ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 18, primo comma,
della    legge   della   Regione   Siciliana 3 maggio   1979,   n. 73
(Soppressione  del  fondo di quiescenza, previdenza ed assistenza per
il personale della Regione Siciliana e trasferimento delle competenze
alla  Presidenza  della  Regione) e dell'art. 2, secondo comma, della
legge  della Regione Siciliana 28 maggio 1979, n. 114 (Riconoscimento
di servizi al personale dell'Amministrazione regionale), promossi con
ordinanze  del  10  (n. 1  ordinanza), 22 (n. 10 ordinanze), 23 (n. 5
ordinanze),  24  (n. 3  ordinanze),  26  (n. 1  ordinanza) e 29 (n. 9
ordinanze) novembre   2004;   del   1°   (n. 4  ordinanze),  9  (n. 3
ordinanze),  13 (n. 2  ordinanze),  14  (n. 2  ordinanze)  e 20 (n. 3
ordinanze) dicembre 2004; del 5 (n. 5 ordinanze), 10 (n. 1 ordinanza)
e  11  (n. 8  ordinanze) gennaio 2005, emesse dal giudice unico delle
pensioni  della  Corte  dei  conti  -  sezione giurisdizionale per la
Regione  Siciliana,  iscritte  ai numeri da 364 a 410, da 413 a 421 e
435 del registro ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della  Repubblica  nn. 34,  35,  36,  37  e  38,  1ª  serie speciale,
dell'anno 2005.
    Visti gli atti di costituzione della Regione Siciliana;
    Udito  nell'udienza pubblica del 20 giugno 2006 e nella camera di
consiglio del 21 giugno 2006 il giudice relatore Paolo Maddalena;
    Udito l'avvocato Beatrice Fiandaca per la Regione Siciliana;
    Ritenuto che, con 57 distinte ordinanze motivate in modo identico
in  punto  di diritto (iscritte nel registro ordinanze dell'anno 2005
ai  numeri  da  364  a 410, da 413 a 421 e al numero 435), il giudice
unico  delle pensioni della Corte dei conti - sezione giurisdizionale
per  la Regione Siciliana ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e
81  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 18,    primo    comma,    della    legge    della   Regione
Siciliana 3 maggio 1979, n. 73 (Soppressione del fondo di quiescenza,
previdenza  ed  assistenza per il personale della Regione Siciliana e
trasferimento  delle  competenze  alla  Presidenza  della  Regione) e
dell'art. 2,    secondo    comma,    della    legge   della   Regione
Siciliana 28 maggio   1979,  n. 114  (Riconoscimento  di  servizi  al
personale  dell'Amministrazione  regionale),  «nella parte in cui nel
determinare  l'applicazione ai dipendenti regionali ed ai loro aventi
diritto   delle   disposizioni   sulla   ricongiunzione   di  periodi
assicurativi  ai fini pensionistici», previste dalla legge 7 febbraio
1979,  n. 29  (Ricongiunzione dei periodi assicurativi dei lavoratori
ai  fini  previdenziali),  «impongono  l'applicazione  dell'aliquota,
nella  misura  del  2  per cento, per la determinazione della riserva
matematica  prevista dall'art. 2, terzo comma, della legge 7 febbraio
1979,  n. 29  e  della  quota  di  pensione  relativa  ai  periodi da
ricongiungere»,  cosi'  come previsto dall'art. 4, primo comma, della
legge 7 luglio 1980, n. 299 (Conversione in legge, con modificazioni,
del  d.l.  7 maggio  1980,  n. 153, concernente norme per l'attivita'
gestionale e finanziaria degli enti locali per l'anno 1980);
        che tutti i giudizi a quibus riguardano controversie promosse
da  dipendenti  della Regione Siciliana, i quali, avendo richiesto ed
ottenuto  in via amministrativa l'ammissione a ricongiunzione, presso
la  Regione  medesima,  dei  periodi  assicurativi  di  contribuzione
precedenti  all'assunzione,  lamentano pero' «l'errata individuazione
della  quota  pensione»,  contestando  l'applicazione, da parte della
Amministrazione  regionale, delle «aliquote annue del 3,33% fino a 15
anni  di  servizio  e  del  2,5% per ogni anno successivo, fino ad un
massimo  di 35 anni e non quella unica del 2% per anno come stabilito
per gli impiegati dello Stato»;
        che,  nel  sollevare  la questione, il giudice a quo osserva,
anzitutto,  che  nei confronti dei dipendenti regionali devono essere
estese, in base all'art. 18 della legge della Regione Siciliana n. 73
del  1979,  «tutte  le  disposizioni  relative  al  conseguimento del
diritto  alla pensione concernenti i dipendenti civili dello Stato in
quanto  piu'  favorevoli»,  e, in forza dell'art. 2 della legge della
Regione   Siciliana   n. 114   del   1979,   «le  disposizioni  sulla
ricongiunzione di periodi assicurativi ai fini pensionistici previste
dalla  legge  7 febbraio  1979,  n. 29»,  cosi'  da  riconoscersi «il
diritto  alla  quota  pensione  conseguibile  con  la  ricongiunzione
richiesta   mediante  determinazione  della  riserva  matematica  con
l'applicazione  delle  tabelle  di  cui  al  decreto del Ministro del
lavoro del 27 gennaio 1964»;
        che  il  rimettente  sostiene  altresi'  che  «alla  suddetta
estensione»   non   possa   sottrarsi   «neppure  la  quantificazione
dell'aliquota,  nella  misura  del 2 per cento, per la determinazione
della  riserva  matematica  prevista  dall'art. 2, terzo comma, della
legge  7 febbraio  1979,  n. 29 e della quota di pensione relativa ai
periodi  da  ricongiungere», come stabilito dall'art. 4, primo comma,
della   legge   7 luglio  1980,  n. 299  (Conversione  in  legge  con
modificazioni  del  d.l. 7 maggio 1980, n. 153, concernente norme per
l'attivita'   gestionale   e   finanziaria   degli  enti  locali  per
l'anno 1980),  applicabile  ai  dipendenti  regionali  in  virtu' del
rinvio  operato  dalle  sopra indicate leggi regionali; pertanto, non
potrebbero  trovare  applicazione  le  aliquote  «piu' onerose invece
invocate  dall'Amministrazione  regionale»,  giacche'  il legislatore
regionale  ha rinviato alle disposizioni di legge statale non gia' in
quanto   compatibili  con  il  sistema  pensionistico  della  Regione
Siciliana,  «ma  in  modo  pieno  ed  assoluto,  con effetto, quindi,
derogatorio   di   ogni   principio   o   norma  regionale  con  esse
incompatibili»;
        che,  proprio  in  siffatta  prospettiva,  il  giudice  a quo
afferma  di  non  poter  condividere l'orientamento giurisprudenziale
formatosi  in  sede di appello (Sezione giurisdizionale d'appello per
la  Regione  Siciliana,  sentenza n. 63/A/03 del 22 aprile 2003), che
avrebbe «"creato" in via pretoria parametri diversi» da quello del 2%
di cui all'art. 4, primo comma, della legge n. 299 del 1980;
        che  il  rimettente,  nell'illustrare  l'interpretazione  del
giudice del gravame, evidenzia che essa:
          ha  ritenuto,  anzitutto, che gli artt. 2 della legge n. 29
del  1979  e  4 della legge n. 299 del 1980 sarebbero norme «modulate
tendenzialmente  verso  i  pubblici  dipendenti  che  fruiscono di un
trattamento  pensionistico  assimilabile al combinato disposto» degli
artt. 42  e  44  del d. P. R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione
del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento  di  quiescenza dei
dipendenti  civili  e  militari  dello  Stato),  «in  base  al quale,
partendo  da una pensione del 35% della base pensionabile con 15 anni
di  anzianita',  si perviene alla percentuale dell'80% con 40 anni di
servizio  (aggiungendo, cioe', l'1,80% per ogni anno successivo ai 15
anni)»,   secondo  un  meccanismo  sostanzialmente  coerente  con  la
percentuale  del  2% indicata nel primo comma dell'art. 4 della legge
n. 299 del 1980;
          ha addotto, poi, che tale impostazione non sarebbe coerente
con  il  sistema pensionistico del personale dipendente dalla Regione
Siciliana,  per  il  quale - in base all'art. 4 della legge regionale
23 febbraio  1962,  n. 2  (Norme  per  il  trattamento di quiescenza,
previdenza  ed assistenza del personale della Regione) - «la pensione
e'  commisurata  al  50%  dell'ultima  retribuzione  annua qualora il
dipendente sia collocato a riposo dopo 15 anni di servizio effettivo,
con  un  aumento  del  2,50% per ogni anno di servizio effettivamente
prestato  o riconosciuto utile e riscattato..., fino ad un massimo di
35 anni di servizio utile»;
          ha  valorizzato,  quindi,  la ratio del criterio di calcolo
della riserva matematica e della quota di pensione, la quale andrebbe
individuata     «nel     creare     un    sistema    di    equilibrio
contributivo-finanziario  nell'ordinamento  che dovra' poi erogare la
pensione  complessiva  e  definitiva»,  con  la conseguenza che «tale
equilibrio,  pensato  ed  ipotizzato  con  un  sistema pensionistico,
potrebbe  non  funzionare  con  un  sistema diverso come quello della
Regione    Siciliana    in    quanto,   ove   si   dovesse   ritenere
indiscriminatamente  applicabile  l'aliquota del due per cento [...],
studiata  per  un  sistema  diverso  e meno favorevole, tale criterio
potrebbe  non  consentire  di raggiungere l'equilibrio normativamente
perseguito,  necessitando  di  alcuni  adattamenti nel momento in cui
viene applicato nella Regione Siciliana»;
          ha       pertanto      concluso      che      «l'equilibrio
finanziario-contributivo   nella   Regione   Siciliana  non  si  puo'
perseguire mutuando per intero un meccanismo calibrato per un sistema
diverso  (e  meno  favorevole)», bensi' applicando le «percentuali di
progressione  della pensione regionale in relazione all'anzianita' di
servizio»  (e cioe' l'aliquota del 3,33% sino a 15 anni di servizio e
l'aliquota del 2,50% per ogni anno successivo al quindicesimo);
        che,   ad   avviso   del   giudice   a  quo,  tale  soluzione
giurisprudenziale   sarebbe   pero'  «in  palese  e  testuale  quanto
inconciliabile contrasto» con il disposto di cui agli artt. 18, primo
comma, della legge regionale n. 73 del 1979 e 2, secondo comma, della
legge  regionale  n. 114 del 1979, in quanto dette norme deporrebbero
«per  l'automatica  ed  integrale  applicazione  ai  dipendenti della
Regione  Siciliana  di  tutte  le  disposizioni statali dettate nella
materia»;
        che  il  rimettente,  nonostante  ribadisca  di  non  «potere
prestare   acquiescenza»   alla  predetta  giurisprudenza,  sostiene,
tuttavia,  che  «proprio  l'iter  interpretativo  seguito dai giudici
d'appello  [...]  per  le  norme  in  questione appare conducente per
evidenziare   fondati  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  delle
medesime,  nella  lettura  che  questo, ritiene, invece, che ne debba
essere fatta» e cioe' quella per cui dovrebbe trovare applicazione la
percentuale  indicata  nell'art. 4, primo comma, della legge 7 luglio
1980,  n. 299 (2 per cento) e non le percentuali, «frutto di autonoma
elaborazione, del 3,33 e 2,50 per cento decise dall'Amministrazione e
condivise dal giudice d'appello»;
        che  in definitiva, secondo il giudice a quo, le disposizioni
denunciate,  che  «prevedono  l'automatico  ed  integrale recepimento
della  normativa  statale»,  sarebbero  censurabili «sotto il profilo
della  ragionevolezza  (art. 3 Cost.) e della copertura della spesa e
della  tutela  dell'equilibrio  finanziario del sistema pensionistico
regionale   (art. 81   Cost.)»;   e   cio'  in  quanto  «l'equilibrio
finanziario-contributivo   nella   Regione   Siciliana  non  si  puo'
perseguire mutuando per intero un meccanismo calibrato per un sistema
diverso  (e  meno  favorevole)», bensi' applicando «le percentuali di
progressione  della pensione regionale in relazione all'anzianita' di
servizio   o,   comunque,  attraverso  l'elaborazione  di  meccanismi
alternativi,   la   cui   determinazione  rientra  nell'ambito  della
discrezionalita'   del   legislatore,   pero'   idonei   a  garantire
l'equilibrio  finanziario  del  sistema  pensionistico  della Regione
Siciliana»;
        che    nei    giudizi   iscritti   nel   registro   ordinanze
dell'anno 2005 ai numeri 364, 376, 389, 408 e 435 si e' costituita la
Regione   Siciliana,   concludendo   per   l'inammissibilita'  ovvero
l'infondatezza della questione;
        che,  quanto  all'inammissibilita',  essa andrebbe ravvisata,
secondo  la  Regione,  oltre  che  nella  carente  specificazione dei
termini  della  prospettata  questione  di costituzionalita' ed in un
difetto  di  motivazione  sulla rilevanza, nel fatto che il giudice a
quo  «chiede  un  avallo a una sua interpretazione delle disposizioni
impugnate  al  fine  di preservare la stessa da un futuro giudizio di
appello,  posto  che  la  Corte  dei  conti - sezione giurisdizionale
d'appello  per  la  Regione  Siciliana  ha fornito un'interpretazione
idonea  ad  attribuire  alle norme regionali censurate il significato
che essa ritiene conforme a Costituzione»;
        che,  nel  merito,  la  difesa  regionale argomenta sulla non
fondatezza    della    questione    mutuando   le   proprie   ragioni
dall'orientamento  giurisprudenziale,  richiamato anche dal giudice a
quo,  espresso dalla sezione giurisdizionale d'appello per la Regione
Siciliana  della Corte dei conti, da intendersi quale interpretazione
conforme a Costituzione.
    Considerato   che,  con  57  distinte  ordinanze  dalla  identica
motivazione  in  punto  di  diritto,  il giudice unico delle pensioni
della  Corte  dei  conti  -  sezione  giurisdizionale  per la Regione
Siciliana  ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 18,    primo    comma,    della    legge    della   Regione
Siciliana 3 maggio 1979, n. 73 (Soppressione del fondo di quiescenza,
previdenza  ed  assistenza per il personale della Regione Siciliana e
trasferimento  delle  competenze  alla  Presidenza  della  Regione) e
dell'art. 2,    secondo    comma,    della    legge   della   Regione
Siciliana 28 maggio   1979,  n. 114  (Riconoscimento  di  servizi  al
personale  dell'Amministrazione  regionale),  «nella parte in cui nel
determinare  l'applicazione ai dipendenti regionali ed ai loro aventi
diritto   delle   disposizioni   sulla   ricongiunzione   di  periodi
assicurativi  ai fini pensionistici», previste dalla legge 7 febbraio
1979,  n. 29  (Ricongiunzione dei periodi assicurativi dei lavoratori
ai  fini  previdenziali),  «impongono  l'applicazione  dell'aliquota,
nella  misura  del  2  per cento, per la determinazione della riserva
matematica  prevista dall'art. 2, terzo comma, della legge 7 febbraio
1979,  n. 29  e  della  quota  di  pensione  relativa  ai  periodi da
ricongiungere»,  cosi'  come previsto dall'art. 4, primo comma, della
legge 7 luglio 1980, n. 299 (Conversione in legge, con modificazioni,
del  d.l.  7 maggio  1980,  n. 153, concernente norme per l'attivita'
gestionale e finanziaria degli enti locali per l'anno 1980);
        che,  ad avviso del giudice a quo, le disposizione denunciate
violerebbero  gli  artt. 3 e 81 della Costituzione, «sotto il profilo
della  ragionevolezza  e  della  copertura della spesa e della tutela
dell'equilibrio finanziario del sistema pensionistico regionale»;
        che,  in ragione dell'identita' delle questioni sollevate dal
medesimo  rimettente,  i  giudizi vanno riuniti per essere decisi con
unica pronuncia;
        che la premessa da cui muove il giudice a quo e' che le norme
oggetto di censura non possano, in ragione del loro tenore letterale,
essere  applicate,  per determinare la quota di pensione a carico del
dipendente   regionale  ai  fini  della  ricongiunzione  dei  periodi
assicurativi  presso  l'Amministrazione  della  Regione Siciliana, in
base all'orientamento seguito dalla sezione giurisdizionale d'appello
per  la  Regione  Siciliana  della  Corte dei conti, cosi' da rendere
operanti,  in  luogo  dell'aliquota  del  2% di cui all'art. 4, primo
comma,  della legge n. 299 del 1980, le aliquote annue del 3,33% sino
al 15° anno di servizio e del 2,5% per ogni anno successivo;
        che,  tuttavia, secondo il rimettente, le ragioni addotte dal
giudice   del   gravame   a   fondamento   della  predetta  soluzione
interpretativa  sarebbero,  comunque, tali da concretare i motivi del
dubbio  di  costituzionalita'  sulla  normativa denunciata, posto che
l'aliquota  del  2%  fissata dalla legge statale non sarebbe coerente
con  il  sistema pensionistico del personale dipendente dalla Regione
Siciliana e che, dunque, «l'equilibrio finanziario-contributivo nella
Regione  Siciliana  non  si  puo'  perseguire  mutuando per intero un
meccanismo  calibrato  per  un  sistema diverso (e meno favorevole)»,
come  quello  statale,  bensi' applicando le predette «percentuali di
progressione  della pensione regionale in relazione all'anzianita' di
servizio»,  ricavabili  dall'art. 4 della legge regionale 23 febbraio
1962,  n. 2  (Norme  per  il trattamento di quiescenza, previdenza ed
assistenza  del  personale  della  Regione),  o, comunque, attraverso
«l'elaborazione  di  meccanismi  alternativi,  la  cui determinazione
rientra  nell'ambito  della  discrezionalita'  del legislatore, pero'
idonei a garantire l'equilibrio finanziario del sistema pensionistico
della Regione Siciliana»;
        che  proprio  siffatta  indicazione  di  plurimi  rimedi  per
ricondurre  a  legittimita'  costituzionale  la normativa censurata -
rimedi  che,  peraltro,  si assumono nella piena discrezionalita' del
legislatore  regionale  - rendono anzitutto evidente che il giudice a
quo  non  chiede  a  questa  Corte una pronuncia additiva a contenuto
costituzionalmente     obbligato,     con    conseguente    manifesta
inammissibilita'  del  proposto  incidente  di  costituzionalita' (si
vedano, da ultimo, ordinanze n. 210 e n. 185 del 2006);
        che, sotto altro profilo, la complessiva prospettazione della
questione,  a fronte di un indirizzo giurisprudenziale che interpreta
le   denunciate   disposizioni   nel  medesimo  senso  auspicato  dal
rimettente  con  la invocata declaratoria di incostituzionalita', non
risulta  in  ogni  caso diretta a risolvere un dubbio di legittimita'
costituzionale,   ma  appare  piuttosto  un  improprio  tentativo  di
ottenere  un avallo a favore di una determinata interpretazione della
normativa censurata (tra le altre, ordinanze n. 155 del 2003 e n. 367
del 2001);
        che, del resto, l'attivita' interpretativa rimessa al giudice
di  merito deve svolgersi, come in piu' occasioni affermato da questa
Corte,  tenendo  presente che «in linea di principio, le leggi non si
dichiarano  costituzionalmente illegittime perche' e' possibile darne
interpretazioni   incostituzionali  (e  qualche  giudice  ritenga  di
darne),    ma    perche'   e'   impossibile   darne   interpretazioni
costituzionali» (cosi' sentenze n. 65 del 1999 e n. 356 del 1996);
        che,  dunque,  la questione, cosi' come proposta, deve essere
comunque dichiarata manifestamente inammissibile.