  preoccupandosi del «sovraccarico del contenzioso» presso
il  giudice ordinario, sia prevedendo strumenti processuali originali
(ad esempio, art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001: cfr. sentenza n. 199
del 2003) sia evitando di gravarlo del contenzioso relativo a diritti
sorti   anteriormente   alla   data   fissata   dalla  legge  per  la
«devoluzione»,  e  preoccupandosi,  altresi',  del  sovraccarico  del
contenzioso  per  i  tribunali  amministrativi - ai quali erano state
contestualmente  devolute  materie  (anche  in  termini  eccedenti la
delega:  cfr. sentenze n. 292 del 2000 e n. 281 del 2004) relative ai
pubblici  servizi  ed  al  governo  del  territorio - con il porre un
termine  finale,  non vessatorio per i lavoratori interessati, per la
proposizione di domande relative a diritti anteriormente sorti;
        che,  se  e'  vero  che  ben  avrebbe  potuto  il legislatore
delegato  attribuire  al  termine  del 15 settembre 2000 la natura di
semplice confine tra la (eccezionalmente prorogata) giurisdizione del
giudice  amministrativo  e  quella (divenuta «ordinaria») del giudice
civile,  e'  anche  vero  che  esso  avrebbe  in  tal  modo  soltanto
procrastinato  (ma non evitato) per quest'ultimo il «sovraccarico del
contenzioso», investendolo anche, per la parte non fatta valere entro
il  15 settembre  2000 davanti ai Tribunale amministrativo regionale,
di   controversie  relative  a  diritti  sorti  anteriormente  al  30
giugno 1998   (al   quale   proposito   puo'   rilevarsi   come   sia
contraddittorio  sostenere  che  la  delega  mirava  a  prevenire  il
sovraccarico  del  contenzioso  presso  il  solo giudice ordinario ed
auspicare  che  la  decadenza  dal  diritto  di azione venga meno per
trasformarsi in mero confine tra le due giurisdizioni);
        che,  conseguentemente, la scelta della decadenza dal diritto
di agire non solo e' conforme al principio direttivo della delega, ma
e'  anche la piu' rispettosa delle finalita' indicate dal Parlamento,
in  quanto  misura  idonea  a  prevenire  il  temuto  sovraccarico di
entrambi  i giudici investiti del contenzioso del pubblico impiego ed
idonea,  altresi',  a  realizzare  tra di essi un ordinato riparto di
tale   contenzioso,  con  l'evitare  che  per  la  medesima  concreta
controversia   fosse   previsto   il  succedersi,  nel  tempo,  della
giurisdizione di un giudice a quella di un altro giudice.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.