ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 33, comma 7,
lettera a),   della  legge  30 luglio  2002,  n. 189  (Modifica  alla
normativa  in  materia  di  immigrazione  e  di  asilo), promosso dal
Tribunale  amministrativo  regionale  della Campania, sede di Napoli,
sul  ricorso  proposto  da  A.  R.  contro l'Ufficio Territoriale del
Governo  di  Napoli,  con  ordinanza del 7 novembre 2005, iscritta al
n. 598  del  registro  ordinanze  2006  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 1, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 4 giugno 2007 il giudice
relatore Francesco Amirante.
    Ritenuto  che,  nel corso di un giudizio relativo all'impugnativa
di  un  provvedimento prefettizio di rigetto della domanda presentata
da una datrice di lavoro al fine di legalizzare un rapporto di lavoro
irregolare con un dipendente di nazionalita' pachistana, il Tribunale
amministrativo   regionale   della  Campania,  sede  di  Napoli,  con
ordinanza   del   7 novembre   2005  (pervenuta  a  questa  Corte  il
20 novembre  2006),  ha  sollevato,  in riferimento all'art. 3, primo
comma,  della  Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 33, comma 7, lettera a), della legge 30 luglio 2002, n. 189
(Modifica  alla  normativa  in  materia  di immigrazione e di asilo),
nella  parte  in cui esclude automaticamente dalla legalizzazione del
lavoro   irregolare  i  cittadini  extracomunitari  che  siano  stati
destinatari  di  un  provvedimento  di  espulsione  da  eseguire  con
accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica;
        che,  nella  specie,  il  ricorrente  e'  stato in precedenza
espulso  con  accompagnamento  alla  frontiera (con provvedimento del
22 novembre   2001)  per  essere  entrato  nel  territorio  nazionale
sottraendosi  ai  controlli  di  frontiera  e  sul  presupposto della
sussistenza  del  concreto pericolo di sottrazione all'esecuzione del
provvedimento  espulsivo,  non  risultando  «inserito  in un contesto
familiare, sociale e lavorativo»;
        che  non  avendo  la questura specificato se il provvedimento
espulsivo,  dopo la notificazione, sia stato effettivamente eseguito,
non   sussiste   l'ulteriore  causa  ostativa  alla  relativa  revoca
costituita  dal  rientro  non autorizzato nel territorio nazionale da
parte  dei  soggetti  precedentemente espulsi (che configura anche il
reato di cui all'art. 13, comma 13, del decreto legislativo 25 luglio
1998, n. 286);
        che  il  giudice  remittente,  dopo  aver  richiamato  alcune
precedenti  decisioni  di  questa  Corte  in  materia,  sostiene,  in
particolare,  come  valutazioni  analoghe a quelle poste a fondamento
della  sentenza  n. 78  del  2005  potrebbero indurre questa Corte ad
accogliere  l'attuale  questione,  in  quanto anche in questo caso la
pericolosita'  sociale  del soggetto viene automaticamente desunta da
un  elemento  inidoneo  allo scopo e, cioe', dalla circostanza che lo
stesso  sia  stato  destinatario  di  un  provvedimento di espulsione
adottato   con   la   modalita'  dell'accompagnamento  coattivo  alla
frontiera;
        che,  ad  avviso del giudice a quo, la disposizione di cui si
tratta  sarebbe  inoltre in contrasto con il principio di uguaglianza
in   quanto,   del   tutto  irragionevolmente,  riserva  il  medesimo
trattamento   a  soggetti  che  si  trovano  in  situazioni  diverse,
accomunando   lavoratori   colpiti   da  decreti  di  espulsione  con
accompagnamento  alla  frontiera  per  motivi  di  ordine  pubblico o
sicurezza  dello  Stato  o  perche' ritenuti socialmente pericolosi a
coloro che siano destinatari di analoghi provvedimenti esclusivamente
per  essersi  trattenuti nel territorio nazionale oltre il prescritto
termine  dall'intimazione dell'espulsione ovvero - come il ricorrente
-  per  essere  entrati clandestinamente in Italia privi di un valido
documento  di identita', ma senza essere concretamente pericolosi per
la sicurezza pubblica e senza aver riportato condanne penali;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,   che   ha   concluso   per  l'inammissibilita'  o,  comunque,
l'infondatezza  della  questione,  in quanto essa si risolverebbe nel
chiedere  una valutazione circa il merito di scelte discrezionali del
legislatore che appaiono del tutto ragionevoli.
    Considerato  che  il  Tribunale  amministrativo  regionale  della
Campania,  sede  di  Napoli, dubita, in riferimento all'art. 3, primo
comma,   Cost.,   della   legittimita'  costituzionale  dell'art. 33,
comma 7,  lettera a),  della  legge  30 luglio 2002, n. 189 (Modifica
alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), nella parte in
cui   esclude   automaticamente   dalla   legalizzazione  del  lavoro
irregolare i cittadini extracomunitari che siano stati destinatari di
un  provvedimento  di espulsione da eseguire con accompagnamento alla
frontiera a mezzo della forza pubblica;
        che,  ad  avviso del giudice a quo, la disposizione censurata
violerebbe l'invocato parametro costituzionale sia perche', del tutto
irragionevolmente,  stabilisce  lo  stesso trattamento per situazioni
sostanzialmente diverse, sia per intrinseca irragionevolezza;
        che, come gia' precisato da questa Corte (si veda, per tutte,
l'ordinanza  n. 126  del  2005), la disposizione stessa contiene, con
riferimento  ai  cosiddetti badanti e lavoratori domestici, una norma
uguale  a  quella  dettata, per i dipendenti di imprese, dall'art. 1,
comma 8,  lettera a),  del  decreto-legge  9 settembre  2002,  n. 195
(Disposizioni   urgenti  in  materia  di  legalizzazione  del  lavoro
irregolare  di extracomunitari), convertito, con modificazioni, dalla
legge 9 ottobre 2002, n. 222;
        che, con riguardo a tale ultima disposizione, con la sentenza
n. 206  del  2006  e  con  l'ordinanza  n. 44  del  2007  sono state,
rispettivamente,  dichiarate  non  fondata e manifestamente infondata
questioni   di   costituzionalita'   analoghe  a  quella  attualmente
proposta;
        che  nelle  suddette  pronunce - dopo aver evidenziato che la
disposizione  censurata si riferisce alla legalizzazione dei rapporti
di   lavoro   intrattenuti  da  cittadini  extracomunitari  in  epoca
antecedente  l'entrata  in vigore della legge 30 luglio 2002, n. 189,
la  quale  ha  sensibilmente modificato la disciplina dell'espulsione
amministrativa  -  si  e'  sottolineato  come,  in riferimento a tale
pregresso  quadro  normativo,  l'espulsione amministrativa venisse di
regola  eseguita  con  intimazione  all'interessato ad abbandonare il
territorio  dello  Stato  e non tramite accompagnamento coattivo alla
frontiera,  sicche' questa seconda modalita' di esecuzione, correlata
non  «a  lievi  irregolarita'  amministrative  ma  alla situazione di
coloro che avessero gia' dimostrato la pervicace volonta' di rimanere
in  Italia  in  una posizione di irregolarita», non irragionevolmente
implica il divieto di sanatoria della relativa posizione di lavoro;
        che  il Tribunale amministrativo regionale della Campania non
sottopone  alla  Corte  alcuna  argomentazione  diversa  ed ulteriore
rispetto a quelle gia' scrutinate nelle menzionate decisioni;
        che  la  presente questione, pertanto, deve essere dichiarata
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma 2,  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.