IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  ai  sensi  dell'art. 23
comma 2,  legge  n. 87/1953, sul ricorso n. 0527/06 R.G., proposto da
Salvatore Palermo e Suzanne Vickery, rappresentati e difesi dall'avv.
Pietro  Paterniti  La Via, domiciliato in Catania presso lo studio di
quest'ultimo in viale XX Settembre n. 19;
    Contro   la   Rete   Ferroviaria   Italiana  S.p.A.,  in  persona
dell'amministratore  delegato e/o legale rappresentante in carica; il
direttore    compartimentale    dirigente    incarica    dell'Ufficio
territoriale    per    la    espropriazioni   presso   la   Direzione
compartimentale   infrastruttura   di  Palermo  della  R.F.I.  S.p.A.
rappresentata   e   difesa   dall'avv. Michele   Ali',  elettivamente
domiciliata   in  Catania,  via  Crociferi  60;  il  Ministero  delle
infrastrutture  e  dei  trasporti,  in  persona  del sig. Ministro in
carica,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura distrettuale dello
Stato,  con  domicilio  ex  lege presso gli uffici di quest'ultima in
Catania,  via  V.  Ognina;  e nei confronti della Italferr S.p.A., in
persona  del  legale rappresentante in carica; del Comune di Catania,
in  persona  del  sig. sindaco  pro  tempore,  rappresentato e difeso
dall'avv. Marco  Petino,  elettivamente  domiciliato  in Catania, via
G. Oberdan  n. 141;  per  l'annullamento  del  decreto  del Direttore
compartimentale  dirigente in carica dell'Ufficio territoriale per le
espropriazioni  presso la Direzione compartimentale infrastruttura di
Palermo  della  Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. del 7 dicembre 2005,
prot. n. 009, spedito per notifica il 15 dicembre 2005, con il quale,
ai  sensi  degli  artt. 22-bis  e 49 del d.P.R. n. 327/2001, e' stata
disposta    l'occupazione    anticipata    di   urgenza   preordinata
all'espropriazione  e  l'occupazione temporanea in via provvisoria di
un  immobile  dei  ricorrenti,  interessato  dai  lavori di raddoppio
ferroviario    della    linea    Messina-Siracusa,   tratta   Catania
Ognina-Catania Centrale; di ogni altro atto antecedente e successivo,
ad  esso  comunque connesso e/o consequenziale; e per il risarcimento
dei danni arrecati ai ricorrenti ed all'immobile che il provvedimento
impugnato,   se  eseguito,  determinera',  nella  misura  che  verra'
determinata  in  corso  di  causa,  in ragione anche della successiva
esecuzione   dei   lavori   di   raddoppio  della  linea  ferroviaria
Messina-Siracusa, tratta Catania Ognina-Catania Centrale.
    Visti i ricorsi con i relativi allegati;
    Visti  gli  atti  di costituzione nel giudizio dell'Avvocatura di
Stato, del Comune di Catania e della «R.F.I.» S.p.A.;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 9 marzo 2006 il relatore,
referendario dott. Salvatore Gatto Costantino;
    Uditi  altresi'  gli  avvocati  delle  parti,  come  da  relativo
verbale;
    Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:
                           I n  f a t t o
    Espongono i ricorrenti che:
        I) con  provvedimento n. 20 del 7 luglio 2003, il sindaco del
Comune  di  Catania,  quale  commissario  delegato  (giusta  O.P.C.M.
n. 3259/2002)  approvava,  in  variante  al  P.R.G. ed in deroga alle
normative   vigenti,   il  progetto  relativo  al  completamento  del
raddoppio  ferroviario Catania Ognina-Catania Centrale, redatto dalla
«R.F.I.»  S.p.A.,  con  valore di dichiarazione di pubblica utilita',
urgenza   ed   indifferibilita'  delle  opere,  nonche'  con  effetto
sostitutivo  di  autorizzazioni,  visti  e  pareri della legislazione
derogata;
        II) i  lavori previsti in progetto riguardavano, tra l'altro,
il  fabbricato  di  proprieta'  dei  ricorrenti (all'epoca in fase di
ristrutturazione   giuste   concessioni   edilizie   nn. 22/4377  del
21 maggio  2002  e  22/91  del  24 ottobre  2002,  ad  oggi del tutto
completata)   rispetto   al  quale  si  prevedeva  la  demolizione  e
l'espropriazione  della intera terrazza e di parte del fabbricato cui
dovra' venire addossata in galleria la rete ferroviaria raddoppiata;
        III) avverso      il     provvedimento     n. 20/2003     del
sindaco-commissario  delegato,  i  ricorrenti  avevano  sollevato  il
ricorso  n. 4541/2003,  tutt'ora  pendente  tra le parti, di fronte a
questo  Tribunale  amministrativo  regionale,  lamentando  i  vizi di
carenza  di potere, incompetenza, violazione degli art. 7 della legge
n. 241/1990,  10  ed  11  della  legge  n. 865/1971  e 13 della legge
n. 2359/1865;  piu'  precisamente,  per  quel  che  qui  interessa, i
ricorrenti  avevano  dedotto  che  la delega di protezione civile, in
forza  della  quale il sindaco aveva approvato il progetto dell'opera
e,  soprattutto,  aveva derogato alla legislazione vigente, contenuta
nell'OPCM  n. 3259/2003,  non  comprendeva  la  tipologia delle opere
ferroviarie,  essendo limitata all'emergenza «traffico» limitata alla
viabilita' ed alla circolazione stradale;
        IV) successivamente,   con   decreto  del  15 dicembre  2004,
pubblicato  nella  G.U.R.S.  n. 31  del  23 luglio 2004, il dirigente
generale  del  Dipartimento regionale urbanistica, ai sensi e per gli
effetti  dell'art. 7  della l.r. 1° aprile 1981 n. 65, autorizzava in
variante  allo strumento urbanistico vigente del Comune di Catania il
progetto   della   R.F.I.   -   Italferr  -  relativo  ai  lavori  di
completamento  del  raddoppio Catania Ognina-Catania Centrale, di cui
alla  determina  commissariale  n. 20 del 7 luglio 2003. Avverso tale
provvedimento  i  ricorrenti  proponevano motivi aggiunti nel ricorso
n. 4541/2003  RG,  deducendo  in  ordine  ad esso, sia illegittimita'
derivata da quella del provvedimento sindacale n. 20/2003, oggetto di
ricorso,  oltre  che  violazioni  proprie dell'art. 7, l.r. 11 aprile
1981 n. 65 e O.P.C.M. n. 2359/2002;
        V) da  ultimo,  con  i provvedimenti impugnati con il ricorso
odierno, veniva pronunciata e disposta, ai sensi degli artt. 22-bis e
49   del  d.P.R.  n. 327/2001,  l'occupazione  d'urgenza  preordinata
all'espropriazione  e l'occupazione temporanea di parte dell'immobile
di proprieta' dei ricorrenti.
    Esponendo  che tale immobile verra' irrimediabilmente danneggiato
dai  lavori  in oggetto, i ricorrenti ne hanno quindi chiesto, previa
sospensione  cautelare,  l'annullamento  con il ricorso notificato in
data  10 febbraio  2006  e  depositato  il  17 febbraio  2006, per le
seguenti ragioni di diritto:
        1) illegittimita'   derivata   dalla   illegittimita'   della
dichiarazione di pubblica utilita';
        2) illegittimita' derivata dall'illegittima autorizzazione in
variante al P.R.G. del progetto approvato con provvedimento sindacale
n. 20 del 7 luglio 2003;
        3) difetto dei presupposti conseguenti al mancato adeguamento
del  progetto  dei lavori alle statuizioni disposte con provvedimento
sindacale  n. 23/2003. Contrasto tra progetto approvato con valore di
dichiarazione  di  pubblica utilita' e progetto approvato variante al
P.R.G.;
        4) Incompetenza  di  R.F.I.  relativamente  all'adozione  del
decreto di occupazione.
    I  ricorrenti  hanno  quindi  chiesto  il  risarcimento dei danni
conseguenti    all'adozione    del    provvedimento    impugnato   ed
all'esecuzione dei lavori cui esso e' preordinato.
    Si  e'  costituita l'Avvocatura di Stato, con memoria deposita il
23  febbraio  2006,  chiedendo  l'estromissione  del  Ministero delle
infrastrutture  e  dei  trasporti  dal  giudizio, non essendo rivolte
censure contro di esso.
    Nella  camera  di consiglio del 9 marzo 2006 la domanda cautelare
e' stata trattenuta per la decisione.

                            D i r i t t o

    Le   parti  ricorrenti  assumono  che  l'occupazione  di  urgenza
preordinata all'espropriazione del loro immobile sia lesiva in quanto
essenzialmente   adottata   in   deroga   alle   garanzie  di  legge,
specialmente  partecipative,  nonche'  alle  norme  urbanistiche,  in
mancanza   di  un  valido  potere.  Secondo  i  ricorrenti,  infatti,
l'esproprio  sarebbe stato ordinato da autorita' del tutto carente di
potere,  in  quanto  il  sindaco commissario delegato per l'emergenza
traffico  non  sarebbe titolato ad approvare e disporre realizzazione
di opere ferroviarie.
    I) Il  ricorso  e'  rivolto  avverso  un  provvedimento  adottato
all'esito  di  una  procedura  posta in essere dal sindaco di Catania
nell'esercizio   dei   poteri  a  questo  conferiti  in  qualita'  di
Commissario  delegato  di protezione civile per l'emergenza traffico.
Pertanto, il Collegio deve affrontare d'ufficio la questione relativa
alla  competenza  inderogabile  recentemente  attribuita al Tribunale
amministrativo regionale del Lazio per la cognizione di vicende quale
quella in esame.
    Tale  competenza  sorge per effetto della norma di cui alla legge
n. 21/2006,  pubbl.  nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 23 del 28 gennaio
2006, che, all'art. 3, per quel che qui rileva dispone: ...omissis...
«2-bis.  In  tutte  le  situazioni  di  emergenza dichiarate ai sensi
dell'articolo 5,  comma 1,  della  legge 24 febbraio 1992, n. 225, la
competenza  di  primo  grado  a  conoscere  della  legittimita' delle
ordinanze  adottate  e dei consequenziali provvedimenti commissariali
spetta  in via esclusiva, anche per l'emanazione di misure cautelari,
al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma.
    2-ter. Le   questioni   di  cui  al  comma 2-bis,  sono  rilevate
d'ufficio.  Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito
con  sentenza succintamente motivata ai sensi dell'articolo 26, della
legge  6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando
applicazione  i  commi 2 e seguenti dell'articolo 23-bis della stessa
legge.
    2-quater.  Le  norme  di  cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano
anche  ai  processi  in  corso.  L'efficacia  delle  misure cautelari
adottate  da  un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al
comma 2-bis  permane  fino  alla  loro modifica o revoca da parte del
Tribunale  amministrativo  regionale del Lazio, con sede in Roma, cui
la parte interessata puo' riproporre il ricorso».
    Osserva  il  Collegio  che  la  fattispecie  in esame e' attratta
nell'applicazione della citata legge n. 21/2006, art. 3, in quanto il
potere amministrativo posto in essere da parte del sindaco del Comune
di  Catania  e'  esercitato  come  delegato  dell'emergenza  traffico
(O.P.C.M.  3259/2002),  rientrante  nel  novero  delle  situazioni di
emergenza  dichiarate  ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge
24 febbraio  1992,  n. 225  e proprio l'esercizio di tale potere ed i
suoi  limiti  costituiscono  l'oggetto principale del ricorso poiche'
una parte nega e l'altra afferma l'esercizio del potere di protezione
civile.
    Il  collegio,  pertanto,  ritenendola  rilevante  ai  fini  della
decisione da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti
al  Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio  e non manifestamente
infondata,  solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
predetto  art. 3,  e  segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni
bis,  ter,  quater,  come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come
gia'  fatto  in  ordine  ad altra fattispecie per la cui decisione e'
venuta   in  rilievo  la  medesima  norma  (Tribunale  amministrativo
regionale Sicilia, I, ord. n. 90 del 7 marzo 2006).
    I) La  rilevanza  della  questione  ai  fini  della  decisione da
assumere e' di tutta evidenza. Il collegio sarebbe tenuto, sulla base
della    normativa   sopravvenuta   -   ove   non   dubitasse   della
incostituzionalita'   di  essa  e  quindi  non  ritenesse  necessario
investire  il  giudice  delle  leggi  della  relativa  questione  - a
trasmettere  gli  atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio, e
cio'   per  espressa  disposizione  della  nuova  disciplina  che  ne
prescrive  l'applicazione ai procedimenti pendenti e quindi anche per
il  procedimento  odierno,  trattenuto in decisione dopo l'entrata in
vigore  della disciplina in esame (la quale e' stata pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  del  23 gennaio  2006 ed e' entrata in vigore il
giorno successivo alla sua pubblicazione).
    Non  vale  a  mutare  la superiore considerazione il fatto che il
giudizio sia stato chiamato ad essere trattato in camera di consiglio
per  la  sua sola domanda cautelare, posto che la dichiarazione delle
disposizioni  in  esame  non  lascia adito a dubbi e, per effetto del
combinato  disposto  di  cui  all'art. 21  e 26 della legge Tribunale
amministrativo  regionale  ivi  richiamato, in sede della trattazione
cautelare  il  Collegio  dovrebbe  con  sentenza  breve dichiarare la
competenza  del Tribunale amministrativo regionale Lazio e concludere
il  giudizio,  salva  la  riassunzione di esso di fronte al Tribunale
amministrativo regionale competente, normativamente prevista.
    II) Circa  la  non  manifesta infondatezza e le ragioni che fanno
sospettare  le  norme  in  esame  di  incostituzionalita', osserva il
Collegio  che  la  normativa introdotta dal legislatore con l'art. 3,
comma 2,   da   bis  a  quater,  della  legge  n. 21/2006,  contrasta
innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il
principio  della articolazione su base regionale degli organi statali
di  giustizia  amministrativa  di  primo  grado  ivi espressa («Nella
regione  sono  istituiti  organi di giustizia amministrativa di primo
grado,  secondo  l'ordinamento  stabilito da legge della Repubblica»)
che  implica  il  rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di
competenza dei singoli organi predetti.
    Non  appaiono,  all'evidenza,  manifeste  o  comunque sufficienti
ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera
di  competenze  costituzionalmente  garantita  nella  materia  di cui
trattasi  quando,  come  nel  caso in esame, le singole situazioni di
emergenza   hanno   rilievo   spiccatamente  locale  con  conseguente
efficacia  locale  dei  relativi  provvedimenti adottati dai soggetti
delegati  alla  cura  delle  varie  situazioni emergenziali, anche se
(arg. ex art. 2 comma 1 lett. «c» della legge n. 225/1992, richiamato
dall'art. 5 comma 1, legge cit.) essi sono adottati per fare fronte a
situazioni   che   «per   intensita'  ed  estensione  debbono  essere
fronteggiate con mezzi e poteri straordinari».
    III) Anzi,   sotto   questo   aspetto,   la   norma  e'  altresi'
contraddittoria  ed  irrazionale  in  quanto  sottopone  al  medesimo
trattamento  processuale  situazioni  disparate  e  differenti tra di
loro.
    In questo quadro, l'art. 5, comma 1 della legge 24 febbraio 1992,
n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione
normativa,  i  casi in cui (ex art. 2, comma 1, lett. «c» della legge
n. 225/1992)   sia   necessario   fare  fronte  con  mezzi  e  poteri
straordinari  alle  calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi
che  richiedano  tale  intervento  per  intensita'  ed estensione. La
previsione  di  cui  alla  legge  n. 21/2006 radica la competenza del
Tribunale  amministrativo  regionale Lazio in tutti i casi in cui sia
dichiarato  lo  stato  di  emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5
appena  citato  e  quindi  con  esclusione  dei casi di intervento di
protezione  civile  per  gli  eventi  che  possano  essere affrontati
mediante  interventi  attuabili  dai  singoli  enti e amministrazioni
competenti  in  via  ordinaria  (art. 2  lett. «a»)  e  di quelli che
richiedano intervento coordinato di questi ultimi (art. 2 lett. «b»).
    Quindi,  il sistema della Protezione Civile e' articolato in vari
livelli  di  intervento,  contraddistinti dal corrispondente grado di
ampiezza  della  situazione  emergenziale. Sicche' per ogni tipologia
territoriale   e  «qualitativa»  della  situazione  di  emergenza  e'
chiamato ad intervenire in merito il «livello» di governo piu' vicino
alla  concreta  dimensione  delle  comunita'  colpite  e della natura
dell'emergenza,  secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e senza
escludere - funzionalmente e residualmente - che determinate funzioni
siano   «trasversali»   ossia   comprendano  le  competenze  di  piu'
amministrazioni o livelli di governo.
    A  fronte  di  questa  multiformita'  possibile di manifestazioni
concrete   dell'esercizio   del   potere,   la   regola  generale  di
ripartizione  delle  competenze  delineata  dagli  artt. 2 e ss della
legge Tribunale amministrativo regionale appresta una tutela coerente
con  l'art. 125 della Costituzione: derogando ad essa, l'art. 3 della
legge  n. 21/2006, contraddittoriamente ed immotivatamente assegna ex
lege   rilevanza   nazionale   a   qualsiasi   controversia   insorga
nell'esercizio  del  potere  di  protezione civile, facendo leva solo
sulla  necessita'  che  esso presupponga l'intervento extra ordinem e
quindi  a dispetto dell'articolazione del potere previsto dalla legge
n. 225/1992,  posto  che assegna la competenza funzionale a conoscere
delle  relative questioni al Tribunale amministrativo regionale Lazio
(e  quindi  spinge  l'interprete  a dover ritenere che il legislatore
abbia  cristallizzato  una  valutazione  di  rilevanza  nazionale  di
qualsiasi   questione,   inerente   la  Protezione  Civile,  richieda
interventi extra ordinem).
    Appare  utile  rilevare,  in  questa sede, come la giurisprudenza
della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che:
        con  l'articolo 5  della legge n. 225 del 1992, e' attribuito
al  Consiglio  dei  ministri  il  potere  di  dichiarare  lo stato di
emergenza  in  ipotesi  di  calamita'  naturali,  ed  a seguito della
dichiarazione  di  emergenza,  e  per  fare fronte ad essa, lo stesso
Presidente  del  Consiglio dei ministri o, su sua delega, il Ministro
dell'interno   possano   adottare   ordinanze   in   deroga  ad  ogni
disposizione    vigente,   nel   rispetto   dei   principi   generali
dell'ordinamento giuridico;
        l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo
31   marzo   1998,   n. 112   (Conferimento  di  funzioni  e  compiti
amministrativi  dello  Stato  alle  regioni  ed  agli enti locali, in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta,
chiarisce  che  tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che
il   riconoscimento   di   poteri  straordinari  e  derogatori  della
legislazione vigente possa avvenire da parte di una legge regionale.
        queste  ultime  due  previsioni,  inoltre,  sono  gia'  state
ritenute  dalla  Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come
espressive   di   un   principio  fondamentale  della  materia  della
protezione  civile,  sicche'  deve  ritenersi  che esse delimitino il
potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze
legislative  delineato  dalla  legge costituzionale 18 ottobre. 2001,
n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione).
    Alla  luce  di  quanto  sopra  ricordato,  la Corte ha dichiarato
illegittimo l'articolo 4, comma 4, della legge della Regione Campania
n. 8  del  2004, nella misura in cui essa ha attribuito al sindaco di
Napoli  i  poteri  commissariali  dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del
Ministro  dell'interno,  dopo  la  scadenza  della emergenza alla cui
soluzione  tale ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto con
l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (Corte cost. n. 82/2005).
    Tale   ragionamento   comporta   che,  in  relazione  alla  legge
n. 225/1992   ed   all'art. 107,   comma 1,  lettere b  e  c)  d.lgs.
n. 112/1998,  possiedono  rilievo  nazionale «solamente» il potere di
dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure
ad    esso   finalisticamente   connesso,   di   derogare   a   norme
dell'ordinamento.
    Ne  consegue  dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame
e'  irragionevole  per contraddittorieta' e disparita' di trattamento
processuale,  poiche'  utilizza  lo stesso trattamento per situazioni
del  tutto  differenti  quanto  ad  ambito  territoriale  e livello e
qualita'  degli  interessi  pubblici coinvolti, nonche' per contrasto
con  l'art. 117  della  Costituzione, poiche' implicitamente, finisce
per  attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla
competenza regionale.
    IV) Ancora,  l'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto
ove,  come  nella  specie, esso non sia giustificato da una effettiva
natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei
provvedimenti  sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale
amministrativo   regionale   Lazio,   comporta   indubbia  violazione
dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di
tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi enunciata al primo comma;
detta   tutela   ne   risulta  minorata,  per  la  evidente  maggiore
difficolta'  di  esercitare  le  relative  azioni presso il Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio piuttosto che presso gli organi
giurisdizionali  localmente  istituiti.  Cio'  vale  sia  per la fase
transitoria  in  cui  i  giudizi  pendenti  trasmigrano  al Tribunale
amministrativo   regionale   del  Lazio,  sia  per  le  future  nuove
controversie  che  secondo  la  nuova  normativa dovrebbero essere ab
initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale
    La  Corte  ha  ritenuto,  in  un caso in cui il legislatore aveva
disposto  l'estinzione  ope legis di giudizi pendenti (art. 10, comma
primo,  legge  n. 425/1984),  che  siffatta  disposizione,  in quanto
«preclude   al   giudice  la  decisione  di  merito  imponendogli  di
dichiarare  d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi
stato  e  grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge
sopravvenuta»,  percio'  stesso  «viola  il valore costituzionale del
diritto  di  agire,  in quanto implicante il diritto del cittadino ad
ottenere  una  decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte
costituzionale, sentenza n. 123 del 1987).
    Sebbene  la  fattispecie  in  esame sia diversa da quella oggetto
della   citata  pronuncia,  il  principio  tuttavia,  ad  avviso  del
Collegio,  e' nello stesso modo applicabile. Accade infatti, nel caso
presente,  che  chi  abbia  gia'  un  giudizio  pendente  davanti  al
Tribunale  amministrativo  regionale  locale,  ed  addirittura  abbia
ottenuto  una  decisione  cautelare,  debba  proseguire altrove nella
propria  iniziativa  giudiziaria,  addirittura  (se  ne parlera' piu'
diffusamente  infra)  rimanendo  esposto  ad  una  seconda  pronuncia
cautelare  sollecitata  dalla  parte  soccombente  davanti al giudice
adito prima dell'entrata in vigore della legge in questione.
    V) Altro  profilo  di  incostituzionalita' va ravvisato, inoltre,
nella violazione del principio del giudice naturale precostituito per
legge, di cui all'art. 25 della Costituzione. La norma costituzionale
ora  citata, stabilendo che «nessuno puo' essere distolto dal giudice
naturale  precostituito  per  legge»,  esclude,  come la stessa Corte
costituzionale  afferma,  «che vi possa essere una designazione tanto
da  parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole
generali,  quanto  da  altri  soggetti,  dopo che la controversia sia
insorta (sentenze n. 419 del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967»;
il principio e' in tali termini, e con tali citazioni dei precedenti,
richiamato nella sentenza della Corte n. 393 del 2002). Come la Corte
ha  insegnato,  perche'  tale principio possa considerarsi rispettato
occorre  che  «... la  regola  di  competenza sia prefissata rispetto
all'insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003); e basta
scorrere  le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia
di  principio  del  giudice  naturale  per rilevare che e' proprio la
preesistenza  della  regola  che  individua la competenza rispetto al
giudizio  il  criterio  fondamentale  in  base  al  quale  sono state
valutate le questioni sollevate.
    Tale  profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente,
ad  avviso  del  Collegio,  nella parte della disciplina in questione
(comma 2-quater),  che non solo ne dispone l'applicazione ai processi
pendenti,  ma  addirittura  consente  una  riforma  dei provvedimenti
assunti, in sede cautelare, in tali giudizi pendenti, e cio' ad opera
di  un  organo  giurisdizionale  pariordinato a quelli di provenienza
(trattasi   di   giudici   tutti   di   primo   grado,  il  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio non essendo un «super-Tribunale
amministrativo regionale»).
    Cosi'  facendo,  in  sostanza,  il  legislatore  ha introdotto un
rimedio  inedito,  che  non  e'  di  secondo  grado e che finisce per
costituire  un  doppione  del  gia' espletato giudizio (cautelare) di
primo  grado, senza alcuna possibilita' di inquadramento tra i rimedi
noti e tipizzati (appello, revocazione, reclamo).
    Pertanto,  anche  l'art. 25  della  Carta  costituzionale risulta
vulnerato  dalla  normativa  denunciata  dal  collegio;  e se ne trae
conferma  da  una  recente decisione della Corte costituzionale, che,
sebbene  in  relazione a disciplina totalmente diversa, ha avuto modo
di  affermare un principio generale, che e' quello della appartenenza
della  competenza  territoriale  alla  nozione  del  giudice naturale
precostituito  per  legge.  Precisamente,  la sentenza n. 41 del 2006
afferma,  anzi, ribadisce (come testualmente essa si esprime, citando
sentenze  precedenti  in  termini),  che  «alla  nozione  del giudice
naturale   precostituito  per  legge  non  e'  affatto  estranea  "la
ripartizione  della  competenza  territoriale tra giudici, dettata da
normativa   nel   tempo  anteriore  alla  istituzione  del  giudizio"
(sentenze n. 251 del 1986 e n. 410 del 2005)».
    Per  altro,  atteso che il principio del doppio grado di giudizio
nella  giustizia amministrativa, sia in sede cautelare sia in sede di
merito,  riceve  garanzia  costituzionale  dall'art. 125  della Carta
(cfr. Corte cost., sentenza n. 8 del 1982), si configura un ulteriore
profilo  di  violazione  di  detta  norma.  Viene  infatti  ad essere
introdotto, per le controversie pendenti, un anomalo percorso (su cui
gia'   il   Collegio  ha  poco  prima  espresso  i  propri  dubbi  di
incostituzionalita)  che  stravolge  l'ordinario iter giudiziario. La
regola  e'  che  ad  un  giudizio  di primo grado segua, ove la parte
soccombente  appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si tratti
di  giudizio  cautelare,  sia  che  si  tratti di giudizio di merito;
giammai  e'  prevista  una  doppia  pronuncia sulla stessa materia da
parte  di due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato
a riformare la decisione del primo giudice.
    Orbene,  ad  avviso  del  collegio,  siffatta  disciplina integra
altresi'  violazione  del  principio  del  «giusto  processo», di cui
all'art. 111, comma primo, della medesima Carta («La giurisdizione si
attua  mediante il giusto processo regolato dalla legge»). Sempre con
riferimento  ai  processi pendenti, infatti, la parte soccombente nel
giudizio  cautelare  verrebbe  ad  essere  fornita  di  uno strumento
giurisdizionale  anomalo e atipico a tutela della propria (legittima,
ma  da  esercitare  in  modi  conformi  ai  principi  costituzionali)
aspirazione  ad  ottenere  una  pronuncia favorevole in secondo grado
(che  deve  tuttavia essere un vero giudizio di secondo grado, e non,
si ribadisce, un inedito duplicato del giudizio di primo grado).
    Cio' comporterebbe altresi' una evidente violazione del principio
del  ne bis in idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla
Carta costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale
principio del «giusto processo» teste' richiamato.
    VI) Da  ultimo,  secondo  un  aspetto  diverso  che si riconnette
ancora  al  tema  del  giudice  naturale,  la  norma  in  esame viola
l'art. 23  dello  Statuto della Regione Sicilia (legge costituzionale
n. 2   del   26 febbraio   1948)  a  norma  del  quale:  «Gli  organi
giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per
gli  affari concernenti la regione. Le Sezioni del Consiglio di Stato
e   della   Corte   dei   conti  svolgeranno  altresi'  le  funzioni,
rispettivamente,   consultive   e   di   controllo  amministrativo  e
contabile.  I  magistrati  della  Corte  dei  conti sono nominati, di
accordo,   dai  Governi  dello  Stato  e  della  regione.  I  ricorsi
amministrativi,   avanzati   in   linea   straordinaria  contro  atti
amministrativi regionali, saranno decisi dal presidente della regione
sentite  le  sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e'
stata  «interpretata»  dell'art. 5  del  d.lgs. 6 maggio 1948 n. 654,
contenente   norme   per  l'esercizio  delle  funzioni  spettanti  al
Consiglio  di  Stato  nella  Regione Sicilia, il quale prevede che il
Consiglio  di Giustizia esercita le attribuzioni devolute dalla legge
al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei confronti di atti e
provvedimenti  definitivi  «dell'amministrazione  regionale  e  delle
altre  autorita'  amministrative  aventi  sede  nel  territorio della
regione».
    Osserva  il  Collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost.
in   data   12   marzo   1975   n. 61,  dichiarando  l'illegittimita'
costituzionale  delle limitazioni poste dall'art. 40 legge 6 dicembre
1971  n. 1034  alla competenza del Tribunale amministrativo regionale
Sicilia,  e'  stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite
tutte   le   controversie   d'interesse  regionale  considerate  tali
dall'art. 23,  comma 1, d.l. 15 maggio 1946 n. 455, comprendendosi in
tale   categoria  le  controversie  sorte  da  impugnazione  di  atti
amministrativi  di  autorita'  centrali  aventi  effetti  limitati al
territorio   regionale  ovvero  concernenti  pubblici  dipendenti  in
servizio   nella   Regione   Siciliana»  (Consiglio  Stato,  sez. VI,
26 luglio 1979, n. 595).
    Quindi  la  legge  n. 21/2006,  in  esame,  e' costituzionalmente
illegittima  anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23
dello  Statuto  regionale,  sia nella sua formulazione letterale, che
nella   interpretazione   pacifica   che   di  esso  ha  maturato  la
giurisprudenza,   anche   costituzionale,  riserva  al  Consiglio  di
Giustizia   Amministrativa   ed   in   primo   grado   al   Tribunale
amministrativo  regionale Sicilia, la competenza a conoscere circa le
controversie   sorte   da  impugnazione  di  atti  amministrativi  di
autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale.
    VII) Per  tutte  le  esposte  considerazioni,  deve sollevarsi la
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis,
comma 2-ter,  comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli
artt. 3,  125,  24  e  25  della  Costituzione  e  per  contrasto con
l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia.
    Deve  pertanto  essere  disposta  la trasmissione degli atti alla
Corte  costituzionale  per  la  decisione della predetta questione di
legittimita' costituzionale, sospendendosi il giudizio instaurato con
il  ricorso  in  epigrafe, fino alla restituzione degli atti da parte
della medesima Corte.