LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 15396/01 depositato il 30 luglio 2001 avverso silenzio rifiuto istanza rimb. n. IRAP anno 99 IRAP 1999, contro Agenzia entrate - Direzione regionale Campania (Sez. Napoli) proposto dal ricorrente: Banco di Napoli S.p.A. X uff. 20 luglio 2001, via Toledo n. 177/178 - 80132 Napoli, difeso da: avv. Ezio Palmarini, avv. Pasquale Del Vecchio, via Toledo n. 177 - 80100 Napoli; altre parti coinvolte: Centro di servizio, via degli Uffici Finanziari - 84100 Salerno; Regione Toscana - 50100 Firenze; Regione Umbria - 06100 Perugia; Regione Sardegna - 09100 Cagliari; terzi chiamati in causa: Ag.Ent.II.DD. Napoli II ufficio, piazza Bovio n. 22 - 80100 Napoli; difeso da: avv. Ezio Palmarini, avv. Pasquale Del Vecchio, via Toledo n. 177 - 80100 Napoli; Regione Abruzzo - 67100 L'Aquila; Regione Basilicata - 85100 Potenza; Regione Calabria - 88100 Catanzaro; Regione Campania - 80100 Napoli; Regione Emilia-Romagna - 40100 Bologna; Regione Lazio - 00100 Roma; Regione Lombardia - 20100 Milano; Regione Marche - 60100 Ancona; Regione Molise - 86100 Campobasso; Regione Puglia - 70100 Bari. Svolgimento del processo Con ricorso ritualmente notificato all'Agenzia delle entrate - D.R.E. per la Campania, all'Agenzia delle entrate - II Ufficio imposte dirette di Napoli, all'Agenzia delle entrate - Centro di Servizio delle imposte dirette e indirette di Salerno nonche' nei confronti delle regioni cosi' come in epigrafe riportate, e tempestivamente depositato alla segreteria della Commissione ed iscritto al n. 15398/01 il Banco di Napoli S.p.a., ora Sanpaolo IMI Banco di Napoli S.p.a., rappresentato e difeso dagli avv. Ezio Palmarini e Pasquale Del Vecchio dell'Avvocatura del Banco di Napoli S.p.a., e tutti elettivamente domiciliati presso la sede della societa' in Napoli alla via Toledo n. 177, proponeva ricorso avverso il silenzio-rifiuto a seguito di istanza di rimborso somme, per l'anno di imposta 1998. L'istituto di credito dichiarava in linea preliminare di aver corrisposto al concessionario della riscossione di Napoli, per l'accredito alla tesoreria competente, l'imposta regionale sulle attivita' produttive per l'esercizio 1998, in misura di complessive lire 57.501.545.000 di cui lire 24.688.344.000 a titolo di primo acconto in data 12 giugno 1998 e lire 24.688.344.000 a titolo di secondo acconto in data 30 novembre 1998, come da allegate copie del mod. F24, oltre un saldo di lire 8.124.857.000 corrisposto in data 3 giugno 1999 come da mod. F24 allegati. L'importo versato era stato calcolato applicando al valore della produzione netta realizzata pari a lire 1.064.843.373.000, determinato in applicazione dell'art. 4 del d.lgs. n. 446/1997, l'aliquota del 5,4% fissata in via transitoria dall'art. 45, comma 2, del citato d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, cosi' come modificato dall'art. 6, comma 17, lettera b), della legge n. 488/1999. In ogni modo l'istituto di credito dichiarava che nella determinazione dell'imponibile di cui sopra erano stati commessi errori materiali che avevano comportato un versamento in eccesso per un importo di lire 483.500.000 e la somma versata di lire 57.501.545.000 era stata ripartita tra le diverse regioni interessate. Con altro ricorso ritualmente notificato ai soggetti di cui sopra e tempestivamente depositato alla segreteria della Commissione ed iscritto al n. 15396/01 il Banco di Napoli S.p.A. - ora Sanpaolo IMI S.p.a. -, come sopra rappresentato e difeso, proponeva analoga opposizione avverso il silenzio-rifiuto a seguito di istanza di rimborso somme per l'anno di imposta 1999. In quest'ultimo ricorso l'istituto di credito dichiarava di aver corrisposto al concessionario per la riscossione di Napoli, per l'accredito alla tesoreria competente, l'imposta regionale sulle attivita' produttive per l'esercizio 1999, in misura complessiva di lire 56.351.514.000 di cui lire 22.540.606.000 a titolo di primo acconto in data 30 giugno 1999 e lire 33.810.908.000 a titolo di secondo acconto in data 30 novembre 1999 come da mod. F24 allegati. L'importo versato era stato calcolato con i criteri di cui al precedente ricorso su una produzione netta realizzata pari a lire 812.217.586.000 ed era stato versato in eccesso un importo di lire 284.000.000, mentre la somma di lire 56.351.514.000 era stata suddivisa tra le diverse regioni interessate. Nei due ricorsi l'istituto sosteneva che la normativa del decreto legislativo che determinava la misura dell'aliquota IRAP dovuta dalla banca era in contrasto con i principi della Costituzione ed in particolare con gli artt. 3 e 53 della Carta costituzionale, sia sotto il profilo della corrispondenza dell'imposizione alla capacita' contributiva, che sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza ed il principio della generalita' dell'obbligo tributario. L'imposta dovuta dalla banca, alla stregua dell'imposta dovuta da altri soggetti, doveva calcolarsi con l'applicazione di un'aliquota del 4,25% sull'imponibile rappresentato dalla capacita' contribuiva, cosi' come determinato dalla legge e cioe' sul valore netto della produzione e pertanto l'imposta dovuta per l'anno 1998 ammontava a lire 45.255.843.000 e quindi l'Erario e gli enti percepenti dovevano restituire l'importo di lire 12.245.702.000, indebitamente versati, oltre a rimborso della somma di lire 483.500.000, versata per errore materiale, e per l'anno 1999 l'imposta dovuta ammontava a lire 43.859.750.000 e quindi l'Erario e gli enti percepenti dovevano restituire l'importo di lire 12.491.764.000, indebitamente versati, oltre a rimborso della somma di lire 284.000.000, versata per errore materiale. La banca ricorrente si riportava alla decisione 21 maggio 2001, n. 157 con la quale la Corte costituzionale aveva ritenuto conformi ai principi costituzionali le norme istitutive della nuova imposta con particolare riferimento alla disciplina della determinazione della base imponibile del valore della produzione netta, cosi' come determinato dagli artt. 4-5-6-7 e segg. del d.lgs. n. 446/1997, ma riteneva che la legge potesse possedere ancora altri elementi di incostituzionalita' sotto un diverso aspetto e ricordava che l'art. 45 della stessa legge, recante disposizioni transitorie, prevedeva diverse aliquote calcolate sul valore della produzione netta a secondo dei settori in cui l'impresa operava e precisamente le aliquote erano state fissate al 3% per l'agricoltura, al 5% per le banche, le assicurazioni e altri intermediari finanziari e al 4,25% sui restanti settori. Per di piu', il comma 17 dell'art. 6 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, aveva modificato le dette aliquote ed aveva stabilito per le banche e gli altri istituti finanziari o intermediari, un'aliquota per l'anno 1998 pari al 5,4% e per i due periodi successivi del 5% e del 4,7%. La disparita' di trattamento secondo la banca ricorrente era dovuta alla necessita' di dover ricoprire un mancato gettito di imposte da parte del settore dell'agricoltura, facendo gravare tale mancato gettito esclusivamente a carico delle banche e di altri istituti del settore. Cio' poteva rilevarsi dalla nota tecnica allegata allo schema di decreto legislativo ove tra l'altro era riportato che l'aliquota del 4,25% rappresentava l'aliquota media che permetteva di ottenere il gettito necessario per compensare le mancate entrate dovute all'abolizione dei tributi e contributi gia' esistenti, mentre la maggiore aliquota applicata al settore bancario doveva sopperire il mancato gettito proveniente dal settore agricolo. L'applicazione alle imprese del settore di intermediazione finanziaria di un'aliquota piu' pesante di quella prevista in via generale, si traduceva in una evidente violazione del principio costituzionale di uguaglianza (art. 3), del principio di proporzionalita' dell'imposizione tributaria alla capacita' contributiva del contribuente (art. 53) e del principio di generalita' dell'obbligo di concorrere alla copertura delle spese pubbliche. Tanto premesso l'istituto chiedeva di dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del richiamato art. 45 del d.lgs. n. 446/1997, per le motivazioni di cui sopra, con la conseguente sospensione del giudizio e la remissione degli atti alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Nel merito richiedeva il rimborso delle somme versate in eccedenza e nell'ipotesi di accoglimento del ricorso, alla condanna degli enti percepienti dell'importo di lire 12.245.702.000. Si costituiva ritualmente l'Ufficio il quale in linea preliminare eccepiva la decadenza dell'istanza di rimborso, sostenendo che l'istanza era stata presentata in data 6 dicembre 2000 mentre i versamenti erano stati effettuati in data 12 giugno 1998, 31 novembre 1998, 30 giugno 1999 e quindi per lo meno per i primi due versamenti era intervenuta la decadenza poiche' l'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973 prevedeva il termine di mesi diciotto per proporre l'istanza di rimborso. Nel merito, evidenziava che la Corte costituzionale con la sentenza del 21 maggio 2001, n. 156 aveva ritenuto conforme ai principi costituzionali le norme istitutive dell'IRAP con riferimento in particolare alla disciplina della determinazione della base imponibile nonche' delle aliquote. Ricordava che le agevolazioni e i benefici tributari costituivano scelte del legislatore al quale in ultima analisi spettavano le scelte in materia economica e tributaria in vista di specifiche esigenze di politica economica e sociale (Corte costituzionale 17 dicembre 1987, n. 443). Evidenziava, infine, che il ricorrente non aveva dimostrato l'esistenza di presunti errori per cui non poteva farsi luogo al rimborso richiesto. Si costituiva altresi' la Regione Lazio la quale, in linea preliminare, eccepiva la sua carenza di legittimazione passiva in quanto era del tutto estranea al rapporto tributario, sostenendo in ogni caso che l'IRAP pur essendo devoluta alle regioni era un imposta che riguardava lo Stato e non le singole regioni e pertanto qualsiasi doglianza doveva essere rivolta all'amministrazione tributaria centralizzata. Nel merito, dichiarava i rilievi di costituzionalita' avanzati dall'istituto come non rilevanti e chiedeva il rigetto del ricorso. La Commissione, in pubblica udienza, udito il relatore, nonche' l'istituto di credito e l'Agenzia delle entrate, assente il rappresentante della Regione Lazio, riservava la decisione. Successivamente in data odierna, sciogliendo la riserva, abbinava per ragioni soggettive ed oggettive i detti ricorsi, riunendo il ricorso R.G. n. 15398/01 al ricorso R.G. n.15396/0l, ed emetteva la seguente decisione. Motivi della decisione La Commissione giudica rilevante e non manifestamente infondata la proposta eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 45, comma secondo, del d.lgs. n. 446/1997, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione della Repubblica italiana. Il comma 1 dell'art. 2 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 considera presupposto dell'imposta «l'esercizio abituale di un'attivita' autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizio»; il tributo pertanto presuppone una nuova teoria della capacita' contributiva che non sarebbe piu' rappresentata dal reddito, dal consumo, dagli incrementi di valore del patrimonio bensi' dal dominio sui fattori della produzione e dalla potenzialita' economica e produttiva dell'impresa. In altre parole e' stato introdotto il concetto di capacita' contributiva reale, cosa diversa dalla capacita' contributiva personale. Il carattere reale dell'imposta fa si' che il tributo colpisce il valore della produzione certa (valore aggiunto) quale espressione della differenza tra i ricavi complessivi ed i costi per l'acquisizione di beni e servizi, definiti anche consumi intermedi inerenti agli acquisti. Tale capacita' contributiva intesa sotto il profilo «reale» e' stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 depositata il 21 maggio 2001. In detta sentenza la Corte ha affermato che rientra nella discrezionalita' del legislatore, con il solo limite della arbitrarieta', la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacita' contributiva che, quale idoneita' del soggetto alla obbligazione di imposta, puo' essere desunta da qualsiasi indice che sia rilevatore di ricchezza e non soltanto del reddito individuale; in altre parole la Corte ha individuato quale nuovo indice di capacita' contributiva, diverso da quello utilizzato ai fini di ogni altra imposta, il valore aggiunto prodotto dalle attivita' autonomamente organizzate e di conseguenza ha ritenuto sotto questo aspetto la legittimita' costituzionale della legge. I ricorrenti, pero', ritengono che la legge dell'IRAP possa presentare profili di illegittimita' costituzionale nella differenza di aliquote imposte dall'art. 45 della suddetta legge il quale prevede, se pure in via transitoria, aliquote differenziate tra il settore agricolo e quello della intermediazione finanziaria. Il ragionamento seguito mette in evidenza che una volta stabilita la capacita' contributiva che nella legge in questione e' rappresentata dal valore aggiunto, ogni diversificazione delle aliquote, imposte sulla stessa capacita' contributiva, rappresenta un'illegittimita' o quanto meno un criterio arbitrario che cozza contro gli artt. 3 e 53 della Costituzione. Invero, l'Istituto ricorrente si riporta alla relazione governativa allo schema di decreto legislativo nella quale si legge che si e' constatato che il settore dell'intermediazione finanziaria godrebbe, mediamente di uno sgravio consistente, mentre i prodotti agricoli soffrirebbero di un aggravio significativo. Tenuto conto anche che il primo settore e' interessato anche da altri provvedimenti agevolativi connessi con la sua ristrutturazione, mentre il secondo e' stato recentemente oggetto di inasprimenti, si e' deciso di applicare le aliquote difformi da quella base prevedendo comunque un graduale riallineamento verso tale aliquota. E' bene ricordare che l'IRAP ha sostituito alcuni tributi ma ha avuto come obiettivo finale che il gettito della nuova imposta doveva essere uguale al gettito dei tributi eliminati e che l'aliquota base (4,25%) rappresentava l'aliquota di equilibrio per il settore privato dell'economia e cioe' permetteva di ottenere il gettito necessario per compensare le mancate entrate dovute all'abolizione dei tributi e contributi prima esistenti. Nell'ambito di tale criterio, pero', il legislatore ha inteso effettuare una ridistribuzione tra i settori produttivi stabilendo tra essi diverse aliquote minori o maggiori dell'aliquota base in modo pero' che l'importo del gettito finale non cambiasse. In detta ottica, il richiamato art. 45 fissa un'aliquota del 3% per l'agricoltura e un'aliquota al 5% per il settore bancario e intermediazione finanziaria, aliquota che poi con la legge n. 488/1999 e' stata ulteriormente aumentata, anche se in via transitoria, al 5,4%. La Commissione da tali considerazioni deduce che vi e' una disparita' di trattamento delle prestazioni tributarie che invero non trova alcuna giustificazione e sembra contenere i criteri di arbitrarieta' che 1a Corte costituzionale ha sottolineato che il legislatore deve comunque evitare. Una volta che e' stata stabilita la capacita' contributiva nell'ambito della legge IRAP, intesa come valore aggiunto, espressione della differenza tra i ricavi e i costi, ogni altra differenziazione di aliquote tra i vari settori risulta essere illegittima in quanto vi e' un settore che e' sottoposto ad una pressione tributaria maggiore (banche ed intermediari finanziari) e un settore che viene agevolato nella imposizione delle aliquote (agricolo), senza un razionale motivo. La Commissione e' consapevole inoltre che la stessa Corte costituzionale ha dichiarato legittime le disposizioni legislative che contemplavano agevolazioni e benefici tributi di qualsiasi specie in quanto esse disposizioni costituiscono il risultato di scelte del legislatore al quale soltanto spetta di valutare e decidere non solo in ordine all'an ma anche al quantum ed ogni altra modalita' e condizione afferenti alle determinazione di dette agevolazioni (Corte costituzionale 21 gennaio 1988, n. 52), cosi' come rientra nella discrezionalita' del legislatore limitare ad alcuni soggetti determinate agevolazioni fiscali in vista di specifiche esigenze di politica economica e sociale (Corte costituzionale 17 dicembre 1987, n. 543). Tali legittime possibilita' di scelte, pero', riguardano le agevolazioni e benefici tributari, ma non riguardano il caso contrario, allorquando il legislatore richiede sacrifici esclusivamente a carico di determinati settori produttivi, pur rimanendo identica la capacita' contributiva, al fine di determinare un equilibrio di gettito finanziario carente per le agevolazioni concesse ad altri settori di pari capacita' contributiva. L'illegittimita' dell'art. 45 del d.lgs. n. 446/1997 e' riscontrabile sotto il profilo della imposizione di un'aliquota maggiore sulla base della stessa capacita' contributiva intesa come capacita' reale ai soli settori della banca e delle intermediazioni finanziarie. Il suddetto articolo viola gli artt. 3 e 53 della Costituzione riconducibili al principio che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva»: da un lato viene imposto alle imprese del settore finanziario un prelievo maggiore rispetto agli altri settori, se pure a pari capacita' contributive; dall'altro l'onere di finanziamento di interventi a sostegno di una particolare categoria viene posto a carico soltanto di alcuni dei soggetti dell'imposta, esonerandone tutti gli altri.