LA CORTE DI APPELLO

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Pronunciando sulle questioni di legittimita' costituzionale degli
articoli  artt. 593, commi 1 e 2, e 576 c.p.p., come modificati dalla
legge  20  febbraio 2006, n. 46, nonche' dell'articolo 10 della legge
stessa,  sollevate dal procuratore generale e dalla parte civile, nel
procedimento  di  impugnazione  promosso  con  atto  di  appello  dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Forli' e con atto
di  appello  della  parte  civile  costituita - Bertaccini Gilberto -
avverso  la sentenza del Tribunale di Forli' in data 11 novembre 2003
con la quale Silvestroni Sergio e' stato assolto dalla imputazione di
lesioni  personali  colpose  -  in  danno di Bertaccini Gilberto, per
sinistro  stradale  verificatosi  in  provincia  di Forli' in data 18
agosto 2000 - per insussistenza del fatto;
    Rileva:
        viene dedotto che la nuova disciplina dell'appello avverso la
sentenza penale di proscioglimento dell'imputato contrasterebbe con i
principi  costituzionali della eguaglianza dei cittadini davanti alla
legge   (art. 3  Cost.),  della  parita'  delle  parti  nel  processo
(art. 111  Cost.), della obbligatorieta' dell'azione penale (art. 112
Cost.)  e del diritto di azione e difesa in giudizio (art. 24 Cost.);
e  cio' sia con riguardo alla forte limitazione dell'appello del p.m.
che con riguardo ai limiti dell'appello della parte civile;
    La  diversita'  delle  situazioni soggettive degli appellanti nel
presente    procedimento    impone    una   riflessione   altrettanto
diversificata:
        1)  Con riferimento all'appello del p.m. deve rilevarsi che i
dubbi  di  legittimita'  costituzionale  della  nuova disciplina sono
sostanzialmente  omogenei  rispetto  a quelli che in altre precedenti
occasioni  - seppure con riguardo a diverse fattispecie processuali -
la  Corte costituzionale ha gia' esaminato e ritenuto non fondati. La
Corte  ha  affermato  che  il dovere di iniziativa del p.m. (art. 112
Cost.) e' pienamente adempiuto con il promovimento dell'azione penale
nel  giudizio  di  primo  grado  e  che  l'esercizio  del  potere  di
impugnazione  non  e'  invece obbligatorio, essendo anzi rinunciabile
anche  l'impugnazione  proposta da altro organo; che il diritto della
parti  di avere posizione di parita' nel processo (art. 111 Cost.) si
sviluppa  nella  sua  piena  ampiezza nel momento del dibattimento di
primo  grado e non comporta necessariamente la perfetta identita' tra
i  poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell'imputato e
del  suo  difensore,  atteso  che  la  posizione soggettiva di questi
ultimi  e'  piu'  intensamente  tutelata  rispetto  a quella del p.m.
dall'articolo  24 Cost., che pacificamente non si attaglia alla parte
pubblica,  cosi'  come  non  le  si  attaglia  la  tutela  apprestata
dall'articolo 3 della Costituzione, posto a garanzia del cittadino; e
cio'  vale  in  particolar  modo  nel giudizio di appello, atteso che
l'ordinamento  costituzionale  non  riconosce alcun diritto al doppio
grado  di  giurisdizione  di  merito,  bensi' afferma il solo diritto
all'impugnazione  con  il mezzo del ricorso per cassazione avverso le
sentenze e i provvedimenti de libertate.
    Dalla  applicazione  di  tali principi si puo' trarre pertanto un
giudizio  di  non  fondatezza delle questioni prospettate nel proprio
interesse  dalla  parte  pubblica,  dovendosi  ritenere non del tutto
irragionevole,   ne'   contraria   ai   precetti   vincolanti   della
Costituzione  la scelta novellatrice del legislatore: essa, a seguito
delle modifiche introdotte al secondo comma dell'articolo 593 c.p.p.,
puo'  riassumersi  nella  proposizione del principio secondo il quale
l'imputato  prosciolto  non  puo'  essere assoggettato al giudizio di
appello  su richiesta del p.m., se questi non chieda la assunzione di
una  prova  nuova  decisiva, atteso che eventuali macroscopici errori
commessi  dal  primo  giudice nella valutazione della prova avrebbero
comunque attitudine a costituire motivo del ricorso per cassazione.
        2)    Passando    ad   esaminare   le   questioni   sollevate
nell'interesse della parte civile si deve premettere che il novellato
testo  dell'articolo  576  c.p.p.  facendo venire meno il richiamo al
potere di impugnazione del p.m., ha di fatto annullato ogni potere di
appello  della  parte  civile,  atteso  che  l'articolo  568/1 c.p.p.
prevede  il principio di tassativita' dei mezzi di impugnazione e che
nessuna  altra  norma  prevede  per  la  parte  civile  il diritto di
impugnare con appello, restando per questa parte la sola possibilita'
di  impugnare  la sentenza di primo grado con ricorso per cassazione,
secondo la generale previsione dell' articolo 568/2 c.p.p.
    Con  riferimento  all'appello  della parte civile, deve rilevarsi
che le argomentazioni svolte a proposito della limitazione del potere
di  appello  del  p.m.  non  valgono,  atteso  che  detta  parte  - a
differenza  di  quanto  puo'  dirsi  per  il p.m. - non assume alcuna
posizione  di  prevalenza  sostanziale  nella  assunzione della prova
nella  fase  di  indagine ne' alcuna altra posizione privilegiata nel
corso del processo penale, e puo' pertanto fondatamente pretendere di
vedersi   applicati,   in   tutta   la   loro  ampiezza,  i  principi
costituzionali   di   parita'   nel   processo  (art. 111  Cost.)  di
eguaglianza (art. 3 Cost.) e di tutela del diritto di azione e difesa
in  giudizio  (art.  24  Cost.),  con  le  stesse  caratteristiche  e
modalita'  proprie  del processo civile che lo vedesse parte (attore,
in  qualita'  di  danneggiato)  in  contraddittorio  con il convenuto
danneggiante;  e  cio'  e'  tanto  piu'  logicamente e giuridicamente
cogente  in  quanto  si  consideri che la parte soccombente e' sempre
passibile  di  condanna alla rifusione delle spese e pertanto diviene
titolare di una posizione sostanziale passiva, che le attribuisce gli
stessi  diritti  processuali di chi si deve difendere dall'iniziativa
altrui.
    Inoltre,  come  gia'  osservato  in  altra  sede,  la  violazione
dell'art. 111  Cost.  e'  prospettabile  sotto il profilo che, fino a
quando  restera'  concesso  a chi e' stato danneggiato da un reato di
esercitare  l'azione  civile  nel  processo penale, costui non potra'
essere    discriminato   in   maniera   irragionevole   rispetto   al
danneggiante:   se  a  quest'ultimo  si  fornisce  uno  strumento  di
doglianza nel merito nei confronti della decisione del primo giudice,
lo  stesso  strumento,  nel  caso  di  soccombenza,  non  puo' essere
sottratto  alla  parte  civile,  pena  la  lesione della par condicio
processuale.
    Non  manifestazione  infondata  e'  altresi'  la  questione della
violazione del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., atteso che
l'inviolabile   diritto   di  azione  e  difesa  e'  vulnerato  dalla
previsione  di  un secondo grado di giudizio in cui l'imputato potra'
svolgere  le  proprie  doglianze,  mentre  alla  parte civile cio' e'
precluso.
    Da   tali  rilievi  consegue  la  valutazione  di  illegittimita'
dell'assetto  attuale  del  regime  delle  impugnazioni  della  parte
civile,  che  assume piena rilevanza alla luce del combinato disposto
degli  articoli  75/3, 82 e 652 c.p.p. dai quali si deve desumere che
la  parte  civile  che  abbia  presentato  le proprie conclusioni nel
giudizio  di  primo  grado  risulta  vincolata  dal  giudicato penale
formato  in  un  processo  nel  quale  ad  essa - danneggiata - viene
impedito di difendersi nel merito nel grado di appello, in situazione
di  irragionevole ed ingiustificabile disparita' rispetto al soggetto
danneggiante;  ne'  detta lesione e' annullata dal potere di proporre
ricorso  per  cassazione, atteso il carattere di sola legittimita' di
tale mezzo di impugnazione.