IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza di rimessione atti alla Corte
costituzionale (art. 23, legge n. 87/1953).
    Sciogliendo la riserva;
    Letti gli atti nei contronti di Banta Roger, nato Alunu (Romania)
il  3  novembre  1966;  Diene Omar nato Diourbel (Senegal) l'8 giugno
1969;  Qokaj  Fatmir,  nato  Tropoje  (Albania)  il  6 febbraio 1979;
Mymguma Mohammed, nato Casablanca (Marocco) il 1° gennaio 1981;
    Rilevato  che i predetti, in distinti procedimenti, sono imputati
del  reato  di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998, come
modificato   dalla  legge  n. 189/2002  e  successivamente  dal  d.i.
n. 241/2004,   convertito   in   legge   n. 271/2004,  per  non  aver
ottemperato  all'ordine di allontanarsi dallo Stato nei cinque giorni
impartito dal Questore ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis;
    Rilevato  che  all'esito  della  convalida  dell'arresto la norma
prevede l'immediato nulla osta all'espulsione;
    Rilevato  che  il  testo  originario  dell'art.  14 non prevedeva
alcuna  sanzione  penale  per lo straniero che non avesse ottemperato
all'ordine   emesso   dal  questore  in  esecuzione  del  decreto  di
espulsione del prefetto, mentre la fattispecie penale di cui trattasi
e'   stata   introdotta   dalla   legge   n. 189/2002,   come   reato
contravvenzionale  punibile  con  l'arresto  da  sei  mesi a un anno,
prevedendo per tale reato l'arresto obbligatorio;
    Rilevato  che con la sentenza n. 223/2004 la Corte costituzionale
ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 14, comma
5-quinquies per contrasto con gli articoli 3 e 13 Costituzione «nella
parte in cui stabilisce che per il reato previsto dal comma 5-ter del
medesimo  art.  14  e' obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto»,
per   la   manifesta  irragionevolezza  della  previsione  di  misura
precautelare  non suscettibile di sfociare in alcuna misura cautelare
in base al vigente ordinamento processuale;
    Rilevato   che   a   colmare  il  vuoto  normativo  creatosi  con
l'intervento  della Consulta, e' intervenuto il d.i. n. 241/2004, che
si  limitava  a  riformulare il testo dell'art. 14, comma 5-quinquies
prevedendo l'arresto obbligatorio nelle ipotesi di cui al comma 5-ter
primo  periodo  (mancato allontanamento tranne le ipotesi del mancato
rinnovo)  e  5-quater  (reingresso  nel  territorio dello Stato dello
straniero  espulso), gia' prevista quest'ultima come delitto punibile
con la reclusione da uno a quattro anni;
    Rilevato  che  in sede di conversione del d.i. citato il reato di
cui  all'art. 14,  comma  5-ter veniva previsto come delitto punibile
con la reclusione da uno a quattro anni (ad eccezione dell'ipotesi di
espulsione  motivata  dall'essere  scaduto  il permesso di soggiorno,
ipotesi  per  la  quale  veniva mantenuta la pena dell'arresto da sei
mesi a un anno) e veniva nuovamente stabilito l'arresto obbligatorio;
    Rilevato  che  l'inasprimento  della  pena,  precondizione  della
obbligatorieta' dell'arresto di cui oggi si discute, appare di dubbia
proporzionalita',   ragionevolezza   e   pertanto   di   legittimita'
costituzionale  della  norma  penale  contestata con riferimento agli
artt. 2,  3  e 27 Cost. atteso che la norma pare introdurre una forma
di  diritto  penale speciale per l'immigrato irregolare, in base alle
seguenti considerazioni:
        a)  in  base  alla  semplice condizione formale di «straniero
irregolare inottemperante» all'ordine di allontanamento del questore,
viene  attribuita  una pena particolarmente elevata (da uno a quattro
anni  di reclusione) per una ipotesi sostanzialmente riconducibile ad
una inosservanza di provvedimenti dell'autorita', normalmente punita,
se  trattasi  di cittadini residenti, ai sensi dell'art. 650 c.p. con
l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino ad Euro 400.000;
        b)  altra  norma  di  -  sia  pur  lontano  - parametro e' la
fattispecie di cui all'art. 2 della legge n. 1423/1956, dove vi e' un
ordine  della pubblica autorita' (il questore, come nella fattispecie
di  cui  all'art.  14,  comma  4-ter),  concernente  persone ritenute
pericolose  per  la sicurezza pubblica» (si osserva che si tratta non
di  una  pericolosita'  «potenziale», quale e' quella dello straniero
clandestino,   ma   di   una  pericolosita'  concreta)  e  anche  qui
l'inottemperanza  configura  una  contravvenzione,  per  la  quale e'
previsto l'arresto da uno a sei mesi;
        c)  anche  la  fattispecie  del  delitto previsto dall'art. 9
della  legge  n. 1423/56  e punita con pena di gran lunga meno grave,
pur  trattandosi  di una violazione da parte del sorvegliato speciale
dell'obbligo  o  del divieto di soggiorno impostogli dal tribunale e,
sebbene  gli interessi tutelati dalla norma siano ancora quelli della
sicurezza  pubblica  e  dell'ordine  pubblico, non soltanto vi e' una
valutazione  in  concreto della pericolosita' sociale (effettuata dal
tribunale  e  non  dall'autorita'  amministrativa), ma soprattutto e'
prevista   una   condotta   attiva   dell'autore,  consistente  nella
violazione  di  un  obbligo o di un divieto (anche questo imposto dal
tribunale) al quale e' gia' stata data esecuzione a cura del questore
(art.  7),  legge  cit.)  e  quindi  nell'allontanamento dal luogo di
soggiorno  obbligato  ovvero  nel ritorno nel territorio per il quale
sussiste il divieto;
        d)  configurare  una  pena  speciale, piu' grave, rispetto ad
altra,   meno   grave,  sul  solo  presupposto  della  condizione  di
«straniero  inottemperante» appare discriminatorio e contrastante con
le  disposizioni  costituzionali  richiamate  secondo  le  quali  «La
Repubblica  riconosce  e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo»,
tra  cui  non  puo'  non  rientrare quello previsto dall'art. 13 cpv.
della  Dichiarazione  universale  dei  diritti dell'uomo, secondo cui
«ogni  individuo  ha  diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il
proprio,   e   di  ritornare  nel  proprio  Paese»,  nonche'  con  il
fondamentale  principio  di  eguaglianza  di  cui  all'art.  3 Cost.,
secondo  cui  «Tutti  i  cittadini hanno pari dignita' sociale e sono
eguali  davanti  alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di
lingua,  di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali
e  sociali», norme che verrebbero negate laddove alla mera condizione
personale  di  migrante dovesse riconnettersi una pena piu' grave per
la  semplice  inosservanza di un ordine amministrativo come quello di
allontanarsi  dallo Stato, con la conseguenza di creare ipso facto un
diritto speciale per migranti, ovvero soggetti che, avvalendosi di un
diritto  fondamentale  di tipo naturale e riconosciuto da convenzioni
internazionali,  versano  nello  status  di  stranieri  in  cerca  di
condizioni   di   vita  diverse  da  quelle  dei  paesi  di  origine,
caratterizzate da miseria e/o guerre;
    Rilevato che la Corte costituzionale ha spesso affermato che, pur
nel  rispetti  della  discrezionalita' del legislatore in ordine alla
previsione  delle  pene irrogabili per determinate ipotesi criminose,
tuttavia  «l'esercizio di tale discrezionalita' puo' essere censurato
quando  esso  non rispetti il limite della ragionevolezza e di quindi
luogo  ad  una disparita' di trattamento palese e ingiustificata» 1),
rispetto situazioni analoghe;
    Rilevato  che  e'  stato  altresi'  evidenziato  con  la sentenza
n. 409/1989 «che il principi di uguaglianza, di cui all'art. 3, primo
comma, Costituzione esige che pena sia proporzionata al disvalore del
fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia
nel  contempo  alla  funzione di difesa sociale ed a quella di tutela
delle posizioni individuali»;
    Rilevato  che  il  principio  di  proporzionalita' porta a negare
legittimita'  alle  «incriminazioni  che,  anche  se  presumibilmente
idonee  a  raggiungere  finalita' statuali di prevenzione, producono,
attraverso   la   pena,   danni   all'individuo   (ai   suoi  diritti
fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente  maggiori  dei
vantaggi  ottenuti  (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei
beni  e  dei  valori  offesi  dalle predette incriminazioni e che una
palese violazione del principio predetto comporta l'odiosita' non del
comportamento sanzionato, ma della sanzione;
    Rilevato  che  la stessa Consulta ha gia' messo in evidenza (cfr.
sentenze  313/1995  e  343/1993)  che  la  sproporzione  tra  ipotesi
analoghe  contrasta  con  il  fine  rieducativo  della  pena  sancito
dall'art.  27,  comma  3  Cost.,  atteso  che  la comparazione tra il
disvalore  della  norma censurata e la pena irrogata e' stridente con
altre  fattispecie  penali  indubbiamente  piu'  gravi,  per le quali
tuttavia  il  legislatore  ha  adottato  pene  piu' miti, ritenendole
adeguate al fine rieducativo (esempi: art. 316 c.p. da sei mesi a tre
anni  di  reclusione;  316-bis  c.p.  da  sei  mesi a quattro anni di
reclusione;  art. 318  c.p.  da  sei  mesi  a tre anni di reclusione;
art. 624 c.p. reclusione fino a tre anni di reclusione; art. 640 c.p.
da sei mesi a tre anni di reclusione; art. 646 c.p. da sei mesi a tre
anni   di   reclusione),   o  di  poco  superiori  (anche  per  reati
estremamente    odiosi   e   vulneranti   il   corretto   dispiegarsi
dell'attivita'  di  pubblica amministrazione, come l'ipotesi prevista
dall'art. 319  c.p.,  che prevede la reclusione da due a cinque anni,
mentre   addirittura   la   grave   piaga   dell'usura,   considerata
dall'art. 644 c.p., prevede una pena ancora piu' vicina a quella oggi
censurata da uno a cinque anni di reclusione);
    Rilevato  che  in  assenza  di  un  bene  giuridico  concreto  da
difendere, la pena prevista dall'art. 14 comma 5-ter non sembra avere
alcun  fine  rieducativo,  ma  solo  tini  strumentali  a  consentire
l'immediato  arresto  obbligatorio  in  flagranza,  rito direttissimo
immediato  o nei 15 giorni, ed espulsione immediata, esattamente cio'
che   aveva   censurato  la  Consulta  con  la  sentenza  n. 223/2004
richiamata,   evidenziando   la   volonta'   di  sterilizzare  2)  il
significato  garantistico della predetta sentenza quanto all'impianto
costituzionale  sotteso agli artt. 2, 3 e 27, e conferendo alla norma
penale  una  impropria torsione in senso amministrativo, in contrasto
col principio di sussidarieta' del diritto penale;
    Rilevato, quanto agli aspetti rieducativi, che per giurisprudenza
della  Consulta  «la  necessita'  costituzionale  che  la  pena debba
tendere  a  rieducare,  lungi  dal  rappresentare  una  mera generica
tendenza  riferita  al  solo  trattamento,  indica invece proprio una
delle  qualita'  essenziali e generali che caratterizzano la pena nel
suo   contenuto   ontologico,   e  l'accompagnano  da  quando  nasce,
nell'astratta  previsione  normativa,  fino  a  quando in concreto si
estingue»,   cosi'   da  un  lato  implicando  il  coinvolgimento  di
molteplici  attori  istituzionali,  dal  legislatore  al  giudice  di
cognizione  al giudice della sorveglianza, al ministro in qualita' di
responsabile  degli istituti penitenziari dove la pena viene espiata,
dall'altro  instaurando  un rapporto strettissimo con il principio di
proporzione  fra  qualita'  e  quantita'  della  sanzione  in ragione
dell'offesa 3);
    Rilevato   ancora,   sul   punto  specifico,  che  «la  finalita'
rieducativa  postula  (...)  che  l'autore  del  reato avverta che il
trattamento  punitivo  inflittogli non e' ingiusto, non e' eccessivo,
ma adeguatamente proporzionato al disvalore del fatto commesso» 4), e
che  tale  percezione  -  onde  evitarne  il  rigetto  -  deve essere
allargata  e  condivisa dal sistema socio-istituzionale formato dalla
collettivita'  e da chi e' chiamato istituzionalmente ad applicare la
norma;
    Rilevato,  ancora,  che  non  si  colgono  viceversa  aspetti  ed
interessi  costituzionalmente  protetti  sottesi  ad  una norma cosi'
fortemente  punitiva sotto il profilo sia sostanziale sia processuale
(andando  a  verificare  tutti  i  casi  di  arresto  obbligatorio si
rinvengono,  infatti, tutte ipotesi estremamente concrete di danno ad
interessi   protetti   di  rango  costituzionale,  ad  esempio  dalla
riduzione   in  schiavitu'  ai  reati  in  materia  di  stupefacenti,
terrorismo od eversione, e non reati di pericolo astratto come quello
in  esame), dovendosi sul punto ribadire la fondamentale affermazione
della  Consulta  secondo  cui  «il legislatore non e' sostanzialmente
arbitro  delle  sue  scelte  criminalizzatrici  ma  deve,  oltre  che
ancorare  ogni  previsione  di reato ad una reale dannosita' sociale,
circoscrivere,  tenuto  conto  del rango costituzionale della (con la
pena   sacrificata)   liberta'  personale,  l'ambito  del  penalmente
rilevante 5);
    Rilevato, invece, che nella specie siamo di fronte ad un semplice
reato  «di inottemperanza», nel quale «il diritto penale si allontana
dal  paradigma  del  reato inteso quale lesione di un bene giuridico,
per  ergersi  a baluardo dell'obbedienza dei cittadini 6) di fronte a
provvedimenti dell'autorita';
    Rilevato,  in  conclusione,  che  sul punto anche il Consiglio di
Stato in recenti decisioni 7) ha richiamato importanti pronunce della
Consulta  8),  affermando che «Quando venga riferito al godimento dei
diritti   inviolabili   dell'uomo,  il  principio  costituzionale  di
eguaglianza  non tollera in generale discriminazioni tra la posizione
del  cittadino  e quella dello straniero» (arg. Corte cost. 26 giugno
1997,  n. 203;  Corte  cost.  13 febbraio 1995, n. 34; Corte cost. 20
gennaio 1977, n. 46);
    Cio'   posto  in  ordine  alla  non  manifesta  infondatezza,  va
evidenziato,  in  ordine  alla  rilevanza,  che  la risoluzione della
questione  e' decisiva in ordine ai procedimenti in esame, poiche' in
base  al  combinato  disposto dei commi 5-ter e 5-quinquies l'arresto
obbligatorio operato dalla p.g. e' sfociato nella convalida richiesta
dal p.m.;
          1)   Cfr.   sentenze   nn. 333/1992,  25/1994,  84/1997,  e
          nell'ordinanza n. 220/1996.
          2)  Cfr.  A.  Caputo, Prime note sulle modifiche alle norme
          penali  del  testo  unico  sull'immigrazione,  in Questione
          Giustizia, n. 2/05, pag. 245;
          3) Cfr. sentenza n. 313/1990, in Foro it, 1990, I, 2385;
          4) Cfr G. Fiandaca, nota a Corte cost. n. 341/1994, in Foro
          it.,  1994,  I, 2587, sull'incostituzionalita' del reato di
          oltraggio;
          5) Cfr. sentenza n. 409/1989, in Foro it., 1990 , I, 37;
          6)  Cfr.  A.  Cadoppi,  Il  reato  omissivo  proprio, Cedam
          Padova, 1988, 139 e ss.
          7)  Cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, decisione 30 marzo
          -   20   maggio  1999,  n. 870  (pres.  Pezzana;  nel  rel.
          Lamberti),  in  Guida  al  diritto, numero 27 del 10 luglio
          100,  p. 90, la cui massima recita: «Il previsto termine di
          otto  giorni  dalla  data  di ingresso in Italia, assegnato
          allo   straniero   extracomunitario  per  avanzare  formale
          richiesta   di   permesso  di  soggiorno  all'autorita'  di
          pubblica  sicurezza,  non e' da considerare perentorio, con
          la  conseguenza  che  il  suo  mancato  rispetto  non  puo'
          comportare   di   per  se'  l'espulsiopne  dello  straniero
          inadempiente  dal  territorio dello Stato, allorche' questi
          abbia   nel  frattempo  istaurato  in  Italia  una  normale
          condizione  di  vita  e sia comunque in possesso degli atri
          requisiti  richiesti  dalla  legge  per  il  soggiorno  nel
          territorio nazionale».
          8)  Corte  cost.  10  dicembre  1987,  n. 503,  in Riv. dir
          intemaz. 1988, 918.