IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nella Camera di consiglio
dell'8 aprile 2005.
    Visto   il   ricorso   n. 381/2005   proposto   da:  Kaso  Bledar
rappresentato  e  difeso  da:  Tarchini Cristina con domicilio eletto
presso la segreteria della sezione in Brescia via Malta, 12;
    Contro  Questore di Mantova rappresentato e difeso da: Avvocatura
dello  Stato  con  domicilio ope legis in Brescia, via S. Caterina, 6
presso la sua sede, per l'annullamento del provvedimento del Questore
di  Mantova  del  10  novembre  2004,  con il quale e' stata respinta
l'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno n. SMN398313;
    Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di: Questore di Mantova;
    Udito  il  relatore  e  ref.  Mauro  Pedron  e uditi, altresi', i
difensori delle parti;

                        C o n s i d e r a t o

    1.  -  Il Questore di Mantova con decreto del 10 novembre 2004 ha
respinto l'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno n. SMN398313,
che era stato rilasciato al ricorrente il 1° agosto 2003 in base alla
procedura di legalizzazione di cui al decreto-legge 9 settembre 2002,
n. 195  (convertito con modifiche dalla legge 9 ottobre 2002 n. 222).
In  occasione  dell'esame  dell'istanza  di rinnovo e' infatti emerso
attraverso   rilievi  dattiloscopici  che  il  ricorrente  era  stato
colpito,  sotto  falso nome, da un provvedimento di espulsione emesso
dal  Prefetto  di  Vicenza  il  16 agosto  2001 ed eseguito lo stesso
giorno  mediante  accompagnamento  alla frontiera a mezzo della forza
pubblica   (imbarco  su  una  motonave  in  partenza  da  Ancona  con
destinazione Durazzo).
    2.  -  In  questo  modo  e'  stato  accertato  l'impedimento alla
legalizzazione  previsto  dall'art. 1,  comma 8, lettera a), del d.l.
n. 195/2002  (espulsione  con  accompagnamento  coattivo). Poiche' la
legalizzione e' il presupposto del rilascio del permesso di soggiorno
(art.  1, commi 4 e 5 del d.l. n. 195/2002) il Questore di Mantova ha
ritenuto che il ricorrente non fosse in possesso dei requisiti per il
soggiorno.   Nel   decreto   impugnato  e'  richiamato  genericamente
l'art. 13,  comma 13, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, che vieta al
cittadino  straniero  espulso di rientrare nel territorio dello Stato
senza  una  speciale  autorizzazione del Ministro dell'interno. Nella
nota  di  controdeduzioni  del  25 marzo  2005 l'Ufficio immigrazione
della  Questura  di  Mantova  ha  chiarito  che la causa del denegato
rinnovo del permesso di soggiorno e' stata individuata nella presenza
di  un  ostacolo alla legalizzazione, ossia nel decreto di espulsione
con  accompagnamento  coattivo  del  16  agosto  2001  («pertanto, in
ottemperanza  alla  previsione  normativa di cui all'art. 1, comma 8,
del citato decreto-legge n. 195/2002 convertito in legge n. 222/2002,
che sancisce ed esclude dal beneficio della legalizzazione coloro che
erano  stati  colpiti  da  pregressi provvedimenti di accompagnamento
coattivo  alla  frontiera, gli veniva rifiutato il rinnovo del titolo
ottenuto  e rilasciato sulla base dell'identita' certa, ritenendo che
tale  provvedimento andasse ad inficiare la validita' del permesso di
soggiorno  gia' ottenuto.»). La questura ha quindi deciso di non dare
ulteriore  validita'  al  permesso di soggiorno ritenendo vietata nel
caso in esame la legalizzazione.
    3.  -  Il  decreto  di  espulsione  del  16  agosto 2001 e' stato
adottato  in  quanto  il  ricorrente  e' entrato nel territorio dello
Stato  sottraendosi  ai  controlli  di  frontiera  e  violando quindi
l'art. 4,  comma  1,  e  l'art. 11, comma 2, lettera a) della legge 6
marzo  1998, n. 40 (art. 4, comma 1 e art. 13, comma 2, lett. a), del
d.lgs. n. 286/1998). L'accompagnamento coattivo e' stato disposto per
il  pericolo  di fuga («poiche' e' stato accertato che non sussistono
elementi  obiettivi circa il suo inserimento sociale e non sono stati
documentati  rapporti  familiari  o lavorativi ne' di altra natura in
Italia,  e  pertanto  deve  ritenersi  del  tutto  probabile  che  lo
straniero non rispetti l'ordine di lasciare il territorio nazionale a
seguito  di  semplice  intimazione»).  Ricorre  dunque  l'ipotesi  di
accompagnamento  coattivo  di  cui  all'art. 11, comma 5, della legge
n. 40/1998  (art. 13,  comma 5, del d.lgs. n. 286/1998 nella versione
originaria).
    4.  -  La circostanza che il cittadino straniero abbia dichiarato
false generalita' al momento dell'espulsione, rendendo piu' difficile
l'accertamento   di   questa   causa   ostativa  nella  procedura  di
legalizzazione,  non  consente  di riconoscere una particolare tutela
all'affidamento  per  il  tempo  trascorso  dal  rilascio  del  primo
permesso di soggiorno (1° agosto 2003).
    5.  -  Il  ricorso  in  esame  richiama l'ordinanza del Tribunale
amministrativo regionale di Lecce n. 251 del 31 marzo 2003, che aveva
sollevato  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 1,
comma  8,  lett.  a)  del  decreto-legge  n. 195/2002 evidenziando la
violazione  dei  principi di uguaglianza e ragionevolezza. Poiche' la
Corte  costituzionale  con  ordinanza  n. 126  del  25  marzo 2005 ha
dichiarato  manifestamente  inammissibile  tale  questione,  e  tutte
quelle  sollevate  da altri giudici amministrativi con argomentazioni
analoghe,  affrontando  unicamente  il  profilo della rilevanza della
norma  nei  giudizi a quibus, e' necessario ritornare sul punto della
legittimita' costituzionale della norma.
    I  parametri  costituzionali  di  riferimento  sono i principi di
ragionevolezza e parita' di trattamento rinvenibili nell'art. 3 della
Costituzione.  E'  inoltre  ravvisabile  la violazione del diritto di
difesa tutelato dagli art. 24 e 111 della Costituzione.
    6.  -  Un primo profilo di irragionevolezza dell'art. 1, comma 8,
lett.    a)    del    d.l.    n. 195/2002    riguarda   l'inidoneita'
dell'accompagnamento   coattivo   a   distinguere  la  posizione  dei
cittadini  stranieri colpiti da un decreto di espulsione. E' vero che
nel testo originario dell'art. 13, commi 4 e 5 del d.lgs. n. 286/l998
l'accompagnamento  coattivo  era  previsto  soltanto  in  alcuni casi
mentre dopo la modifica introdotta dall'art. 12, comma 1, della legge
30  luglio  2002, n. 189 l'espulsione e' sempre eseguita dal questore
con  questa  procedura  (l'intimazione  e'  prevista  soltanto  per i
cittadini  stranieri  che  si trattengano per piu' di sessanta giorni
nel  territorio dello Stato senza chiedere il rinnovo del permesso di
soggiorno scaduto). Tuttavia i casi di espulsione con accompagnamento
coattivo previsti dalla disciplina previgente non appartenevano a una
categoria  omogenea.  Vi rientravano situazioni con elevato indice di
pericolosita' sociale (soggetti espulsi dal Ministro dell'interno per
motivi   di   ordine  pubblico  e  sicurezza  dello  Stato,  soggetti
abitualmente  dediti  a  traffici  delittuosi,  soggetti indiziati di
appartenenza  ad  associazioni  di  tipo mafioso) ma anche situazioni
meno  gravi,  nelle  quali  la preoccupazione del legislatore non era
focalizzata   sulla   sicurezza   interna  ma  sull'effettivita'  del
provvedimento  di  espulsione.  In questo secondo gruppo ricadevano i
cittadini  stranieri  entrati nel territorio dello Stato sottraendosi
ai  controlli  di  frontiera,  qualora (tenuto conto dell'inserimento
sociale,  familiare  e lavorativo) vi fosse il rischio di sottrazione
alla  misura espulsiva, e i cittadini stranieri rimasti indebitamente
nel   territorio   dello   Stato   oltre   il   termine  fissato  con
l'intimazione.
    Se  l'esigenza  di  garantire l'esecuzione dell'espulsione poteva
giustificare  l'applicazione  dell'accompagnamento  coattivo in tutti
questi  casi,  ai  fini  della  legalizzazione dei rapporti di lavoro
irregolare prevista dal d.l. n. 195/2002 la presenza di un'espulsione
con  accompagnamento  coattivo  non  e'  un  parametro di valutazione
affidabile. Si tratta in effetti di un elemento che non individua con
certezza  i  soggetti  piu'  pericolosi,  e  quindi  immeritevoli del
beneficio  della  sanatoria, in quanto in alcuni casi e' collegato al
comportamento tenuto prima dell'espulsione, in altri al comportamento
tenuto  dopo  e  in  altri  ancora  al  comportamento che i cittadini
stranieri avrebbero potuto (ipoteticamente) tenere dopo l'intimazione
dell'espulsione.
    Inoltre tali comportamenti sono osservati dalla norma secondo una
prospettiva   che   ne   distorce   il   significato.   Una  condotta
caratterizzata  da  elementi di pericolosita' sociale potrebbe essere
rilevante nella decisione sulla legalizzazione, che apre la strada al
permesso  di  soggiorno e quindi potrebbe esporre la collettivita' al
contatto   con   soggetti  non  affidabili  (fermo  restando  che  la
valutazione  di  pericolosita' dovrebbe essere attuale e non riferita
al  passato,  come  si  precisa  al  punto 8). Ma questo argomento e'
inidoneo  a  giustificare  l'identico  provvedimento di diniego della
legalizzazione  (e  del  relativo  permesso  di  soggiorno) quando la
condotta  presa  in  considerazione  non  puo'  provocare  un analogo
allarme  sociale.  La  circostanza che il cittadino straniero non sia
uscito  dal  territorio  nazionale  nel  termine intimato o il timore
(valutato   al  momento  dell'espulsione)  che  vi  possa  essere  un
tentativo  di  rimanere illegittimamente nel tenitorio nazionale sono
presupposti  del  tutto  sproporzionati  rispetto  alla  perdita  del
beneficio  della legalizzazione. In questi casi, mancando dei termini
di  riferimento,  non  vi sono elementi per presumere che i cittadini
stranieri faranno un cattivo uso del permesso di soggiorno.
    L'inidoneita'   dell'accompagnamento   coattivo  a  operare  come
elemento distintivo della condotta e' resa ancora piu' evidente dalla
modifica  normativa  introdotta  dalla  legge  n. 189/2002, che lo ha
trasformato nella procedura normale di esecuzione dell'espulsione. E'
emerso  in  questo  modo  il  carattere  pratico dell'accompagnamento
coattivo,  quale  strumento  finalizzato  a  rendere  rapida  e certa
l'espulsione,   mentre   e'   caduto  il  significato  secondario  di
certificazione   della  condotta  dei  cittadini  stranieri.  Non  e'
ragionvole che proprio in contemporanea con questa modifica l'art. 1,
comma  8,  lett  a) del d.l. n. 195/2002 (che costituisce un tassello
della   riforma   complessiva   della  disciplina  sull'immigrazione)
enfatizzi  ai  fini  della  legalizzazione un elemento poco chiaro (e
poco  attinente  ai  problemi della sanatoria) come l'accompagnamento
coattivo adottato in passato.
    7.  -  Alla  generalizzazione  della procedura di accompagnamento
coattivo  fa da contrappeso il sistema di garanzie previsto dall'art.
13,  comma  5-bis,  d.lgs. n. 286/1998 (convalida del giudice di pace
entro quarantotto ore dalla comunicazione, sospensione dell'efficacia
dell'accompagnamento    fino    alla   decisione   sulla   convalida,
proponibilita'  del ricorso per cassazione). Questo equilibrio non e'
stato  fissato  direttamente  dal  legislatore  ma  e'  il  risultato
dell'intervento della Corte costituzionale con le sentenze n. 105 del
10 aprile 2001 e n. 222 del 15 luglio 2004.
    In effetti il testo iniziale dell'art. 13, del d.lgs. n. 286/1998
(commi   8,   9,   10),  in  combinato  con  il  successivo  art. 14,
disciplinava  il  ricorso  al  giudice ordinario contro il decreto di
espulsione  prevedendo  la  convalida  dell'accompagnamento  coattivo
unicamente  in  connessione con la convalida del trattenimento presso
centri  di accoglienza temporanei. Un'autonoma tutela giurisdizionale
contro   l'accompagnamento   coattivo  svincolato  dal  trattenimento
temporaneo  e'  stata  introdotta solo dall'art. 2, del d.l. 4 aprile
2002,  n  51  (convertito  con  modifiche  dalla legge 7 giugno 2002,
n. 106),  che  ha  aggiunto  il  comma  5-bis all'art. 13, del d.lgs.
n. 286/1998.   Sulla  versione  originaria  del  comma  5-bis  si  e'
pronunciata  la  Corte  costituzionale  con la sentenza n. 222 del 15
luglio  2004 chiarendo che nella norma mancavano sufficienti garanzie
per  i  cittadini  stranieri  espulsi,  in  quanto  l'accompagnamento
coattivo  era  eseguito prima della convalida da parte dell'autorita'
giudiziaria.  Successivamente  e'  intervenuto  il  d.l. 14 settembre
2004,  n. 241 (convertito con la legge 12 novembre 2004, n. 271), che
ha introdotto la disciplina attualmente in vigore.
    Collocato  in  questo quadro l'art. 1, comma 8, lett. a) del d.l.
n. 195/2002  risulta  irragionevole  e  lesivo del diritto di difesa.
Occorre  sottolineare  che  tutte  le  espulsioni con accompagnamento
coattivo  rilevanti  ai  fini  della  legalizzazione  hanno carattere
«storico»,  in  quanto  sono collocate entro un periodo temporale che
arriva  fino  al  10  settembre  2002  (termine finale del periodo di
permanenza  in  Italia  rilevante  ai sensi dell'art. 1, comma 1, del
d.l.  n. 195/2002).  Di  conseguenza l'individuazione dell'espulsione
con   accompagnamento   coattivo  quale  ostacolo  insuperabile  alla
legalizzazione e' censurabile sotto due profili. Da un lato considera
ostativi  provvedimenti  rispetto  ai quali i destinatari non avevano
all'epoca alcuna possibilita' di difendersi efficacemente, dall'altro
estende  retroattivamente  gli  effetti  negativi  di  questi  stessi
provvedimenti  rendendo palese solo a posteriori un ulteriore (e piu'
consistente)  interesse  all'impugnazione.  Trasformando l'espulsione
con  accompagnamento  coattivo  da  provvedimento  restrittivo  della
liberta'  personale  in  ostacolo  alla  legalizzazione  la  norma ha
cristallizzato una situazione doppiamente sfavorevole per i cittadini
stranieri   senza   prevedere   il   naturale   bilanciamento   della
revocabilita'   dell'espulsione,   ammessa  invece  (in  presenza  di
inserimento  sociale)  nei  casi  in cui e' mancato l'accompagnamento
coattivo.
    8.   -  L'impossibilita'  di  valutare  la  sopravvenienza  delle
condizioni  per revocare l'espulsione con accompagnamento coattivo e'
irragionevole anche perche' separa artificialmente la decisione sulla
legalizzazione  dall'esame  dei  presupposti. Mentre per l'espulsione
senza  accompagnamento  coattivo e' correttamente previsto che vi sia
una  valutazione circa la persistente utilita' del provvedimento (con
la possibilita' di far prevalere gli elementi sopravvenuti favorevoli
al  cittadino  straniero,  secondo il principio generale dell'art. 5,
comma  5,  del  d.lgs.  n. 286/1998),  nel  caso  di  accompagnamento
coattivo  le  valutazioni effettuate in passato rimangono immutabili.
Questa  scelta non e' giustificabile neppure quando l'accompagnamento
coattivo  e'  stato disposto in presenza di elementi di pericolosita'
sociale.   Si   tratta   infatti   di   valutazioni  svolte  in  sede
amministrativa,    che    possono   avere   differenti   livelli   di
approfondimento  a  seconda  delle situazioni e non danno garanzie di
stabilita'  nel  tempo,  essendo  finalizzate  alla sola scelta della
procedura  piu'  idonea per l'espulsione. D'altra parte l'esame della
pericolosita'  sociale  non  coincide  con  l'accertamento  di  fatti
passati  (operazione  che  dovrebbe  essere  svolta  con  le garanzie
giurisdizionali) ma nella (ragionevole) previsione di futuri pericoli
o disagi per la collettivita'. Questa proiezione in avanti impone che
l'analisi  dei  singoli  casi  sia  aggiornata  ed estesa a tutti gli
elementi   (condotta   personale,   ambiente  familiare,  inserimento
lavorativo, relazioni sociali) che possono far prevedere gli sviluppi
del  rapporto  tra il cittadino straniero e la collettivita'. Poiche'
l'esito  di questa analisi puo' essere ugualmente favorevole nel caso
di  cittadini  stranieri espulsi con o senza accompagnamento coattivo
la norma introduce una discriminazione ingiustificata.
    L'irragionevolezza  e  la  disparita'  di  trattamento  sono  poi
evidenti  nel  caso  in  cui  l'accompagnamento  coattivo  sia  stato
adottato  solo  per  non  dare  al cittadino straniero l'occasione di
eludere  il  decreto di espulsione. Con riguardo a questa fattispecie
emerge   anche   un   profilo   di   contraddittorieta'.  Se  infatti
l'accompagnamento  coattivo  e'  stato  motivato  dal  timore  che la
precaria  sistemazione del cittadino straniero potesse incentivare la
sottrazione  al  provvedimento  di  espulsione questa circostanza non
puo'  valere  come  ostacolo  alla legalizzazione, che e' finalizzata
proprio a rimediare alla precarieta' tipica dei lavori irregolari.
    Sulla  base  di  queste  considerazioni  sussistono i presupposti
indicati dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87 per la proposizione
della questione di legittimita' costituzionale;