IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nella causa penale contro
Filipova   Iordanova   Iliana,  nata  il  27 aprile  1980  a  Plovdiv
(Bulgaria),  attualmente  detenuta  per  questa  causa presso la Casa
circondariale di Torino, difesa di fiducia dall'avv. Basilio Foti del
Foro  di  Torino,  detenuta  presente,  sottoposta ad indagini per il
reato   di  cui  all'art. 14,  comma  5-ter,  primo  periodo,  d.lgs.
n. 286/1998  perche',  quale  cittadina straniera, senza giustificato
motivo  si  tratteneva  nel  territorio  dello  Stato  in  violazione
dell'ordine  del  Questore  della  Provincia di Torino di lasciare il
territorio  dello  Stato,  ai  sensi  del  comma  5-bis  della citata
disposizione normativa, entro cinque giorni dal provvedimento stesso,
notificatole  in  data  17 febbraio  2005, essendo stata l'espulsione
disposta  per  non  avere richiesto il permesso di soggiorno entro il
termine  prescritto  in  assenza di cause di forza maggiore (art. 13,
comma 2, lettera b), d.lgs. n. 286/1998).
    Accertato in Torino l'11 aprile 2005.
    Alle  ore  18  dell'11 aprile  2005  la cittadina straniera sopra
generalizzata  veniva  tratta  in  arresto  nella flagranza del reato
sopra  rubricato  perche'  sorpresa  in  territorio nazionale dopo la
scadenza  del termine di giorni cinque entro cui le era stato imposto
dal Questore di Torino, con provvedimento emesso a norma dell'art. 14
comma 5-bis, del citato T.U., di lasciare l'Italia.
    La  predetta  straniera e' stata presentata a questo giudice, nei
termini  di  legge,  per  la  convalida dell'arresto ed il successivo
giudizio  direttissimo,  a  norma  del  comma  5-quinquies del citato
art. 14.
    Questo  giudice  dubita  tuttavia di poter convalidare l'arresto,
non  perche'  l'operato  della polizia giudiziaria presti il fianco a
censure (risultando anzi conforme alle norme attualmente vigenti), ma
perche'  il  disposto dell'art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, d.P.R.
n. 286/1998  come  modificato  dalla legge n. 271/04 pare confliggere
con  alcune  disposizioni  costituzionali.  Piu'  in  particolare, la
recente drastica elevazione dei livelli edittali di pena previsti per
il  reato  in  esame urta, ad avviso del remittente, contro il canone
della  ragionevolezza  e  contro  il  principio  di  uguaglianza  nel
trattamento giuridico di situazioni fattuali omologhe.
    Pare indispensabile riepilogare brevemente le vicende della norma
incriminatrice in esame.
        1)  Nella  sua  formulazione  originaria  il d.lgs. n. 286/98
(c.d.  legge «Turco Napolitano») non prevedeva alcuna sanzione penale
per  lo  straniero  che,  dopo l'emissione del decreto prefettizio di
espulsione,   fosse   risultato   inottemperante   alla   susseguente
intimazione  del  Questore  a  lasciare  il territorio nazionale; era
semplicemente  previsto  che  si  procedesse con accompagnamento alla
frontiera a mezzo della forza pubblica (cfr. art. 13, comma 6 e comma
4, lettera a) decr. cit.);
        2)  era  poi  intervenuta  la  legge  n. 189/2002 (c.d. legge
«Bossi-Fini»),  la  quale, nel quadro di un generale inasprimento del
trattamento  amministrativo  e  penale  dello  straniero clandestino,
aveva novellato l'art. 14 del d.lgs. 286/98 prevedendo al comma 5-ter
la  pena  dell'arresto  da  sei  mesi a un anno per «lo straniero che
senza  giustificato motivo si trattiene nel territorio dello stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis»  (trattasi per l'appunto dell'ordine, impartito allo straniero
colpito  da decreto di espulsione, di lasciare il territorio italiano
entro  cinque  giorni);  il  comma 5-quinquies dello stesso articolo,
esso  pure  introdotto con legge n. 189/2002, prevedeva poi l'arresto
obbligatorio dell'autore del fatto;
        3)   con   sentenza  n. 223  del  15  luglio  2004  la  Corte
costituzionale  dichiarava l'illegittimita' costituzionale del citato
comma   5-quinquies,   nella   parte   in   cui  prevedeva  l'arresto
obbligatorio  del  colpevole  della  contravvenzione  di cui al comma
5-ter. Osservava la Corte che la previsione dell'arresto obbligatorio
era   manifestamente  irragionevole  perche',  considerati  i  limiti
edittali  di  pena  previsti  per  il  reato  per cui veniva eseguito
l'arresto,   non   era  possibile  l'applicazione  di  alcuna  misura
cautelare, onde lo straniero doveva essere inevitabilmente rilasciato
dopo il giudizio di convalida;
        4)  con  decreto-legge  14  settembre  2004 n. 241 il Governo
emanava  norme  volte  a ridefinire il tessuto normativo su cui aveva
inciso  la  sopraindicata  sentenza della Corte costituzionale, senza
tuttavia  modificare  sostanzialmente  il  trattamento  penale - come
risultante   dopo  l'intervento  della  Consulta  -  dello  straniero
inottemperante all'ordine questorile di allontanamento dal territorio
nazionale;
        5)   In   sede   di   conversione  del  predetto  decreto,  e
precisamente con la legge n. 271 del 12 novembre 2004, il legislatore
e' intervenuto pesantemente, riscrivendola completamente, sulla norma
incriminatrice dell'art. 14, comma 5-ter, differenziando la posizione
dello  straniero  espulso - e inottemperante all'ordine questorile di
allontanamento  dal  territorio  nazionale  -  a  seconda delle cause
determinanti   l'espulsione:   e'  stata  cosi'  conservata  la  pena
originaria dell'arresto da sei mesi ad un anno soltanto per l'ipotesi
dello  straniero  espulso  per  non  aver  chiesto tempestivamente il
rinnovo  del  permesso  di soggiorno scaduto; per le restanti, e piu'
frequenti,  ipotesi  di  espulsione  (vale a dire quelle riferibili a
stranieri  che  sono  entrati  clandestinamente  in Italia, o che non
hanno richiesto il permesso nei termini di legge, o che sono titolari
di  permesso  revocato  o  annullato,  o appartengono ad alcuna delle
categorie  contemplate  dalle  leggi  sulle  misure  di  prevenzione)
l'originario  reato  contravvenzionale  e'  stato  sostituito con una
figura  delittuosa  punita  con  la  pena  della  reclusione da uno a
quattro  anni. Una volta elevati, in maniera cosi' drastica, i limiti
edittali  di  pena,  e'  stata  reintrodotta  al comma 5-quinquies la
previsione  dell'arresto  obbligatorio  dell'autore  del  fatto  (ora
connessa alla susseguente applicabilita' di una misura cautelare).
    E'  proprio  quest'ultimo  intervento del legislatore a suscitare
perplessita'  sotto  il  profilo  della compatibilita' con i principi
costituzionali,  in primo luogo con il principio di uguaglianza nella
sua   particolare  specificazione  consistente  nella  ragionevolezza
nell'esercizio del potere legislativo.
    Va  preliminarmente  approfondita  la  natura  del  reato  di cui
all'art. 14,   comma   5-ter  del  d.lgs.  n. 286/1998  e  successive
modificazioni.  Cio'  consentira'  di fare un piu' corretto raffronto
con figure di reato affini.
    Al  riguardo  va  messo nella massima evidenza come il delitto in
esame sia un reato di mera disobbedienza: esso consiste nella formale
violazione di un ordine amministrativo, e nulla piu'.
    E'  noto  che  una  parte  dell'opinione  pubblica  - quella meno
sensibile  ai  valori  solidaristici  pur cosi' fulgidamente espressi
nell'art. 2   della   nostra  Carta  costituzionale  -  considera  la
condizione  di  clandestinita'  dello straniero una situazione di per
se'   criminosa;   secondo   questo  modo  di  pensare  lo  straniero
clandestino  in Italia dovrebbe essere trattato per cio' solo come un
delinquente (dimenticandosi cosi' che molti stranieri irregolari sono
invece  dediti,  per  esempio,  al  lavoro nero o alla prostituzione,
tutte  attivita'  in  se'  penalmente  indifferenti, e che anzi fanno
spesso dello straniero una vittima di condotte illecite altrui). Tale
«visione  del  mondo», tuttavia, non e' mai stata recepita dal d.lgs.
n. 286/1998 ne' dalle sue successive modificazioni. Il legislatore si
e'  sempre  rifiutato  di considerare la condizione di clandestinita'
come  un  illecito  penale:  se cosi' non fosse, la tecnica normativa
piu'  ovvia  e  ragionevole sarebbe stata quella di considerare reato
l'ingresso  clandestino  in  Italia  ovvero  l'omessa  richiesta  del
permesso  di  soggiorno  dopo un ingresso regolare, vale a dire tutte
quelle condotte che ex art. 13 comma 2, decr. cit. determinano invece
soltanto l'adozione del provvedimento prefettizio di espulsione.
    Questa  premessa  e' importante perche' colloca nella giusta luce
il  delitto  di  cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998 nel
testo  vigente:  lo straniero inottemperante all'ordine questorile di
allontanamento  dal  territorio nazionale viene punito in forza della
disposizione  in  esame non perche' e' un clandestino, ma per il solo
fatto  di  aver  disatteso un provvedimento amministrativo dettato da
genericissime motivazioni di ordine pubblico.
    In  maniera  coerente  con  questa  impostazione,  le  condizioni
soggettive di maggiore o minore pericolosita' sociale dell'agente non
hanno  alcuna  influenza:  che  lo  straniero  espulso  sia un onesto
lavoratore  «in  nero»  sfruttato  in Italia da un imprenditore senza
scrupoli,  ovvero  sia  un pregiudicato espulso a norma dell'art. 13,
comma  2,  lettera e),  del citato decreto, e' per la legge del tutto
indifferente:   cio'   che   rileva   e'   solo   ed   esclusivamente
l'ingiustificata inottemperanza all'ordine di allontanamento.
    Tenendo   presenti   queste   considerazioni   ricostruttive,  la
previsione  della  pena  della  reclusione  da  uno  a  quattro anni,
introdotta  per  la  maggior  parte  delle ipotesi dal nuovo art. 14,
comma  5-ter,  del d.lgs. n. 286/1998, manifesta, ad avviso di questo
giudice, un'evidente irragionevolezza.
    A)  Essa  emerge,  in primo luogo, da un raffronto per cosi' dire
«interno»  tra le varie ipotesi previste dall'attuale comma 5-ter del
citato  art. 14. Si consideri il caso dello straniero che, entrato in
Italia  con un visto turistico e dopo aver ottenuto un corrispondente
permesso  di  soggiorno  breve,  ometta di rinnovarlo alla scadenza e
venga  espulso  con intimazione a lasciare l'Italia (e' una modalita'
seguita  sovente  dalle  giovani donne dell'est europeo che intendano
praticare  il meretricio nel nostro Paese). In caso di inottemperanza
egli  verra'  sanzionato  con l'arresto da sei mesi ad un anno, senza
che  siano  possibili  provvedimenti coercitivi o cautelari di sorta.
Ove  il  medesimo  straniero  sia  entrato  in Italia sottraendosi ai
controlli   di  frontiera  ovvero  abbia  omesso,  dopo  un  ingresso
regolare,  di  chiedere  il permesso di soggiorno (e' il caso oggetto
del   presente   processo),  qualora  sia  espulso  e  non  ottemperi
all'intimazione   del  questore  andra'  incontro  all'arresto,  alla
possibile  applicazione  della  custodia  cautelare e alla reclusione
fino  a  quattro  anni.  Posto che - come si e' cercato di mettere in
evidenza poco sopra - il reato consiste in entrambi i casi nella mera
inottemperanza    ad    un    ordine   di   allontanamento,   risulta
incomprensibile   la   scelta   legislativa   di   divaricare   cosi'
drasticamente  il  trattamento  penale e cautelare solo in dipendenza
delle  vicende  anteriori all'emissione dell'ordine del questore. Non
si comprende quale elemento concreto differenzi cosi' marcatamente la
gravita'  dell'una  violazione  rispetto  all'altra. Si dira' che nel
primo  caso  lo  straniero  aveva  inizialmente  osservato  le  norme
disciplinanti l'ingresso ed il soggiorno degli stranieri in Italia, e
nel  secondo  no.  Ma  cosi'  ragionando si finisce per conferire una
vistosa  rilevanza  penale al fatto che lo straniero si sia trovato o
no  in  una iniziale situazione di clandestinita', proprio quello che
il   legislatore   ha   sempre  mostrato  di  voler  evitare  (cosi',
espressamente,   anche   il   relatore   della   legge   n. 271/2004,
sen. Boscetto:  «Non  si  e'  addivenuti alla previsione del reato di
immigrazione  clandestina  del  quale  pure,  in  commissione,  si e'
discusso»).  La  differenza  di  trattamento rimane pertanto priva di
ragionevole giustificazione.
    B)  La  medesima  valutazione si impone poi in esito al raffronto
con  fattispecie  analoghe  previste  da  norme  diverse,  e che sono
sanzionate con pene incommensurabilmente piu' lievi:
        1)  viene  in  rilievo,  in primo luogo, l'art. 650 c.p., che
sanziona  con  la  pena  alternativa  dell'arresto  fino a tre mesi o
dell'ammenda  fino  ad  euro  206,00  «chiunque  (e  dunque  anche lo
straniero) non osserva un provvedimento legalmente dato dall'auorita'
per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordine pubblico
...»;
        2) ove si volesse far leva sulla natura meramente sussidiaria
della   previsione   incriminatrice   di   cui   all'art. 650   c.p.,
occorrerebbe  comunque  considerare  il  reato  previsto dall'art. 2,
legge  n. 1423/1956,  che  punisce con l'arresto da uno a sei mesi le
persone  raggiunte  da  foglio  di  via  obbligatorio  che si rendano
inottemperanti  a  quanto  in esso disposto. Non si puo' non rilevare
(oltre   alla   notevolissima   analogia   tra   le   due  previsioni
incriminatrici)  che in questo caso la lieve pena edittale si applica
a  persone  che - contrariamente allo straniero colpito da decreto di
espulsione  -  sono  comprovatamente  dedite  a  traffici delittuosi,
ovvero  vivono  abitualmente  dei  proventi di attivita' delittuose o
sono dedite alla commissione di altri reati (art. 1 legge citata).
    C)  Altri  profili  di  irragionevolezza emergono ove la norma in
esame  venga  considerata  in prospettiva diacronica: appena due anni
prima,  nell'agosto  2002, il legislatore aveva stimato che l'arresto
da  sei  mesi  ad  un  anno  fosse  pena congrua per la violazione in
disamina  (con  atteggiamento  che  era gia' di particolare rigore se
raffrontato  con  le  altre  norme incriminatrici teste' richiamate);
solo due anni dopo si e' ritenuto di quadruplicare la pena massima.
    Occorre   allora   chiedersi  se  l'inasprimento  della  pena  si
ricolleghi  ad  un  mutamento  della  valutazione  data dall'opinione
pubblica  al  fenomeno  dell'inottemperanza agli ordini questorili di
allontanamento   (si   badi,   non   al   fenomeno  dell'immigrazione
clandestina,  che  non  e' previsto dalla legge come reato), o non si
atteggi  piuttosto come una mera «reazione» alla decisione n. 223 del
2004   della   Corte  costituzionale.  Sia  consentito  dire  che  la
contemporanea  reintroduzione  dell'arresto  dell'autore  del  fatto,
caducato  solo  quattro  mesi  prima  dal  ricordato intervento della
Corte,  induce  a  ritenere  che  l'intento del legislatore sia stato
esclusivamente  quello di giustificare (con la previsione di una pena
non   inferiore   a   quattro  anni  di  reclusione,  come  richiesto
dall'art. 280   comma   2  c.p.p.)  il  mantenimento  della  custodia
cautelare  dopo  l'arresto (obbligatorio) ad iniziativa della Polizia
giudiziaria.  Il  tutto  in ossequio ad una impostazione che vede nel
carcere   (e   nel  carcere  immediato)  l'unica  risposta  possibile
dell'ordinamento al fenomeno dell'immigrazione.
    La   lettura  dei  lavori  preparatori  della  legge  n. 271/2004
conferma appieno tale conclusione.
    Quanto  alla  discussione  al  Senato,  nella  seduta in aula del
6 ottobre  2004  il  relatore  sen. Boscetto  cosi' si espresse (cfr.
resoconto  stenografico):  «... l'altro punto importante, riguardante
un'altra  sentenza  della Corte costituzionale, si riferisce al fatto
dell'intimazione  del  questore  dopo  la  permanenza dello straniero
negli  appositi  centri  ai  fini dell'identificazione. Lo straniero,
infatti,  decorso  un  determinato  periodo  di tempo stabilito dalla
legge  in  detti  centri,  subisce  l'intimazione ad allontanarsi dal
Paese  e  qualora  questa  intimazione  non venga rispettata scattano
determinate  sanzioni.  Si pensava che il collegare a queste sanzioni
l'arresto  fosse  una  misura congrua. La Corte costituzionale ... ha
osservato  che, siccome il limite di pena previsto dalla normativa di
sistema e dalla normativa del codice di procedura penale non permette
l'imposizione di misure coercitive, l'arresto finiva per diventare un
qualcosa  di  ultroneo  e  fine  a  se  stesso...  ...Ci  sono  degli
emendamenti che, invece, hanno aumentato la pena mutando l'arresto in
reclusione fino a quattro anni e quindi prevedendo la possibilita' di
imporre  da  parte  del magistrato misure coercitive. Questi sono gli
elementi fondamentali del decreto-legge».
    Come  si  vede,  manca  il  benche' minimo accenno ad una qualche
valutazione  del  legislatore  in ordine alla intrinseca gravita' del
reato   di  cui  all'art. 14,  comma  5-ter,  d.lgs.  n. 286/1998,  e
l'attenzione   appare   concentrata  esclusivamente  sul  metodo  per
reintrodurre   la   possibilita'  dell'arresto  in  flagranza  appena
cancellata dalla Corte.
    Non  diverso  e' stato l'atteggiamento della Camera dei deputati.
Nella seduta della prima commissione del 26 ottobre 2004 la relatrice
on. Bertolini  fece presente che «E' stato complessivamente riscritto
il  quadro  delle  sanzioni previste a carico degli stranieri che non
osservino  l'intimazione  del questore di allontanarsi dal territorio
nazionale  e vi permangano illegalmente, stabilendosi un aggravamento
della pena ed una modifica della natura del reato, da contravvenzione
a  delitto,  e  consente,  quindi,  l'imposizione  di  quelle  misure
coercitive   considerate   dalla  Corte  costituzionale,  vigente  la
precedente formulazione, irragionevoli».
    Si  assiste qui al capovolgimento di quello che e' il fisiologico
rapporto  tra  norme  penali sostanziali e processuali: come e' noto,
infatti,  il  punto di partenza e' rappresentato dalla gravita' della
condotta  illecita oggetto di repressione penale. Una volta stabiliti
-  con  stretta  corrispondenza  al  grado di disvalore del fatto - i
livelli  edittali di pena per tale condotta, l'eventuale possibilita'
di  provvedimenti  coercitivi  come  l'arresto ad opera della polizia
giudiziaria e la successiva applicazione di misure cautelari (e cioe'
strumentali  alla  soddisfazione  delle  esigenze di cui all'art. 274
c.p.p.)  discendono  come  conseguenze automatiche in base alle norme
processuali. Nella presente vicenda normativa, invece, il legislatore
si e' posto come obiettivo esclusivo quello di ripristinare l'arresto
ad  opera della Polizia giudiziaria dello straniero inottemperante al
provvedimento  questorile  di  allontanamento,  appena caducato dalla
Corte  costituzionale,  e in vista di questo risultato ha modificato,
quadruplicandola  (!),  la  pena edittale prevista per la violazione.
Non  a  caso  nello  stesso  ambito  parlamentare sono stati espressi
orientamenti  assai critici nei confronti del provvedimento di esame,
dal  momento  che la Commissione giustizia della Camera ha licenziato
un  parere  (in  Atti Parlamentari XIV legislatura, n. 369-A) in cui,
senza  mezzi  termini,  si  afferma  che  «il provvedimento, piu' che
ottemperare  alle  esigenze  richiamate  dalla  Corte costituzionale,
sembra volerne eludere le pronunce».
    Occorre   a   questo   punto   aggiungere   poche  considerazioni
(permettendocisi di rinviare, per il resto, all'ampia e condivisibile
disamina  contenuta  nelle  ordinanze, aventi lo stesso oggetto della
presente,  del  Tribunale  di  Genova  in data 10 dicembre 2004 e del
Tribunale  di  Torino  in  data  24 febbraio 2005) circa i limiti del
sindacato  che  alla  Corte costituzionale compete sulle modalita' di
esercizio del potere legislativo, limiti che la stessa Corte ha ormai
piu'  volte indicato, riconoscendo a se' stessa il potere di valutare
se  «l'opzione  normativa  contrasti con il principio di eguaglianza,
sotto  il  profilo  dell'assoluta  arbitrarieta'  o  della  manifesta
irragionevolezza» (sent. n. 287 del 2001 ed altre). Ed e' proprio del
fondamentale  canone della ragionevolezza che la Corte costituzionale
ha  fatto applicazione quando, con la recentissima sentenza n. 78 del
10-18  febbraio  2005,  ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 33 della legge «Bossi-Fini» e dell'art. 1, comma 8, lettera
c)  del  decreto-legge  n. 195/2002 in tema di immigrazione ribadendo
che  «A  prescindere  dal  rispetto di altri parametri, per essere in
armonia  con  l'articolo  3  della  Costituzione  la  normativa  deve
anzitutto essere conforme a criteri di intrinseca ragionevolezza».
    Una   volta  riconosciuta  l'irragionevolezza  dell'elevazione  a
quattro  anni  della  pena  detentiva per i reati di cui all'art. 14,
comma  5-ter,  prima  parte,  d.lgs.  n. 286/2004 nell'attuale testo,
consegue    inevitabilmente    l'illegittimita'    della   previsione
dell'arresto  obbligatorio  (contenuta  nell'attuale  art. 14,  comma
5-quinquies)  per i medesimi reati. Cio' per le stesse argomentazioni
poste  dalla  Corte costituzionale a fondamento della sentenza n. 223
del  2004,  sintetizzabili nell'irragionevolezza di una previsione di
arresto  obbligatorio  per una condotta che (una volta venuto meno 1'
inasprimento  della  sanzione  penale) non consente l'applicazione di
alcuna  misura  cautelare  e  comporta  un  inutile sacrificio per la
liberta'  personale  dell'imputato  (violazione  degli  artt. 3  e 13
Cost.).