Sentenza
nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 126-bis, comma
2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada),  introdotto dall'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15
gennaio  2002,  n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo
codice della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22
marzo  2001,  n. 85),  nel  testo risultante all'esito della modifica
apportata  dall'art.  7,  comma  3,  lettera b), del decreto-legge 27
giugno  2003,  n. 151  (Modifiche  ed  integrazioni  al  codice della
strada),  convertito,  con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003,
n. 214, promossi con ordinanze del 27 aprile 2007 dal Giudice di pace
di   Cittadella  e  del  20  aprile  2007  dal  Giudice  di  pace  di
Ronciglione, nei procedimenti civili vertenti tra E.V. e il Comune di
Cittadella e tra F.D. e il Comune di Caprarola, iscritte ai nn. 671 e
774 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 39 e 47, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri  nel  giudizio  originato  dall'ordinanza  di rimessione del
Giudice di pace di Cittadella;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 16 aprile 2008 il giudice
relatore Alfonso Quaranta.
                          Ritenuto in fatto
   1.   - Il  Giudice  di  pace  di  Cittadella  ha  sollevato  -  in
riferimento  agli articoli 3, 24 e 113 della Costituzione - questione
di  legittimita'  costituzionale  del  testo originario dell'articolo
126-bis,  comma  2,  del  decreto  legislativo 30 aprile 1992, n. 285
(Nuovo  codice  della  strada),  introdotto dall'art. 7, comma 1, del
decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e
correttive  del  nuovo  codice della strada, a norma dell'articolo 1,
comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), come risultante all'esito
della  modifica  apportata  dall'art.  7,  comma  3,  lettera b), del
decreto-legge  27  giugno  2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al
codice  della  strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1°
agosto  2003,  n. 214, «nella parte in cui assoggetta il proprietario
del  veicolo» - in caso di mancata comunicazione dei dati personali e
della  patente  del  conducente,  non  identificato  al momento della
commessa   violazione  -  «alla  sanzione  contemplata  dal  comma  8
dell'art.  180»  del  medesimo  codice  della strada, senza prevedere
«esimenti o cause di giustificazione accertate esistenti e fondate».
   1.1.  -  Il  rimettente  premette  di  essere chiamato a giudicare
dell'opposizione   proposta   dal   proprietario  di  un'autovettura,
sanzionato  ai  sensi delle due norme sopra richiamate (art. 126-bis,
comma  2,  e  180,  comma  8,  del  codice  della strada), sebbene il
medesimo  -  richiesto di comunicare i dati personali e della patente
del  responsabile  dell'infrazione  stradale  prevista dall'art. 142,
comma  9,  del  codice  della strada - avesse dichiarato alla polizia
municipale  del  Comune  di  Cittadella «di non sapere chi fosse alla
guida  del veicolo al momento della contestata infrazione», allegando
-  come  anche  confermato  da  deposizioni testimoniali raccolte nel
corso  del  giudizio  principale  -  che  la  suddetta vettura di sua
proprieta'  risulta  utilizzata  da  tutti i componenti della propria
famiglia,     cio'     che,    «nonostante    indagini    effettuate»
dall'interessato,  avrebbe reso impossibile «risalire al responsabile
dell'infrazione».
   Cio'  premesso,  il giudice a quo sottolinea di dover applicare la
norma   censurata   nella   sua  originaria  formulazione,  la  quale
sanzionerebbe  l'omessa comunicazione a prescindere dall'esistenza di
giustificazioni  o  esimenti.  Difatti,  poiche' «in tema di sanzioni
amministrative vige il principio tempus regit actum», e cio' in forza
di  quanto stabilito dall'art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche  al  sistema  penale),  sarebbe preclusa, nella specie, la
possibilita'  di  applicare  la  norma  «posteriore piu' favorevole»,
rappresentata dall'art. 2, comma 164, lettera b), del decreto-legge 3
ottobre  2006,  n. 262, (Disposizioni urgenti in materia tributaria e
finanziaria),   nel   testo   sostituito   dalla  relativa  legge  di
conversione  24  novembre 2006, n. 286, giacche' esso - nel novellare
il  testo  dell'art.  126-bis,  comma  2,  del  codice della strada -
assoggetta,  ormai,  a  sanzione  il  solo contegno omissivo posto in
essere «senza giustificato e documentato motivo».
   La  disciplina  in  contestazione  sarebbe, secondo il rimettente,
viziata da illegittimita' costituzionale.
   Se,  infatti,  l'applicazione  dell'istituto della responsabilita'
oggettiva   appare  corretta  con  riferimento  ai  casi  contemplati
dall'art.  196  del  codice della strada (secondo cui il proprietario
del  veicolo, o, in sua vece, l'usufruttuario, l'acquirente con patto
di   riservato   dominio  o  l'utilizzatore  a  titolo  di  locazione
finanziaria,  e' obbligato in solido con l'autore della violazione al
pagamento   della  somma  da  questi  dovuta  a  titolo  di  sanzione
pecuniaria  per  l'infrazione  commessa)  e dall'art. 2054 del codice
civile, essa risulterebbe, invece, irragionevole nell'ipotesi oggetto
della  disposizione  censurata,  in  special  modo allorquando - come
nella  fattispecie  oggetto del giudizio principale - il proprietario
del  veicolo  abbia  tempestivamente  provveduto  al  pagamento della
sanzione pecuniaria comminata in conseguenza dell'infrazione stradale
il  cui  autore  non sia stato identificato al momento della commessa
violazione.
   Ne', d'altra parte, il dubbio di costituzionalita' potrebbe essere
superato     facendo     rientrare    la    fattispecie    costituita
dall'impossibilita'  di  comunicare  i dati personali e della patente
del  conducente «nel caso fortuito e/o forza maggiore che contemplano
un  numero  limitato  e  restrittivo di ipotesi e che non esauriscono
ogni situazione che si possa venire a creare».
   Richiamata,  dunque,  la sentenza della Corte costituzionale n. 27
del  2005,  il  rimettente  reputa che la norma censurata dia vita ad
«una  sanzione  assolutamente  sui  generis, giacche' la stessa - pur
essendo  di  natura pecuniaria e personale - non appare riconducibile
ad  un  contegno  posto  in  essere direttamente dal proprietario del
veicolo»,  prescindendo,  anzi,  «da  qualsivoglia accertamento della
responsabilita'  del  medesimo», specialmente quando questi «non solo
non  abbia  omesso,  ma  anzi  abbia fatto tutto il possibile per non
omettere  senza esito»; del resto, della irragionevolezza della norma
si sarebbe mostrato consapevole lo stesso legislatore, modificando il
testo della contestata disposizione.
   Infine,  viene ipotizzata anche la violazione degli artt. 24 e 113
Cost., giacche' la norma denunciata, «non consentendo al proprietario
del  veicolo  di  fornire  la prova di una causa di giustificazione e
quindi  di  dimostrare  una  sua  assoluta  e  perfetta buona fede ed
esenzione da ogni colpa», lede il diritto difesa dello stesso.
   1.2.  - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile e
comunque non fondata.
   Nel  sottolineare  l'ininfluenza  della modificazione apportata al
testo  dell'art.  126-bis,  comma  2,  del  codice  della strada, non
essendo  il  predetto  art. 2, comma 164, lettera b), del d.l. n. 262
del  2006 applicabile, ratione temporis, alla fattispecie oggetto del
giudizio  principale,  la  difesa dello Stato evidenzia come la Corte
costituzionale,  proprio  con  la  citata  sentenza  n. 27  del 2005,
avrebbe  indirettamente  riconosciuto  la legittimita' costituzionale
della censurata disposizione. La Corte, infatti, nel precisare che la
sanzione  di  cui  all'art.  180, comma 8, del codice della strada e'
destinata  a trovare applicazione in ogni caso in cui il proprietario
del veicolo ometta di comunicare i dati personali e della patente del
conducente,  ha  fugato  «il  dubbio  in ordine ad una ingiustificata
disparita'  di  trattamento  realizzata tra i proprietari di veicoli,
discriminati  a  seconda  della  loro  natura di persone giuridiche o
fisiche,  ovvero,  quanto  a  queste ultime, in base alla circostanza
meramente accidentale che le stesse siano munite o meno di patente».
   Nel  rammentare,  poi, come la Corte abbia ritenuto manifestamente
inammissibile  -  con  l'ordinanza  n. 244 del 2005 - la questione di
legittimita'   della   disciplina   in  contestazione,  sollevata  in
relazione  ad  un supposto difetto di ragionevolezza, la difesa dello
Stato   evidenzia   come  il  proprietario  del  veicolo,  in  quanto
responsabile  della  circolazione  dello  stesso  nei confronti delle
pubbliche  amministrazioni non meno che dei terzi, sia «tenuto sempre
a   conoscere   l'identita'  dei  soggetti  ai  quali  ne  affida  la
conduzione,  onde  dell'eventuale  incapacita'  d'identificare  detti
soggetti  necessariamente  risponde,  nei  confronti delle une per le
sanzioni  e degli altri per i danni, a titolo di colpa per negligente
osservanza del dovere di vigilare sull'affidamento in guisa da essere
in  grado  di  adempiere  al  dovere  di  comunicare  l'identita' del
conducente»  (e'  richiamata  la  sentenza della Corte di cassazione,
sezione seconda civile, 12 giugno 2007, n. 13748).
   2.  - Il Giudice di pace di Ronciglione, a sua volta, ha sollevato
-  in  riferimento  all'art.  2  Cost.  -  questione  di legittimita'
costituzionale  del medesimo art. 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285
del 1992.
   Ritenuta  rilevante  la  questione  sollevata, atteso che la norma
suddetta  «deve  essere  applicata  al  caso  in  esame,  relativo ad
opposizione  a  sanzione  amministrativa  per  mancata  comunicazione
all'organo  di  polizia del nominativo del conducente di un veicolo»,
il  rimettente  ipotizza l'illegittimita' costituzionale della stessa
sotto un duplice profilo.
   Assume, in particolare, che la previsione del descritto obbligo di
comunicazione  appare  lesiva  dei  diritti  della  personalita'  del
conducente  «e,  in  particolare,  del suo diritto alla riservatezza,
garantito dall'art. 2 della Costituzione».
   Inoltre,  nell'ipotesi in cui autore dell'infrazione sia lo stesso
proprietario del veicolo, la norma in esame, obbligandolo di fatto ad
accusare  se stesso, appare anche per altro verso in contrasto con il
richiamato  parametro  costituzionale, «perche' e' diritto primario e
inviolabile  quello  di  non  essere  tenuto  alla  confessione di un
illecito: nemo tenetur se ipsum accusare».
                       Considerato in diritto
   1.   -  Il  Giudice  di  pace  di  Cittadella  ha  sollevato -  in
riferimento  agli articoli 3, 24 e 113 della Costituzione - questione
di  legittimita'  costituzionale  del  testo originario dell'articolo
126-bis,  comma  2,  del  decreto  legislativo 30 aprile 1992, n. 285
(Nuovo  codice  della  strada),  introdotto dall'art. 7, comma 1, del
decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e
correttive  del  nuovo  codice della strada, a norma dell'articolo 1,
comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), come risultante all'esito
della  modifica  apportata  dall'art.  7,  comma  3,  lettera b), del
decreto-legge  27  giugno  2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al
codice  della  strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1°
agosto  2003,  n. 214, «nella parte in cui assoggetta il proprietario
del  veicolo» - in caso di mancata comunicazione dei dati personali e
della  patente  del  conducente,  non  identificato  al momento della
commessa   violazione  -  «alla  sanzione  contemplata  dal  comma  8
dell'art.  180»  del  medesimo  codice  della strada, senza prevedere
«esimenti o cause di giustificazione accertate esistenti e fondate».
   Del  pari,  il  Giudice  di  pace di Ronciglione ha sollevato - in
riferimento   all'art.   2   Cost.   -   questione   di  legittimita'
costituzionale  del  medesimo  art. 126-bis, comma 2, censurando tale
disposizione  per  il solo fatto di prevedere il descritto obbligo di
comunicazione,   indipendentemente,   dunque,   dalle  condizioni  in
presenza  delle  quali  risulta  sanzionata  la  sua inosservanza (e,
pertanto,   sollevando  una  questione  che  e',  sul  piano  logico,
pregiudiziale  rispetto  a  quella  oggetto  dell'altra  ordinanza di
rimessione).
   2. - Preliminarmente, premessa la riunione dei due giudizi, atteso
che  la  comunanza di oggetto ne giustifica l'unitaria trattazione ai
fini  di un'unica pronuncia, appare utile ricostruire, in sintesi, le
vicende  normative e giurisprudenziali che hanno interessato la norma
in  contestazione;  ricostruzione  vieppiu'  necessaria, posto che la
disposizione  in  esame  risulta censurata, dal primo dei due giudici
rimettenti,  nel suo testo originario (applicabile, ratione temporis,
alla  fattispecie  oggetto  del  giudizio  a  quo,  come dallo stesso
giudice congruamente motivato).
   3.  - Il predetto art. 126-bis, comma 2, del codice della strada -
introdotto  dall'art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 9 del 2002, nel testo
risultante, a sua volta, all'esito della modifica apportata dall'art.
7,  comma  3,  lettera  b), del d.l. n. 151 del 2003, convertito, con
modificazioni,  dalla  legge  n. 214  del  2003 - presentava, come e'
noto,  nella  sua originaria formulazione, un contenuto molto diverso
dall'attuale.
   Esso  stabiliva,  infatti,  che, in caso di accertamento di talune
delle  infrazioni stradali sanzionate (anche) con la decurtazione del
punteggio dalla patente di guida, l'organo da cui risultava dipendere
l'agente  accertatore  fosse  tenuto  ad  applicare detta sanzione di
natura  personale  «a  carico del conducente quale responsabile della
violazione»  ovvero, «nel caso di mancata identificazione di questi»,
nei confronti «del proprietario del veicolo», salvo che lo stesso non
avesse provveduto a comunicare, «entro trenta giorni dalla richiesta,
all'organo  di  polizia che procede, i dati personali e della patente
del  conducente  al  momento  della commessa violazione». La medesima
norma  prevedeva,  inoltre,  che sempre a carico del proprietario del
veicolo  -  nuovamente  nell'ipotesi  in  cui  egli  avesse omesso di
comunicare  i  «dati  personali  e  della  patente  del conducente al
momento  della  commessa  violazione»  -  fosse  applicata  anche  la
ulteriore  sanzione,  di  natura  pecuniaria, «prevista dall'articolo
180, comma 8» del medesimo codice della strada.
   3.1. - Tale articolata previsione normativa e' stata profondamente
modificata,  dapprima,  per  effetto  dalla  sentenza di questa Corte
n. 27 del 2005 e, poi, dell'intervento del legislatore.
   3.1.1.  -  Ed invero, questa Corte, chiamata a vagliare sotto vari
profili  la  costituzionalita'  della norma de qua, pur ribadendo che
«la responsabilita' del proprietario di un veicolo, per le violazioni
commesse  da  chi si trovi alla guida, costituisce, nel sistema delle
sanzioni  amministrative  previste  per  la  violazione  delle  norme
relative   alla   circolazione   stradale,  un  principio  di  ordine
generale»,  cio' nondimeno ha ritenuto che «la peculiare natura della
sanzione prevista dall'art. 126-bis» (e segnatamente il suo carattere
«schiettamente  personale»,  giacche' si tratta di sanzione incidente
sulla  «legittimazione  soggettiva  alla conduzione di ogni veicolo»)
denotasse  «l'irragionevolezza  della  scelta legislativa di porre la
stessa  a  carico  del  proprietario del veicolo che non sia anche il
responsabile  dell'infrazione  stradale»  (cosi'  la  citata sentenza
n. 27 del 2005).
   Conseguentemente,  dopo  la  pronuncia della Corte - dichiarata la
parziale  illegittimita'  della  norma in esame, laddove ricollegava,
all'inosservanza  dell'obbligo  di  comunicazione, l'applicazione nei
confronti  del  proprietario  del  veicolo della sanzione «personale»
della  decurtazione  dei  punti  dalla  patente  di  guida  - la sola
conseguenza  sanzionatoria  ricollegabile all'omessa comunicazione e'
risultata  quella  pecuniaria  prevista  all'art.  180,  comma 8, del
medesimo codice della strada.
   3.1.2.  -  Dopo  la  pronuncia  della  Corte  e'  seguito, poi, un
intervento  del legislatore, realizzato mediante l'art. 2, comma 164,
lettera  b),  del  decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni
urgenti  in  materia  tributaria e finanziaria), nel testo risultante
dalla relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286.
   Tale intervento si e' mosso in una duplice direzione, per un verso
si   e'   resa   «autonoma»   la   sanzione   pecuniaria  conseguente
all'inosservanza   dell'obbligo   di   comunicazione   gravante   sul
proprietario  del  veicolo (si e' stabilito, difatti, che nel caso di
omessa   comunicazione  non  trovi  piu'  applicazione  «la  sanzione
prevista dall'articolo 180, comma 8», bensi' quella «del pagamento di
una  somma da euro 250 a euro 1.000»); per altro verso, invece, si e'
stabilito  -  quel  che  piu'  rileva  in  relazione  all'oggetto del
presente  giudizio - che tale sanzione possa essere irrogata soltanto
quando il contegno omissivo del proprietario del veicolo sia posto in
essere  «senza giustificato e documentato motivo», ammettendo, in tal
modo,  l'interessato  a  fornire  la  prova in grado di esonerarlo da
responsabilita'.
   4.  -  Tanto  premesso  sulle  vicende  che  hanno  interessato il
censurato  art.  126-bis,  comma  2, passando all'esame delle odierne
questioni   di   legittimita'  costituzionale,  occorre  innanzitutto
delimitare il thema decidendum.
   In  tale  prospettiva,  pertanto,  deve  essere ribadito che se il
Giudice  di  pace  di  Cittadella  si  duole  del  fatto che il testo
originario  dell'art. 126-bis, comma 2, del codice della strada - che
reputa,   peraltro  con  motivazione  non  implausibile,  applicabile
ratione  temporis  alla fattispecie oggetto del giudizio principale -
sembrerebbe  sanzionare  «incondizionatamente»  il  proprietario  del
veicolo  che  ometta  di fornire la comunicazione richiestagli (senza
dare   rilievo   a   quelle  evenienze,  definite  nell'ordinanza  di
rimessione  come  «esimenti  o  cause  di  giustificazione», prese in
considerazione,  invece,  dal testo della norma attualmente vigente),
il  Giudice  di  pace  di  Ronciglione rivolge, viceversa, la propria
censura   su   un  profilo  diverso  (e  chiaramente  pregiudiziale),
reputando  incostituzionale  la  previsione  in  se'  dell'obbligo di
comunicazione.
   Ne  deriva,  pertanto,  la necessita' di esaminare preliminarmente
proprio  la questione da ultimo indicata, atteso che il suo ipotetico
integrale   accoglimento,   comportando  l'eliminazione  dell'obbligo
suddetto  (previsto, oltretutto, dal censurato art. 126-bis, comma 2,
sia  nel  suo  testo  originario che in quello vigente), esonererebbe
questa   Corte   dalla   necessita'  di  pronunciarsi  sull'ulteriore
questione, concernente le condizioni in presenza delle quali, vigente
ed  applicabile  il  testo  originario della norma censurata, risulta
possibile sanzionare la violazione di quell'obbligo.
   5. - La questione sollevata dal Giudice di pace di Ronciglione non
e' fondata.
   5.1.  -  Non  ricorre,  infatti,  nessuno  dei  dedotti profili di
contrasto con l'art. 2 Cost., ipotizzati dal predetto rimettente.
   Non  quello relativo alla violazione del diritto alla riservatezza
dei  dati  personali  del conducente, giacche', a prescindere da ogni
altra  considerazione,  la  giurisprudenza costituzionale in materia,
pur  nel quadro di una progressiva valorizzazione di tale diritto, ha
sempre  sottolineato  la  necessita'  di bilanciarne la tutela con la
salvaguardia di altri interessi costituzionalmente rilevanti.
   Significative,  in  tale  prospettiva,  sono le pronunce di questa
Corte,   ancorche'   risalenti,   intervenute  sul  punto,  le  quali
sottolineano  la  necessita'  che  la  «sfera  di  riservatezza»  sia
«rispettata  nei  limiti in cui lo consenta la tutela degli interessi
della  collettivita' nel campo della sicurezza, dell'economia e della
finanza  pubblica»  (sentenza n. 121 del 1963), ovvero precisano come
non  possa  affatto escludersi che, «nella vita privata e familiare»,
possa  «aversi  ingerenza  della pubblica autorita», a condizione che
tale  ingerenza  sia  prevista  dalla legge e costituisca «una misura
che,  in  una  societa'  democratica,  e' necessaria per la sicurezza
nazionale,  la  sicurezza pubblica, il benessere economico del paese,
la  difesa  dell'ordine  e la prevenzione delle infrazioni penali, la
protezione  dei diritti e delle liberta' altrui» (sentenza n. 104 del
1969).
   Nella  specie,  l'obbligo  di  comunicazione  posto  a  carico del
proprietario  del  veicolo  tende  ad assicurare l'irrogazione di una
sanzione  (la  decurtazione del punteggio dalla patente di guida) nei
confronti   del   conducente  resosi  responsabile  di  un'infrazione
stradale.   Esso   presenta,  pertanto,  carattere  strumentale  alla
soddisfazione  di  un  interesse  -  la  repressione delle infrazioni
stradali  -  il  cui  collegamento  con la tutela dell'ordine e della
sicurezza  pubblica e' gia' stato evidenziato da questa Corte, quando
ha sottolineato come la disciplina contenuta nel codice della strada,
specie quella di natura sanzionatoria, miri a soddisfare «l'esigenza,
connessa  alla  strutturale  pericolosita'  dei  veicoli a motore, di
assicurare  l'incolumita' personale dei soggetti coinvolti nella loro
circolazione  (conducenti, trasportati, pedoni)» (sentenza n. 428 del
2004; nello stesso senso anche l'ordinanza n. 247 del 2005).
   Del  pari,  neppure  sussiste  l'ipotizzato contrasto con l'art. 2
Cost. sotto il profilo della violazione del «diritto al silenzio».
   Ed  invero,  si  puo'  osservare, in via generale, che, secondo la
giurisprudenza  costituzionale, il diritto al silenzio «si esplica in
ogni  procedimento  secondo  le  regole proprie di questo» (ordinanza
n. 33 del 2002).
   Cio'  premesso sul piano generale, deve notarsi come la previsione
dell'obbligo  di  comunicazione,  contenuta  nella  norma  censurata,
risulti  chiaramente  diretta  a provocare - allorche' la persona del
conducente,  autore dell'infrazione stradale, coincida con quella del
proprietario del veicolo - una dichiarazione di natura confessoria da
parte  di  un  soggetto  che  risulta  legittimato, in ciascuna delle
suddette  qualita', a proporre opposizione ex art. 204-bis del codice
della  strada avverso il verbale con cui si e' contestata la commessa
infrazione. Di conseguenza, la sola esigenza che viene in rilievo nel
presente  caso  e' quella gia' sottolineata dalla Corte nel comparare
«la posizione dell'imputato nel processo penale e la situazione della
parte  e del legittimato all'intervento nel processo civile», e cioe'
che  «una  cosa  e': nemo testis in causa propria cui s'ispira l'art.
246  c.p.c.,  e  altra  cosa e': nemo tenetur edere contra se» cui si
ispira, invece, il codice di rito penale (sentenza n. 85 del 1983).
   6.  -  Anche  la  questione  sollevata  dal  Giudice  di  pace  di
Cittadella non e' fondata, per le ragioni di seguito precisate.
   6.1.- Il dubbio avanzato dal rimettente - il quale sospetta che il
testo  originario dell'art. 126-bis, comma 2, del codice della strada
contrasti con gli artt. 3, 24 e 113 Cost., atteso che esso, impedendo
al  proprietario  del  veicolo  di  allegare  circostanze in grado di
giustificare  perche'  abbia reso una dichiarazione di contenuto solo
negativo,  sanzionerebbe  un soggetto che «non solo non abbia omesso,
ma  anzi  abbia  fatto  tutto  il  possibile  per  non  omettere»  la
comunicazione  richiestagli  -  e'  stato  gia'  scrutinato da questa
Corte.
   6.2.  -  Difatti,  con  l'ordinanza n. 244 del 2006 - nel decidere
analoga   questione   di  costituzionalita'  (sebbene  sollevata  con
riferimento  al  solo  art.  3 Cost.), in quanto anch'essa basata sul
presupposto  che  la  norma  in  esame  avrebbe  previsto,  nella sua
iniziale  formulazione,  una sanzione pecuniaria destinata a colpire,
indifferentemente,  «tanto  il  comportamento  di chi si disinteressi
completamente  della richiesta di comunicare i dati personali e della
patente  del  conducente, quanto il contegno di chi, "presentandosi o
scrivendo",  espliciti,  invece,  le  ragioni  che gli impediscono di
ottemperare  all'invito  a  rispondere,  fornendo una giustificazione
"legittima  e ragionevole"» - la Corte ha rilevato come il rimettente
non    avesse    esplorato    la   possibilita'   di   pervenire   ad
un'interpretazione    della   contestata   disciplina   «conforme   a
Costituzione».
   In  particolare, in tale ordinanza si e' osservato come il giudice
a quo avesse in quella fattispecie «omesso di verificare se il rinvio
dell'art.  126-bis,  comma  2, del codice della strada alla "sanzione
prevista  dall'art.  180,  comma 8" del medesimo codice» non fosse da
ritenere «esteso anche ai presupposti necessari, ai sensi della norma
richiamata,  per l'irrogazione di tale sanzione», e cioe' all'assenza
di  un  «giustificato  motivo» idoneo ad escludere la responsabilita'
per l'omessa comunicazione.
   Inoltre,  sempre  nell'ordinanza  citata,  si  e' rilevato come il
giudice  rimettente,  gia'  allora,  non  avesse attribuito il dovuto
rilievo   «alla   circostanza   che   agli   illeciti  amministrativi
contemplati dal codice della strada si applica la disciplina generale
dell'illecito  depenalizzato  di  cui  alla  legge  24 novembre 1981,
n. 689  (Modifiche al sistema penale), il cui art. 3, nel subordinare
la  responsabilita'  all'esistenza  di un'azione od omissione che sia
"cosciente  e  volontaria",  ha  inteso,  appunto,  prevedere il caso
fortuito  o  la  forza maggiore quali circostanze idonee ad esonerare
l'agente da responsabilita».
   Di  conseguenza,  la  medesima  ordinanza  n. 244  del 2006, «alla
stregua   di   tale   duplice   argomento  ermeneutico  (letterale  e
sistematico)»,  ha  affermato  che tra le varie interpretazioni della
norma   oggi   censurata  rientra  anche  quella  che  riconosce  «la
possibilita' di discernere il caso di chi, inopinatamente, ignori del
tutto  l'invito  "a  fornire  i  dati  personali  e della patente del
conducente  al momento della commessa violazione", da quello di colui
che, "presentandosi o scrivendo", adduca invece l'esistenza di motivi
idonei a giustificare l'omessa trasmissione di tali dati».
   6.3.  -  Tali  considerazioni debbono essere non solo ribadite, ma
anche ulteriormente precisate.
   La  difesa  statale, difatti, si richiama a quella pronuncia della
Corte  di  cassazione (seconda sezione civile, n. 13748 del 12 giugno
2007)  secondo  cui  integra  l'ipotesi  di  illecito amministrativo,
previsto  dal combinato disposto degli artt. 126-bis, comma 2, e 180,
comma  8,  del  codice  della  strada, l'omessa collaborazione che il
cittadino  deve  prestare  all'autorita'  amministrativa  al  fine di
consentirle  i  necessari accertamenti per l'espletamento dei servizi
di  polizia  stradale;  si e' precisato, inoltre, che il proprietario
del  veicolo, in quanto responsabile della circolazione nei confronti
delle  pubbliche  amministrazioni  non  meno che dei terzi, e' tenuto
sempre  a  conoscere  l'identita'  dei soggetti ai quali ne affida la
conduzione,  onde  dell'eventuale  incapacita'  di identificare detti
soggetti  necessariamente  risponde,  nei  confronti delle une per le
sanzioni  e degli altri per i danni, a titolo di colpa per negligente
osservanza  del dovere di vigilare sull'affidamento in modo da essere
in   grado  d'adempiere  al  dovere  di  comunicare  l'identita'  del
conducente.
   6.4.  - Nondimeno, proprio la necessita' di ribadire gli argomenti
letterali  e  sistematici  posti  a fondamento della citata ordinanza
n. 244  del  2006  di  questa Corte (oltre che, come si precisera' di
seguito,  di  fugare  ogni dubbio in ordine ad un possibile contrasto
con  l'art.  24  Cost.) impone di confermare la lettura gia' proposta
del  testo  originario  dell'art.  126-bis, comma 2, del codice della
strada.
   Ed  invero,  che  debba  essere  riconosciuta  al proprietario del
veicolo  la  facolta'  di  esonerarsi da responsabilita', dimostrando
l'impossibilita'  di  rendere  una  dichiarazione  diversa  da quella
«negativa» (cioe' a dire di non conoscenza dei dati personali e della
patente  del  conducente  autore  della  commessa violazione), e' una
conclusione  che  discende  anche  dalla  necessita' di offrire della
censurata disposizione, nella parte in cui richiama l'art. 180, comma
8,  del  medesimo  codice  della  strada, un'interpretazione coerente
proprio  con gli indirizzi ermeneutici formatisi in merito alla norma
richiamata,  e  secondo i quali essa sanzionerebbe il «rifiuto» della
condotta  collaborativa  (e  non  gia' la mera omessa collaborazione)
necessaria ai fini dell'accertamento delle infrazioni stradali.
   Inoltre,  come  anche  affermato  da  questa Corte con l'ordinanza
n. 434   del   2007,   appare   necessario  precisare  -  per  fugare
«persistenti   dubbi   nell'interpretazione   del   testo  originario
dell'art.  126-bis, comma 2, del codice della strada» - che la scelta
in favore di «un'opzione ermeneutica, che pervenisse alla conclusione
di   equiparare  ogni  ipotesi  di  omessa  comunicazione  dei  "dati
personali  e  della  patente del conducente al momento della commessa
violazione",  presenterebbe  una  dubbia compatibilita' con l'art. 24
Cost.»; essa, infatti, «non consentendo in alcun modo all'interessato
di   sottrarsi   all'applicazione   della   sanzione  pecuniaria,  si
risolverebbe  nella previsione di una presunzione iuris et de iure di
responsabilita», con conseguente «lesione del diritto di difesa», dal
momento  che risulterebbe preclusa all'interessato «ogni possibilita'
di   provare   circostanze   che  attengono  alla  propria  effettiva
condotta».
   6.5.  -  Resta,  dunque,  confermata,  nell'applicazione anche del
testo originario dell'art. 126-bis, comma 2, del codice della strada,
la  necessita' di distinguere il comportamento di chi si disinteressi
della  richiesta  di  comunicare i dati personali e della patente del
conducente,   non  ottemperando,  cosi',  in  alcun  modo  all'invito
rivoltogli  (contegno  per  cio'  solo  meritevole  di sanzione) e la
condotta   di  chi  abbia  fornito  una  dichiarazione  di  contenuto
negativo,  sulla base di giustificazioni, la idoneita' delle quali ad
escludere  la  presunzione  relativa  di responsabilita' a carico del
dichiarante  dovra'  essere  vagliata dal giudice comune, di volta in
volta,   anche   alla   luce   delle  caratteristiche  delle  singole
fattispecie concrete sottoposte al suo giudizio.