LA CORTE DEI CONTI Ha emesso la seguente ordinanza 63/A/2006/ORD, nel giudizio in materia di responsabilita' amministrativa iscritto al n. 1861/A/RESP del registro di segreteria e promosso dal sig. Antonino Ingrassia, col patrocinio dell'avv. Giovanni Lentini, avverso la sentenza n. 2585/2005 della Sezione giurisdizionale per a Regione Siciliana. Visti gli atti e i documenti di causa. Uditi, nella camera di consiglio del 26 settembre 2006, il relatore, consigliere Salvatore Cilia, e il Vice Procuratore Generale Diana Calaciura; non rappresentato l'appellante. F a t t o Con atto di citazione, ritualmente depositato in segreteria, la procura regionale ha convenuto in giudizio il sig. Antonino Ingrassia, messo comunale, chiedendone la condanna al pagamento della somma complessiva di euro 20.958,29 in favore della Regione Siciliana per effetto della sentenza n. 43/2003 dell'8 maggio 2003 con la quale il Tribunale di Marsala - Sezione distaccata di Castelvetrano, aveva accolto il ricorso della sig.ra Maria Teresa Cottone avverso l'ordinanza-ingiunzione n. 6/2002 emessa dal Distretto minerario di Palermo per il pagamento della sanzione amministrativa di Euro 20.658,28 (condannando anche l'Amministrazione regionale al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 300,00); l'accoglimento era basato sul ritardo con cui il verbale infrazione emesso dal predetto Distretto minerario (ex art. 9 della legge regionale n. 127/1980) era stato notificato (appunto, dal sig. Ingrassia). Con la sentenza n. 2585/2005, la Sezione giurisdizionale - dopo avere individuato l'obbligo giuridico del convenuto di procedere alla notifica dell'atto dell'amministrazione regionale, dell'art. 1, comma 1, del d.m. 14 marzo 2000 - ha sancito la gravita' del comportamento del sig. Ingrassia, il quale «non solo ebbe contezza dell'atto da notificare con ampio margine rispetto al termine utile per l'adempimento, ma, inoltre, pur avendo piu' volte tentato la notifica nelle forme ordinarie, non provvide mai ad attivare le particolari procedure previste dall'art. 140 c.p.c.», pronunciando peraltro condanna per la somma di Euro 5.000,00 (compresa valutazione monetaria), oltre interessi legali, mediante un «ampio uso» del potere riduttivo (peraltro ipotizzato anche dal pubblico ministero) «in considerazione della circostanza che non risultano in atti precedenti specifici a carico dello stesso convenuto». Con atto di appello, notificato il 21 dicembre 2005 e depositato in segreteria il 21 gennaio 2006, l'avv. Giovanni Lentini ha articolato la difesa su diversi punti: 1) difetto di giurisdizione della Corte, stante che il rapporto di servizio (presupposto indefettibile e della giurisdizione) si e' instaurato fra il Distretto minerario e il comune di Campobello di Mazara (il quale ha individuato il soggetto che avrebbe dovuto eseguire la notifica solo dopo la richiesta dell'ente impositore, ai sensi dell'art. 60 del d.P.R. n. 600/1973 e s.m.i.), cosi' come risulterebbe da una copiosa giurisprudenza (vengono citate alcune sentenze); 2) insussistenza dell'obbligo di notifica, stante che il citato art. 60 del d.P.R. n. 600/1973 si riferisce all'amministrazione finanziaria dello Stato e non si puo' estendere analogicamente a tutti gli atti di «qualsivoglia altra amministrazione pubblica» e, nella specie, alla Regione Siciliana, cui appartiene il Corpo regionale delle miniere; 3) mancanza di responsabilita' per assenza di dolo e colpa grave, sia perche' «l'Ingrassia ricevette dal comune di Campobello di Mazara l'atto da notificare solamente il 4 gennaio 2002, ovverosia venti giorni prima della data in cui lo stesso atto perdeva efficacia, mentre il comune l'aveva gia' incamerato il 14 dicembre 2002»; sia perche' il convenuto non ha utilizzato l'art. 140 cod. proc. civ. in quanto «era ben consapevole del fatto che una notifica effettuata a mani garantisce la certezza della conoscenza dell'atto notificato»; 4) insussistenza del danno, considerato che il ricorso della sig.ra Cottone si basava, principalmente, su ragioni di merito le quali - anche alla luce dell'esito del giudizio penale -, erano fondate; conseguentemente, non si potrebbe addebitare al convenuto una somma che sicuramente non era dovuta dal soggetto passivo della contravvenzione; 5) in via subordinata, misura del risarcimento, nel senso che, se anche la condanna in primo grado ha ridotto notevolmente l'addebito iniziale, lo stesso pagamento della somma di Euro 5.000,00 «avrebbe ripercussioni negative sull'intero nucleo familiare che fa affidamento quasi esclusivamente sullo stipendio che percepisce l'appellante», tenendo conto anche delle consistenti esposizioni finanziarie del sig. Ingrassia; con la conseguenza che l'eventuale condanna dovrebbe procedere ad una piu' consistente riduzione, commisurando il risarcimento ad una misura «equa con i fatti esposti e sopportabile in ragione delle condizioni economiche precarie vissute dall'Ingrassia». Con atto conclusionale depositato in segreteria il 22 giugno 2006, la procura generale, dopo avere rilevato che l'atto di appello risulta notificato (21 dicembre 2005) tardivamente rispetto alla data di notifica della sentenza di primo grado (12 ottobre 2005), contesta, nel merito, punto per punto, le varie argomentazioni sviluppate dall'avv. Lentini, chiedendo la declaratoria dell'inammissibilita' dell'appello, e, comunque, il suo rigetto, con conferma della sentenza, appellata. A margine dell'udienza del 29 giugno 2006, l'avv. Lentini, ha depositato una istanza di definizione agevolata del giudizio, ai, sensi dei commi 231, 232 e 233 dell'art. 1 della legge n. 266/2005, per cui il Presidente, al fine acquisire il parere di competenza del pubblico ministero, rinvia la Camera di consiglio all'11 luglio 2006. In tale parere (depositato in segreteria il 7 luglio 2006), il vice procuratore generale, dopo avere reiterato l'eccezione (gia' formulata con l'atto conclusionale) di inammissibilita' dell'appello per la sua tardivita' rispetto alla notifica della sentenza di primo grado 12 ottobre 2005/21 dicembre 2005, ipotizza, da una parte, l'inammissibilita' dell'istanza di definizione agevolata, la quale - in tal modo - risulta proposta «in assenza di sentenza impugnabile», e, dall'altra, che, in ogni caso, l'istanza stessa non potrebbe, essere accolta in guanto «appare quantomeno inopportuna qualsiai ulteriore riduzione dell'addebito stante l'ampio esercizio del potere riduttivo da parte del giudice di primo grado». Nella Camera di consiglio del 26 settembre 2006 (fissata dal residente della Sezione per effetto della dichiarazione, da parte, dell'avv. Lentini, di adesione alla astensione delle udienze per l'11 luglio 2006), il V.P.G. ha confermato le richieste formulate on l'atto scritto appena citato. D i r i t t o In via pregiudiziale, la Sezione, nell'affrontare l'eccezione di difetto di giurisdizione di questa Corte formulata dall'avv. Lentini nell'atto di appello, perviene agevolmente al suo rigetto in quanto l'art. 60 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dopo avere evocato le disposizioni contenute negli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile per «la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente», dispone espressamente - fra l'altro - che «la notificazione e' eseguita dai messi comunali», ne consegue che non appare fondata la tesi secondo cui il rapporto di servizio si e' instaurato fra il Distretto minerario e il comune di Campobello di Mazzara in quanto e proprio la legge a creare direttamente il rapporto di servizio (indefettibile per la giurisdizione di responsabilita' della Corte dei conti) fra il predetto organo regionale e il messo comunale-convenuto. Altra questione pregiudiziale concerne l'eccezione della procura generale in ordine alla inammissibilita' dell'istanza di definizione agevolata in quanto, essendo stato l'appello notificato oltre il termine di 60 giorni previsto dall'art. 5-bis del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, introdotto con l'art. 1 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, tale definizione non puo' operare nei confronti di una sentenza passata in giudicato; ma anche tale eccezione non e' fondata. Infatti, dagli atti risulta che l'ufficiale giudiziario, in data 9 dicembre 2005 (e cioe' prima del decorso del termine dei 60 giorni), aveva tentato di effettuare la notifica dell'appello (la quale non fu possibile disporla, perche' gli uffici della procura generale e della procura regionale, presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti «erano chiusi alle ore 16»). il che dimostra ad abundantiam che, prima della scadenza, l'appellante aveva consegnato all'ufficiale giudiziario l'atto da notificare; ne deriva che - in applicazione della pacifica giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n. 69/1994, n. 358/1996, n. 477/2002, n. 28/2004, n. 97/2004 e n. 154/2005), la quale ha sancito che «le norme in materia di notificazione di atti processuali vanno interpretate nel senso che la notificazione si perfeziona, nei confronti del notificante, al momento, della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario» - l'eccezione della procura generale deve essere rigettata. A questo punto il Collegio deve rilevare che l'art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, pone - ai commi 231, 232 e 233 - i seguenti (nuovi) meccanismi sostanziali e processuali applicabili, nei giudizi di responsabilita' dinanzi alla Corte dei conti per i fatti, commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge stessa: 1) «i soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata, sentenza di condanna possono chiedere alla competente sezione di appello, in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza»; 2) «la sezione di appello, con decreto in camera di consiglio, sentito il procuratore competente, delibera in merito alla richiesta e, in caso di accoglimento, determina la somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, stabilendo il termine per il versamento»; 2) «il giudizio di appello si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello». Tali disposizioni, in sostanza, introducono, nella fase di appello, un procedimento camerale diretto alla definizione «agevola» del giudizio di responsabilita' innanzi la Corte dei conti; ma la sezione dubita della legittimita' costituzionale del complesso di tali disposizioni, per violazione degli artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111 della Costituzione. Il ragionamento della sezione prende le mosse da quella giurisprudenza costituzionale fra le altre sentenze n. 681/1971, n. 63/1973 e n. 1032/1988) in base alla quale la concreta garanzia dei principi costituzionali di eguaglianza, di buon andamento e del controllo contabile sia sostanzialmente affidata alla legge ordinaria, nel senso che sono riservate al discrezionale apprezzamento del legislatore non solo la determinazione e la graduazione dei tipi e dei limiti di responsabilita' che - in relazione alle varie categorie di dipendenti pubblici o alle particolari situazioni regolate - appaiono come le forme piu' idonee a garantire l'attuazione dei predetti principi costituzionali (sentenza n. 411/1988 e ordinanza n. 549/1988 nonche' - con riferimento all'art. 28 Cost. - le sentenze n. 2/1968, n. 123/1972, n. 164/1982 e n. 26/1987), ma anche la possibilita' di stabilire un limite patrimoniale della responsabilita', amministrativa (sentenza n. 340/2001). Cio' sta a significare, in definitiva, da una parte, che, per quanto non sia possibile trarre da taluni parametri costituzionali (in particolare, artt. 97 e 103, comma 2, Cost.) un principio di inderogabilita' delle comuni regole, della responsabilita', si puo' tuttavia ricavare dagli stessi parametri, la regola secondo la quale la discrezionalita' del Legislatore, per essere considerata corretta nel suo esercizio, deve determinare e graduare, caso per caso, i tipi e i limiti della responsabilita' in riferimento alle diverse categorie di dipendenti pubblici e alle diverse situazioni concrete, fissando, per ciascuna di esse, le forme piu' idonee a garantire i principi del buon andamento e del controllo contabile (sentenza n. 371/1998); e, dall'altra, che, in sede di giudizio di legittimita' costituzionale, le leggi disciplinanti la responsabilita' dei pubblici dipendenti sono sindacabili, in riferimento ai parametri invocati, solo sotto il profilo della ragionevolezza della disciplina adottata e delle diversita' introdotte (cioe', in relazione all'art. 3 Cost.). Conseguentemente, pur non potendosi negare, in linea di principio, la possibilita' di un intervento legislativo del tipo di quello esaminato in questa sede, e' tuttavia pur sempre necessita, o che l'intervento stesso sia strettamente (e irragionevolmente) collegato alle specifiche peculiarita' del caso in modo tale da escludere qualsiasi ipotesi di arbitrio nella fase di sostituzione della disciplina generale con una (successiva) eccezionale (Corte cost., sentenza n. 14/1999, e altre precedenti ivi citate) sotto il profilo tanto del rispetto del principio di eguaglianza, quanto della tutela del buon andamento e della salvaguardia della funzione giurisdizionale da indebite interferenze da parte del potere legislativo. Se nonche', rispetto alle norme di cui si sta trattando, appare alquanto problematica l'individuazione della ratio che le sorregge, che non sia quella - puramente e semplicemente - della limitazione del risarcimento patrimoniale del soggetto condannato in primo grado, circostanza che, proprio per questo, caratterizza l'innovazione normativa per la sua irrazionalita' e - conseguentemente - per la sua arbitrarieta'. In merito, potrebbe essere utile richiamare due esempi, tratti alla normativa, che - pur eventualmente «criticabili» sul piano lato sensu «politico» - presentano una ratio che consente di superare, sul piano giuridico, i dubbi di irrazionalita' e arbitrarieta': uno, concerne il c.d. «condono fiscale» che, pur attivabile «dinanzi alle commissioni tributarie od al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio (da ultimo, art. 16, legge 27 dicembre 2002, n. 289), e' chiaramente finalizzato all'incremento - e in termini brevi - delle entrate fiscali, oltre a deflazione, in qualche misura, il contenzioso tributario; un altro, concernente la «applicazione della pena su richiesta delle parti» (ai sensi degli artt. 444 e segg. cod. proc. pen.), che, potendo essere richiesta, nel giudizio ordinario, fino alla presentazione delle conclusioni di cui agli artt. 421, comma 3, e 422, comma 3 (e, in caso di giudizio direttissimo, fino alla dichiarazione di apertura di dibattimento di primo grado), e' chiaramente finalizzata a deflazionare il carico di lavoro del giudice penale per i reati meno rilevanti e, al contempo, a limitare drasticamente le pene detentive e quindi limitare gli accessi alle carceri, notoriamente superaffollate. Conseguentemente, raffrontando le citate situazioni con il caso che interessa in questa sede, a giudizio della sezione appaiono violati gli artt. 97 (principio di buon andamento dell'amministrazione pubblica) e 103, comma 2, Cost. (controllo contabile) stante che le norme sottoposte a scrutinio costituzionale, da una parte, non incidono minimamente (in senso riduttivo) sull'entita' del contenzioso contabile (considerato che le norme stesse operano esclusivamente in sede di appello, nel cui ambito il sostituire una pubblica udienza con una camera di consiglio e una sentenza con un decreto e' sicuramente di piccolo momento), e, dall'altra, che producono (quasi sicuramente, facendo astrazione ovviamente dall'ipotesi di condanna in sede di appello ordinario) una minore entrata (fra il 90 per cento e il 70 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado), per cui rimane soltanto l'irrazionale e incongruo «effetto premiale» (nei confronti del convenuto condannato), che, in quanto tale, si appalesa del tutto ingiustificato. D'altra parte, la sezione ritiene che tali parametri costituzionali siano violati anche sotto un altro profilo. Infatti - premesso che nel sistema vigente l'attenuazione della responsabilita' amministrativo-contabile e' rimessa, nei singoli casi, al potere riduttivo del giudice, che, a tal fine, puo' tenere conto (fondamentalmente) del comportamento e del livello di responsabilita', ma anche delle capacita' economiche del soggetto responsabile -, appare assolutamente irragionevole (e, in questo senso, viene implicato anche l'art. 3 Cost.) una riduzione predeterminata e pressoche' automatica della responsabilita' e della misura del risarcimento, lasciando al giudice una valutazione minima in ordine al comportamento complessivo dell'agente (Corte costituzionale, sentenza n. 340/2001); con la ulteriore conseguenza che il complesso normativo esaminato potrebbe incidere (limitandolo) sul principio del «libero convincimento del giudice», violando cosi' l'art. 101 Cost., limitandolo anche nel senso che l'inciso «in caso di accoglimento» della richiesta del soggetto condannato (comma 232), non contenendo alcun criterio di orientamento per il giudice, comporta - in conclusione e in sostanza - l'assenza di qualsiasi «discrezionalita» nell'an (per cui il procedimento, in certo qual modo diventa «obbligatorio» con la conseguenza, fra l'altro che l'ipotesi formulata dalla Procura Generale, di «inaccoglibilita», nella specie, della richiesta, promanante dalla parte privata, di «definizione agevola, del giudizio», non potrebbe essere recepita dalla Sezione proprio per la mancanza di qualsiasi parametro cui collegare il predetto inciso «in caso di accoglimento»). A sua volta, il principio di eguaglianza appare ulteriormente violato nella considerazione che la normativa e' applicabile soltanto ai «soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna», con la conseguenza che la situazione concreta potrebbe rilevarsi negativa nei confronti dei soggetti che risultino assolti in primo grado nel senso che la relativa sentenza potrebbe essere appellata dal pubblico ministero e che la sentenza di appello potrebbe essere di condanna, senza che il convenuto possa fruire dei vantaggi della norma «di condono». E' ben vero che nella specie, si e' in presenza di soggetti condannati in primo grado, con la conseguenza che la prospettazione che precede potrebbe apparire non rilevante, ma, nell'economia complessiva della normativa, appare comunque irrazionale una previsione legislativa che esclude dai benefici quei soggetti la cui posizione - dopo la sentenza di primo grado - appare chiaramente meno «pesante» di quella dei convenuti condannati; mentre difficilmente potrebbe pervenirsi ad una interpretazione «adeguatrice», non solo perche', in tale caso, dovrebbe superarsi la «lettera» della «condanna» in primo grado, ma anche perche' si dovrebbe «creare» il criterio al quale correlare le percentuali del 10, del 20 o del 30 previste dalla legge. Appare violato anche l'art. 24 Cost. (in particolare, il comma 2: «La difesa e' diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento») nella parte in cui il pubblico ministero presso la Corte, dei conti viene evocato nel solo comma 232 e solo per «essere sentito» in camera di consiglio quando la Sezione di appello deve deliberare «in merito alla richiesta»; infatti, per tale funzione, limitata e marginale (che si sostanzia nell'espressione di un «parere»), del pubblico ministero, il procedimento regolato dai commi 231-233 dell'art. 1 della legge n. 266/2005 non assume, sostanzialmente, carattere bilaterale, per cui la funzione di «parte» del pubblico ministero contabile nell'ottica - anche del «giusto processo» - dell'art. 111 Cost.), viene, nella specie, quasi pretermessa (con la conseguenza - fra l'altro - che, in tal modo, vengono pesantemente compressi i diritti e gli interessi della pubblica amministrazione, dei quali il pubblico ministero e' chiaramente portatore, in uno all'interesse generale dell'Ordinamento). Le questioni di legittimita' costituzionale che precedono, non superabili in via interpretativa, sono non manifestamente infondate per i motivi che precedono e rilevanti in quanto le norme denunciate, ove venissero dichiarate incostituzionali, non potrebbero essere applicabili nel presente giudizio, che proseguirebbe secondo il rito ordinario.