ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  deliberazione della Camera dei deputati del
4 febbraio    2004   relativa   alla   insindacabilita',   ai   sensi
dell'art. 68,   comma   primo,  della  Costituzione,  delle  opinioni
espresse  dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Manlio
Mele,  promosso  con  ricorso  della  Corte di appello di Palermo - I
sezione   penale,   notificato  il  10 gennaio  2005,  depositato  in
cancelleria il successivo 25 gennaio ed iscritto al n. 4 del registro
conflitti 2005.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  9 gennaio  2007  il  giudice
relatore Paolo Maddalena;
    Udito l'avvocato Roberto Nania per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Nell'ambito del giudizio d'appello avverso la sentenza del
7 ottobre  2002  del  Tribunale  di  Palermo  recante la condanna del
deputato  Vittorio  Sgarbi  alla  pena di euro 500,00 di multa per il
delitto  di  diffamazione  commesso  nei confronti di Manlio Mele, la
Corte  di  appello  di  Palermo  -  I  sezione  penale,  con  ricorso
depositato  il 16 giugno 2004, ha sollevato conflitto di attribuzione
fra poteri dello Stato a seguito della deliberazione della Camera dei
deputati  del  4 febbraio  2004  (doc.  IV-quater,  n. 60),  con  cui
l'Assemblea  ha dichiarato che i fatti per i quali il deputato Sgarbi
e'  sottoposto  a  procedimento  penale  concernono opinioni espresse
nell'esercizio delle funzioni di parlamentare, ai sensi dell'art. 68,
primo comma, della Costituzione.
    La  vicenda  trae  origine  da  talune dichiarazioni rese in data
12 marzo  1997  dal  deputato  Sgarbi  nel  corso  della trasmissione
televisiva  «Sgarbi  quotidiani»,  contenenti opinioni critiche su di
una  vicenda  che  aveva investito la citta' di Terrasini e sul ruolo
avuto dal sindaco di quel comune, Mele, e dall'ex sindaco di Palermo,
Orlando.
    Riferisce il giudice confliggente che in quelle dichiarazioni, in
particolare   nell'affermazione   che  a  Terrasini  «c'e'  stato  un
referendum, non ho capito poi perche', se non perche' la mafia c'e' e
sappiamo  da  che  parte  sta,  non  si e' stabilito di cacciare quel
sindaco»,  il Tribunale aveva colto l'accusa, mossa al Mele, di avere
goduto dell'appoggio della mafia di Terrasini - cittadina della quale
egli  era  sindaco  -  in occasione del referendum elettorale che, ai
sensi  della  normativa all'epoca vigente nella Regione Siciliana, lo
aveva  visto  contrapposto  al  consiglio comunale in conseguenza del
voto di sfiducia espresso da quell'organo nei suoi confronti.
    Rileva  ancora  il  ricorrente  che  altra  parte  del monologo -
concernente  l'accostamento  logico,  operato  dal  deputato,  tra le
accuse  rivolte  dall'ex  sindaco  di  Palermo e dallo stesso Mele al
comandante  della  stazione  carabinieri  di  Terrasini,  maresciallo
Antonino Lombardo, e il suicidio di quest'ultimo - era stata ritenuta
dal  Tribunale,  ad  onta  dell'asprezza dei toni, priva di rilevanza
penale,  per  la  sussistenza  del legittimo esercizio del diritto di
critica.
    Ad  avviso della Corte di appello, la Camera dei deputati, con la
deliberazione assunta, avrebbe esercitato illegittimamente il proprio
potere,   avendo  arbitrariamente  affermato  la  sussistenza  di  un
collegamento funzionale tra le espressioni gia' ritenute diffamatorie
dal  Tribunale  di  Palermo  e  l'attivita' parlamentare del deputato
Sgarbi.
    Sostiene  la  Corte  di  appello  che  le  frasi  pronunciate dal
deputato,   alla  stregua  di  un'interpretazione  costituzionalmente
orientata  dall'art. 3,  comma 1,  della legge 20 giugno 2003, n. 140
(sentenza  n. 140  del  2003),  non sarebbero in alcun modo collegate
all'esercizio della funzione parlamentare.
    Difatti,   la   prerogativa   costituzionale   tutela  unicamente
l'indipendente  svolgimento  delle attivita' proprie del parlamentare
(all'interno   o   all'esterno  del  parlamento)  e  quelle  ed  esse
strettamente  connesse,  come  accade  nel  caso  di  divulgazione al
pubblico  dell'attivita'  gia'  svolta  in sede istituzionale. A tale
riguardo,  il  giudice  ricorrente richiama le sentenze n. 10 e n. 11
del  2000  di  questa  Corte,  relative  al nesso funzionale che deve
intercorrere  tra  le opinioni espresse e l'attivita' parlamentare, e
rileva  come  nel  caso di specie non possa ravvisarsi alcun nesso di
tal   genere,  tanto  piu'  che  le  dichiarazioni  sono  state  rese
nell'ambito  di una trasmissione televisiva condotta dal parlamentare
senza alcun collegamento con l'attivita' istituzionale dello stesso e
senza  che  queste  rappresentino una divulgazione all'esterno di una
opinione gia' espressa dall'interessato nell'esercizio delle funzioni
parlamentari  tipiche. In particolare, l'accostamento tra gli atti di
iniziativa  parlamentare  -  peraltro  non  promananti  dal  deputato
Sgarbi,  ma da altri parlamentari (segnatamente, l'interrogazione del
deputato  Silvio  Lotta, presentata alla Camera il 9 febbraio 1995) -
concernenti   l'agire  del  Mele  come  sindaco  (tacciato  di  avere
suscitato  allarmi  con  denunce non verificate di intimidazioni alla
sua  persona  e  di  non  essere  stato  alieno  da favoritismi) e la
adombrata   mafiosita'  dello  stesso  Mele,  all'origine  della  sua
affermazione referendaria, sarebbe, ad avviso della Corte di appello,
forzato,  se  non addirittura del tutto arbitrario. In definitiva, le
affermazioni  del  deputato Sgarbi costituirebbero meri apprezzamenti
personali,  soggetti  al  diritto  comune  ed  ai comuni limiti della
liberta'  di  manifestazione  del  pensiero, essendo da escludere che
esse   si   pongano   in  rapporto  di  continuita'  con  l'attivita'
parlamentare propriamente detta.
    Di   qui   il  sollevato  conflitto,  vertendosi  in  materia  di
interferenza  dell'esercizio  del  potere  conferito  alla Camera dei
deputati   dall'art. 68,   primo   comma,  della  Costituzione  nelle
attribuzioni   dell'autorita'   giudiziaria,   previste  e  garantite
dall'art. 102 della Costituzione.
    2.  -  Con  ordinanza  n. 446 del 2004, depositata il 29 dicembre
2004,  questa  Corte  ha dichiarato ammissibile il conflitto proposto
dalla Corte di appello di Palermo - I sezione penale.
    L'ordinanza  di  ammissibilita', unitamente all'atto introduttivo
del  giudizio, e' stata notificata il 10 gennaio 2005. Il conseguente
deposito e' stato effettuato il 25 gennaio 2005.
    3.  -  Nel  giudizio  si  e'  costituita  la Camera dei deputati,
depositando  documenti  e  svolgendo  deduzioni,  a conclusione delle
quali  ha  chiesto che la Corte dichiari il conflitto inammissibile o
improcedibile,  e  in  subordine rigetti il ricorso per infondatezza,
dichiarando  che  spettava  alla  Camera  dei  deputati  il potere di
affermare  l'insindacabilita',  ai  sensi  dell'art. 68, primo comma,
della  Costituzione, in relazione alle opinioni espresse dal deputato
Vittorio  Sgarbi,  secondo  quanto  deliberato  dall'Assemblea  nella
seduta del 4 febbraio 2004.
    3.1.  - Il ricorso sarebbe inammissibile o improcedibile, perche'
l'atto   introduttivo   sarebbe   carente   sotto  il  profilo  della
prospettazione    del    thema    decidendum,    adempimento   questo
indispensabile  ai  fini  della valida instaurazione del giudizio sul
conflitto di attribuzione.
    Nel  caso  di  specie,  il giudice ricorrente - osserva la difesa
della  Camera  -  riporta, in sede di esposizione del fatto, l'intera
dichiarazione  resa dal deputato nella vicenda (peraltro, mediante la
mera  riproduzione  della relativa querela). A cio' segue, sempre nel
fatto,  «una  impervia ricostruzione» del contenuto della sentenza di
primo  grado da cui si dovrebbe trarre che soltanto una parte di tale
dichiarazione  sarebbe  ancora  sub  iudice,  ossia la parte a cui la
sentenza  stessa  ha ritenuto di negare il carattere di esercizio del
diritto  di  critica  nei  termini  riassunti dal giudice ricorrente.
Segue poi, stavolta nella motivazione in diritto, una mera formula di
rinvio mediante la quale il ricorrente, ai fini della identificazione
delle  dichiarazioni  contestate  in  sede di conflitto, si limita ad
evocare  le  «espressioni gia' ritenute diffamatorie dal Tribunale di
Palermo».
    In  questo  contesto,  ad  avviso  della Camera dei deputati, non
sarebbe  dato reperire una specifica ed autonoma indicazione da parte
del  giudice che ha elevato il conflitto in ordine alle frasi oggetto
della controversia in punto di insindacabilita'.
    3.2.    -   Nel   merito,   la   resistente   critica   anzitutto
l'affermazione,  esposta  nell'atto  introduttivo, secondo cui la non
operativita'  della  garanzia  costituzionale discenderebbe dal fatto
che  nella specie le dichiarazioni rese vennero formulate nell'ambito
della   trasmissione   «Sgarbi   Quotidiani»   gestita  dall'imputato
nell'ambito  di  un rapporto di prestazione d'opera professionale con
una  emittente  privata  e  senza  alcun  dichiarato collegamento con
l'attivita'  parlamentare,  essendo da escludersi che un qualsivoglia
impegno  contrattuale riguardante l'attivita' lavorativa del deputato
possa   comportare   di  per  se'  la  dismissione  dello  status  di
parlamentare e delle garanzie che vi si accompagnano.
    Del  resto,  la  giurisprudenza costituzionale, anche nel caso di
opinioni  espresse  mediante  il  mezzo televisivo e nel quadro di un
rapporto di tipo contrattuale, ha sempre operato il proprio scrutinio
secondo i canoni consueti relativi alla riconducibilita' o meno delle
opinioni  espresse  all'attivita' politico-parlamentare del deputato:
con cio' mostrando implicitamente, ma in modo inequivoco, di ritenere
che    il    nesso   tra   le   opinioni   espresse   e   l'attivita'
politico-parlamentare   non  venga  infranto  ut  sic  dal  ruolo  di
conduttore  televisivo  svolto  da chi quelle medesime opinioni abbia
ritenuto di esprimere (sentenze n. 58 del 2000 e n. 289 del 2001).
    Inoltre  -  si  afferma  -  il  giudizio in punto di applicazione
dell'art. 68,  primo  comma,  Cost. concerne la oggettiva sussistenza
dei   presupposti   che   determinano  l'attivazione  della  garanzia
medesima,  ne' risulta che tra detti presupposti rientri l'onere, che
e'  prefigurato  dal  ricorrente  a  carico  del deputato, di rendere
simultaneamente  l'anzidetta  dichiarazione  in  ordine  al  rapporto
esistente tra le opinioni e la propria attivita' parlamentare.
    Ad   avviso  della  Camera,  le  opinioni  in  oggetto  sarebbero
assistite  dalla  garanzia  di  cui  all'art. 68,  primo comma, della
Costituzione.
    Invero,  relativamente  alle  vicende  che  hanno  interessato la
posizione  del  sindaco  di  Terrasini,  le affermazioni del deputato
Sgarbi  non  sarebbero  in  alcun  modo  scindibili dalla complessiva
opinione   espressa   dal  deputato  medesimo:  opinione  chiaramente
incentrata  sulla  drammatica  fine del comandante della stazione dei
carabinieri di Terrasini, maresciallo Antonino Lombardo, sul contesto
in  cui  essa  si  e' consumata, e sulle responsabilita' a suo avviso
ravvisabili.  D'altro canto, sarebbe da dubitare, persino in punto di
ammissibilita'   del   ricorso,  che  il  conflitto  di  attribuzione
concernente   l'applicazione   dell'art. 68,   primo   comma,   della
Costituzione  possa  riguardare  non  gia'  l'opinione  espressa  dal
deputato,  ossia  il  contenuto  di  pensiero deducibile dall'insieme
delle   formulazioni   linguistiche   che   entrano   a  comporre  la
dichiarazione  effettuata  dal  deputato medesimo, bensi' frammenti o
singole parole scorporati dall'insieme della dichiarazione e che solo
in tale contesto sono idonei ad integrare gli estremi di un'opinione.
    Le   opinioni   in   proposito   espresse  dal  deputato  Sgarbi,
unitariamente  considerate, troverebbero puntuale riscontro nella sua
attivita'  parlamentare,  anche con riguardo alla costante attenzione
posta  in  essere  nei  confronti  del  fenomeno  mafioso. Varrebbe a
confermarlo,  tra  l'altro,  la  relazione  allegata alla proposta di
legge  n. 2296,  presentata  alla  Camera  in  data 24 settembre 1996
(cofirmatario  il  deputato  Sgarbi),  recante  «Istituzione  di  una
commissione  parlamentare  d'inchiesta  sulla condizione di legalita'
nell'uso  dei  poteri  dello  Stato  in  relazione alle garanzie e ai
diritti  costituzionali dei cittadini»: qui infatti sarebbe esplicito
il  riferimento  al  «suicidio  del  maresciallo Lombardo dei ROS» ed
all'esigenza di fronteggiare il venir meno, stando ancora alla citata
relazione,    della    «trasparenza    della   legittimazione   delle
istituzioni». Vengono richiamati, inoltre, le interrogazioni avanzate
dal  deputato  Sgarbi  n. 4/08683  del  21 marzo 1995, n. 3/01624 del
28 ottobre   1997,  n. 3/00803  del  10 marzo  1993,  n. 4/00730  del
19 maggio  1994,  nonche'  l'intervento del medesimo deputato in aula
nella  seduta  del  17 marzo  1998,  dove,  nel  riferire,  facendolo
proprio,  il  contenuto  di  una  missiva ricevuta, si torna con toni
fortemente  critici sul tragico epilogo che ha riguardato il nominato
maresciallo  dei  carabinieri  di  Terrasini  e sulle responsabilita'
morali a suo giudizio individuabili.
    La  difesa  della  Camera  evidenza inoltre come la situazione di
Terrasini,  anche  in  ragione  della  risonanza  avuta nell'opinione
pubblica  e  delle  preoccupazioni suscitate, e' stata oggetto di una
molteplicita'  di  atti  ispettivi.  Essa  richiama  i  seguenti atti
ispettivi:  le  interpellanze  in  Senato n. 2/00223 del 7 marzo 1995
(Scalone) e n. 2/00225 dell'8 marzo 1995 (Rosso e altri), alla Camera
n. 2/00428  del  10 marzo  1995  (Tatarella  e Gasparri) e n. 2/00452
dell'11 aprile   1995   (Simeone);   le  interrogazioni  alla  Camera
n. 3/00468 del 7 marzo 1995 (Moioli Vigano' ed altri), n. 3/00482 del
9 marzo  1995  (Gasparri),  n. 3/00547  del  22 marzo 1995 (Scalone),
n. 4/17855  del  17 gennaio  1996  (Gasparri-Fragala), n. 3/01718 del
24 novembre   1997   (Maiolo),   n. 3/01907   del   28 gennaio   1998
(Gasparri-Foti),  nonche'  le interrogazioni in Senato n. 3/00514 del
7 marzo 1995 (La Loggia e altri), n. 3/00516 del 7 marzo 1995 (Pace),
n. 3/00547  del 22 marzo 1995 (Scalone), n. 4/03606 dell'8 marzo 1995
(De  Notaris),  n. 4/04930  del 26 giugno 1995 (Pace), n. 4/07723 del
24 settembre 1997 (Novi).
    La  difesa  della  Camera  ricorda  che  la  stessa posizione del
sindaco  di  Terrasini - con specifico riferimento alla questione dei
tormentati  rapporti  con il consiglio comunale (che ha messo capo al
successivo  referendum)  -  e'  stata assunta ad oggetto di attivita'
ispettiva.  Si  richiama  l'interrogazione  n. 3/00430 del 9 febbraio
1995,  presentatori  il  deputato  Liotta  e  altri,  dove  risultano
stigmatizzati,  nella  prospettiva critica degli interroganti, taluni
comportamenti  tenuti  dal  sindaco  di  Terrasini  nei confronti del
consiglio comunale nonostante che tale organo si fosse segnalato «fin
dal  giorno  del  suo  insediamento per un impegno fattivo e costante
contro  la  mafia  e  contro ogni tipo di condizionamento, come fanno
fede le delibere assunte, quasi sempre disattese dall'amministrazione
comunale»;  nella  menzionata  interrogazione non si esita altresi' a
parlare   di   condotte,   sempre   nell'avviso  degli  interroganti,
penalmente  rilevanti,  sino  a  chiedere  di  «accertare se esistono
atteggiamenti  intimidatori  del sindaco di Terrasini Manlio Mele nei
confronti   del   consiglio   comunale   per   impedirne  l'attivita'
istituzionale».
    Erroneamente   il  giudice  confliggente  avrebbe  ritenuto  tale
interrogazione    non    conferente   rispetto   alle   dichiarazioni
incriminate,  dato  che  le  valutazioni  avanzate  in sede ispettiva
sarebbero  coincidenti  con  le dichiarazioni del deputato Sgarbi. La
netta  convergenza  di  contenuto,  e  conseguentemente  il carattere
meramente  divulgativo  delle  dichiarazioni in oggetto, indurrebbe a
ritenere   che   nella  specie  non  possa  ritenersi  preclusivo  al
riconoscimento   del  requisito  della  connessione  con  l'attivita'
parlamentare  quanto  affermato  nella  sentenza  n. 347  del 2004 in
ordine   alla   inutilizzabilita'  allo  scopo  degli  atti  che  non
provengano  dallo  stesso  deputato dichiarante: e questo soprattutto
alla  stregua  dell'art. 3, comma 1, della legge n. 140 del 2003, che
indica  espressamente la «divulgazione» quale attivita' coperta dalla
garanzia costituzionale della insindacabilita'.
    4.  -  In  prossimita'  dell'udienza,  la  Camera dei deputati ha
depositato una memoria illustrativa.
    Con  essa  si  ribadisce  l'eccezione  di inammissibilita' per la
difficolta' di identificare con esattezza l'opinione extra moenia del
deputato  oggetto  del conflitto, posto che la relativa dichiarazione
si  dovrebbe  ricavare  in definitiva ob relationem dalla sentenza di
primo  grado,  in  violazione  della  regola  di  autosufficienza del
ricorso  introduttivo.  L'incertezza  nella  identificazione  sarebbe
aggravata  dalla  circostanza che il ricorso riproduce un brano della
relativa  querela,  senza  che  ne  venga  adeguatamente rimarcata la
distinzione rispetto alle frasi incriminate.
    La  difesa  della  Camera rileva inoltre come la dichiarazione su
cui il conflitto dovrebbe vertere non sarebbe considerata dal giudice
ricorrente nella sua oggettivita', giacche' le frasi sono riportate o
congiuntamente  alla  lettura,  evidentemente  unilaterale, che delle
stesse  e'  stata  data  in  sede  di querela, o con riferimento alle
valutazioni  espresse dalla sentenza di primo grado. Ci troveremmo di
fronte  ad  una anomala prospettazione del thema decidendum, la quale
dovrebbe ricadere nella medesima ratio decidendi della sentenza n. 79
del  2005,  che  ha  dichiarato  l'inammissibilita' di un ricorso per
conflitto  nel  quale  vi  era  stata  una  sostituzione  delle frasi
pronunciate  dal  parlamentare con una libera rielaborazione ad opera
dell'autorita' giudiziaria ricorrente.
    Nel  merito, la difesa della Camera osserva che la verifica della
appartenenza  delle  opinioni  espresse  dal deputato Sgarbi al campo
dell'insindacabilita'  debba  investire  la  frase  pronunciata nella
compiutezza  espositiva che ad essa e' propria, ancorche' soltanto su
di un suo frammento verta il conflitto di attribuzione.
    E  proprio  con riferimento alla vicenda del maresciallo Lombardo
sussisterebbe  il nesso funzionale tra le opinioni rese all'esterno e
l'attivita' parlamentare.
    La  difesa  della  Camera richiama anche gli atti tipici di altri
parlamentari  (in  particolare, l'interrogazione del deputato Liotta)
che hanno investito la situazione del comune di Terrasini e la stessa
posizione  assunta  dal  sindaco  di  quel  comune.  Nella memoria si
ricorda  che  l'orientamento  della giurisprudenza di questa Corte e'
nel  senso della inutilizzabilita', ai fini della dimostrazione della
sussistenza  del  nesso  con l'attivita' parlamentare, degli atti che
non  provengano  dallo stesso autore delle dichiarazioni. Al riguardo
si  osserva  tuttavia che questo criterio di ordine generale dovrebbe
comunque   bilanciarsi   con   le  specifiche  caratteristiche  della
fattispecie  e  che  quando,  come nella specie, la coincidenza delle
opinioni  esterne  con  l'atto  tipico di un diverso parlamentare sia
addirittura  puntuale,  cio'  dovrebbe  comportare  che  le  opinioni
esterne  assumano  una  funzione  marcatamente  divulgativa.  E  - si
sostiene  -  la  dichiarazione  divulgativa  non  sarebbe confinabile
esclusivamente  nella  dimensione  politica,  ma potrebbe, in ragione
della  particolare  intensita' che il nesso di collegamento assume in
simili  casi,  legittimare  l'ascrizione  delle dichiarazioni esterne
divulgative  al  campo  prettamente  parlamentare,  con l'attivazione
della  relativa  garanzia di cui e' titolare il deputato autore delle
dichiarazioni stesse.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Corte  di  appello  di Palermo - I sezione penale, con
ricorso  depositato  il  16  giugno 2004,  ha  sollevato conflitto di
attribuzione  fra  poteri  dello  Stato a seguito della deliberazione
della  Camera  dei  deputati  del  4 febbraio  2004  (doc. IV-quater,
n. 60),  con cui l'Assemblea ha dichiarato che i fatti per i quali il
deputato   Vittorio   Sgarbi  e'  sottoposto  a  procedimento  penale
concernono   opinioni   espresse  nell'esercizio  delle  funzioni  di
parlamentare, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Ad  avviso della Corte di appello, la Camera dei deputati, con la
deliberazione assunta, avrebbe esercitato illegittimamente il proprio
potere,  avendo  arbitrariamente  qualificato  come  esercizio  della
funzione parlamentare le dichiarazioni rese in data 12 marzo 1997 dal
deputato  Sgarbi  nel  corso  della  trasmissione  televisiva «Sgarbi
quotidiani».
    Riferisce la Corte di appello ricorrente che, nel corso di quella
trasmissione  televisiva,  il deputato Sgarbi, riferendosi al sindaco
del  comune  di Terrasini, Manlio Mele, aveva affermato che in quella
citta'  «c'e'  stato un referendum, non ho capito poi perche', se non
perche'  la  mafia  c'e'  e  sappiamo  da  che  parte  sta, non si e'
stabilito  di  cacciare quel sindaco», e che in cio' il Tribunale, in
primo  grado,  pervenendo  ad  una pronuncia di condanna, aveva colto
l'accusa, mossa al Mele, di avere goduto dell'appoggio della mafia di
Terrasini  in  occasione del referendum elettorale che lo aveva visto
contrapposto  al  consiglio  comunale  in  conseguenza  del  voto  di
sfiducia espresso da quell'organo nei suoi confronti.
    Secondo  la  Corte  di  appello,  immotivatamente  sarebbe  stato
ritenuto  sussistente il collegamento funzionale di tali affermazioni
con  l'attivita' parlamentare del deputato Sgarbi, considerato che la
prerogativa  costituzionale  dell'insindacabilita'  tutela unicamente
l'indipendente  svolgimento  delle attivita' proprie del parlamentare
(all'interno   o   all'esterno  del  parlamento)  e  quelle  ad  esse
strettamente  connesse,  come  accade  nel  caso  di  divulgazione al
pubblico dell'attivita' gia' svolta in sede istituzionale.
    Di   qui   il  sollevato  conflitto,  vertendosi  in  materia  di
interferenza  dell'esercizio  del  potere  conferito  alla Camera dei
deputati   dall'art. 68,   primo   comma,  della  Costituzione  nelle
attribuzioni   dell'autorita'   giudiziaria,   previste  e  garantite
dall'art. 102 della Costituzione.
    2. - Preliminarmente, deve essere confermata l'ammissibilita' del
conflitto,  sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come
gia' ritenuto da questa Corte con l'ordinanza n. 446 del 2004.
    Non  puo' essere accolta in proposito l'eccezione, avanzata dalla
difesa  della  Camera  dei  deputati,  basata  sul rilievo che l'atto
introduttivo  sarebbe  carente  sotto il profilo della prospettazione
del  thema  decidendum,  giacche' - si sostiene - le dichiarazioni su
cui il conflitto dovrebbe vertere non sarebbero state considerate dal
giudice  ricorrente  nella  loro  oggettivita',  ma  sarebbero  state
rielaborate  con il riferimento alla valutazione espressa al riguardo
dal giudice di primo grado.
    Invero,  la  descrizione  delle  opinioni  espresse  dal deputato
appare  sufficiente  alla  loro compiuta identificazione, dal momento
che la Corte di appello per un verso riproduce il capo di imputazione
in  relazione  al  quale il parlamentare e' stato tratto a giudizio a
seguito  della  presentazione  dell'atto  di  querela per il reato di
diffamazione   e,   per   l'altro   verso,  riporta  testualmente  le
dichiarazioni,  oggetto  del  conflitto  di  attribuzione, rese extra
moenia  dal  parlamentare  e  per le quali e' intervenuta sentenza di
condanna in primo grado.
    Nel  ricorso introduttivo non vi e' alcuna sostituzione di quelle
frasi  e della loro rilevanza oggettiva con una libera rielaborazione
ad opera dell'autorita' giudiziaria ricorrente.
    Pertanto  il  ricorso,  autosufficiente  nella prospettazione del
thema decidendum, soddisfa le prescrizioni dettate dall'art. 26 delle
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
    3. - Nel merito, il ricorso e' fondato.
    3.1. - Questa Corte ha precisato che l'insindacabilita' di cui al
primo   comma  dell'art. 68  della  Costituzione  copre  le  opinioni
espresse  extra  moenia dai membri delle Camere solo quando le stesse
costituiscano  riproduzione  sostanziale, ancorche' non letterale, di
atti   tipici   nei   quali   si  estrinsecano  le  diverse  funzioni
parlamentari. Deve esistere, pertanto, un nesso funzionale tra queste
ultime  e  le  eventuali  loro  proiezioni  esterne,  mentre  non  e'
sufficiente  una  generica  comunanza  di  argomento  o  di  contesto
politico  (sentenze  n. 10  e n. 11 del 2000, n. 164, n. 176 e n. 193
del 2005, n. 249, n. 258, n. 260, n. 317, n. 335, n. 392 e n. 416 del
2006).
    3.2.  -  Nel  caso in esame, nella delibera di insindacabilita' e
nella  proposta  della  Giunta  per le autorizzazioni manca qualsiasi
riferimento  ad  atti  tipici  del  parlamentare.  In  proposito,  la
proposta  della  Giunta per le autorizzazioni, cui rinvia la delibera
di   insindacabilita',   rileva   che  le  affermazioni  oggetto  del
procedimento  penale  sono state ritenute di carattere «squisitamente
politico» ed attinenti «al confronto - assai acceso - che si e' avuto
nel  nostro  Paese  sui  modi  e  sulle  strategie di contrasto della
criminalita'  mafiosa»,  non essendo «sufficiente a rovesciare questo
assunto»  il fatto che il parlamentare «si sia riferito a un contesto
locale».
    Inoltre, gli atti tipici, provenienti dal parlamentare, evocati e
prodotti  in questo giudizio dalla difesa della Camera - una proposta
di legge, numerosi atti di sindacato ispettivo e un intervento in una
seduta   dell'Aula   -   non   evidenziano   profili  di  sostanziale
corrispondenza   rispetto  alle  opinioni  che  formano  oggetto  del
procedimento  dinanzi  alla  Corte  di  appello ricorrente. Tali atti
tipici, infatti, testimoniano la costante attenzione del parlamentare
alle  strategie  di contrasto del fenomeno mafioso, ma non contengono
alcun  riferimento  e tanto meno muovono alcun addebito di collusione
con  la mafia al sindaco del comune di Terrasini nella vicenda che lo
vedeva contrapposto al consiglio comunale.
    Ai fini della riconducibilita' delle dichiarazioni, per cui pende
il  procedimento penale, nell'ambito dell'art. 68, primo comma, della
Costituzione,  e'  d'altra  parte  irrilevante  che  la questione dei
rapporti  del  sindaco  del  comune  di  Terrasini  con  il consiglio
comunale  (che  ha  messo  capo al  successivo  referendum) sia stata
assunta   ad  oggetto  di  attivita'  ispettiva  da  parte  di  altri
parlamentari.    Questa    Corte    ha    infatti    affermato    che
l'insindacabilita'  di  cui  alla  citata  norma  costituzionale  «e'
finalizzata  a  garantire l'istituzione parlamentare, ma si riferisce
all'attivita'   svolta   personalmente   dai   singoli  parlamentari»
(sentenza  n. 452  del  2006).  La  verifica del nesso funzionale tra
dichiarazioni    rese   extra   moenia   ed   attivita'   tipicamente
parlamentari,  nonche'  il controllo sulla sostanziale corrispondenza
tra  le  prime  e  le  seconde, devono essere pertanto effettuati con
riferimento alla stessa persona, mentre «sono irrilevanti gli atti di
altri parlamentari», poiche', se «e' vero che le guarentigie previste
dall'art. 68 Cost. sono poste a tutela delle istituzioni parlamentari
nel  loro  complesso  e  non  si risolvono in privilegi personali dei
deputati  e  dei  senatori»,  tuttavia  da  cio'  non  puo' trarsi la
conseguenza  che  «esista  una  tale  fungibilita' tra i parlamentari
iscritti allo stesso gruppo da produrre effetti giuridici sostanziali
nel  campo della loro responsabilita' civile e penale per le opinioni
espresse  al di fuori delle Camere: l'art. 68, primo comma, Cost. non
configura  una sorta di insindacabilita' di gruppo, per cui un atto o
intervento  parlamentare  di  un appartenente ad un gruppo fornirebbe
copertura  costituzionale  per  tutti  gli  altri  iscritti al gruppo
medesimo» (sentenza n. 249 del 2006).
    3.3.  - In definitiva, fa difetto, nella fattispecie in esame, il
nesso  funzionale  tra  le dichiarazioni rese dal parlamentare in una
trasmissione  televisiva  e  gli  atti parlamentari tipici richiamati
dalla  difesa  della  Camera  dei deputati per sostenere la validita'
della    delibera   di   insindacabilita'   impugnata   dal   giudice
confliggente.
    E'  appena  il  caso  di  sottolineare  che  oggetto del presente
giudizio  non e' la valutazione dell'offensivita' delle dichiarazioni
del  parlamentare,  ma  solo l'estensione della copertura offerta dal
primo  comma  dell'art. 68  della Costituzione alle dichiarazioni che
hanno dato luogo alla querela.