IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, nell'ambito del procedimento penale contro Macis Sergio, nato a Cagliari il 3 agosto 1956, imputato del delitto di cui all'art. 73, primo comma, t.u. n. 309/1990, perche' illecitamente deteneva, non per farne uso personale, grammi 2,58 di cocaina suddivisa in 16 dosi e sette flaconi di metadone da venti milligrammi cadauno. In Cagliari il 5 febbraio 2006. Recidiva reiterata specifica e infraquinquennale. In data 5 febbraio 2006 personale in servizio presso la Squadra Volante della Questura di Cagliari ha arrestato Macis Sergio nella flagranza del delitto di illegale detenzione di 2,58 grammi di cocaina divisa in 16 dosi e di n. 7 filale di metadone da venti milligrammi ciascuna. In data 6 febbraio 2006 il Macis e' stato tratto davanti al Tribunale di Cagliari in composizione monocratica per la convalida dell'arresto ed il contestuale giudizio direttissimo; convalidato l'arresto ed applicata al Macis, su conforme richiesta del pubblico ministero, la misura cautelare della custodia in carcere, la difesa dell'imputato ha chiesto termine a difesa, su accordo delle parti il processo e' stato rinviato all'udienza del 14 febbraio 2006, nella quale l'imputato presente ed il suo difensore hanno chiesto procedersi nelle forme del rito abbreviato condizionato all'acquisizione di alcuni documenti; sussistendo i presupposti, il giudice ha disposto procedersi nelle forme del rito abbreviato condizionato; acquisita la documentazione, e' stato disposto rinvio per la discussione, essendo frattanto stata disposta perizia per accertare la dedotta incompatibilita' delle condizioni di salute del Macis con la detenzione in carcere. All'udienza 24 febbraio 2006, previo esame del perito e riservata la decisione del giudice sulla richiesta di modifica della misura cautelare in atto, le pani hanno rassegnato le conclusioni. Il processo e' stato rinviato per eventuali repliche, disponendosi nella stessa data del 24 febbraio 2006, anche in considerazione degli esiti della perizia medico-legale espletata sulla persona del Macis, la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella dell'obbligo di dimora accompagnata da alcune prescrizioni specificate nella relativa ordinanza, assunta ai sensi dell'art. 299 c.p.p. Ad esito della discussione, il Tribunale ritiene che debba essere sollevata la questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, dell'art. 69 comma IV codice penale, come novellato dall'art. 3 legge n. 251 del 5 dicembre 2005 (nota come legge «Cirielli») in quanto rilevante e non manifestamente infondata. Quanto alla rilevanza, si deve osservare come gli elementi emergenti dagli atti potrebbero portare nel caso di specie ad affermare la penale responsabilita' dell'imputato in relazione al reato a lui ascritto, quantomeno in ordine alla contestata illegale detenzione di grammi 2,58 di cocaina, di cui diversi elementi parrebbero contraddire all'esclusiva destinazione ad uso personale. In caso di condanna, considerata la complessiva entita' del fatto, esso andrebbe qualificato, per la sua oggettiva consistenza, nell'ambito della fattispecie attenuata di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, che nell'ipotesi di fatto di lieve entita' concernente le sostanze di cui alle Tabelle I e III, esattamente come e' nel caso in esame, stabilisce la pena della reclusione da uno a sei anni e della multa da 2.580,00 euro a 25.800,00 euro (limiti edittali che per quanto concerne le sostanze qui in esame non sono mutati per effetto della disciplina introdotta con d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 27 febbraio 2006 ed in vigore dal 28 febbraio 2006). In relazione alla disposizione di cui all'art. 7, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 e' costantemente e pacificamente riconosciuta la sua natura di circostanza attenuante ad effetto speciale, con la conseguenza che quando essa concorre con una circostanza aggravante, compresa anche la recidiva, deve obbligatoriamente procedersi al giudizio di comparazione tra circostanze attenuanti e aggravanti secondo la previsione di cui all'art. 69 c.p. (tra le tante: Cass. pen., sez. VI, 15 ottobre 2002, n. 37016, Cass. pen., sez. IV 2 febbraio 2001, n. 10771 e Cass. pen., sez. un. 21 giugno 2000, n. 17). Poiche' nel giudizio a quo e' stata contestata la recidiva reiterate specifica ed infraquinquennale, viene in considerazione una circostanza aggravante inerente la persona del colpevole (tra le tante: Cass. pen. 5 marzo 1999 e 3 ottobre 2000), e sussistendo l'attenuante ad effetto speciale del fatto di lieve entita', deve procedersi al giudizio obbligatorio di comparazione tra circostanze attenuanti e aggravanti. Nell'ambito del giudizio volto alla determinazione della pena in concreto secondo i criteri di cui agli artt. 133 c.p. e 27 Costituzione e, in particolare, allorquando concorrano circostanze attenuanti ed aggravanti e debba procedersi percio' all'obbligatorio giudizio di comparazione, deve aversi ora riguardo al disposto di cui all'art. 69, quarto comma c.p., come modificato dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, in vigore alla data del commesso reato per cui e' processo. Tale nuova disciplina, a differenza di quanto avveniva nel regime previgente, in caso di recidiva reiterata vincola il giudice nel bilanciamento delle circostanze al solo giudizio di equivalenza o di subvalenza delle attenuanti rispetto alle aggravanti, senza introdurre alcuna eccezione, neppure in relazione a circostanze attenuanti ad effetto speciale, come e' pacificamente quella dell'art. 73 comma 5, d.P.R. n. 309/1990, le quali introducono una ridefinizione della cornice edittale in modo del tutto autonomo rispetto alla fattispecie non attenuata. Ne consegue che nel caso in esame, applicando i criteri suddetti, poiche' non e' piu' possibile il giudizio di prevalenza dell'attenuante del fatto di lieve entita' di cui al comma 5 dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 sulla contestata aggravante della recidiva reiterata, ma solo quello di equivalenza (o subvalenza delle attenuanti rispetto alle aggravanti), la pena da irrogare andrebbe definita nell'ambito della cornice edittale di cui al comma 1 dell'art. 73, d.P.R. citato e, quindi, in concreto a partire dalla pena base di otto anni di reclusione e 25.800,00 euro di multa e fino al massimo stabilito in venti anni di reclusione e 258.000,00 euro di multa (ovvero, secondo la disciplina introdotta dall'art. 4-bis del citato decreto n. 272/2005, in quanto quest'ultima possa ritenersi legge piu' favorevole ai sensi dell'art. 2 c.p., a partire dalla pena di sei anni di reclusione e 26.000,00 euro di multa e fino a quella di venti anni di reclusione e 260.000,00 euro di multa). L'attuale testo dell'art. 6, comma IV c.p.p. appare, pertanto, in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, in quanto, irragionevolmente, sottopone fatti di detenzione illegale di stupefacenti di cui alle Tabelle I e III riconducili al caso di lieve entita', ove siano commessi da un recidivo reiterato, al medesimo trattamento sanzionatorio previsto per le ipotesi - oggettivamente diverse e ben piu' gravi - riconducibili al fatto di non lieve entita'; di converso, e altrettanto irragionevolmente, la disposizione in parola consente di sottoporre ad un trattamento sanzionatorio notevolmente diverso casi che, sul piano oggettivo, appaiono in tutto analoghi. La violazione del principio di eguaglianza, diviene poi ancor piu' evidente quando, come e' nel caso di specie, venga in considerazione un'ipotesi che, nell'ambito degli stessi fatti di lieve entita', appare di particolare modestia e tale da richiedere la commisurazione della pena rispetto al caso concreto in misura vicina al minimo edittale. Cosi' facendo si arriverebbe alla conseguenza, del tutto irragionevole, di irrogare nei confronti di un recidivo reiterato (magari per reati commessi in tempi non recenti o per non gravi delitti) per il reato di detenzione illegale di pochi grammi di cocaina la pena di otto anni di reclusione e 25.800 euro di multa (ovvero sei anni di reclusione e 26.000 euro di multa) e, viceversa, di irrogare una pena inferiore al limite edittale ora indicato a chi abbia commesso fatti oggettivamente assai piu' gravi e indicativi di una ben maggiore pericolosita', come nel caso di chi detenga, ad esempio, ben piu' consistenti quantita' della medesima sostanza, ma abbia potuto beneficiare delle attenuanti generiche, perche', magari, incensurato o, comunque, non recidivo reiterato. La stessa norma conduce anche a punire diversamente fatti tra loro oggettivamente identici e che si differenziano solo per lo status personale di chi li abbia commessi, cioe' solo per la circostanza che l'autore sia oppure no un recidivo reiterato. Cosi', nell'esempio sopra visto, un soggetto imputato di detenzione a fini di spaccio di pochi grammi di cocaina che non sia recidivo reiterato vedrebbe la sua pena correttamente determinata in misura vicina al minimo edittale previsto per il fatto di lieve entita' (un anno di reclusione e 2.580,00 euro di multa), pur se annovera gia' un precedente, anche se specifico, mentre un recidivo reiterato vedrebbe la sua pena determinata nell'ambito della cornice edittale della fattispecie non attenuata del comma 1 dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 e, quindi, in concreto, a partire dalla pena di otto anni di reclusione e 25.800 euro di multa (ovvero sei anni di reclusione e 26.000,00 euro di multa); e cio', si osservi, anche se annovera precedenti non recenti o comunque di scarsissima significativita' rispetto aI reato oggetto del nuovo giudizio (si pensi ad un recidivo per minacce semplici, o per ingiurie o simili). Ne deriva un'irragionevole ed ingiustificata disparita' del trattamento penale per effetto della quale, in dipendenza della condizione di recidivo reiterato in cui versa l'autore, fatti oggettivamente identici o analoghi sono sottoposti a pene sensibilmente diverse e fatti oggettivamente diversi sono sottoposti alla medesima pena. Il principio della pari dignita' sociale e dell'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge enunciato dall'art. 3, primo comma della Costituzione vale a statuire che il Legislatore non puo' operare discriminazioni fra i soggetti dell'ordinamento a seconda del loro sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, ma neppure in ragione delle loro condizioni personali e sociali; e perche' tale principio possa trovare effettiva applicazione, occorre che la legge tratti in maniera eguale situazioni eguali e in maniera diversa situazioni diverse (tra le tante: Corte cost. sent. n. 217/1972). Orbene, se la valutazione della diversita' delle situazioni e' rimessa in linea di principio al Legislatore, tale valutazione non si fonda su una discrezionalita' assoluta, trasformandosi essa altrimenti in arbitrio, ma, secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale, la discrezionalita' legislativa trova un limite nella ragionevolezza delle statuizioni volte a giustificare la disparita' di trattamento tra i cittadini (Corte cost. sentenze n. 62/1972, n. 200/1972, n. 370/1996); affermazione, questa, che conserva la sua validita' anche allorquando venga in considerazione la questione, delicatissima, del sindacato da pane della Corte costituzionale delle scelte legislative di politica criminale (Corte cost. sent. n. 362/2002). Nel caso di specie, non pare che la preclusione del giudizio di prevalenza per i recidivi reiterati possa trovare ragionevole giustificazione nella diversa condizione in cui versa il recidivo reiterato. Come e' noto e come puo' constatarsi nella quotidiana pratica giudiziaria, la recidiva reiterata puo' non assumere alcun significato pregnante sotto il profilo della pericolosita', potendo venire in considerazione precedenti risalenti nel tempo, ovvero riferentesi a delitti che, pur dolosi, non sono tuttavia gravi rispetto alla tavola dei valori costituzionali ed alla loro gerarchia o che, comunque, non hanno alcuna significativita' sul piano criminale rispetto ai fatti oggetto del nuovo giudizio. La norma in esame, precludendo al giudice in sede di bilanciamento la prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata, introduce in tal modo un'ipotesi di pericolosita' presunta, uno status personale che, qualunque sia il titolo dei delitti oggetto delle precedenti condanne e l'epoca della loro commissione, impone di per se' un'indiscriminata omologazione di tutti i recidivi reiterati, di cui presume in assoluto la pericolosita'. La disposizione dell'art. 69, quarto comma c.p. nella sua attuale formulazione pare cosi' porsi in contrasto con il principio di eguaglianza, perche' essa sottopone a trattamento sanzionatorio identico casi che sono oggettivamente e sensibilmente diversi e sottopone a trattamento penale diverso casi che sono oggettivamente identici, in dipendenza di una condizione personale dell'autore di cui, irragionevolmente, presume in assoluto la pericolosita', a prescindere dalla situazione concreta e dalle circostanze del caso. Ma la norma da applicare al caso concreto, appare altresi' in contrasto con i principi evincibili dagli artt. 25, comma 2 e 27, commi 1 e 3 della Costituzione. Anzitutto, essa, introducendo un automatismo sanzionatorio ancorato alla sola personalita' del colpevole ed alla sua pericolosita' presunta e svincolando del tutto la concreta determinazione della pena dalla oggettiva gravita' del fatto, viola il principio di legalita' di cui all'art. 2, secondo comma della Costituzione, che impone, nell'ambito delle sanzioni penali, di irrogare queste ultime solo in presenza della commissione di un fatto costituente reato e preclude, invece, di punire la sola pericolosita' sociale. Ma ancor piu' evidente appare il contrasto con i principi di cui all'art. 27, primo e terzo comma della Costituzione, oltre che, sott'altro aspetto, del gia' richiamato art. 3 della Costituzione. Tali principi, infatti, fissano i caratteri che delineano il sistema punitivo secondo la Costituzione e rendono incostituzionali le pene che da tali caratteri si discostano. Viene qui in considerazione, anzitutto, il principio di personalita' della responsabilita' penale insita nella funzione retributiva della pena, per cui deve escludersi che la pena possa essere aggravata solo per soddisfare esigenze generali di prevenzione e di difesa sociale che prescindono dalla valutazione della personalita' del condannato; viene poi in esame il principio di proporzionalita' della pena, insito anch'esso nel concetto retributivo, che impone un trattamento differenziato delle situazioni diverse, ma anche la congruita' della pena, intesa quest'ultima quale adeguatezza della pena irrogata in concreto alla gravita' del fatto, al grado dell'offesa, al tipo di colpevolezza ed alle condizioni personali dell'agente. Ma viene soprattutto in considerazione il principio della finalita' rieducativa della pena; infatti, secondo la Carta costituzionale la pena, oltre che un'ineludibile finalita' retributiva e generalpreventiva, deve avere anche una finalita' rieducativa e agevolare percio' la risocializzazione del reo, anche ai fini di combattere la recidiva, si afferma, percio', nella giurisprudenza costituzionale e dalla piu' attenta dottrina, che nel quadro della pena edittalmente fissata secondo il principio retributivo, la pena concretamente applicabile va determinata anche in funzione delle eventuali esigenze specialpreventivo-risocializzative del soggetto, senza che l'una funzione possa essere obliterata a esclusivo vantaggio dell'altra (Corte costituzionale sent. n. 306/1993). Si delinea, in ultima analisi, la necessita' dell'individualizzazione della pena; ed invero, solo l'adeguamento del trattamento punitivo alla specificita' del caso concreto consente di assicurare un'effettiva eguaglianza di fronte alle pene, contribuisce a rendere «personale» la responsabilita' penale ed a finalizzare la pena stessa alla rieducazione del reo. Se tali sono i caratteri che deve avere il trattamento sanzionatorio delineato dalla Costituzione, l'attuale disciplina dell'art. 69, quarto comma c.p. non appare affatto conforme ad essi ed, anzi, se ne discosta nettamente. Precludendo in caso di recidiva reiterata il giudizio di prevalenza delle attenuanti, la norma non realizza ne' la finalita' retributiva e generalpreventiva perche' non consente di adeguare la pena alla specificita' del caso concreto e, anzi, impone, come dovrebbe avvenire nel caso in esame, un trattamento sanzionatorio del tutto sproporzionato ed inadeguato alla gravita' del caso, ma neppure la finalita' specialpreventiva e rieducativa della pena, non potendo una pena siffatta, abnorme e sproporzionata, agevolare il reinserimento sociale del reo e modificare la sua personalita'; una pena come quella concepita nella cosiddetta legge «Cirielli» per i recidivi reiterati non produce alcun risultato sotto il profilo generalpreventivo, perche' anche socialmente percepita come ingiusta in quanto abnorme e sproporzionata, non realizza alcun risultato utile sotto il profilo specialpreventivo e rieducativo, perche' imponendo l'irrogazione di sanzioni sproporzionate ed irragionevoli, aggrava ingiustificatamente lo stigma sociale che si accompagna alla condanna e preclude in radice ogni speranza di riscatto e di emenda.