IL TRIBUNALE
   All'udienza  straordinaria  dell'11  febbraio 2008 ha pronunciato,
dandone  lettura, la seguente ordinanza nella controversia in materia
di  lavoro iscritta al n. 1359/2007 R.G.A.C. e vertente tra Medcenter
Container  Terminal  S.p.A.  in persona del legale rappresentante pro
tempore,   rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati  prof.  avv.  M.
Persiani,   Camillo   Pargoletti,   prof.   Giampiero  Proia,  Andrea
Paroletti,  Felice  Badolati, opponente e INPS, in persona del legale
rappresentante  pro  tempore,  ed  SCCI  S.p.A. in persona del legale
rappresentante    pro    tempore,   costituitesi   congiuntamente   e
rappresentate  e  difese  dall'avv.  A.  Fazio;  Equitalia Etr S.p.A.
concessionario  del  servizio  di riscossione dei tributi, contumace,
opposti.
   Con  ricorso  depositato  il  giorno  26  luglio  2007 la societa'
ricorrente Medcenter Container Terminal S.p.A., in persona del legale
rappresentante  pro  tempore,  adisce il Giudice del lavoro di Reggio
Calabria ed assume l'illegittimita' della cartella esattoriale n. 094
2007   00154501  44  000  impugnata  (relativa  alla  somma  di  euro
14.168.650,17  ed  emessa  per  recupero  sgravi, oltre accessori, in
applicazione  della  decisione  Unione  europea  dell'11  maggio 1999
concessi  per  i  contratti di formazione lavoro dal novembre 1995 al
maggio 2001.
   Quali motivi di opposizione assume:
     la  prescrizione  dei diritti di credito vantati ex artt. 3 e 9,
legge n. 335/1995;
     la  decadenza  dall'iscrizione  a ruolo ex art. 25, comma primo,
lettera b) del d.lgs. n. 46/1999 non essendo stati iscritti i crediti
entro  il 31 dicembre dell'anno successivo dalla data di notifica del
provvedimento  ed,  in  via  subordinata,  in ragione della decadenza
prevista alla lettera a) della stessa previsione normativa;
     la  mancanza di motivazione e degli essenziali riferimenti nella
cartella che consentano all'ingiunto di difendersi adeguatamente;
     l'insussistenza   del   credito   per   avere   nel  periodo  in
contestazione  (novembre  1995-maggio  2001)  la MTC ha stipulato 957
contratti di formazione lavoro nel pieno rispetto delle condizioni di
legge;
     l'assenza  dell'obbligatorieta'  diretta  per  i cittadini degli
Stati  delle  decisioni della Commissione europea vincolanti solo per
gli  Stati  destinatari  per  cui  i  diritti quesiti riconosciuti al
datore  di lavoro da disposizioni di legge vigenti non possono essere
lesi da provvedimenti della pubblica amministrazione che sarebbero in
contrasto  con  il  principio dell'irretroattivita' dei provvedimenti
amministrativi;
     l'operativita'  del  legittimo  affidamento del datore di lavoro
sulla  legittimita'  delle  agevolazioni attribuite come riconosciuto
dalla  sentenza  della  Corte di giustizia 1° aprile 2004 nella causa
n. 99/2002;
     che  l'INPS  non  ha effettuato i prodromici (a pena di nullita'
dei   successivi   provvedimenti  di  sgravio)  accertamenti  che  la
Commissione   europea  ha  ritenuto  che  fossero  necessariamente  e
preventivamente  effettuati dalle autorita' nazionali per verificare,
sulla  base  dei  dati nella disponibilita' dei competenti uffici, la
rispondenza  dei CFL stipulati nel periodo 21 novembre 1995-31 maggio
2001 ai requisiti richiesti dalla decisione della commissione europea
11 maggio 1999, n. 128/2000;
     che solo con lettera del 24 novembre 2004 l'INPS ha richiesto il
pagamento  di  euro  12.808.596,96  assumendo  che  la societa' aveva
usufruito in relazione a tutti i contratti di formazione stipulati di
sgravi  contrari  agli  standards  di  libera concorrenza del mercato
comune  europeo  senza  tuttavia  verificare se i contratti fossero o
meno   difformi   dai   principi   previsti   dalla  decisione  della
Commissione;
     che  sul  ricorso  della  MTC  lo stesso comitato amministratore
accogliendolo  ammetteva  il mancato accertamento che le agevolazioni
fossero effettivamente incompatibili con la disciplina comunitaria in
contrasto con la decisione della Corte di giustizia del 7 marzo 2002;
     che  grava  sull'INPS  l'onere  di  fornire la prova in giudizio
della  circostanza  che  sussistano  le  condizioni che consentono il
recupero delle agevolazioni che il datore di lavoro ha fruito in base
e nel rispetto della legge italiana;
     che  i  957  contratti  di  formazione  stipulati  soddisfano  i
requisiti  previsti  dalla  decisione  comunitaria avendo 818 di essi
determinato  un  incremento  netto  di  manodopera  e  dei lavoratori
assunti e che fra di essi 374 lavoratori assunti avevano il requisito
soggettivo  (eta'  fino  a 25 anni o sino a 29 anni per i laureati) e
204  dei  lavoratori  erano  in  stato di disoccupazione. La societa'
argomentava   analiticamente  sul  punto  fornendo  documentazione  a
supporto e chiedendo prova testimoniale sui fatti allegati;
     in via subordinata, in ragione della regola fissata nell'art. 87
del   trattato   UE,  per  il  quale  non  rientrano  nell'ambito  di
applicazione del trattato gli aiuti che per le ridotte dimensioni non
siano  in grado di falsare la concorrenza fra gli stati membri (punto
115  e  119) assumeva che l'INPS non potesse recuperare gli aiuti che
fossero  limitati  a 100.000 euro nell'arco di tre anni, per cui tale
importo  avrebbe  dovuto  essere  detratto  dal  recupero  sia per il
triennio  1996-1998  che per quello 1999-2001 con l'effetto che nulla
sarebbe stato dovuto all'INPS;
     che  la  decisione  della Commissione europea tende ad eliminare
gli  effettivi  vantaggi  conseguiti  per effetto degli aiuti per cui
deve  tenersi  conto  dei costi ed oneri sostenuti dalla societa' per
stipulare  i  contratti di formazione (costi per la formazione, costo
della   minore   prestazione  lavorativa  connessa  alla  formazione,
maggiori oneri fiscali conseguenti agli effetti dovuti agli aiuti);
     chiede   la   sospensiva  e,  nel  merito,  la  declaratoria  di
nullita/illegittimita' della cartella esattoriale.
   Con  decreto  e'  stata  fissata l'udienza ai soli fini dell'esame
della  sospensiva  nel contraddittorio al 10 agosto 2007 e quella per
la trattazione del merito al 6 novembre 2007.
   L'ETR  S.p.A. nonostante la notifica del ricorso e del decreto non
si costituisce e ne va dichiarata la contumacia nel giudizio.
   Con memoria depositata il 9 agosto 2007 prima dell'udienza fissata
per la discussione della sospensiva si e' costituita l'INPS assumendo
l'insussistenza dei gravi motivi.
   Ordinata  l'integrazione  del  contraddittorio nei confronti della
SCCI  S.p.A.  la  stessa  si  e'  costituita  con  memoria depositata
all'udienza dell'11 settembre 2007.
   Con  ordinanza del 13 settembre 2007 e' stata disposta dal giudice
feriale  la  sospensione  dell'esecuzione  della cartella esattoriale
(rectius  sospensione  del  ruolo)  e  fissata  la prosecuzione della
trattazione  per  il  merito  (revocando  il  precedente  decreto  di
comparizione) al 23 ottobre 2007.
   Con  ulteriore  memoria  depositata  l'11 ottobre 2007 1'INPS e la
SCCI S.p.A. hanno articolato difese ed assumendo:
     l'insussistenza  della  decadenza  operante in base a successive
leggi e, a ultimo, alla finanziaria del 2004 solo ai contributi ed ai
premi  non  versati e agli accertamenti notificati successivamente al
1° gennaio 2004;
     la   normativa   interna   non   puo'  essere  invocata  per  la
giurisprudenza  comunitaria  per  escludere  il  diritto  dell'INPS e
l'obbligo  della Repubblica italiana di recuperare gli aiuti di Stato
illegittimamente   concessi   dovendo   il  giudice  interpretare  la
normativa interna in modo da dare attuazione al diritto comunitario e
disapplicare  le norme di diritto interno la cui applicazione dovesse
impedire l'effettivita' del recupero;
     la conformita' della cartella al modello ministeriale;
     l'inapplicabilita'  della  prescrizione  poiche'  in  base  alla
sentenza  del  20  marzo  1997 (proc. 24/95) la Corte di giustizia ha
ritenuto  che  il  principio  della  certezza  del  diritto  non puo'
precludere  la restituzione di un aiuto per il fatto che le autorita'
nazionali  si  sono  conformate con ritardo alla decisione che impone
tale   restituzione   dovendo  lo  stato  revocare  la  decisione  di
concessione  dell'aiuto  conformandosi  alla decisione definitiva con
cui  la  commissione  dichiari  l'incompatibilita'  di  un aiuto e ne
ordini  il  recupero  anche  quando abbia lasciato scadere il termine
previsto  dal  diritto nazionale a tutela della certezza del diritto.
Che la prescrizione va ritenuta decennale attenendo ad un indebito ex
art. 2953 c.c.;
     che  la  decisione  della  Commissione europea e' immediatamente
applicabile  e  non  richiede alcuna procedura di recepimento poiche'
l'art.  249  del  trattato  di  Roma del 25 marzo 1957 prevede che le
istituzioni  comunitarie  prendono  decisioni obbligatorie in tutti i
loro elementi per i destinatari da esse designati. Quanto ai rapporti
fra  fonti  comunitarie  e  diritto interno e' stato progressivamente
elaborato  dalla stessa Corte di giustizia il principio di supremazia
del  diritto comunitario sul diritto interno incompatibile accanto al
principio  dell'effetto diretto delle norme comunitarie intervento in
ragione  di  cessione di porzioni della sovranita' nazionale a favore
della Comunita' europea;
     che  lo  Stato  membro  resta  il solo responsabile del rispetto
degli  obblighi senza che rilevo la circostanza che la violazione sia
imputabile al potere legislativo, giudiziario o esecutivo in ossequio
al principio di leale collaborazione sancito dall'art. 10 CE;
     che  opera il principio di interpretazione conforme alla stregua
del  quale  il giudice nazionale e' tenuto ad interpretare il diritto
interno in modo conforme al diritto comunitario come prescritto dalle
decisioni quadro previste dall'art. 34 UE;
     che   le   decisioni  della  Corte  di  giustizia  costituiscono
precedente  vincolante per il giudice nazionale (stare decisis) e non
e'  consentito  sollevare  questioni  pregiudiziali  (ex art. 234 CE)
sulle  quali  la  CGCE si sia gia' pronunciata: esse si impongono per
imperativita'   ed   obbligatorieta'   dovendo   essere  riconosciuto
autorita' di giudicato formale e sostanziale;
     che  le  decisioni  della  Corte di giustizia retroagiscono come
precisato   dalla   stessa  Corte,  sia  con  riferimento  al  rinvio
pregiudiziale  interpretativo  che'  di validita' (sentenza 10 luglio
1980, causa 811/79 e sentenza 10 luglio 1980, causa 826/79);
     che  la stessa Commissione ha con comunicazione pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Comunita'  europea informato i potenziali
beneficiari  di  aiuti statali della precarieta' degli aiuti medesimi
nel senso della possibile ripetizione escludendo cosi' l'affidamento;
     che  l'obbligo  contributivo si sostanzia in una obbligazione ex
lege, rispetto alla quale il diritto ai benefici contributivi (sgravi
degli  oneri  sociali, fiscalizzazione, sgravi per mobilita', etc...)
si  pone  come  deroga  legata a determinati presupposti di fatto che
devono  essere  rigorosamente  dimostrati  dal  datore di lavoro (per
tutte  Cass.  27  febbraio  2004,  n. 4064)  e  che la societa' si e'
limitata  alla  mera  allegazione  di  elenchi  contenenti i dati dei
dipendenti   e   di   copie   dei   contratti   e   dichiarazioni  di
responsabilita'   senza   provare   i   presupposti  di  legittimita'
individuati  dalla  decisione  della  Commissione  europea  e  che la
societa'  non  ha  dimostrato  di  rientrare  fra i destinatari della
regola  de minimis (ossia 100.000 euro massimi per tre anni dal primo
aiuto,  (somma  comprensiva  di qualsiasi aiuto pubblico ad eccezione
dei soli aiuti all'esportazione);
     che   la   quantificazione  degli  importi  richiesti  e'  stata
effettuata  dagli  uffici  INPS sulla base di quanto dichiarato dalla
stessa  ditta  ricorrente  nel periodo di causa attraverso il modello
DM2  e dal calcolo e' stata fatta salva la riduzione contributiva del
25% che in quanto misura di carattere generale non configura un aiuto
di   Stato.   Sull'importo  contributivo  sono  stati  calcolati  gli
interessi  sulla  base  dei  tassi  elaborati  dalla  Banca  centrale
europea;
     che non possono tenersi presenti i pretesi costi ed oneri che la
societa'  assume  di  avere  sostenuto  a  fronte  dei  contratti  di
formazione  lavoro,  ne'  i maggiori oneri che avrebbe sopportato sia
perche'  nulla  dice  in  proposito  la  decisione  della Commissione
europea sia perche' le somme spese non sono documentate.
   All'udienza  del  22  gennaio  2008  la  causa e' stata rimessa in
discussione  in  relazione  ai  profili  di  possibile illegittimita'
costituzionale  della lettura della legge n. 335/1995 alla luce della
normativa comunitaria.
   La  presente  controversia prende le mosse dalla decisione dell'11
maggio   1999   n. 2000/128/CE  della  Commissione  europea  con  cui
prendendo spunto dalla notifica del disegno di legge che avrebbe dato
vita alla legge n. 196/1997 la Commissione estendendo l'esame a tutta
la  normativa  nazionale  relativa  ai contratti di formazione lavoro
avvio' la procedura di infrazione di cui all'art. 88, paragrafo 2 del
Trattato  CE  (ex  art. 93, paragrafo 3) in relazione alla disciplina
che   accordava   benefici  contributivi  in  caso  di  contratto  di
formazione  e  lavoro ed, in particolare, per quella parte di sgravio
contributivo  differenziale rispetto alla misura fissa ed uniforme di
cui alla legge n. 863/1984 e pari al 25%.
   A   parere  della  Commissione  gli  sgravi  accordati  in  misura
superiore   (e   previsti   dalle   leggi  n. 863/1984,  n. 407/1990,
n. 169/1991  e  n. 451/1994)  in  ragione  del  luogo di insediamento
dell'impresa  beneficiaria,  del  settore  di  appartenenza  e  della
dimensione sono misure selettive capaci di incidere sulla concorrenza
sia  all'interno  dello  Stato  che  fra  imprese  insediate in Stati
diversi.
   La  Commissione  indica  pure  dei  criteri che i contratti devono
soddisfare  per essere conformi alla normativa comunitaria (creazione
di  nuovi  posti  di  lavoro  a  favore  di  lavoratori  inoccupati o
disoccupati;  l'assunzione  di  lavoratori che incontrano difficolta'
specifiche  ad  inserirsi  o  a reinserirsi nel mercato del lavoro, e
cioe'  di  giovani  con  meno di 25 anni o di laureati fino a 29 anni
compresi  e  i  disoccupati  di  lunga  durata,  vale  a dire persone
disoccupate da almeno un anno; aiuti concessi al fine di incrementare
l'occupazione  netta,  e  dunque a datori che non avevano proceduto a
riduzioni  di  organico nei 12 mesi precedenti e avevano mantenuto in
servizio  almeno il 60% dei lavoratori assunti con tali contratti nei
24 mesi precedenti.).
   Avverso  tale  decisione  l'Italia  propose  ricorso alla Corte di
giustizia  rigettato con sent. 7 marzo 2002 (C-310/99) nella quale il
giudice  comunitario  si  esprimeva  anche  in  ordine  al  legittimo
affidamento  per  escluderlo  in  capo  allo  Stato  in ragione della
comunicazione  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale delle Comunita'
europee   con   la   quale  la  Commissione  informava  i  potenziali
beneficiari  di aiuti statali della precarieta' degli aiuti che siano
stati  loro  illegittimamente  concessi, nel senso che essi avrebbero
potuto   essere   tenuti   a  restituirli,  pur  senza  escludere  la
possibilita',  per  il  beneficiario  di  un  aiuto  illegittimamente
concesso,  di  invocare  circostanze  eccezionali  sulle quali avesse
potuto fondare il proprio affidamento circa la regolarita' dell'aiuto
e di opporsi alla sua ripetizione.
   Segui',  per  la  perdurante  inerzia  dello  Stato  italiano,  il
giudizio di ottemperanza conclusosi con la sentenza di condanna della
Corte di giustizia del 1° aprile 2004 (C-99/02).
   Nella  sentenza  la  Corte  ribadi' l'obbligatorieta' del recupero
delle   somme   erogate   a   titolo   di   aiuto  illegittimo  e  la
inconfigurabilita'  dell'impossibilita'  assoluta  di dare esecuzione
alla  decisione  e che le mere difficolta' operative avrebbero dovuto
comportare  un  diligente  intervento  presso  la  stessa Commissione
proponendo  appropriate  modifiche  della  decisione in senso tale da
renderla   ottemperabile   in   ragione   del   principio   di  leale
collaborazione e buona fede che informa i rapporti tra gli Stati e le
istituzioni comunitarie.
   Occorre  in primo luogo qualificare la domanda che non va ritenuta
come erroneamente assume l'INPS come ripetizione di indebito, ma come
azione promossa dall'ente previdenziale per il recupero di contributi
omessi  poiche'  il  diritto  nasce  dall'affermazione del ripristino
dell'obbligo  contributivo  che scaturirebbe per effetto dell'impatto
della  normativa  comunitaria  sul diritto interno che autorizzava lo
sgravio.
   L'esame  dei motivi di impugnazione impone il rispetto dell'ordine
di  priorita'  giuridica  da  riservare alle preliminari e, nel caso,
alla prescrizione.
   Questa   comporta  al  giudice  la  risoluzione  di  problematiche
connesse  all'interferenza  ed  impatto  del  diritto comunitario sul
diritto  interno,  non solo e non tanto in ordine alle norme di legge
ordinaria,   ma   anche   e   soprattutto  in  relazione  a  principi
fondamentali   aventi   rilevanza   e   riconoscimento   nel  sistema
costituzionale italiano.
   L'efficacia  diretta della fonte comunitaria nel caso in esame non
puo' essere messa in questione.
   Ed  infatti, essa trae fondamento non tanto dal Trattato, ma dall'
interpretazione  che  di  esso  fa la Corte di giustizia (decisione 7
marzo  2002,  C-310/99)  avallando  l'opinione espressa in precedenza
dalla Commissione europea 2000/128/CE.
   Come  e' noto il Trattato come atto normativo generale e' di norma
vincolante  per i soli Stati, a meno che non contenga disposizioni di
immediato    contenuto    precettivo,    ossia    incondizionate    e
sufficientemente  precise,  tali  da  potersi ritenere immediatamente
operative anche all'interno degli Stati.
   Il  conflitto fra una previsione contenuta nel diritto comunitario
con  norme  interne  comporta  in capo al giudice nazionale investito
della  controversia  in  cui  venga  in  questione  l'applicazione di
entrambe  le  fonti  disciplinanti  la  fattispecie il dovere di dare
luogo  ad  una  interpretazione  adeguatrice  della  norma di diritto
nazionale  ovvero,  in  caso  di  conflitto irrisolvibile sussistente
allorche' quest'ultima disponga in modo diverso ed inconciliabile con
la norma comunitaria, il potere del giudice nazionale di disapplicare
la  norma  di  diritto  interno  operando  una  sorta di sindacato di
legittimita' diffuso.
   Il  precetto del trattato CE (art. 87) e' stato definito nella sua
portata  dalla  sentenza  della  Corte  di  giustizia  7  marzo  2002
(decisione che nell'ambito del diritto comunitario assume il ruolo di
fonte  di  diritto)  che ha recepito i parametri delineati dalla dec.
della Commissione 2000/128/CE.
   L'intervento  della Corte ha indubbiamente portata retroattiva non
solo  perche'  da'  vita  ad una norma interpretativa del Trattato ma
anche  perche'  la  stessa  Corte  di  giustizia nella sent. C-310/99
escludendo il legittimo affidamento nei termini di cui si e' detto ed
invitando  lo  Stato  italiano  al  recupero  dal  1995  sottende una
efficacia ex tunc della decisione.
   Se  l'efficacia della norma, che trae fonte diretta dalla sentenza
della Corte di giustizia ed indiretta dal Trattato CE, e' immediata e
diretta  all'interno  degli  ordinamenti  nazionali  va  da  se'  che
l'effetto  della norma di fonte comunitaria direttamente applicabile,
in  caso di conflitto con il diritto interno, produca, per quanto con
la  mediazione  del  giudice nazionale, effetti caducatori analoghi a
quelli  della  sentenza della Corte costituzionale comportando la non
applicazione della norma di diritto nazionale confliggente.
   Va  precisato  che  avendo  la  Corte  di  giustizia  (o meglio la
Commissione) delineato pure delle condizioni di legittimita' dei c.d.
aiuti  di  Stato,  la  stessa  ha  dato  luogo ad un effetto non solo
ablativo   (o   meglio   caducatorio   incidendo   sulla   perdurante
applicabilita'  di  una previsione), ma anche additivo, conformemente
alla  sua  natura  di  organo  capace  di  essere  fonte  di  diritto
aggiungendo alla previsione normativa di diritto interno quella parte
del  precetto  che  enuclea le eccezionali condizioni di legittimita'
degli aiuti di Stato.
   Nell'esame  della pregiudiziale, come si e' detto, la questione di
maggiore  rilievo  attiene  non al conflitto fra la normativa interna
che  disciplina  la  materia  dei  contratti  di  formazione e quella
comunitaria,   ma  al  conflitto  che  si  genera  dal  principio  di
effettivita'  immanente  al  diritto comunitario se inteso in termini
radicali  ossia come avente come destinatario non solo e non tanto lo
Stato  come organo politico capace di legiferare o di porre in essere
azioni  amministrative  in  esecuzione  del  precetto  della Corte di
giustizia, ma anche lo stesso giudice nazionale.
   Tale  impostazione  appare  fornire  una visione del giudice dello
Stato  come  organo  legibus solutus, mentre al contrario, il giudice
italiano  non  puo' non porsi il dubbio, in quanto tenuto a garantire
il  rispetto  delle leggi (art. 101, secondo comma Cost.) e prima fra
tutte  della Costituzione, della conformita' ai principi fondamentali
ed  ai  limiti  che  in  ragione  della  certezza  del diritto devono
riconoscersi anche ad interventi conformativi del Giudice delle leggi
quali  il  limite  del  diritto quesito e delle situazioni esaurite o
irrevocabili  che la stessa Corte nazionale intervenendo con pronunce
ablative  non  puo'  travalicare  (id  est  prescrizione,  giudicato,
decadenza).
   Si  pone  la questione se l'intervento della Corte di giustizia (o
della Commissione) che affermi l'illegittimita' di una condotta dello
Stato,  che  ha  esonerato  da  una certa misura di contributi alcuni
obbligati  e  condannato  lo  Stato  ad  uniformarsi  al suo precetto
ristabilendo   la  legittimita',  significhi  anche  per  il  giudice
nazionale  l'affermazione di un potere-dovere di recupero dei crediti
dello  Stato  anche  in  contrasto con i limiti derivanti dalle leggi
nazionali laddove la rimozione di tali limiti conduca alla violazione
di principi fondamentali.
   Vi e' qui questione dei limiti di tempo, previsti in via generale,
a  tutela  della  certezza  dei  rapporti,  dal  regime interno della
prescrizione  ed  operanti  in  casi  del  tutto  analoghi di crediti
contributivi ex lege n. 335/1995.
   La  qualificazione  della  domanda giudiziale come azione promossa
dall'ente previdenziale per il recupero di contributi omessi implica,
infatti, l'applicabilita' dell'art. 3, comma 9 e comma 10 della legge
n. 335/1995.
   A  cio'  si  aggiunga  la  notazione  che il regime prescrizionale
operante  in tale ambito ex lege n. 335/1995 e' ritenuto dalla stessa
Corte di cassazione con orientamento costante come di ordine pubblico
e,  dunque,  irrinunciabile  e  rilevabile d'ufficio dal giudice (per
tutte  si ricordano le sentenze della Cass. 16 agosto 2001, n. 11140,
Cass. 24 marzo 2005, n. 6340, pres. Sciarelli, rel. De Luca).
   Viene,  pertanto,  posto  in discussione un bene irrinunciabile in
ogni  ordinamento  giuridico  quale  la  certezza  dei  rapporti,  ma
soprattutto  viene  in  rilievo  una  opzione  ermeneutica  in aperta
violazione  di uno dei principi fondamentali consacrati espressamente
nella  Carta costituzionale ossia il principio di uguaglianza sancito
dall'art. 3 Cost.
   Sarebbe  a  dire  che  mentre  in ogni altro ambito l'obbligazione
contributiva  incontra  il  limite temporale di esigibilita' da parte
dello  Stato italiano, che non puo' essere superato neanche allorche'
la  fonte  di uno sgravio sia espunta dall'ordinamento per effetto di
declaratoria di incostituzionalita' (poiche' l'intervento della Corte
costituzionale  fa salvi i rapporti esauriti), in tal caso la pretesa
contributiva   dello   Stato   sorretta   da   una   declaratoria  di
illegittimita'  comunitaria  diverrebbe  sostanzialmente sottratta al
regime  della  prescrizione  nazionale, se esso potesse costituire un
ostacolo alla realizzazione del precetto della Corte di giustizia.
   Tale  profilo  si  evidenzia,  infatti, sia nell'ipotesi in cui si
debba  intendere  in  senso  rigoroso il precetto di effettivita' del
diritto  comunitario, sia, piu' ragionevolmente, se si tenga presente
che  anche  il  diritto  comunitario annovera e ritiene evidentemente
meritevole  di  tutela  l'affidamento che nasce dal decorso del tempo
riconoscendo  proprio  in questo ambito dei termini, che dalla stessa
Corte   di   giustizia   sono   stati   incidentalmente  ritenuti  di
prescrizione, nell'art. 15 del regolamento del consiglio del 22 marzo
1999, n. 659-99/659/CE.
   Nella  prima  ipotesi  interpretativa  che  muove  dalla  rigorosa
applicazione  del principio di effettivita' non va dimenticato che il
tredicesimo «considerando» del regolamento n. 659 riguarda proprio il
recupero degli aiuti finanziari.
   Tale   precetto   trova   poi  sviluppo  nell'art.  14  del  detto
regolamento che cosi' recita:
     «1)  Nel  caso  di  decisioni  negative relative a casi di aiuto
illegali la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo
Stato  membro  interessato di adottare tutte le misure necessarie per
recuperare  l'aiuto dal beneficiario (...). La Commissione non impone
il recupero dell'aiuto qualora cio' sia un contrasto con in principio
generale del diritto comunitario.
     2) (...).
     3)  Fatta  salva un'eventuale ordinanza della Corte di giustizia
delle  Comunita' europee emanata ai sensi dell'art. 185 del Trattato,
il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste
dalla  legge  dello  Stato  membro interessato, a condizione che esse
consentano  l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione della
Commissione.  A  tal  fine  e  in  caso  di  procedimento  dinanzi ai
Tribunali  nazionali,  gli Stati membri interessati adottano tutte le
misure  necessarie  disponibili nei rispettivi ordinamenti giuridici,
comprese le misure provvisorie, fatto salvo il diritto comunitario».
   Ne'  va  trascurato  che  la  Corte  di  giustizia delle Comunita'
europee  nella  sentenza  resa  dalla  grande  sezione 18 luglio 2007
rispondendo al quesito dalla stessa individuato come fondamento della
questione sottoposta: «Nel caso di specie si chiede alla Corte non di
interpretare  il  diritto  nazionale  o  una  sentenza  di un giudice
nazionale,  bensi'  di  precisare  i  limiti  entro i quali i giudici
nazionali   sono   tenuti,   in  forza  del  diritto  comunitario,  a
disapplicare il diritto nazionale» abbia cosi' deciso:
     «Stando  al  giudice  nazionale,  l'art.  2909 del codice civile
italiano  osta  non  solo alla possibilita' di dedurre nuovamente, in
una  seconda controversia, motivi sui quali un organo giurisdizionale
si  sia  gia'  pronunciato esplicitamente in via definitiva, ma anche
alla  disamina  di  questioni  che  avrebbero potuto essere sollevate
nell'ambito  di  una controversia precedente senza che cio' sia pero'
avvenuto.   Da   siffatta   interpretazione   della   norma  potrebbe
conseguire,  in  particolare,  che  a  una  decisione  di  un giudice
nazionale  vengano  attribuiti  effetti  che  eccedono i limiti della
competenza  del  giudice di cui trattasi, quali risultano dal diritto
comunitario.  Come  ha  osservato  il  giudice  a  quo, e' chiaro che
l'applicazione  di  tale  norma,  cosi' interpretata, impedirebbe nel
caso  di  specie  l'applicazione  del  diritto  comunitario in quanto
renderebbe  impossibile  il recupero di un aiuto di Stato concesso in
violazione del diritto comunitario.
     60.  In  tale  contesto  va  ricordato  che  spetta  ai  giudici
nazionali  interpretare  le disposizioni del diritto nazionale quanto
piu'   possibile   in   modo   da   consentirne  un'applicazione  che
contribuisca all'attuazione del diritto comunitario.
     61.  Risulta  inoltre  da  una  giurisprudenza  costante  che il
giudice  nazionale incaricato di applicare, nell'ambito della propria
competenza, le norme di diritto comunitario ha l'obbligo di garantire
la  piena  efficacia  di tali norme, disapplicando all'occorrenza, di
propria   iniziativa,   qualsiasi   disposizione  contrastante  della
legislazione  nazionale  (v.,  in particolare, sentenze 9 marzo 1978,
causa  106/77, Simmenthal, Racc. pag. 629, punti 21-24; 8 marzo 1979,
causa  130/78,  Salumificio di Comuda, Racc. pag. 867, punti 23-27, e
19  giugno  1990, causa C-213/89, Factortame e a., Racc. pag. I-2433,
punti  19-21).»  con la conclusione che «Le questioni sollevate vanno
pertanto   risolte   nel   senso  che  il  diritto  comunitario  osta
all'applicazione  di  una  disposizione  del  diritto nazionale, come
l'art.  2909 del codice civile italiano, volta a sancire il principio
dell'autorita' di cosa giudicata, nei limiti in cui l'applicazione di
tale  disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato
in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilita' con
il mercato comune e' stata dichiarata con decisione della Commissione
divenuta definitiva.».
   Non vi e' dubbio che, pertanto, l'interpretazione del principio di
effettivita'  sia  divenuta  jus  receptum nel diritto dell'organo di
giustizia   comunitaria  nel  senso  sopra  precisato  ossia  la  non
applicazione  del diritto interno laddove l'applicazione dello stesso
«impedisc[a]  il  recupero  di un aiuto di Stato erogato in contrasto
con  il  diritto comunitario e la cui incompatibilita' con il mercato
comune  e'  stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta
definitiva».
   Nella  seconda  ipotesi interpretativa, che si e' detto pare anche
ragionevole in quanto non rende illimitatamente esigibile il credito,
si  pone  la  questione della verifica di compatibilita' fra la legge
nazionale ed il regolamento del Consiglio d'Europa CE n. 659/1999 del
22 marzo 1999 che fissa alla Commissione il termine di dieci anni per
il recupero dei contributi («1. I poteri della Commissione per quanto
riguarda  il  recupero degli aiuti sono soggetti ad un periodo limite
di  10  anni.  2.  Il  periodo limite inizia il giorno in cui l'aiuto
illegale viene concesso al beneficiario come aiuto individuale o come
aiuto  rientrante  in un regime di aiuti. Qualsiasi azione intrapresa
dalla  Commissione  o  da  uno  Stato membro, che agisca su richiesta
della  Commissione,  nei  confronti dell'aiuto illegale interrompe il
periodo limite. Ogni interruzione fa ripartire il periodo da zero. Il
periodo  limite  viene sospeso per il tempo in cui la decisione della
Commissione  e'  oggetto  di  un  procedimento  dinanzi alla Corte di
giustizia  delle  Comunita'  europee.  3.  Ogni aiuto per il quale e'
scaduto il periodo limite e' considerato un aiuto esistente»).
   Occorre  chiedersi,  prima  ancora  di  tale  passaggio logico, in
questo  caso,  se  il termine contenuto nel regolamento appena citato
sia stato previsto unicamente come limite al potere della Commissione
rispetto  allo  Stato,  il  che  non comporterebbe necessariamente un
conflitto  con  la  normativa di diritto nazionale che regolamenta la
prescrizione   degli  obblighi  contributivi,  ovvero  se  sia  stato
introdotto anche quale limite al potere dello stesso Stato membro per
esperire  una  azione  utile  di  recupero presso i beneficiari degli
aiuti di Stato.
   Nella  decisione  della Commissione del 28 giugno 2000 riguardante
aiuti  di  Stato  concessi  dalla Germania a favore di Salzgitter AG,
Preussag Stahl AG e delle controllate del gruppo operanti nel settore
siderurgico,  ora  denominate  Salzgitter  AG - Stahl und Technologie
(SAG)  [notificata con il numero C(2000) 1963] incidentalmente (punti
da    77   a   83),   la   Commissione,   esaminando   la   questione
dell'applicabilita'   del   termine  previsto  dal  regolamento  (CE)
n. 659/1999,  approvato dal Consiglio sulla base dell'articolo 89 (ex
articolo  94)  del  trattato  CE,  nella  parte  in cui stabilisce le
modalita'  d'applicazione  dell'articolo  88  (ex  articolo  93)  del
trattato  CE,  per  escluderne  l'applicazione  al  settore CECA, da'
incidentalmente  per scontato che trattasi di termine di prescrizione
come prospettato dallo Stato tedesco.
   Al  punto  84 della stessa decisione si rinviene l'affermazione in
relazione  ai  regimi prescrizionali operanti nel diritto interno che
«Nell'ambito  delle  riflessioni  sul  principio  della  certezza del
diritto,  la  Germania  accenna  inoltre  alla  necessita' che per il
recupero  degli  aiuti  illegali  e  incompatibili  si  applichino le
procedure  del  diritto  nazionale,  che  prevede  l'applicazione  di
termini  di  prescrizione.  Al  riguardo,  la Commissione si limita a
ricordare che in base alla giurisprudenza della Corte le disposizioni
del  diritto nazionale devono essere applicate in modo da non rendere
praticamente  impossibile  la  ripetizione degli aiuti prescritta dal
diritto comunitario.».
   La  decisione  della  Commissione  pare  sgombrare  il campo dalla
possibile  interpretazione che il termine fissato dal regolamento sia
operante  solo  quale  limite ai poteri di recupero della Commissione
rispetto  agli  Stati  inadempienti segnando il limite oltre il quale
sorge la responsabilita' patrimoniale dello Stato.
   La  Commissione  da', infatti, per presupposto che tale previsione
definisca  anche  negli  Stati  membri il limite temporale del potere
dello  Stato  creditore  avverso  l'impresa  debitrice  delineando un
(nuovo e diverso) regime prescrizionale.
   Accolgono  tale  opzione interpretativa le sentenze dei giudici di
merito  intervenute sulla materia tra le quali si citano il Tribunale
ordinario  di  Milano, sezione lavoro, 22 ottobre 2007, sent. n. 3497
ed  il Tribunale di Roma, sent. del 21 dicembre 2007 rel. Emili, gia'
indicativi  della  formazione  di  un diritto vivente su tale opzione
ermeneutica  dell'art.  15  del regolamento n. 659/1999 del Consiglio
del 22 marzo 1999.
   Anche questo giudice remittente, dovendo definire la portata della
previsione  in  esame  che stabilisce «I poteri della Commissione per
quanto  riguarda  il recupero degli aiuti sono soggetti ad un periodo
limite   di  10  anni.»,  non  puo'  non  darvi  una  interpretazione
sistematica  con  l'altro  precetto  di  seguito  ribadito «Qualsiasi
azione intrapresa dalla Commissione o da uno Stato membro, che agisca
su  richiesta  della  Commissione,  nei confronti dell'aiuto illegale
interrompe il periodo limite».
   Tale  ultima  prescrizione  fa ritenere estesa allo «Stato membro,
che agisca su richiesta della Commissione», e quindi nei rapporti fra
lo Stato ed i beneficiari, l'operativita' del limite temporale per il
recupero.
   Dunque,  la ratio legis del regolamento appare quella di affermare
un  regime  prescrizionale  per  le pretese contributive che traggono
titolo dalla decisione della Commissione europea.
   Tale  regime e' diverso e piu' lungo rispetto a quello predisposto
dal  diritto  interno  (Italiano)  vigente  dal 1995 per gli obblighi
contributivi.
   Se  il  conflitto di tale previsione con quella di diritto interno
va  risolto  di  norma in base alla necessaria prevalenza del diritto
comunitario  per come affermato dalla stessa Corte costituzionale non
puo',   tuttavia,   trascurarsi  la  conseguente  problematica  della
garanzia  del rispetto e della applicazione dell'art. 3, primo comma,
Costituzione all'interno dello Stato.
   Il   giudice  di  diritto  interno  dovendo  adeguare  al  diritto
comunitario  l'art.  3,  comma 9, lettera a), ultima parte e comma 10
della  legge  n. 335/1995  dovrebbe leggere tale previsione nel senso
che  il  limite quinquennale di prescrizione dei crediti contributivi
opera  a  meno  che  i  crediti in questione non siano accertati come
frutto di aiuti illegittimi dalla Commissione europea.
   Tuttavia,  l'interpretazione  del  precetto contenuto nell'art. 15
del  regolamento  comunitario  n. 659/1999  quale fonte di un termine
prescrizionale  decennale, ossia di un termine opponibile dallo Stato
membro all'impresa debitrice implica la sottrazione di queste ipotesi
al  regime  generale  predisposto  dall'art.  3, comma 9, lettera a),
ultima  parte  e  comma 10 della legge n. 335/1995 e obbliga l'organo
giurisdizionale  alla  verifica se le situazioni sostanziali attratte
al  diverso  regime  prescrizionale  nascente  dall'applicazione  del
diritto  comunitario  siano  sostanzialmente  eterogenee  rispetto  a
quelle  che  viceversa  continuano  ad  essere  sottoposte alla legge
nazionale in ragione della sua perdurante vigenza.
   In  altri  termini  occorre  accertare se tale diversificazione di
disciplina  sia  ragionevole  perche'  giustificata  dalla diversita'
delle  fattispecie  come  affermato in ogni occasione in cui la Corte
costituzionale abbia fatto applicazione del principio di uguaglianza.
   Tale   verifica   si   impone   dovendo   il   giudice   dare  una
interpretazione  del  diritto  nazionale conforme non solo al diritto
comunitario   prevalente   su  quello  interno  ma  anche  ai  valori
costituzionali  fondamentali  dello Stato e, fra questi, al principio
di uguaglianza consacrato espressamente all'art. 3 Cost.
   Se  e'  vero  che «Il regolamento comunitario [e tale questione si
pone  per  tutte  le  fonti  immediatamente  applicabili] va, dunque,
sempre  applicato,  sia che segua, sia che preceda nel tempo le leggi
ordinarie  con  esso  incompatibili: e il giudice nazionale investito
della  relativa  applicazione  potra'  giovarsi  dell'ausilio che gli
offre  lo strumento della questione pregiudiziale di interpretazione,
ai  sensi  dell'art.  177  del Trattato. Solo cosi' e' soddisfatta la
fondamentale  esigenza  di certezza giuridica, sempre avvertita nella
giurisprudenza   di   questo   Collegio,  che  impone  eguaglianza  e
uniformita'  di  criteri  applicativi del regolamento comunitario per
tutta  l'area  della  Comunita'  europea.»  (C.  cost. 5 giugno 1984,
n. 170);  se  e'  vero  cio',  non  puo'  trascurarsi  che  la  Carta
costituzionale   pone   una   analoga   esigenza  di  uguaglianza  ed
uniformita' (percepita come valore ineludibile dalla stessa normativa
comunitaria)  anche  all'interno  dello  Stato  non parendo possibile
assumere  che l'uguaglianza (coniugata al principio di effettivita) a
livello comunitario funzionale al ripristino della libera concorrenza
possa  giustificare  la  violazione  del  principio di uguaglianza in
ambito  nazionale allorche' l'intervento comunitario interferisca con
fattispecie  gia'  disciplinate  a  livello  generale dal legislatore
interno.
   L'uguaglianza,   infatti,  non  va  rispettata  solo  avendo  come
riferimento  l'ambito  comunitario,  ma  per  il  giudice  nazionale,
proprio  in  quanto sottoposto alla legge ed alla Costituzione, vi e'
l'obbligo  dell'ulteriore  verifica  se  il precetto da applicare sia
rispettoso  del  criterio  consacrato  all'art. 3, primo comma Cost.,
all'interno dello Stato italiano, Stato membro.
   L'esistenza  di  situazioni  eterogenee  va,  a  parere  di questo
giudice  remittente,  vagliata  sotto  il  profilo sostanziale, ossia
esaminando la consistenza delle fattispecie disciplinate, non potendo
ritenersi  che  la  distinta  provenienza (fonte in senso soggettivo)
delle  previsioni  normative  (una  comunitaria  ed  una  di  diritto
interno) possa giustificare trattamenti diseguali.
   Trattasi,  infatti,  di  fonti  destinate  ad operare entrambe nel
territorio  dello  Stato  e  necessariamente  tenute a coordinarsi ed
integrarsi  nel rispetto si' della preminenza del diritto comunitario
operante  in  virtu'  delle  limitazioni  della sovranita' consentite
dall'art.  11  Cost.,  ma  comunque  sempre  in attuazione dei valori
costituzionali  nazionali  aventi  il  rango  di  «principi e diritti
fondamentali» la cui osservanza va garantita all'interno dello Stato.
   Questo  in  ragione  della  costante  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale    (da    ultimo   ribadita   nelle   sentenze   Corte
costituzionale  sent.  n. 348 e n. 349/2007, ma vedasi anche sentenze
n. 484/2006, 284/2007 e prima fra tutte sent. n. 183/1973).
   Tale  eterogeneita'  di  fattispecie  non  e' ravvisabile, poiche'
l'interpretazione  nascente dal combinato disposto dell'art. 3, comma
9,  lettera  a)  ultima  parte  e  comma  10, legge n. 335/1995 ed il
regolamento   comunitario   n. 659/1999  implica  che  norme  diverse
disciplinano  in  maniera  diseguale  situazioni  identiche,  l'unica
differenza   riposando  sull'intervento  della  commissione  e  sulla
diversa  disciplina  apprestata  dal  diritto comunitario nel caso di
pronuncia  della  commissione  di  illegittimita' degli aiuti (che si
siano  sostanziati,  nel  caso,  in  uno sgravio ossia nella rinuncia
dello  Stato  ad  esigere  determinati crediti contributivi oltre una
certa misura).
   Su  tali  basi  non  ravvisandosi  spazio  per una interpretazione
adeguatrice  della norma nascente dal combinato disposto dell'art. 3,
comma  9, lettera a) ultima parte e comma 10, legge n. 335/1995 ed il
regolamento  comunitario n. 659/1999 del 27 marzo 1999, rispetto alla
norma  parametro  rappresentata dall'art. 3, primo comma Cost., viene
sottoposta  al  Giudice  delle  leggi  la  questione  di legittimita'
costituzionale.
   Infine,  non puo' non rilevarsi che la questione concerne la norma
di  legge  tratta  dalla  lettura  orientata  «comunitariamente»  non
potendo   farsi  questione  nel  caso  in  esame,  come  nell'ipotesi
formulata  dalla  stessa Corte costituzionale nella nota sentenza 5-8
giugno  1984,  n. 170  in ordine al sindacato sulla norma di legge di
esecuzione   del   trattato  (ne'  tantomeno  volendo  devolversi  il
sindacato  su  un  regolamento  comunitario su cui la Corte non vi e'
dubbio  che  non  abbia  poteri  - sent. Corte cost. n. 183/1973), ma
piuttosto  come  ritenuto  nell'ordinanza  n. 454, anno 2006, che «lo
stesso  giudice  puo'  investire  questa  Corte  della  questione  di
compatibilita'  comunitaria  nel  caso di norme dirette ad impedire o
pregiudicare  la  perdurante osservanza del Trattato, in relazione al
sistema o al nucleo essenziale dei suoi principi, nell'impossibilita'
di  una interpretazione conforme, nonche' qualora la non applicazione
della   disposizione  interna  determini  un  contrasto,  sindacabile
esclusivamente   dalla   Corte   costituzionale,   con   i   principi
fondamentali  dell'ordinamento  costituzionale  ovvero  con i diritti
inalienabili  della  persona  (sentenze  n. 168  del 1991, n. 232 del
1989,  n. 170  del  1984,  n. 183 del 1973, n. 98 del 1965, ordinanze
n. 536 del 1995 e n. 132 del 1990)».
   E'   per   tali  motivi  che  si  ritiene  che  tale  vaglio  vada
necessariamente demandato alla Corte costituzionale poiche' ricadente
nell'ipotesi  ora delineata ossia allorche' la non applicazione della
disposizione    interna    determina    un   contrasto,   sindacabile
esclusivamente   dalla   Corte   costituzionale,   con   i   principi
fondamentali  dell'ordinamento  costituzionale  ovvero  con i diritti
inalienabili della persona.
   La  questione viene, pertanto, sollevata d'ufficio nei termini del
thema decidendum di seguito riassuntivamente precisati.
1) Norma censurata.
   Art.  3,  comma 9, lettera a) ultima parte e comma 10 in combinato
disposto   con   il   regolamento   comunitario   n. 659/1999  (norma
interposta)  del  27  marzo  1999 laddove essa debba essere letta nel
senso  che  il  limite  quinquennale di prescrizione opera in materia
contributiva  a  meno  che i crediti in questione non siano accertati
come  aiuti illegittimi dalla Commissione europea nel qual caso opera
il termine decennale.
   Tale lettura importa una disparita' di trattamento in relazione ad
obblighi  contributivi  della  medesima  consistenza e natura che non
ricadono  nell'area di operativita' della decisione della commissione
per i quali continua ad operare la prescrizione quinquennale.
2) Norme parametro.
   Art.  3,  primo comma, Cost. laddove importa che situazioni eguali
debbano essere oggetto di uguale disciplina normativa.
   Art.   97,   primo   comma,   Cost.  nei  termini  in  cui  impone
all'amministrazione quale regola di condotta il buon andamento di cui
costituisce  aspetto  essenziale la certezza dei rapporti giuridici e
l'affidamento che le leggi dello Stato ingenerano nei cittadini.
3) Sulla rilevanza.
   Non  vi  e'  dubbio che la previsione della prescrizione in quanto
preliminare di merito vada accertata in via di priorita' logica e che
essa  abbia  applicazione nel caso di specie essendo stata rimessa al
giudicante  la  verifica  della  legittimita'  degli  aiuti  concessi
all'impresa nel periodo che va da novembre 1995 al maggio 2001 che si
intendono  recuperare  con la cartella esattoriale, per 957 contratti
tutti  singolarmente prodotti e emergenti come stipulati, per come in
essi  richiamato,  in  applicazione  sia  della legge n. 863/1984 che
della  legge  n. 451/1994  oggetto  di  verifica da parte del giudice
comunitario  di compatibilita' al sistema della libera concorrenza in
ambito comunitario degli aiuti.
   La  richiesta  di  tali  contributi  da  parte  dell'INPS e' stata
notificata  il  7 gennaio 2005 (come si desume dal tenore del ricorso
amministrativo  presentato  dalla  societa)  con  lettera  datata  24
dicembre 2004.
   Su  tali  basi  la  prescrizione  in  base  alla legge n. 335/1995
dovrebbe  ritenersi  applicabile ai contratti stipulati e per i quali
non  vi e' stato pagamento integrale dei contributi fino al 7 gennaio
2000.
   Quindi, la prescrizione riguarderebbe i contributi erogati per 817
contratti  che  risultano  stipulati  fino al dicembre 1999 e per gli
sgravi goduti in relazione ad essi fino al 7 gennaio 2000.
   A  titolo  esemplificativo,  quali contratti in relazione ai quali
deve   ritenersi   applicabile   la   prescrizione  quinquennale  dei
contributi   prevista   dell'art.   3,  comma  9  e  10  della  legge
n. 335/1995, si citano:
     1)  il  contratto  di  formazione e lavoro datato 1° agosto 1995
stipulato  con  Gangeri  Angela  Maria,  durata 24 mesi e scadenza 31
luglio 1997;
     2)  il  contratto  di formazione lavoro datato 19 settembre 1997
stipulato  con  Galati Cosimo, durata 24 mesi e scadenza 18 settembre
1999;
     3)  il  contratto  di  formazione  lavoro  datato  3 giugno 1996
stipulato con Galante Rocco, durata 24 mesi e scadenza 2 giugno 1998;
     4) contratto di formazione lavoro datato 3 luglio 1996 stipulato
con Galante Massimo, durata 24 mesi e scadenza 2 luglio 1998;
     5)  il  contratto  di formazione lavoro datato 12 settembre 1995
stipulato  con  Gagliostro  Stefano,  durata  24  mesi  e scadenza 11
settembre 1997 (rispettivamente prodotti con la numerazione 359, 348,
342,   341,   339  dei  documenti  allegati  al  fascicolo  di  parte
ricorrente).
4) Sulla non manifesta inammissibilita'.
   La questione deve essere sollevata, d'ufficio, nell'impossibilita'
del giudice remittente di individuare una norma che sia rispettosa al
tempo stesso della normativa comunitaria e del principio fondamentale
dell'art. 3 Costituzione.