ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli articoli 97 e 108
del  codice  di  procedura  penale,  promosso  con  ordinanza  del 10
giugno 2004  dalla Corte d'appello di Caltanissetta, nel procedimento
penale  a carico di P.G.C., iscritta al n. 871 del registro ordinanze
2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, 1ª
serie speciale, dell'anno 2004;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera di consiglio del 14 dicembre 2005 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick;
    Ritenuto  che,  con l'ordinanza in epigrafe la Corte d'appello di
Caltanissetta  - dopo aver premesso che il difensore dell'appellante,
designato  «d'ufficio»  in udienza a norma dell'art. 97 del codice di
procedura  penale,  ha chiesto la concessione di un termine a difesa,
nel   corso  di  un  dibattimento  di  appello  -  ha  sollevato,  in
riferimento  agli  artt. 3  e  24, secondo comma, della Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 97 e 108 del
codice  di  procedura  penale,  «nella parte in cui non prevedono che
anche  il difensore designato di ufficio all'imputato che deve essere
giudicato  nella  fase  dibattimentale il quale non abbia nominato un
difensore  di fiducia, o sia comunque privo dell'assistenza difensiva
all'udienza  fissata per la celebrazione del relativo giudizio, abbia
diritto,  qualora  lo  richieda, di usufruire della concessione di un
termine  "per  prendere  cognizione  degli  atti e per informarsi sui
fatti oggetto del procedimento"»;
        che  a  tal proposito la Corte rimettente sottolinea come non
risulti  formalmente previsto dall'art. 108 del codice di rito che il
difensore  designato  d'ufficio,  a  norma  dell'art. 97 del medesimo
codice, possa in ogni caso chiedere la concessione di un termine allo
scopo  di  acquisire  - come recita il richiamato art. 108 cod. proc.
pen. - una compiuta «cognizione degli atti e per informarsi sui fatti
oggetto  del  procedimento», al pari di quanto e' invece testualmente
previsto  per  il  difensore  designato  di  ufficio nelle ipotesi di
"rinuncia, di revoca, di incompatibilita', e nel caso di abbandono di
difesa";
        che  la  rilevata  lacuna  normativa  risulterebbe lesiva del
diritto  di  difesa presidiato dall'art. 24, secondo comma, Cost., in
quanto  la menomazione delle facolta' difensive, che scaturisce dalla
negazione   del   termine  a  difesa,  finisce  ineluttabilmente  per
compromettere   la  stessa  «efficacia  della  assistenza  difensiva,
rendendola sostanzialmente inutile»;
        che  risulterebbe  violato  anche il principio di uguaglianza
sostanziale,   sancito  dall'art. 3  della  Carta  fondamentale,  non
potendosi  rinvenire  -  secondo il giudice a quo - ragioni di ordine
sistematico   tali   da   giustificare   l'esclusione  del  difensore
d'ufficio,   designato   ai   sensi  dell'art. 97  cod.  proc.  pen.,
«dall'esercizio  della facolta' espressamente prevista dall'art. 108»
del medesimo codice;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile e
comunque infondata.
    Considerato  che  questione  del  tutto  analoga  e'  gia'  stata
dichiarata non fondata da questa Corte con sentenza n. 450 del 1997 e
manifestamente infondata con ordinanza n. 162 del 1998;
        che  in  tali  pronunce  -  ignorate dal giudice rimettente e
dalle quali non v'e' ragione di discostarsi, in difetto di elementi o
profili  nuovi e diversi, rispetto a quelli da esse valutati - questa
Corte   ha   sottolineato   come  l'art. 108  cod.  proc.  pen.,  nel
disciplinare  l'istituto  del  termine  a difesa, si concentri su una
tassativa  elencazione di ipotesi (rinuncia, revoca, incompatibilita'
e  abbandono  di  difesa), la cui ratio comune e' rappresentata dalla
circostanza  che, in ognuna delle situazioni prese in considerazione,
l'imputato  rimane definitivamente privo di difensore: una condizione
di fatto e di diritto, dunque, assai diversa da quella della semplice
assenza  del  difensore,  di  fiducia  o  di  ufficio,  la quale - ha
puntualizzato  questa  Corte (v. la sentenza n. 450 del 1997) - «puo'
risalire  ai  piu'  diversi motivi ed essere espressiva di situazioni
assai   diverse   tra   loro»,   ed   e'   d'altronde  specificamente
disciplinata,  nelle  ipotesi  di  assenza  «sorretta da un legittimo
impedimento», dall'art. 420-ter cod. proc. pen;
        che,  pertanto, «l'avvocato che interviene come sostituto del
difensore   (di  fiducia  come  d'ufficio)  da  questo  nominato  (ex
art. 102)   o   immediatamente   designato   dal   magistrato  appena
verificatasi  l'assenza del difensore (art. 97, comma 4) e' investito
del  compito  di  rappresentare  colui  che  e'  e resta il difensore
dell'imputato»,  ed  e' «figura del tutto diversa da quella del nuovo
difensore    designato    nelle    ipotesi   di   rinuncia,   revoca,
incompatibilita'  e abbandono di difesa»: con l'ovvia conseguenza che
una  proiezione,  in  capo al  sostituto,  del medesimo diritto di un
termine  a difesa specificamente attribuito a chi rivesta la qualita'
di   «nuovo»  (e  stabile)  difensore  dell'imputato,  finirebbe  per
costituire   soluzione   davvero   eccentrica,  perequando  fra  loro
situazioni  -  come si osservo' nelle richiamate pronunce - del tutto
eterogenee;
        che,  d'altra parte - essendo la presenza un diritto e non un
obbligo  del difensore, salvo le ipotesi espressamente previste dalla
legge  (art. 294,  comma 4,  secondo  periodo,  cod. proc. pen.) - il
mancato  riconoscimento  del  termine  a  difesa,  per  il  difensore
designato   in   sostituzione   («estemporanea   ed   episodica»,  si
sottolineo'  nella  sentenza n. 450 del 1997) di quello «stabilmente»
officiato  dall'imputato  o  per  l'imputato,  appare conseguenza del
tutto ragionevole nel quadro di un sistema che necessariamente mira a
bilanciare   le  contrapposte  esigenze  di  prevedere  comunque  una
presenza  difensiva,  ma  di  non  compromettere  al  tempo stesso la
indispensabile  funzionalita'  del processo e la relativa ragionevole
durata,  altrimenti perturbata da differimenti reiterati per ciascuno
dei  difensori  che  intervengano  come  sostituti  e che ne facciano
richiesta.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.