Ricorso della Regione Liguria, in persona del Presidente in carica Claudio Burlando, autorizzato con delibera della giunta regionale n. 402 del 17 aprile 2007, rappresentato e difeso per mandato a margine dagli avv. Barbara Baroli, Gigliola Benghi ed Orlando Sivieri, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Orlando Sivieri, in Roma, piazza della Liberta' n. 13; Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del presidente pro-tempore in relazione, al decreto del Ministero dello sviluppo economico - Direzione generale per il commercio, le assicurazione ed i servizi - datato 27 febbraio 2007, a firma del direttore generale Mario Spigarelli, portato a conoscenza della Regione Liguria il 5 marzo 2007, con il quale e' stato deciso il ricorso amministrativo ex art. 6 del d.m. 24 luglio 1996, n. 501 proposto da Confcommercio della Provincia di Imperia e Confesercenti della Provincia di Imperia avverso il decreto del Presidente della Regione Liguria n. 64 in data 27 ottobre 2006 recante: «Determinazione del numero dei rappresentanti nel Consiglio Camerale di Imperia spettante a ciascuna organizzazione imprenditoriale, sindacale e associazione dei consumatori e utenti o loro raggruppamenti». Premesse Il d.m. 24 luglio 1996, n. 501 costituisce il «Regolamento di attuazione dell'art. 12, comma 3, della legge 29 dicembre 1993, n. 580 recante riordino delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura». Esso attribuisce al presidente della giunta regionale diverse funzioni attinenti la procedura di rinnovo dei Consigli delle Camere di Commercio, tra cui, in particolare: la rilevazione del grado di rappresentativita' delle organizzazioni imprenditoriali dei diversi settori economici; l'individuazione delle organizzazioni imprenditoriali ammesse a designare i componenti del Consiglio Camerale, nonche' il numero dei componenti che ciascuna di esse designa; la determinazione delle organizzazioni sindacali o associazioni di consumatori a cui spetta designare il rappresentante in Consiglio. (art. 5 d.m. n. 501). Il successivo art. 6 del d.m. n. 501 prevede che avverso le determinazioni del presidente della giunta regionale le organizzazioni imprenditoriali e sindacali e le associazioni dei consumatori che, intendendo partecipare alla ripartizione dei seggi all'interno del Consiglio Camerale, abbiano fatto pervenire le comunicazioni prescritte dagli artt. 2 e 3 del d.m. 501 cit., possano presentare ricorso al Ministero dell'industria, (ora: Ministero dello sviluppo economico), che decide nei trenta giorni successivi alla ricezione delle controdeduzioni delle parti. Recentemente, in Liguria, si e' proceduto al rinnovo del Consiglio Camerale di Imperia. Nell'ambito di tale procedura, il presidente della giunta regionale ha emanato in data 27 ottobre 2006 il decreto n. 64 recante: «Determinazione del numero dei rappresentanti nel Consiglio Camerale di Imperia spettante a ciascuna organizzazione imprenditoriale, sindacale e associazione dei consumatori e utenti o loro raggruppamenti». (doc. 1). In data 11 dicembre 2006 Confcommercio della Provincia di Imperia e Confesercenti della Provincia di Imperia hanno notificato a Regione Liguria il ricorso previsto dall'art. 6 del d.m. n. 501/1996, onde ottenere l'annullamento e la riforma del citato decreto n. 64, limitatamente ai settori Commercio/Servizi alle imprese/Nautica da diporto e portualita' turistica (doc. 2). Nel merito, le doglianze delle due organizzazioni imprenditoriali erano finalizzate, essenzialmente, a contestare il rifiuto regionale di conteggiare - ai fini della pesatura della loro rappresentativita' rispetto a quella delle altre organizzazioni di categoria - anche le «unita' locali» di cui parla l'art. 1 del d.m. n. 501/1996. A prescindere, tuttavia, dalla questione di merito, l'Amministrazione regionale ha ritenuto che -a seguito dell'entrata in vigore delle modifiche al Titolo V della Costituzione, come introdotte dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3- il rimedio del ricorso amministrativo previsto dall'art. 6 del d.m. n. 501/1996 fosse venuto meno, e che conseguentemente, il Ministero fosse privo di qualunque potere nel decidere il relativo gravame. Le ragioni di tale posizione sono state rappresentate al Ministero dello sviluppo economico con la nota n. 4090/1985 in data 9 gennaio 2007 (doc. 3). In tale documento la Regione Liguria richiamando il testo degli artt. 117 e 125 Cost. come modificati dalla legge cost. n. 3/2001, ha affermato la propria esclusiva competenza a decidere nella materia de qua, avvertendo il Ministero che il trattenimento dell'affare e la decisione del ricorso nel merito avrebbe costituito invasione della sfera di competenza assegnata dalla Costituzione alla regione, tale da richiedere il riparatorio intervento di questa Corte. Il Ministero dello sviluppo economico andava, tuttavia in contrario avviso, giacche', con decreto del direttore generale per il Commercio, le Assicurazioni ed i Servizi in data 27 febbraio 2007, pervenuto alla Regione Liguria il 5 marzo 2007, (doc. 4) ha deciso nel merito il ricorso amministrativo ex art. 6 del d.m. 24 luglio 1996, n. 501 proposto da Confcommercio della Provincia di Imperia e Confesercenti della Provincia di Imperia, stabilendo: «Il ricorso e' dichiarato fondato in ogni sua parte. L'Autorita' regionale e' invitata ad emendare il proprio decreto n. 64 del 27 ottobre 2006, adeguandolo sulla base delle seguenti considerazioni: a) le unita' locali e le sedi secondarie fanno parte legittimamente, del numero delle imprese dichiarato per la rappresentativita' da parte di Confcommercio; b) Confcooperative di Sanremo puo' far parte dell'apparentamento ammesso per i seggi del commercio, solo se conferisce all'apparentamento imprese associate del settore del commercio, non aventi ragione di societa' cooperative». Cio' premesso, non resta alla Regione Liguria che chiedere il riparatorio intervento della Corte costituzionale, volto alla dichiarazione che non spetta allo Stato e per esso al Ministero dello sviluppo economico decidere i ricorsi gerarchici ex art. 6 d.m. n. 501/1996 da considerarsi rimedi ormai abrogati e, per l'effetto, annullare il decreto ministeriale 27 febbraio 2007 in base ai seguenti motivi in D i r i t t o Violazione dell'art. 9, comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che ha abrogato l'art. 125, primo comma della Costituzione: Il ricorso ex art. 6 d.m. n. 501/1996 era ascritto alla categoria dei ricorsi amministrativi cd. «gerarchici impropri», vista la natura di riesame che la relativa decisione ministeriale rivestiva nei confronti dei provvedimenti adottati in sede regionale (ovvero all'interno di un apparato non organizzato verticalmente), quale espressione di quell'ampia posizione di supremazia o di controllo attribuita allo Stato nei confronti del sistema Regioni/Camere di Commercio ad opera della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (art. 4), potere - lo si anticipa qui - gia' fortemente ridimensionato nel 1998, con il d.lgs. n. 112. L'Adunanza Generale del Consiglio di Stato ha confermato l'ascrivibilita' dei ricorsi gerarchici impropri al sistema dei controlli affermando: «Il ricorso gerarchica improprio si colloca nell'ambito delle norme di riesame di un apparato non organizzato verticalmente e caratterizzato dalla diversita' funzionale dei poteri attribuiti alle diverse autorita', sicche' l'abolizione del rimedio si colloca in una prospettiva non gia' di semplificazione amministrativa, ma di una diversa articolazione del sistema dei controlli» (C.d.S., A.g., 10 giugno 1999, nn. 8 e 9). Una volta definito il rimedio in questione come attivita' amministrativa di controllo, si impone la considerazione per la quale l'art. 9, secondo comma, della legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 ha abrogato il primo comma dell'art. 125 Cost. laddove prevedeva l'esistenza del controllo degli atti amministrativi della regione da parte dello Stato. Tale abrogazione deve far considerare attualmente inammissibili tutte le ipotesi di controllo statale su atti regionali che non trovino la loro giustificazione in altre e diverse norme costituzionali. A cio' va aggiunto che la disposizione di cui all'art. 9, secondo comma, legge cost. n. 3/2001 appare possedere un contenuto immediatamente precettivo, determinando l'abrogazione di precedenti disposizioni costituzionali aventi a loro volta contenuti precettivi, con effetti che non appaiono differibili a momenti successivi. In considerazione di quanto sopra, appare da escludersi la perdurante vigenza del potere di controllo che lo Stato/amministrazione esercitava ex art. 6 d.m. n. 501 nei confronti delle determinazioni del presidente della giunta regionale, seppur si trattasse di controllo esercitato ad istanza di parte e sotto forma del ricorso gerarchico improprio. Violazione degli artt. 117 e 118 Cost. L'esercizio del potere esercitato dallo Stato tramite il decreto direttoriale impugnato in questa sede confligge, altresi', con l'attuale assetto di competenze delineato agli articoli 117 e 118 Cost., posto che la corretta composizione degli organi rappresentativi della singola «Camera di Commercio» appare ricadere all'interno di materia ascritta dal nuovo art. 117 Cost. alla competenza residuale delle regioni. Prima di indagare il relativo tema, appare importante ricordare come, gia' anteriormente alla modifica del Titolo V della Costituzione, le riforme del cd. «federalismo amministrativo» abbiano spostato nella dimensione regionale un'ampia quota di compiti relativi allo «sviluppo economico», al cui interno il Titolo II del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 colloca espressamente l'ordinamento delle Camere di Commercio (v. art. 11, comma 2, d.lgs. n. 112). In particolare, gia' gli artt. 37 e 38 del d.lgs. n. 112/1998 avevano eliminato quel generale potere di «supremazia e di controllo» sulla vita delle Camere di Commercio da parte statale, tramite l'abolizione della vigilanza sull'attivita' delle singole Camere di Commercio e del controllo sugli statuti, sui bilanci e sulle piante organiche, che l'art. 4 della legge 29 dicembre 1993, n. 580 riservava all'allora Ministero dell'industria. Quanto al controllo sugli organi lo stesso d.lgs. n. 112 cit. ha attribuito alle regioni «l'esercizio del controllo sugli organi camerali, in particolare per i casi di mancato funzionamento o costituzione», con la sola esclusione dello scioglimento dei consigli camerali per gravi motivi di ordine pubblico (mantenuto ancora allo Stato dall'art. 38 del d.lgs. n. 112). Il radicale mutamento di rotta in favore delle regioni e' stato valorizzato di recente dal parere n. 1451/2006 reso in data 16 maggio 2006 dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato (doc. 5) che - nel fornire risposta ad un quesito posto proprio dal Ministero dello sviluppo economico in ordine alla portata delle proprie funzioni nei confronti delle Camere di Commercio - ha parlato di «poteri residuali» del Ministero, riferendoli esclusivamente alle funzioni elencate dall'art. 38 d.lgs. n. 112 (tra le quali, si osserva, gia' non figurava in alcun modo la decisione dei ricorsi gerarchici impropri ex art. 6 d.m. 501/1996), riaffermando che «le norme attribuiscono alla regioni il controllo sugli organi camerali», e concludendo nel senso che tutto il sistema dei controlli in materia di Camere di Commercio e' ormai incentrato sulle regioni». Ad avviso della odierna ricorrente, successivamente alle riforme del cd. «federalismo amministrativo» nella materia «Camere di Commercio», il nuovo Titolo V della Costituzione introdotto nel 2001 ha consolidato ed ampliato la scelta a favore della competenza regionale andando oltre il quadro preesistente. ossia compiendo il passo ulteriore di attribuire la materia «Camere di Commercio» alla competenza esclusiva delle regioni, sulla base della clausola di residualita' di cui all'art. 117, quarto comma, Cost. Si e' consapevoli che l'avviso di questa Corte e' nel senso che la mancata menzione di una materia nell'elencazione fatta dall'art. 117 non implichi automaticamente che essa vada considerata oggetto di potesta' legislativa residuale delle regioni, (cfr. Corte cost. n. 303 del 2003, riferita ai «lavori pubblici»); parimenti, si e' consapevoli che la cd. «clausola di residualita» a favore delle regioni e' stata ridimensionata dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale richiede, prima di riconoscere una competenza regionale, la previa verifica che un oggetto non previsto negli elenchi dell'art. 117 non possa essere ricondotto -in ragione degli interessi e delle finalita' prevalenti- entro l'ambito di una delle materie contenute nell'elenco delle competenze esclusive dello Stato o di quelle delle materie concorrenti. Si ritiene tuttavia - per cio' che concerne le funzioni riguardanti lo «sviluppo economico», al cui interno e' indubbio vadano collocate quelle afferenti alla corretta composizione dei Consigli Camerali delle singole Camere di Commercio da un lato che il nuovo art. 117 Cost. abbia rafforzato la riserva alla competenza regionale in virtu' del fatto che tutte le materie riferibili allo sviluppo economico ed alle attivita' produttive (tra cui l'agricoltura, l'industria, l'artigianato, il turismo, il commercio) siano pacificamente assorbite nell'ambito della competenza legislativa residuale delle regioni ex art. 117, quarto comma, Cost. D'altro lato, l'indagine relativa alla natura degli interessi pubblici sottesi all'attivita' amministrativa regionale tramite le determinazioni del presidente della giunta regionale previste dall'art. 5 del d.m. n. 501/1996, (finalizzate ad assicurare il miglior collegamento dell'organo consiliare camerale con il territorio di riferimento e a garantire che le categorie economiche e le organizzazioni imprenditoriali localizzate all'interno della circoscrizione della Camera di Commercio siano rappresentate in proporzione alla loro effettiva consistenza) porta ad escludere che le funzioni riguardanti la corretta composizione degli organi rappresentativi delle Camere di Commercio involgano l'esistenza di quegli interessi unitari ed infrazionabili, tali da giustificare un'intromissione statale addirittura integralmente sostitutiva della volonta' espressa dalla regione. Ma se cosi' e', ossia se le competenze esercitate dal presidente della giunta regionale ex art. 5 del d.m. n. 501/1995 si collocano in oggi all'interno di materia astrattamente spettante alla competenza legislativa residuale delle regioni, il passaggio successivo riguardante la questione della perdurante esistenza di un potere amministrativo statale di riesame, tale da sovrapporsi completamente all'azione amministrativa regionale, appare da risolversi in senso negativo. Nell'ambito della competenza cd. «residuale» -a differenza di quanto accade per le materie di legislazione concorrente- e' la Costituzione stessa a privare lo Stato di quel fondamentale strumento di influenza sulla regione che e' la legislazione di principio, sul presupposto della inesistenza di interessi di carattere unitario. E se lo Stato e' privato addirittura dell'enunciazione dei principi per la sede legislativa, non si vede quale sia il titolo attuale per il mantenimento di funzioni di supervisione amministrativa (di controllo) in quelle materie. Tali funzioni appaiono immediatamente caducate, non richiedendo disposizioni di matrice regionale sostitutive delle precedenti. Se appare configurabile l'allocazione a livello nazionale di funzioni amministrative relative a materie assoggettate alla legislazione concorrente, non appare ammissibile l'esercizio di funzioni amministrative da parte statale in materie rientranti nella competenza residuale delle regioni. La decisione del ricorso gerarchico improprio da parte del Ministero dello sviluppo economico costituisce l'esercizio quel particolare tipo di attivita' amministrativa avente natura di controllo riferito ad un ambito di rapporti Stato/Regioni del tutto superato. Il mantenimento in vita di detto potere statale confliggerebbe direttamente altresi' con i principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza posti dall'art. 118 Cost., non essendo il livello di governo statale quello maggiormente idoneo ad effettuare le valutazioni (o meglio: la rivisitazione delle valutazioni) attribuite alle regioni ex art. 5 d.m. 501/1996. Ne' il mantenimento a livello statale di tale funzione amministrativa risponde ad alcuna istanza di esercizio unitario ispirata dalla dimensione e dalla natura degli interessi da curare, come postula lo stesso art. 118. Istanza di sospensione. Si chiede la sospensione dell'esecuzione del decreto ministeriale oggetto della presente impugnativa. Si confida di aver sorretto sufficientemente, nelle pagine che precedono, l'esistenza del necessario fumus. Quanto alla sussistenza delle «gravi ragioni» richieste dalla legge per la sospensione degli atti che hanno dato luogo al conflitto di attribuzione, si porta a conoscenza della Corte che -a seguito dell'emanazione da parte del presidente della giunta regionale del decreto n. 64 in data 27 ottobre 2006, considerato da parte regionale atto definitivo- si e' proceduto a nominare i componenti del Consiglio della Camera di Commercio di Imperia (decreto P.G.R. n. 3/2007 doc. 6) ed a convocarne la seduta di insediamento. Attualmente, pertanto, il Consiglio sta esercitando le proprie funzioni. Il decreto ministeriale a cui la regione dovrebbe adeguarsi obbliga la regione stessa a ricominciare la procedura di rinnovo del Consiglio Camerale di Imperia interrompendo arbitrariamente la piena funzionalita' di tutti gli organi camerali nel frattempo insediatisi. Al contempo, lo svilimento dell'attivita' regionale in materia di composizione del Consiglio Camerale a mera esecuzione di precetti autoritativi fissati in sede centrale, porta a rompere l'indispensabile uniformita' che ha finora caratterizzato l'azione amministrativa regionale nel pesare le organizzazioni imprenditoriali chiamate a designare i propri componenti nel Consiglio Camerale, imponendo conteggi del tutto diversi da quelli fin qui seguiti nelle recenti procedure di rinnovo degli organi delle restanti Camere di Commercio liguri. Il tutto, in applicazione di un anacronistico assetto di competenze, superato dai richiamati parametri costituzionali innovativi del Titolo V della Costituzione.