ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 9 della legge
27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale  e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2003), promosso
con  ordinanza  del  17 novembre  2004  dal  Giudice  per le indagini
preliminari  del Tribunale di Verona nel procedimento penale a carico
di  Pirana  Maria,  iscritta  al  n. 96 del registro ordinanze 2005 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, 1ª serie
speciale, dell'anno 2005;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 14 dicembre 2005 il giudice
relatore Alfonso Quaranta.
    Ritenuto che il giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di  Verona,  con ordinanza emessa il 17 novembre 2004, ha sollevato -
in  relazione  agli artt. 1, 3, 53, 54, 79 e 112 della Costituzione -
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 9  della legge
27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale  e  pluriennale  dello  Stato. Legge finanziaria 2003), nella
parte  in  cui  prevede,  quale conseguenza del perfezionamento della
procedura  di  condono  fiscale,  la non punibilita', tra l'altro, di
taluni reati tributari;
        che  il  procedimento  a  quo  ha  ad oggetto il reato di cui
all'art. 4  del  decreto  legislativo  10 marzo  2000,  n. 74  (Nuova
disciplina  dei  reati in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto,   a  norma  dell'articolo 9  della  legge  25  giugno 1999,
n. 205), «con riferimento alla presentazione di una dichiarazione dei
redditi  infedele,  per  omessa  indicazione  di elementi attivi, per
importo  tale  che  l'imposta  evasa  e'  risultata superiore ad euro
103.291,38»;
        che  il  pubblico  ministero  aveva  richiesto,  riferisce il
rimettente,  l'archiviazione, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 289
del  2002,  avendo  l'Agenzia delle entrate segnalato che la societa'
(alla  quale risulterebbe riconducibile l'indagato nel procedimento a
quo)   «ha   definito   quanto   oggetto   del  processo  verbale  di
constatazione»;
        che   il   giudice   rimettente   sottolinea  di  dover  fare
applicazione  dell'art. 9  della  legge n. 289 del 2002 ai fini della
decisione   sulla   archiviabilita'  o  meno  del  procedimento,  per
intervenuta estinzione del reato in ragione del «condono tributario»;
        che  secondo  il  giudice  a  quo  la norma impugnata sarebbe
costituzionalmente illegittima;
        che,  innanzitutto,  sarebbe  violato l'art. 79, primo comma,
della  Costituzione,  in  quanto  «la  previsione  di un procedimento
estintivo  di  tutti  i  reati  di  una  determinata  specie, purche'
commessi entro una data prefissata, subordinata al pagamento di somme
ed   altri   comportamenti   del   reo»   integrerebbe   un'«amnistia
condizionata»,  e,  pertanto,  dovrebbe essere approvata dalle Camere
con le prescritte maggioranze qualificate;
        che la disposizione censurata lederebbe, altresi', l'art. 112
della  Costituzione,  in  quanto,  anche  a  voler  ritenere  che  la
procedura di cui all'art. 9 della legge n. 289 del 2002 non dia luogo
ad  una  amnistia,  contrasterebbe,  non  di  meno,  con il principio
dell'obbligatorieta' dell'azione penale l'attribuzione al legislatore
di   un  potere  di  estinzione  del  reato  o  di  esclusione  della
punibilita' mediante leggi ordinarie;
        che  sarebbe  violato  anche  l'art. 3 della Costituzione, in
quanto   si   sarebbe   realizzata   una  disparita'  di  trattamento
innanzitutto  tra i cittadini che hanno trasgredito la legge e quelli
che  l'hanno rispettata, nonche' tra i cittadini per i quali sia gia'
intervenuto l'accertamento del reato tributario e quelli per i quali,
proprio    in    ragione    del   «condono»,   l'affermazione   della
responsabilita' penale non potrebbe piu' avere luogo;
        che,  ad  avviso  del giudice a quo, la norma in questione si
porrebbe  in  contrasto  con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, che
stabiliscono  l'eguaglianza  dei  cittadini  davanti  alla  legge  in
generale,  e  a  quella  tributaria  in particolare, e non ammettono,
pertanto,  che il cittadino infedele possa ricevere un trattamento di
maggior  favore  rispetto a quello fedele, atteso che, secondo quanto
affermato  dalla  giurisprudenza  costituzionale, «ogni disparita' di
trattamento  deve  rinvenire  una  ragionevole  giustificazione, e la
commissione   di   un  illecito  (penale  e/o  tributario)  non  puo'
evidentemente assurgere a giustificazione di un privilegio o comunque
di un trattamento di favore in materia penale e fiscale»;
        che   il   rimettente   ravvisa,   altresi',   la  violazione
dell'art. 54 della Costituzione, in quanto, mentre detta disposizione
costituzionale  stabilisce  che  tutti i cittadini hanno il dovere di
osservare  la  Costituzione  e  le  leggi, la disciplina del «condono
tributario»  si  porrebbe,  invece,  a  premio  di chi la legge abbia
violato, ed addirittura costituirebbe un disincentivo, per il futuro,
alla sua osservanza;
        che,  infine,  il GIP del Tribunale di Verona rileva come non
sia  possibile  ricondurre  a fonti e procedimenti normativi, diversi
dalla  legge  di  amnistia, effetti estintivi dell'illecito penale in
«dipendenza di pretese ragioni di eccezionalita»;
        che,  comunque,  anche  a voler ammettere la possibilita' che
situazioni di eccezionalita' possano giustificare deroghe ai principi
costituzionali,   non  sono  eludibili  quelli  dell'eguaglianza  dei
cittadini     dinanzi    alla    legge,    dell'obbligatorieta'    ed
irretrattabilita' dell'azione penale, della capacita' contributiva;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  di legittimita' costituzionale
venga dichiarata inammissibile ed infondata;
        che  la  difesa  dello  Stato ha dedotto, in via preliminare,
che,  sebbene  a  norma dell'art. 9, comma 14, della legge n. 289 del
2002,  il condono non possa trovare applicazione nel caso in cui alla
data  di entrata in vigore della legge medesima «sia stato notificato
processo  verbale  di constatazione con esito positivo», il giudice a
quo  non  ha  precisato se la parte si trovasse o meno nella suddetta
situazione;
        che   tale   omissione,   secondo  la  difesa  erariale,  non
consentirebbe   di   verificare   la  rilevanza  della  questione  di
legittimita'  costituzionale,  con  la  conseguente  inammissibilita'
della stessa;
        che  secondo  la  difesa  dello  Stato  la questione sarebbe,
comunque,  non fondata, non potendosi effettuare un'equiparazione tra
il provvedimento di «condono» ex art. 9 della legge n. 289 del 2002 e
l'«amnistia condizionata»;
        che  gli  interventi  del legislatore in grado di paralizzare
l'azione  penale  non  sono individuabili nella sola amnistia, e che,
quindi,  la  tesi prospettata dal remittente a sostegno della assunta
violazione     dell'art. 112     della    Costituzione    «porterebbe
inevitabilmente ad una ingessatura del sistema»;
        che  la  previsione  di  un accordo transattivo, in forza del
quale il contribuente che non sia stato oggetto di accertamento versi
una  somma  che  gli  consenta di porsi al riparo da eventuali futuri
accertamenti,  non  appare  in  alcun modo in contrasto con l'art. 53
della Costituzione;
        che,  da  ultimo,  l'Avvocatura  dello  Stato osserva come la
circostanza  che  la  somma  da  pagare,  per  definire  la  pendenza
tributaria,  sia  predeterminata  in  funzione del dichiarato esclude
anche  la possibilita' di ravvisare un contrasto con gli artt. 3 e 54
della Costituzione.
    Considerato  che,  con ordinanza emessa in data 17 novembre 2004,
il  giudice  per  le  indagini preliminari del Tribunale di Verona ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 1, 3, 53, 54, 79 e 112 della
Costituzione,  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 9
della  legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e  pluriennale dello Stato. Legge finanziaria
2003);
        che   l'art. 9   della  legge  n. 289  del  2002,  nella  sua
interezza,  disciplina il procedimento tributario per la «definizione
automatica  per  gli  anni  pregressi»  di  cui possono beneficiare i
contribuenti,  in  relazione  a  redditi  (con  la sola esclusione di
quelli  conseguiti  all'estero  e  di  quelli  soggetti  a tassazione
separata)  inerenti  a  tutti  i  periodi  di  imposta «per i quali i
termini  per  la  presentazione  delle  relative  dichiarazioni  sono
scaduti entro il 31 ottobre 2002»;
        che,  tenuto  conto  delle  funzioni esercitate dal giudice a
quo,  si  impone la precisazione secondo cui il thema decidendum deve
essere  propriamente  individuato  nelle  sole  norme  contenute  nel
comma 10,  lettera c),  del  predetto  art. 9  della legge n. 289 del
2002, nella parte in cui esse dispongono che il perfezionamento della
procedura   di   definizione  automatica  delle  pendenze  tributarie
comporta  la  «esclusione della punibilita», tra l'altro, per i reati
tributari  di  cui agli artt. 2, 3, 4, 5 e 10 del decreto legislativo
10 marzo  2000,  n. 74  (Nuova  disciplina  dei  reati  in materia di
imposte  sui  redditi  e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9
della legge 25 giugno 1999, n. 205);
        che,   in   particolare,   il  rimettente  riferisce  che  il
procedimento  penale  nel corso del quale e' stata emessa la presente
ordinanza  «ha  ad  oggetto il reato tributario di cui all'art. 4 del
d.lgs.  n. 74  del  2000,  con  riferimento alla presentazione di una
dichiarazione   dei  redditi  infedele,  per  omessa  indicazione  di
elementi  attivi  per  importo  tale che l'imposta evasa e' risultata
superiore  ad  euro  103.291,38,  e  si  riferisce quindi a reato non
ancora prescritto»;
        che, dopo questa premessa, il giudice a quo sottolinea che il
pubblico  ministero  ha  chiesto  l'archiviazione,  «avendo l'Agenzia
delle  entrate segnalato l'avvenuta definizione di quanto oggetto del
processo  verbale  di  constatazione ai sensi dell'art. 9 della legge
n. 289  del  2002,  norma  che  prevede  la sanatoria (...) dei reati
tributari  di  dichiarazione  fraudolenta,  mediante uso di fatture o
altri  documenti  per operazioni inesistenti (art. 2 del d.lgs. n. 74
del  2000),  di  dichiarazione  fraudolenta  mediante  altri artifizi
(art. 3), di dichiarazione infedele (art. 4), di omessa dichiarazione
(art. 5),  di  occultamento  o  distruzione  di  documenti  contabili
(art. 10)»;
        che  le  suddette  indicazioni non risultano adeguate ai fini
del  giudizio  sulla rilevanza della questione sollevata: da un lato,
infatti,   il   rimettente  non  ha  indicato  il  tempo  di  assunta
commissione  del  delitto di dichiarazione infedele; dall'altro lato,
non  viene  neanche  indicato il periodo di imposta - per il quale il
termine per la presentazione della relativa dichiarazione deve essere
scaduto  entro  il  31 ottobre  2002  -  cui  dovrebbe  riferirsi  la
dichiarazione di definizione automatica;
        che   tali  omissioni  impediscono  di  valutare  se  vi  sia
effettiva   coincidenza   tra  la  fattispecie  rilevante  sul  piano
propriamente  tributario e quella oggetto del procedimento penale nel
corso   del  quale  e'  stata  sollevata  la  presente  questione  di
legittimita' costituzionale;
        che,   in   altri  termini,  non  risulta  dall'ordinanza  di
rimessione  se  la  definizione  automatica  - il cui perfezionamento
comporta,  in  presenza  di  determinati  presupposti, la «esclusione
della   punibilita»,   tra   l'altro,  per  il  reato,  nella  specie
contestato,  di  cui  all'art. 4  del  d.lgs.  n. 74 del 2000 - abbia
riguardato proprio quest'ultima fattispecie penalmente rilevante.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.