Ricorso della Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente della provincia dott. Lorenzo Dellai, autorizzato con deliberazione della giunta provinciale n. 325 del 15 febbraio 2007 (doc. 1), rappresentata e difesa come da procura speciale del 21 febbraio 2007, n. rep. 26689, rogata dal dott. Tommaso Sussarellu, ufficiale rogante della provincia, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli dell'Avvocatura della Provincia di Trento, dal prof. avv. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo, in Roma, via Confalonieri n. 5; Contro il Presidente del Consiglio del ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni della legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2006 - supplemento ordinario n. 244/L: art. 1, commi 560, 588, 589, 590, 1221 e 1226, per violazione dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione, come meglio si specifichera' in prosieguo, nonche' degli artt. 3, 24, 97, 113, 117 e 119 della Costituzione, in collegamento con l'art. 10, legge cost. n. 3/2001, nonche' dei principi di certezza del diritto, di ragionevolezza, di proporzionalita' e di leale collaborazione. F a t t o Con la legge 27 dicembre 2006, n. 296 sono state approvate le Disposizioni per la formazione del bilancio annuale pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2007). Tale legge contiene all'art. 1, comma 1363, una espressa clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano, in base alla quale «le disposizioni della presente legge sono applicabili nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione». In generale, dunque, la non compatibilita' di una disposizione della legge n. 296 del 2006 con la speciale autonomia della Provincia di Trento ne determina la non applicabilita'. Tuttavia, questo meccanismo non puo' valere in relazione alle disposizioni della legge che espressamente - o implicitamente, mediante riferimenti inclusivi - dispongano la propria applicazione alla provincia autonoma di Trento, in pratica «autoqualificando» la propria compatibilita' con lo statuto speciale e con le norme di attuazione. Sennonche', alcune di tali disposizioni, e precisamente quelle oggetto del presente giudizio, si pongono invece, ad avviso della ricorrente provincia, in violazione delle competenze riconosciute alle Province autonome dallo Statuto e dalle relative norme di attuazione, nonche' dal nuovo Titolo V, parte seconda della Costituzione. Tali disposizioni si rivelano dunque costituzionalmente illegittime per i motivi ed i profili di seguito indicati. D i r i t t o 1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 560. Il comma 557 - che non forma oggetto di impugnazione - stabilisce che, «ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica di cui ai commi da 655 a 695, gli enti sottoposti al patto di stabilita' interno assicurano la riduzione delle spese di personale, garantendo il contenimento della dinamica retributiva e occupazionale, anche attraverso la razionalizzazione delle strutture burocratico-amministrative», e che, «a tale fine, nell'ambito della propria autonomia, possono fare riferimento ai prinicpi desumibili dalle seguenti disposizioni ...». Tra le seguenti disposizioni vi e' il comma 560, il quale dispone che «per il triennio 2007-2009 le amministrazioni di cui al comma 557, che procedono all'assunzione di personale a tempo determinato, nei limiti e alle condizioni previste dal comma 1-bis dell'art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel bandire le relative prove selettive riservano una quota non inferiore al 60 per cento del totale dei posti programmati ai soggetti con i quali hanno stipulato uno o piu' contratti di collaborazione coordinata e continuativa, esclusi gli incarichi di nomini politica, per la durata complessiva di almeno un anno raggiunta alla data del 29 settembre 2006». Il comma 560, dunque, sembra rivolgersi anche alla Provincia di Trento, quale ente soggetto al patto di stabilita' interno, e disciplina con norme direttamente applicabili e per giunta di dettaglio (talora estremo, come mostra il curioso riferimento al 29 settembre 2006) le procedure di assunzione di personale a tempo determinato che avvengano nel triennio 2007-2009, imponendo una riserva di posti a favore dei collaboratori coordinati o continuativi della provincia. La finalita' della norma pare quella di agevolare la trasformazione dei lavoratori parasubordinati (non necessariamente di quelli che lo sono nel momento della selezione, essendo solo necessario il requisito di un un anno di lavoro al 29 settembre 2006) in lavoratori subordinati. Non vi e' invece una finalita' di stabilizzazione, dato che la norma si applica alle procedure di assunzione di personale a tempo determinato. La materia cosi' incisa dal comma 560 e', naturalmente, gia' disciplinata nella Provincia di Trento: dapprima con la legge n. 7/1997 (Revisione dell'ordinamento del personale della Provincia autonoma di Trento) poi, di recente, con la legge 14 novembre 2006, n. 10, Procedure di assunzione di personale presso la Provincia autonoma di Trento e i relativi enti funzionali. Con tutta evidenza, il comma 560 interviene, con le proprie regole dettagliate direttamente applicabili, nella materia dell'«ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto», rientrante nella competenza legislativa primaria della provincia ex art. 8, n. 1, d.P.R. n. 670/1972 e nella competenza piena delle regioni ordinarie ex art. 117, quarto comma, della Costituzione. L'art. 117, quarto comma, risulta applicabile alla Provincia di Trento ex art. 10, legge cost. n. 3/2001, avendo la «Corte gia' chiarito che il riconoscimento della competenza legislativa di tipo residuale, di cui al quarto comma dell'art. 117 della Costituzione, rappresenta, ex art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 ..., una «forma di autonomia piu' ampia» rispetto alla competenza legislativa esclusiva attribuita dalle norme statutarie (cfr. sentenza n. 274 del 2003)» (cosi' la sent. n. 397/2006, punto 3 del Diritto). In particolare, la Corte ha stabilito, in diverse sentenze, che - se la materia di competenza provinciale piena ricade nell'art. 117, quarto comma, della Costituzione - non operano i limiti dell'interesse nazionale e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali (v. sentt. nn. 328/2006, 308/2006 e 274/2003). Peraltro, il comma 560 risulterebbe lesivo anche applicando le regole ed i limiti di cui all'art. 8 Statuto, e persino nella prospettiva di una competenza concorrente. Esso, infatti, detta regole alle quali non potrebbe in alcun caso essere riconosciuto il rango di principi fondamentali (meno che mai, ovviamente, di principi di riforma economico-sociale) entrando invece in scelte specifiche e concrete circa la quota da eventualmente riservare, nella gestione di nuove assunzioni a tempo determinato, a personale che abbia gia' avuto occasioni di lavoro non subordinato con la Provincia. Esse impongono una riserva di posti a favore di certi soggetti, precisando addirittura l'entita' minima della quota riservata ed i requisiti dei collaboratori coordinati e continuativi, sino a stabilire, come detto, il giorno esatto entro il quale debbono essere maturati! Si tratta dunque di norme di mero dettaglio nella materia del reclutamento del personale provinciale, gia' solo percio' radicalmente illegittime in qualunque prospettiva esse vengano considerate: sia in quella della competenza residuale, sia in quella della competenza primaria, sia in quella di una eventuale competenza concorrente. Inoltre, trattandosi che non richiedono alcuna specificazione e dunque direttamente applicabili, risulta violato anche l'art. 2, d.lgs. n. 266/1992, che - come noto - preclude la diretta applicabilita' delle leggi statali nelle materie di competenza provinciale: con palese illegittimita' costituzionale anche sotto questo profilo. 2. - Illegittimita' costituzionale dei commi 588, 589 e 590. Anche i commi 588, 589 e 590, oggetto della presente impugnazione nei termini che subito saranno esposti, non menziona esplicitamente le autonomie speciali o la Provincia di Trento. Tuttavia, essa ritiene di essere inclusa nell'ambito di applicazione della norma, stante il riferimento in pratica a tutte le amministrazioni pubbliche territoriali. Il comma 587 - che non forma oggetto di impugnazione - stabilisce che «entro il 30 aprile di ciascun anno le amministrazioni pubbliche statali, regionali e locali sono tenute a comunicare, in via telematica o su apposito supporto magnetico, al dipartimento della funzione pubblica l'elenco dei consorzi di cui fanno parte e delle societa' a totale o parziale partecipazione da parte delle amministrazioni medesime, indicando la ragione sociale, la misura della partecipazione, la durata dell'impegno, l'onere complessivo a qualsiasi titolo gravante per l'anno sui bilancio dell'amministrazione, il numero dei rappresentanti dell'amministrazione negli organi di governo, il trattamento economico complessivo a ciascuno di essi spettante». Come detto, non viene in contestazione tale obbligo informativo. Si contesta invece la legittimita' costituzionale delle disposizioni sanzionatorie previste per il caso di «mancata o incompleta comunicazione dei dati di cui al comma 587 "o per il caso di" inosservanza dello disposizioni di cui ai commi 587 e 588». Precisamente, per il caso di mancata o incompleta comunicazione dei dati il comma 588 vieta «l'erogazione di somme a qualsivoglia titolo da parte dell'amministrazione interessata a favore del consorzio o della societa', o a favore dei propri rappresentanti negli organi di governo degli stessi». Per il caso di «inosservanza delle disposizioni di cui ai commi 587 e 588» il comma 589 dispone poi che «una cifra pari alle spese da ciascuna amministrazione sostenuta nell'anno viene detratta dai fondi a qualsiasi titolo trasferiti a quella amministrazione dallo Stato nel medesimo anno». Infine, il comma 590 statuisce che «le disposizioni di cui ai commi 587, 588 e 589 costituiscono per le regioni principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, ai fini ei rispetto dei parametri stabiliti dal patto di stabilita' e crescita dell'Unione europea». Dunque, se una regione non comunicasse, o comunica in modo incompleto, al dipartimento della funzione pubblica i dati di cui al comma 587, essa non potrebbe erogare somme a favore del consorzio o della societa', o a favore dei propri rappresentanti negli organi di governo degli stessi; e se dovesse disattende questo divieto, una cifra corrispondente alle somme erogate verrebbe «detratta dai fondi a qualsiasi titolo trasferiti a quella amministrazione dallo Stato nel medesimo anno». Come detto, la provincia non contesta il dovere di comunicazione di cui al comma 587, essendo i doveri di questo tipo rispondenti al principio di leale collaborazione. Essa, pero', contesta la legittimita' costituzionale delle disposizioni di cui ai commi 588, 589 e 590. La prima di tali disposizioni incide inammissibilmente sia nell'organizzazione interna della provincia (quale si esprime anche attraverso i consorzi e le societa' partecipate dalla provincia) che nell'autonomia finanziaria della provincia e degli enti locali. L'organizzazione provinciale rientra nella competenza legislativa primaria della provincia (art. 8, n. 1, dello Statuto), competenza soggetta solo ai limiti di cui all'art. 117, primo comma, della Costituzione dato che la materie ricade nell'art. 117, quarto comma, della Costituzione, applicabile alle regioni speciali in virtu' dell'art. 10, legge costituzionale n. 3/2001 (su cio' v. anche quanto esposto nel punto 1). La finanza locale spetta, poi, alla competenza provinciale concorrente, in virtu' dell'art, 80 dello Statuto. Il comma 588, dunque, viola i parametri appena indicati e anche l'art. 2, d.lgs. n. 266/1992, in quanto esso pretende di avere immediata applicazione nel territorio provinciale in una materia di competenza provinciale. La disposizione del comma 588 preclude la corretta applicazione delle leggi provinciali che disciplinano tali materie ed interviene a disciplinare, in sostituzione della legge provinciale, i rapporti tra la provincia stessa e tali societa', mediante norme di dettaglio e per giunta direttamente applicabili. Ne' varrebbe replicare che il comma 588 rappresenta - secondo il comma 590 - un principio di coordinamento della finanza pubblica. La giurisprudenza costituzionale ha piu' volte chiarito che le «autoqualificazioni» operate dal legislatore (come nel caso del comma 590) non sono vincolanti: «la qualificazione di una legge o di alcune sue disposizioni come principi fondamentali della legislazione statale o come norme fondamentali di riforma economico-sociale non puo' discendere soltanto da apodittiche affermazioni del legislatore stesso, ma deve avere ma puntuale rispondenza nella natura effettiva delle disposizioni interessate, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti di altre norme dell'ordinamento o dei rapporti sociali disciplinati» (cosi' la sent. n. 85/1991) punto 3 del Diritto; v. anche le sentt. nn. 219 del 1984, 192 del 1987 e 1002 del 1988). Del resto, ove fossero vincolanti, sarebbero esse stesse illegittime quando non corrispondenti alla sostanza della normativa. Del resto, considerato come inerente al coordinamento della finanza pubblica, il comma 588 risulta comunque costituzionalmente illegittimo. Infatti, il suo contenuto e' un contenuto puntuale, in quanto va a vietate uno specifico tipo di spesa provinciale. La norma de qua, dunque, rappresenta proprio uno di quei limiti puntuali alle spese regionali che codesta Corte costituzionale ha piu' volte dichiarato illegittimi, in quanto eccedenti il potere statale di coordinamento della finanza pubblica. Basti ricordare, qui, la sent. n. 4l7 del 2005: «le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Costituzione, e ledono pertanto l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 della Costituzione». Secondo tale giurisprudenza, «il legislatore statale puo' legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio (ancorche' si traducano, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti), ma solo, con «disciplina di principio», «per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari»; e perche' «detti vincoli possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali debbono avere ad oggetto o l'entita' del disavanzo di parte corrente oppure - ma solo «in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale» - la crescita della spesa corrente degli enti autonomi; in altri termini, la legge statale puo' stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa (cosi' la sentenza n. 36 del 2004)». Dunque, se il coordinamento della finanza pubblica non rappresenta un idoneo titolo giustificativo del comma 588, risulta confermato che esso viola - oltre all'autonomia organizzativa - l'autonomia finanziaria della provincia e le sue competenze in materia di finanza locale, quali risultano dal Titolo VI dello Statuto e dal d.lgs. n. 268/1992 e, nella misura in cui siano considerati piu' favorevoli, dagli artt. 117, comma 3 (in relazione al coordinamento della finanza pubblica), e 119, primo comma, Costituzione, la' dove garantisce autonomia di spesa. Puo' essere anche utile ricordare che, in base all'art. 17, comma 3, d.lgs. n. 268/1992, «le province disciplinano con legge i criteri per assicurare un equilibrato sviluppo della finanza comunale, ivi compresi i limiti all'assunzione di personale, le modalita' del ricorso all'indebitamento, nonche' le procedure per l'attivita' contrattuale»: ne risulta confermato che non spetta allo Stato dettare norme di dettaglio limitatrici delle spese degli enti locali. Per le medesime ragioni, il comma 588 viola l'autonomia finanziaria degli enti locali e codesta Corte ha riconosciuto la legittimazione delle regioni ad agire a difesa di tale autonomia. Infatti, sempre la sent. n. 417/2005 ha «rilevato che le ricorrenti sono legittimate a denunciare la legge statale per la violazione di competenze degli enti locali»; la Corte «ha infatti ritenuto sussistente in via generale una tale legittimazione in capo alle regioni, perche' "la stretta connessione, in particolare in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali" (sentenza n. 196 del 2004)». Oltre alla violazione diretta dell'autonomia organizzativa e finanziaria della provincia e degli entilocali, nei temini sopra esposti, la norma posta dal comma 588 risulta illegittima anche sotto un altro profilo. Essa infatti persegue lo scopo del coordinamento della finanza pubblica con una misura sviata, irragionevole e non proporzionata, in quanto il divieto di spesa e' collegato non alla situazione finanziaria dell'ente, ma alla incompletezza o alla mancanza della comunicazione di taluni dati informativi. La norma sostanziale, infatti, non limita affatto le spese regionali e locali a favore dei consorzi e delle societa' pubbliche, ma solo richiede la comunicazione di dati ritenuti rilevanti dal punto di' vista finanziario. E' chiaro, dunque, che non vi un obbiettivo di limitazione, e che, in particolare, la limitazione di tali spese non o' necessaria ai «fini del rispetto dei parametri stabiliti dal patto di stabilita' e crescita dell'Unione europea» (secondo l'espressione del comma 590). In caso di incompletezza della comunicazione, pero', scatta il divieto di erogare somme ai consorzi e alle societa' partecipate, a prescindere dalla ragione dell'omissione e dalla situazione finanziaria dell'ente. Pare chiara l'irragionevolezza di tale vincolo in relazione alla finalita' di limitare la spesa pubblica, il carattere non proporzionato che tale «sanzione» rispetto all'omissione in cui sia incorso l'ente e la non pertinenza del divieto rispetto al fine «del rispetto dei parametri stabiliti dal patto di stabilita' e crescita dell'Unione europea», dato che il divieto scatta in relazione ad una condotta che non evidenzia necessariamente, e neppure in modo peculiare, situazioni di eccessiva esposizione finanziaria. La provincia legittimata a far valere anche le lesioni indirette della propria sfera di competenza, cioe' le lesioni che si producono attraverso la violazione di parametri di per se non attinenti al riparto delle competenze, in quanto anche la violazione di tali parametri si traduce in una compressione della propria autonomia. E' ben nota la giurisprudenza di codesta Corte che ammette l'invocazione di parametri di questo tipo, qualora la violazione di essi si traduca in lesione delle competenze costituzionalmente garantite. Si puo' ricordare, da ultimo, la sentenza n. 116/2006, secondo la quale le Regioni «possono far valere il contrasto con norme costituzionali diverse da quelle attributive di competenza legislativa soltanto se esso si risolva in una esclusione o limitazione dei poteri regionali». Si tratta di giurisprudenza consolidata e pacifica (si vedano, ad esempio, le seguenti sentenze: n. 503/2000; n. 206/2001, punti 15, 16 e 34, n. 110/2001; n. 303/2003, punto 35; n. 280/2004, punto 5, n. 355/1993, punti 4 e 12; n. 87/1996; n. 338/1994, punti 5 e 6; n. 412/2001; n. 302/1988; n. 6/2004, punto 3; n. 196/2004, punto 18). E' poi da ricordare che, in relazione alla materia della «tutela della concorrenza», la Corte si e' espressamente riservata di sindacare la proporzionalita' e l'adeguatezza delle misure statali (v. sentt. n. 175/2005, punto 3.1 del Diritto, n. 14/2004 e n. 272/2004), e tali canoni di giudizio potrebbero estendersi alla valutazione degli interventi statali in materia di coordinaniento della finanza pubblica. Ora, come detto, il vincolo posto dal comma 588 risulta irragionevole, non proporzionato e non pertinente al fine enunciato e tale irragionevole condizionamento lede le prerogative provinciali e degli enti locali, dato che la provincia e gli enti locali si trovano a non poter finanziare i propri consorzi e le proprie societa' senza che cio' sia giustificato da un'esigenza di riequilibno finanziario. Il comma 589 reca una «sanzione» per la violazione dei commi 587 e 588. Ove l'amministrazione territoriale erogasse ugualmente somme a favore del consorzio o della societa', o a favore dei propri rappresentanti negli organi di governo degli stessi, tali somme verrebbero «recuperati» dallo Stato detraendole «dai fondi a qualsiasi titolo trasferiti a quella amministrazione dallo Stato nel medesimo anno». L'illegittimita' di tale disposizione deriva in primo luogo da quanto fin qui esposto: essendo costituzionalmente illegittimo il divieto, non puo' che risultare altrettanto illegittimo il meccanismo sanzionatorio predisposto per farlo valere. In secondo luogo, tale meccanismo illegittimo anche considerato in se stesso, ed anche ove fosse legittimo il divieto posto dal comma 588. Si tratta infatti di un meccanismo privo di una specifica ragione finanziaria - non essendovi alcuna violazione delle regole del patto di stabilita' o di altra regola relativa alle spese - e del tutto estraneo al sistema dei rapporti finanziari tra lo Stato e al provincia autonoma, quali difiniti dallo statuto e dalle norme di attuazione. Non vi e' alcun fondamento costituzionale per la previsione di una «trattenuta» erariale sulle somme che a termini di statuto spettano alla provincia autonoma. Non tocca certo alla Provincia autonoma di Trento esaminare in quale modo possa essere legittimamente assicurata l'effettivita' del dovere informativo posto dal comma 587. Di sicuro, tuttavia, esistono molti modi possibili: ma quelli previsti dai commi 588 e 589 sono invece, per le ragioni indicate, costituzionalmente illegittimi. Quanto al comma 590, l'illegittimita' dell'autoqualificazione da esso operata deriva dal fatto che, per le ragioni sopra enunciate, i commi 588 e 589 non «costituiscono per le regioni principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, ai fini del rispetto dei parametri stabiliti dal patto di stabilita' e crescita dell'Unione europea». 3. - Illegittimita' costituzionale del comma 121. Il comma 1221, oggetto della presente impugnazione, fa parte della normativa recata a partire dal comma 1213, relativa alla prevenzione ed alle conseguenze delle procedure di infrazione di cui agli artt. 226 e seguenti del Trattato istitutivo della Comunita' europea. Tali ulteriori norme del sistema non costituiscono oggetto di impugnazione, ma devono comunque essere illustrate per poi passare alle ragioni di impugnazione del comma 1221. Ribadito al comma 1213 il dovere di ogni amministrazione di rimediare ad eventuali violazioni di obblighi derivanti dalla normativa comunitaria, ed in particolare di dare pronta esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia, il comma 1214 assegna allo Stato il compito di esercitare i poteri sostitutivi necessari, secondo il diritto gia' vigente. I commi da 1215 a 1217 prevedono il diritto dello Stato di rivalersi nei confronti delle amministrazioni che abbiano causato la violazione di cui lo Stato o' stato chiamato a rispondere sul piano comunitario. Il comma 1215 prevede la rivalsa «nei confronti dei soggetti di cui al comma 1213 indicati dalla Commissione europea nelle regolazioni finanziarie operate a carico dell'Italia a valere sulle risorse del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e degli altri Fondi aventi finalita' strutturali»; il comma 1216 prevede la rivalsa «sui soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi di cui al comma 1213 degli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia»; il comma 1217 prevede la rivalsa «sulle regioni, le Province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati, i quali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali ..., degli oneri finanziari sostenuti per dare esecuzione alle sentenze di condanna rese dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato in conseguenza delle suddette violazioni». Il comrna 1218 disciplina le modalita' di esercizio del diritto di rivalsa, distinguendo: a) gli enti territoriali, per i quali prevista la speciale procedura di cui subito si dira'; b) gli altri enti assoggettati al sistema di tesoreria unica, per i quali e' previsto il «prelevamento diretto sulle contabilita' speciali obbligatorie istituite presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato»; c) i soggetti non rientranti nelle lettere a) e b), per i quali sono previste le «vie ordinarie» (cioe' il ricorso alle normali vie della giurisdizione). Il comma 1219 dispone che «la misura degli importi dovuti allo Stato a titolo di rivalsa» (in ogni modo «non superiore complessivamente agli oneri finanziari di cui ai commi 1215, 1216 e 1217») sia stabilita «con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze», il quale costituisce «titolo esecutivo nei confronti degli obbligati e reca la determinazione dell'entita' del credito dello Stato nonche' l'indicazione delle modalita' e i termini del pagamento». Il comma 1220 disciplina in modo speciale l'ipotesi che «l'obbligato sia un ente territoriale». In questo caso i decreti ministeriali di cui al comma 1219, «sono emanati previa intesa sulle modalita' di recupero con gli enti obbligati». L'intesa ha ad oggetto «la determinazione dell'entita' del credito dello Stato e l'indicazione delle modalita' e dei termini del pagamento». Tale intesa e' da raggiungere entro un termine di quattro mesi. La Provincia di Trento non impugna alcuna delle disposizioni sopra descritte, in considerazione della circostanza che la previsione dell'intesa sia sulla entita' (e quindi sulla stessa esistenza) del credito statale, sia sulle modalita' e termini di pagamento fa si che la procedura introdotta, pur decisamente speciale, non sia lesiva delle prerogative della Provincia. La Provincia contesta invece la legittimita' costituzionale del successivo comma 1221, che disciplina l'ipotesi del «mancato raggiungimento dell'intesa». In questo caso, «all'adozione del provvedimento esecutivo indicato nel comma 1220 provvede il Presidente del Consiglio dei Ministri, nei successivi quattro mesi, sentita la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281». Sembra evidente, infatti, che tale previsione vanifica la garanzia costituita dalla previsione dell'intesa, essendo sufficiente il decorso di quattro mesi per attivare la competenza unilaterale di un organo statale. Il mancato raggiungimento dell'intesa costituisce il segno evidente della mancanza di accordo o circa lo stesso sussistere della responsabilita' dell'ente territoriale (ed in ipotesi, dunque, della Provincia di Trento), o circa la dimensione della responsabilita' o sulle modalita' di pagamento. Ora, sembra evidente che, in mancanza ditale accordo, la responsabilita' dell'ente territoriale non puo' essere decisa con un atto unilaterale dell'asserito creditore, ovvero dello Stato. Infatti, al Presidente del Consiglio dei ministri non puo' certo essere assegnato il carattere di un organo terzo, cui possa presumersi di assegnare il ruolo di soluzione imparziale di un contrasto relativo a rapporti di debito e credito. Ne' attenua la violazione dei diritti costituzionali dell'ente territoriale la previsione del parere della Conferenza unificata: sia per la natura meramente consultiva del ruolo cosi' ad essa assegnato, sia perche', se pure il suo atto avesse carattere vincolante e condizionante, neppure la Conferenza unificata o abilitata a disporre dei diritti del singolo ente territoriale, ed in particolare della ricorrente provincia. Risulta qui violata in modo evidente l'autonomia finanziaria garantita dallo Statuto speciale e, qualora piu' favorevole, dall'art. 119 della Costituzione, in virtu' della quale delle risorse delle regioni e province autonome non si puo' disporre con atto amministrativo statale. Risulta ancora violato il principio di imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97, comma primo, della Costituzione, che evidentemente vieta di affidare la soluzione della controversia tra amministrazioni ad una delle due configgenti. Risulta poi violato, in aggiunta, l'art. 24 della Costituzione, secondo il quale «tutti possono agire in giudizio per la difesa dei propri diritti e interessi legittimi». Infatti, la procedura che qui si contesta porterebbe alla creazione di un titolo esecutivo contro una regione o provincia autonoma formato direttamente, al di fuori di ogni garanzia giurisdizionale, dall'asserito creditore. La violazione del diritto alla difesa consiste gia' nel venire in essere del titolo esecutivo. Ma va anche notato, ad aggravare tale violazione, che ne' il comma 1221 ne' altra disposizione della legge n. 296 del 2006 prevede, avverso il decreto del Presidente del Consiglio, alcuna via di sindacato giurisdizionale, lasciando cosi' pensare che in assoluto non ne esista alcuna, in violazione altresi' dell'art. 113 della Costituzione, che non ammette eccezioni alla tutela giurisdizionale avverso gli atti dell'amministrazione (quale e' ovviamente anche il decreto del Presidente del Consiglio). In ogni caso, sarebbe violato il principio della certezza del diritto, sia per il dubbio recato sull'esistenza di un qualunque rimedio, sia - ammesso che il rimedio esista, come deve csistere - per l'incertezza su quale esso sia, se la via della giurisdizione ordinaria (come dovrebbe essere trattandosi alla fine di un giudizio di responsabilita' civile), o quella della giurisdizione amministrativa, trattandosi di contestare un «provvedimento» dell'amministrazione. Tutte queste violazioni si traducono in lesione delle prerogative costituzionali della provincia, dato che incidono sulla sua autonomia finanziaria e sulla possibilita' di difenderla. L'evidenza di tutte tali violazioni, che rendono la norma costituzionalmente illegittima e lesiva delle prerogative e dei diritti costituzionali della ricorrente provincia, fa si' che possa aggiungersi solo in subordine e per puro scrupolo difensivo l'ulteriore censura della assegnazione della competenza statale decisoria all'organo monocratico «Presidente» anziche' all'organo collegiale «Governo». La competenza governativa, infatti, non avrebbe mutato in nulla la fondatezza di tutte le censure sopra esposte, ne' alterato la gravita' delle violazioni lamentate. Tuttavia, la sede collegiale del Governo e' sempre stata considerata - nell'ambito dell'organizzazione amministrativa - quella che maggiormente puo' equilibrare le esigenze contrapposte. Ed in tale sede lo Statuto di autonomia assicura alla provincia autonoma di far sentire la propria voce, attraverso la partecipazione - sia pure senza diritto di voto - del proprio Presidente (art. 52, comma 4, Statuto): per cui, in via subordinata, si deduce anche la violazione di questa disposizione. 4. - Illegittimita' del comma 1226. Il comma 1226 stabilisce che, «al fine di prevenire ulteriori procedure di infrazione, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano devono provvedere agli adempimenti previsti dagli artt. 4 e 6 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni, o al loro completamento, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base di criteri minimi uniformi definiti con apposito decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare». Il d.P.R. n. 357/1997 cosi' richiamato reca il regolamento attuativo della direttiva 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli babitat naturali. L'art. 4, comma 2, di esso dispone che le regioni adottino «per le zone speciali di conservazione ..., le misure di conservazione necessarie», mentre l'art. 6, comma 2, prevede che «gli obblighi derivanti dagli artt. 4 e 5 si applicano anche alle zone di protezione speciale» di cui alla direttiva 79/409/CEE, in materia di uccelli selvatici. La provincia ha dato attuazione alla normativa comunitaria (direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE) con legge provinciale 15 ottobre 2004, n. 10 (artt. 9 e 10), recentemente modificata dall'art. 55 della legge provinciale 29 dicembre 2006, n. 1, ed ha adottato le misure di salvaguardia per i Siti di Importanza comunitaria e le misure prima di salvaguardia ed ora di conservazione per le Zone di Protezione Speciale individuate nel proprio territorio, rispettivamente con deliberazione n. 655 dell'8 aprile 2005 (SIC) e con deliberazioni n. 2956 del 30 dicembre 2005 e n. 2279 del 27 ottobre 2006 (ZPS). Il comma 1226, pero', si rivolge espressamente anche alla Provincia di Trento, imponendo di provvedere agli adempimenti di cui agli artt. 4 e 6 d.P.R. n. 357/1997 sulla base di criteri minimi uniformi definiti con apposito decreto ministeriale. Cosi' facendo, tuttavia, esso risulta lesivo delle prerogative costituzionali della provincia sotto diversi profili. Innanzi tutto, e' opportuno premettere che la competenza della provincia nella materia dell'ambiente e' pacifica, in quanto risulta da diverse norme statutarie (art. 8, nn. 3, 5, 6, 7, 8, 11, 13, 14, 15, 16, 17, 20 e 21; art. 9, nn. 9 e 10, e art. 16 dello Statuto) ed e' stata confermata piu' volte dalla Corte costituzionale. Occorre poi ricordare che, proprio in relazione al d.P.R. n. 357/1997, codesta ecc.ma Corte costituzionale ha avuto occasione di fissare alcuni principi che regolano i poteri dello Stato e delle province autonome in relazione all'attuazione delle direttive comunitarie. Nella sent. n. 425/1999, essa ha precisato che, se le province hanno attuato con legge la direttiva, si applica l'art. 7, d.P.R. n. 526/1987 («La Regione e le Province di Trento e di Bolzano, nelle materie di competenza esclusiva, possono dare immediata attuazione alle raccomandazioni e direttive comunitarie, salvo adeguarsi, nei limiti previsti dallo statuto speciale, alle leggi statali di attuazione dei predetti atti comunitari»), in base al quale, come risulta dal testo appena citato, le province sono vincolate solo da leggi statali che concretano limiti statutari, non da atti sublegislativi. Poiche' la Provincia, di Trento, come detto, ha attuato le direttive 92/43 e 79/409 sia in via legislativa sia in via amministrativa, lo Stato non puo' imporre ad essa di provvedere agli adempimenti previsti da un regolamento statale e, per di piu', sulla base di criteri fissati con decreto ministeriale. Dunque, il comma 1226 viola sia le norme - sopra citate - che garantiscono alla provincia competenza in materia di tutela dell'ambiente sia l'art. 7 d.P.R. n. 526/1987, in quanto si sovrappone ad un'attivita' attuativa di direttive comunitarie gia' compiuta dalla provincia. Inoltre esso, imponendo alla provincia determinati adempimenti con norme direttamente applicabili, viola anche l'art. 2, d.lgs. n. 266/1992. In particolare, poi, risulta lesiva la previsione che il decreto ministeriale abbia competenza di fissare i «criteri minimi uniformi». Infatti, se - in presenza di attuazione legislativa da parte della provincia - questa non puo' essere soggetta ad atti sublegislativi, neppure a regolamenti governativi (cosi', chiaramente, la sent. n. 425/1999), un decreto ministeriale non potrebbe comunque vincolare l'attuazione delle direttive da parte della provincia, perche', in assenza di legge provinciale, l'attuazione sublegislativa delle direttive deve avvenire con regolamento governativo, nel rispetto del principio di legalita' sostanziale e con il coinvolgimento delle regioni (v. sent. n. 425/1999 e art. 111. n. 11/2005). Dunque, la previsione del decreto ministeriale viola i principi che regolano i rapporti tra Stato e regioni nell'attuazione degli obblighi comunitari, sia perche' non si tratta di un regolamento governativo sia perche' il comma 1226 non delimita in alcun modo la discrezionalita' ministeriale e non prevede la necessita' di un'intesa con la Conferenza Stato-regioni, in violazione del principio di leale collaborazione. Inoltre, l'ultima parte del comma 1226 viola l'art. 2, d.lgs. n. 266/1992, perche' il decreto ivi previsti sarebbe un atto sostanzialmente normativo direttamente applicabile in tnateria di competenza provinciale. Se, invece, il predetto decreto fosse ritenuto un atto di indirizzo e coordinamento, risulterebbe violato l'art. 3 d.lgs. n. 266/1992 sotto tre distinti profili: perche' non e' prevista la competenza del Governo, perche' il contenuto del decreto e' tale che la provincia non sarebbe vincolata «solo al conseguimento degli obiettivi o risultati» stabiliti dal decreto, perche' non e' previsto il parere delle province. Infine, se esso fosse considerato un atto amministrativo, sarebbe violato l'art. 4, comma 1, d.lgs. n. 266/1992, in quanto si attribuirebbe una funzione amministrativa ad un organo statale in materia di competenza provinciale. Naturalmente, non vi sarebbe lesione ove si potesse intendere la norma del comma 1226 nel senso che essa non si applichi alle regioni che hanno gia' attuato le direttive comunitarie. Tuttavia, nulla di cio' e' scritto nella disposizione, che cita anzi la Provincia di Trento, nonostante che essa abbia gia' provveduto. Inoltre, essa, parlando di «criteri minimi uniformi», lascia pensare che si tratti degli standard ai quali tutte le regioni si debbano adeguare. Infine, come visto, l'avere attivato una competenza ministeriale risulterebbe costituzionalmente illegittimo e lesivo anche nella prospettiva della suppletivita' della disposizione di legge, perche' - come visto - in assenza di legge provinciale l'attuazione sublegislativa delle direttive deve avvenire con regolamento governativo. In definitiva, il comma 1226, impone direttamente adempimenti alla Provincia di Trento, pur avendo questa compiutamente disciplinato la materia e benche' la Corte costituzionale, nella sent. n. 425/1999, abbia espressamente attribuito natura cedevole alla normativa statale nella materia in questione. Inoltre, la provincia verrebbe vincolata ad un decreto ministeriale, inidoneo ad intervenire in materia, privo di adeguata base legislativa ed adottato in violazione del principio di leale collaborazione (oltre che contrastante con il d.lgs. n. 266/1992). Ne risulta una chiara violazione delle prerogative costituzionali della Provincia di Trento.