IL TRIBUNALE All'udienza straordinaria dell'11 febbraio 2008 ha pronunciato, dandone lettura, la seguente ordinanza nella controversia in materia di lavoro iscritta al n. 1359/2007 R.G.A.C. e vertente tra Medcenter Container Terminal S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati prof. avv. M. Persiani, Camillo Pargoletti, prof. Giampiero Proia, Andrea Paroletti, Felice Badolati, opponente e INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore, ed SCCI S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitesi congiuntamente e rappresentate e difese dall'avv. A. Fazio; Equitalia Etr S.p.A. concessionario del servizio di riscossione dei tributi, contumace, opposti. Con ricorso depositato il giorno 26 luglio 2007 la societa' ricorrente Medcenter Container Terminal S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, adisce il Giudice del lavoro di Reggio Calabria ed assume l'illegittimita' della cartella esattoriale n. 094 2007 00154501 44 000 impugnata (relativa alla somma di euro 14.168.650,17 ed emessa per recupero sgravi, oltre accessori, in applicazione della decisione Unione europea dell'11 maggio 1999 concessi per i contratti di formazione lavoro dal novembre 1995 al maggio 2001. Quali motivi di opposizione assume: la prescrizione dei diritti di credito vantati ex artt. 3 e 9, legge n. 335/1995; la decadenza dall'iscrizione a ruolo ex art. 25, comma primo, lettera b) del d.lgs. n. 46/1999 non essendo stati iscritti i crediti entro il 31 dicembre dell'anno successivo dalla data di notifica del provvedimento ed, in via subordinata, in ragione della decadenza prevista alla lettera a) della stessa previsione normativa; la mancanza di motivazione e degli essenziali riferimenti nella cartella che consentano all'ingiunto di difendersi adeguatamente; l'insussistenza del credito per avere nel periodo in contestazione (novembre 1995-maggio 2001) la MTC ha stipulato 957 contratti di formazione lavoro nel pieno rispetto delle condizioni di legge; l'assenza dell'obbligatorieta' diretta per i cittadini degli Stati delle decisioni della Commissione europea vincolanti solo per gli Stati destinatari per cui i diritti quesiti riconosciuti al datore di lavoro da disposizioni di legge vigenti non possono essere lesi da provvedimenti della pubblica amministrazione che sarebbero in contrasto con il principio dell'irretroattivita' dei provvedimenti amministrativi; l'operativita' del legittimo affidamento del datore di lavoro sulla legittimita' delle agevolazioni attribuite come riconosciuto dalla sentenza della Corte di giustizia 1° aprile 2004 nella causa n. 99/2002; che l'INPS non ha effettuato i prodromici (a pena di nullita' dei successivi provvedimenti di sgravio) accertamenti che la Commissione europea ha ritenuto che fossero necessariamente e preventivamente effettuati dalle autorita' nazionali per verificare, sulla base dei dati nella disponibilita' dei competenti uffici, la rispondenza dei CFL stipulati nel periodo 21 novembre 1995-31 maggio 2001 ai requisiti richiesti dalla decisione della commissione europea 11 maggio 1999, n. 128/2000; che solo con lettera del 24 novembre 2004 l'INPS ha richiesto il pagamento di euro 12.808.596,96 assumendo che la societa' aveva usufruito in relazione a tutti i contratti di formazione stipulati di sgravi contrari agli standards di libera concorrenza del mercato comune europeo senza tuttavia verificare se i contratti fossero o meno difformi dai principi previsti dalla decisione della Commissione; che sul ricorso della MTC lo stesso comitato amministratore accogliendolo ammetteva il mancato accertamento che le agevolazioni fossero effettivamente incompatibili con la disciplina comunitaria in contrasto con la decisione della Corte di giustizia del 7 marzo 2002; che grava sull'INPS l'onere di fornire la prova in giudizio della circostanza che sussistano le condizioni che consentono il recupero delle agevolazioni che il datore di lavoro ha fruito in base e nel rispetto della legge italiana; che i 957 contratti di formazione stipulati soddisfano i requisiti previsti dalla decisione comunitaria avendo 818 di essi determinato un incremento netto di manodopera e dei lavoratori assunti e che fra di essi 374 lavoratori assunti avevano il requisito soggettivo (eta' fino a 25 anni o sino a 29 anni per i laureati) e 204 dei lavoratori erano in stato di disoccupazione. La societa' argomentava analiticamente sul punto fornendo documentazione a supporto e chiedendo prova testimoniale sui fatti allegati; in via subordinata, in ragione della regola fissata nell'art. 87 del trattato UE, per il quale non rientrano nell'ambito di applicazione del trattato gli aiuti che per le ridotte dimensioni non siano in grado di falsare la concorrenza fra gli stati membri (punto 115 e 119) assumeva che l'INPS non potesse recuperare gli aiuti che fossero limitati a 100.000 euro nell'arco di tre anni, per cui tale importo avrebbe dovuto essere detratto dal recupero sia per il triennio 1996-1998 che per quello 1999-2001 con l'effetto che nulla sarebbe stato dovuto all'INPS; che la decisione della Commissione europea tende ad eliminare gli effettivi vantaggi conseguiti per effetto degli aiuti per cui deve tenersi conto dei costi ed oneri sostenuti dalla societa' per stipulare i contratti di formazione (costi per la formazione, costo della minore prestazione lavorativa connessa alla formazione, maggiori oneri fiscali conseguenti agli effetti dovuti agli aiuti); chiede la sospensiva e, nel merito, la declaratoria di nullita/illegittimita' della cartella esattoriale. Con decreto e' stata fissata l'udienza ai soli fini dell'esame della sospensiva nel contraddittorio al 10 agosto 2007 e quella per la trattazione del merito al 6 novembre 2007. L'ETR S.p.A. nonostante la notifica del ricorso e del decreto non si costituisce e ne va dichiarata la contumacia nel giudizio. Con memoria depositata il 9 agosto 2007 prima dell'udienza fissata per la discussione della sospensiva si e' costituita l'INPS assumendo l'insussistenza dei gravi motivi. Ordinata l'integrazione del contraddittorio nei confronti della SCCI S.p.A. la stessa si e' costituita con memoria depositata all'udienza dell'11 settembre 2007. Con ordinanza del 13 settembre 2007 e' stata disposta dal giudice feriale la sospensione dell'esecuzione della cartella esattoriale (rectius sospensione del ruolo) e fissata la prosecuzione della trattazione per il merito (revocando il precedente decreto di comparizione) al 23 ottobre 2007. Con ulteriore memoria depositata l'11 ottobre 2007 1'INPS e la SCCI S.p.A. hanno articolato difese ed assumendo: l'insussistenza della decadenza operante in base a successive leggi e, a ultimo, alla finanziaria del 2004 solo ai contributi ed ai premi non versati e agli accertamenti notificati successivamente al 1° gennaio 2004; la normativa interna non puo' essere invocata per la giurisprudenza comunitaria per escludere il diritto dell'INPS e l'obbligo della Repubblica italiana di recuperare gli aiuti di Stato illegittimamente concessi dovendo il giudice interpretare la normativa interna in modo da dare attuazione al diritto comunitario e disapplicare le norme di diritto interno la cui applicazione dovesse impedire l'effettivita' del recupero; la conformita' della cartella al modello ministeriale; l'inapplicabilita' della prescrizione poiche' in base alla sentenza del 20 marzo 1997 (proc. 24/95) la Corte di giustizia ha ritenuto che il principio della certezza del diritto non puo' precludere la restituzione di un aiuto per il fatto che le autorita' nazionali si sono conformate con ritardo alla decisione che impone tale restituzione dovendo lo stato revocare la decisione di concessione dell'aiuto conformandosi alla decisione definitiva con cui la commissione dichiari l'incompatibilita' di un aiuto e ne ordini il recupero anche quando abbia lasciato scadere il termine previsto dal diritto nazionale a tutela della certezza del diritto. Che la prescrizione va ritenuta decennale attenendo ad un indebito ex art. 2953 c.c.; che la decisione della Commissione europea e' immediatamente applicabile e non richiede alcuna procedura di recepimento poiche' l'art. 249 del trattato di Roma del 25 marzo 1957 prevede che le istituzioni comunitarie prendono decisioni obbligatorie in tutti i loro elementi per i destinatari da esse designati. Quanto ai rapporti fra fonti comunitarie e diritto interno e' stato progressivamente elaborato dalla stessa Corte di giustizia il principio di supremazia del diritto comunitario sul diritto interno incompatibile accanto al principio dell'effetto diretto delle norme comunitarie intervento in ragione di cessione di porzioni della sovranita' nazionale a favore della Comunita' europea; che lo Stato membro resta il solo responsabile del rispetto degli obblighi senza che rilevo la circostanza che la violazione sia imputabile al potere legislativo, giudiziario o esecutivo in ossequio al principio di leale collaborazione sancito dall'art. 10 CE; che opera il principio di interpretazione conforme alla stregua del quale il giudice nazionale e' tenuto ad interpretare il diritto interno in modo conforme al diritto comunitario come prescritto dalle decisioni quadro previste dall'art. 34 UE; che le decisioni della Corte di giustizia costituiscono precedente vincolante per il giudice nazionale (stare decisis) e non e' consentito sollevare questioni pregiudiziali (ex art. 234 CE) sulle quali la CGCE si sia gia' pronunciata: esse si impongono per imperativita' ed obbligatorieta' dovendo essere riconosciuto autorita' di giudicato formale e sostanziale; che le decisioni della Corte di giustizia retroagiscono come precisato dalla stessa Corte, sia con riferimento al rinvio pregiudiziale interpretativo che' di validita' (sentenza 10 luglio 1980, causa 811/79 e sentenza 10 luglio 1980, causa 826/79); che la stessa Commissione ha con comunicazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Comunita' europea informato i potenziali beneficiari di aiuti statali della precarieta' degli aiuti medesimi nel senso della possibile ripetizione escludendo cosi' l'affidamento; che l'obbligo contributivo si sostanzia in una obbligazione ex lege, rispetto alla quale il diritto ai benefici contributivi (sgravi degli oneri sociali, fiscalizzazione, sgravi per mobilita', etc...) si pone come deroga legata a determinati presupposti di fatto che devono essere rigorosamente dimostrati dal datore di lavoro (per tutte Cass. 27 febbraio 2004, n. 4064) e che la societa' si e' limitata alla mera allegazione di elenchi contenenti i dati dei dipendenti e di copie dei contratti e dichiarazioni di responsabilita' senza provare i presupposti di legittimita' individuati dalla decisione della Commissione europea e che la societa' non ha dimostrato di rientrare fra i destinatari della regola de minimis (ossia 100.000 euro massimi per tre anni dal primo aiuto, (somma comprensiva di qualsiasi aiuto pubblico ad eccezione dei soli aiuti all'esportazione); che la quantificazione degli importi richiesti e' stata effettuata dagli uffici INPS sulla base di quanto dichiarato dalla stessa ditta ricorrente nel periodo di causa attraverso il modello DM2 e dal calcolo e' stata fatta salva la riduzione contributiva del 25% che in quanto misura di carattere generale non configura un aiuto di Stato. Sull'importo contributivo sono stati calcolati gli interessi sulla base dei tassi elaborati dalla Banca centrale europea; che non possono tenersi presenti i pretesi costi ed oneri che la societa' assume di avere sostenuto a fronte dei contratti di formazione lavoro, ne' i maggiori oneri che avrebbe sopportato sia perche' nulla dice in proposito la decisione della Commissione europea sia perche' le somme spese non sono documentate. All'udienza del 22 gennaio 2008 la causa e' stata rimessa in discussione in relazione ai profili di possibile illegittimita' costituzionale della lettura della legge n. 335/1995 alla luce della normativa comunitaria. La presente controversia prende le mosse dalla decisione dell'11 maggio 1999 n. 2000/128/CE della Commissione europea con cui prendendo spunto dalla notifica del disegno di legge che avrebbe dato vita alla legge n. 196/1997 la Commissione estendendo l'esame a tutta la normativa nazionale relativa ai contratti di formazione lavoro avvio' la procedura di infrazione di cui all'art. 88, paragrafo 2 del Trattato CE (ex art. 93, paragrafo 3) in relazione alla disciplina che accordava benefici contributivi in caso di contratto di formazione e lavoro ed, in particolare, per quella parte di sgravio contributivo differenziale rispetto alla misura fissa ed uniforme di cui alla legge n. 863/1984 e pari al 25%. A parere della Commissione gli sgravi accordati in misura superiore (e previsti dalle leggi n. 863/1984, n. 407/1990, n. 169/1991 e n. 451/1994) in ragione del luogo di insediamento dell'impresa beneficiaria, del settore di appartenenza e della dimensione sono misure selettive capaci di incidere sulla concorrenza sia all'interno dello Stato che fra imprese insediate in Stati diversi. La Commissione indica pure dei criteri che i contratti devono soddisfare per essere conformi alla normativa comunitaria (creazione di nuovi posti di lavoro a favore di lavoratori inoccupati o disoccupati; l'assunzione di lavoratori che incontrano difficolta' specifiche ad inserirsi o a reinserirsi nel mercato del lavoro, e cioe' di giovani con meno di 25 anni o di laureati fino a 29 anni compresi e i disoccupati di lunga durata, vale a dire persone disoccupate da almeno un anno; aiuti concessi al fine di incrementare l'occupazione netta, e dunque a datori che non avevano proceduto a riduzioni di organico nei 12 mesi precedenti e avevano mantenuto in servizio almeno il 60% dei lavoratori assunti con tali contratti nei 24 mesi precedenti.). Avverso tale decisione l'Italia propose ricorso alla Corte di giustizia rigettato con sent. 7 marzo 2002 (C-310/99) nella quale il giudice comunitario si esprimeva anche in ordine al legittimo affidamento per escluderlo in capo allo Stato in ragione della comunicazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunita' europee con la quale la Commissione informava i potenziali beneficiari di aiuti statali della precarieta' degli aiuti che siano stati loro illegittimamente concessi, nel senso che essi avrebbero potuto essere tenuti a restituirli, pur senza escludere la possibilita', per il beneficiario di un aiuto illegittimamente concesso, di invocare circostanze eccezionali sulle quali avesse potuto fondare il proprio affidamento circa la regolarita' dell'aiuto e di opporsi alla sua ripetizione. Segui', per la perdurante inerzia dello Stato italiano, il giudizio di ottemperanza conclusosi con la sentenza di condanna della Corte di giustizia del 1° aprile 2004 (C-99/02). Nella sentenza la Corte ribadi' l'obbligatorieta' del recupero delle somme erogate a titolo di aiuto illegittimo e la inconfigurabilita' dell'impossibilita' assoluta di dare esecuzione alla decisione e che le mere difficolta' operative avrebbero dovuto comportare un diligente intervento presso la stessa Commissione proponendo appropriate modifiche della decisione in senso tale da renderla ottemperabile in ragione del principio di leale collaborazione e buona fede che informa i rapporti tra gli Stati e le istituzioni comunitarie. Occorre in primo luogo qualificare la domanda che non va ritenuta come erroneamente assume l'INPS come ripetizione di indebito, ma come azione promossa dall'ente previdenziale per il recupero di contributi omessi poiche' il diritto nasce dall'affermazione del ripristino dell'obbligo contributivo che scaturirebbe per effetto dell'impatto della normativa comunitaria sul diritto interno che autorizzava lo sgravio. L'esame dei motivi di impugnazione impone il rispetto dell'ordine di priorita' giuridica da riservare alle preliminari e, nel caso, alla prescrizione. Questa comporta al giudice la risoluzione di problematiche connesse all'interferenza ed impatto del diritto comunitario sul diritto interno, non solo e non tanto in ordine alle norme di legge ordinaria, ma anche e soprattutto in relazione a principi fondamentali aventi rilevanza e riconoscimento nel sistema costituzionale italiano. L'efficacia diretta della fonte comunitaria nel caso in esame non puo' essere messa in questione. Ed infatti, essa trae fondamento non tanto dal Trattato, ma dall' interpretazione che di esso fa la Corte di giustizia (decisione 7 marzo 2002, C-310/99) avallando l'opinione espressa in precedenza dalla Commissione europea 2000/128/CE. Come e' noto il Trattato come atto normativo generale e' di norma vincolante per i soli Stati, a meno che non contenga disposizioni di immediato contenuto precettivo, ossia incondizionate e sufficientemente precise, tali da potersi ritenere immediatamente operative anche all'interno degli Stati. Il conflitto fra una previsione contenuta nel diritto comunitario con norme interne comporta in capo al giudice nazionale investito della controversia in cui venga in questione l'applicazione di entrambe le fonti disciplinanti la fattispecie il dovere di dare luogo ad una interpretazione adeguatrice della norma di diritto nazionale ovvero, in caso di conflitto irrisolvibile sussistente allorche' quest'ultima disponga in modo diverso ed inconciliabile con la norma comunitaria, il potere del giudice nazionale di disapplicare la norma di diritto interno operando una sorta di sindacato di legittimita' diffuso. Il precetto del trattato CE (art. 87) e' stato definito nella sua portata dalla sentenza della Corte di giustizia 7 marzo 2002 (decisione che nell'ambito del diritto comunitario assume il ruolo di fonte di diritto) che ha recepito i parametri delineati dalla dec. della Commissione 2000/128/CE. L'intervento della Corte ha indubbiamente portata retroattiva non solo perche' da' vita ad una norma interpretativa del Trattato ma anche perche' la stessa Corte di giustizia nella sent. C-310/99 escludendo il legittimo affidamento nei termini di cui si e' detto ed invitando lo Stato italiano al recupero dal 1995 sottende una efficacia ex tunc della decisione. Se l'efficacia della norma, che trae fonte diretta dalla sentenza della Corte di giustizia ed indiretta dal Trattato CE, e' immediata e diretta all'interno degli ordinamenti nazionali va da se' che l'effetto della norma di fonte comunitaria direttamente applicabile, in caso di conflitto con il diritto interno, produca, per quanto con la mediazione del giudice nazionale, effetti caducatori analoghi a quelli della sentenza della Corte costituzionale comportando la non applicazione della norma di diritto nazionale confliggente. Va precisato che avendo la Corte di giustizia (o meglio la Commissione) delineato pure delle condizioni di legittimita' dei c.d. aiuti di Stato, la stessa ha dato luogo ad un effetto non solo ablativo (o meglio caducatorio incidendo sulla perdurante applicabilita' di una previsione), ma anche additivo, conformemente alla sua natura di organo capace di essere fonte di diritto aggiungendo alla previsione normativa di diritto interno quella parte del precetto che enuclea le eccezionali condizioni di legittimita' degli aiuti di Stato. Nell'esame della pregiudiziale, come si e' detto, la questione di maggiore rilievo attiene non al conflitto fra la normativa interna che disciplina la materia dei contratti di formazione e quella comunitaria, ma al conflitto che si genera dal principio di effettivita' immanente al diritto comunitario se inteso in termini radicali ossia come avente come destinatario non solo e non tanto lo Stato come organo politico capace di legiferare o di porre in essere azioni amministrative in esecuzione del precetto della Corte di giustizia, ma anche lo stesso giudice nazionale. Tale impostazione appare fornire una visione del giudice dello Stato come organo legibus solutus, mentre al contrario, il giudice italiano non puo' non porsi il dubbio, in quanto tenuto a garantire il rispetto delle leggi (art. 101, secondo comma Cost.) e prima fra tutte della Costituzione, della conformita' ai principi fondamentali ed ai limiti che in ragione della certezza del diritto devono riconoscersi anche ad interventi conformativi del Giudice delle leggi quali il limite del diritto quesito e delle situazioni esaurite o irrevocabili che la stessa Corte nazionale intervenendo con pronunce ablative non puo' travalicare (id est prescrizione, giudicato, decadenza). Si pone la questione se l'intervento della Corte di giustizia (o della Commissione) che affermi l'illegittimita' di una condotta dello Stato, che ha esonerato da una certa misura di contributi alcuni obbligati e condannato lo Stato ad uniformarsi al suo precetto ristabilendo la legittimita', significhi anche per il giudice nazionale l'affermazione di un potere-dovere di recupero dei crediti dello Stato anche in contrasto con i limiti derivanti dalle leggi nazionali laddove la rimozione di tali limiti conduca alla violazione di principi fondamentali. Vi e' qui questione dei limiti di tempo, previsti in via generale, a tutela della certezza dei rapporti, dal regime interno della prescrizione ed operanti in casi del tutto analoghi di crediti contributivi ex lege n. 335/1995. La qualificazione della domanda giudiziale come azione promossa dall'ente previdenziale per il recupero di contributi omessi implica, infatti, l'applicabilita' dell'art. 3, comma 9 e comma 10 della legge n. 335/1995. A cio' si aggiunga la notazione che il regime prescrizionale operante in tale ambito ex lege n. 335/1995 e' ritenuto dalla stessa Corte di cassazione con orientamento costante come di ordine pubblico e, dunque, irrinunciabile e rilevabile d'ufficio dal giudice (per tutte si ricordano le sentenze della Cass. 16 agosto 2001, n. 11140, Cass. 24 marzo 2005, n. 6340, pres. Sciarelli, rel. De Luca). Viene, pertanto, posto in discussione un bene irrinunciabile in ogni ordinamento giuridico quale la certezza dei rapporti, ma soprattutto viene in rilievo una opzione ermeneutica in aperta violazione di uno dei principi fondamentali consacrati espressamente nella Carta costituzionale ossia il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. Sarebbe a dire che mentre in ogni altro ambito l'obbligazione contributiva incontra il limite temporale di esigibilita' da parte dello Stato italiano, che non puo' essere superato neanche allorche' la fonte di uno sgravio sia espunta dall'ordinamento per effetto di declaratoria di incostituzionalita' (poiche' l'intervento della Corte costituzionale fa salvi i rapporti esauriti), in tal caso la pretesa contributiva dello Stato sorretta da una declaratoria di illegittimita' comunitaria diverrebbe sostanzialmente sottratta al regime della prescrizione nazionale, se esso potesse costituire un ostacolo alla realizzazione del precetto della Corte di giustizia. Tale profilo si evidenzia, infatti, sia nell'ipotesi in cui si debba intendere in senso rigoroso il precetto di effettivita' del diritto comunitario, sia, piu' ragionevolmente, se si tenga presente che anche il diritto comunitario annovera e ritiene evidentemente meritevole di tutela l'affidamento che nasce dal decorso del tempo riconoscendo proprio in questo ambito dei termini, che dalla stessa Corte di giustizia sono stati incidentalmente ritenuti di prescrizione, nell'art. 15 del regolamento del consiglio del 22 marzo 1999, n. 659-99/659/CE. Nella prima ipotesi interpretativa che muove dalla rigorosa applicazione del principio di effettivita' non va dimenticato che il tredicesimo «considerando» del regolamento n. 659 riguarda proprio il recupero degli aiuti finanziari. Tale precetto trova poi sviluppo nell'art. 14 del detto regolamento che cosi' recita: «1) Nel caso di decisioni negative relative a casi di aiuto illegali la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l'aiuto dal beneficiario (...). La Commissione non impone il recupero dell'aiuto qualora cio' sia un contrasto con in principio generale del diritto comunitario. 2) (...). 3) Fatta salva un'eventuale ordinanza della Corte di giustizia delle Comunita' europee emanata ai sensi dell'art. 185 del Trattato, il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione. A tal fine e in caso di procedimento dinanzi ai Tribunali nazionali, gli Stati membri interessati adottano tutte le misure necessarie disponibili nei rispettivi ordinamenti giuridici, comprese le misure provvisorie, fatto salvo il diritto comunitario». Ne' va trascurato che la Corte di giustizia delle Comunita' europee nella sentenza resa dalla grande sezione 18 luglio 2007 rispondendo al quesito dalla stessa individuato come fondamento della questione sottoposta: «Nel caso di specie si chiede alla Corte non di interpretare il diritto nazionale o una sentenza di un giudice nazionale, bensi' di precisare i limiti entro i quali i giudici nazionali sono tenuti, in forza del diritto comunitario, a disapplicare il diritto nazionale» abbia cosi' deciso: «Stando al giudice nazionale, l'art. 2909 del codice civile italiano osta non solo alla possibilita' di dedurre nuovamente, in una seconda controversia, motivi sui quali un organo giurisdizionale si sia gia' pronunciato esplicitamente in via definitiva, ma anche alla disamina di questioni che avrebbero potuto essere sollevate nell'ambito di una controversia precedente senza che cio' sia pero' avvenuto. Da siffatta interpretazione della norma potrebbe conseguire, in particolare, che a una decisione di un giudice nazionale vengano attribuiti effetti che eccedono i limiti della competenza del giudice di cui trattasi, quali risultano dal diritto comunitario. Come ha osservato il giudice a quo, e' chiaro che l'applicazione di tale norma, cosi' interpretata, impedirebbe nel caso di specie l'applicazione del diritto comunitario in quanto renderebbe impossibile il recupero di un aiuto di Stato concesso in violazione del diritto comunitario. 60. In tale contesto va ricordato che spetta ai giudici nazionali interpretare le disposizioni del diritto nazionale quanto piu' possibile in modo da consentirne un'applicazione che contribuisca all'attuazione del diritto comunitario. 61. Risulta inoltre da una giurisprudenza costante che il giudice nazionale incaricato di applicare, nell'ambito della propria competenza, le norme di diritto comunitario ha l'obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all'occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale (v., in particolare, sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, Racc. pag. 629, punti 21-24; 8 marzo 1979, causa 130/78, Salumificio di Comuda, Racc. pag. 867, punti 23-27, e 19 giugno 1990, causa C-213/89, Factortame e a., Racc. pag. I-2433, punti 19-21).» con la conclusione che «Le questioni sollevate vanno pertanto risolte nel senso che il diritto comunitario osta all'applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l'art. 2909 del codice civile italiano, volta a sancire il principio dell'autorita' di cosa giudicata, nei limiti in cui l'applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilita' con il mercato comune e' stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta definitiva.». Non vi e' dubbio che, pertanto, l'interpretazione del principio di effettivita' sia divenuta jus receptum nel diritto dell'organo di giustizia comunitaria nel senso sopra precisato ossia la non applicazione del diritto interno laddove l'applicazione dello stesso «impedisc[a] il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilita' con il mercato comune e' stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta definitiva». Nella seconda ipotesi interpretativa, che si e' detto pare anche ragionevole in quanto non rende illimitatamente esigibile il credito, si pone la questione della verifica di compatibilita' fra la legge nazionale ed il regolamento del Consiglio d'Europa CE n. 659/1999 del 22 marzo 1999 che fissa alla Commissione il termine di dieci anni per il recupero dei contributi («1. I poteri della Commissione per quanto riguarda il recupero degli aiuti sono soggetti ad un periodo limite di 10 anni. 2. Il periodo limite inizia il giorno in cui l'aiuto illegale viene concesso al beneficiario come aiuto individuale o come aiuto rientrante in un regime di aiuti. Qualsiasi azione intrapresa dalla Commissione o da uno Stato membro, che agisca su richiesta della Commissione, nei confronti dell'aiuto illegale interrompe il periodo limite. Ogni interruzione fa ripartire il periodo da zero. Il periodo limite viene sospeso per il tempo in cui la decisione della Commissione e' oggetto di un procedimento dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunita' europee. 3. Ogni aiuto per il quale e' scaduto il periodo limite e' considerato un aiuto esistente»). Occorre chiedersi, prima ancora di tale passaggio logico, in questo caso, se il termine contenuto nel regolamento appena citato sia stato previsto unicamente come limite al potere della Commissione rispetto allo Stato, il che non comporterebbe necessariamente un conflitto con la normativa di diritto nazionale che regolamenta la prescrizione degli obblighi contributivi, ovvero se sia stato introdotto anche quale limite al potere dello stesso Stato membro per esperire una azione utile di recupero presso i beneficiari degli aiuti di Stato. Nella decisione della Commissione del 28 giugno 2000 riguardante aiuti di Stato concessi dalla Germania a favore di Salzgitter AG, Preussag Stahl AG e delle controllate del gruppo operanti nel settore siderurgico, ora denominate Salzgitter AG - Stahl und Technologie (SAG) [notificata con il numero C(2000) 1963] incidentalmente (punti da 77 a 83), la Commissione, esaminando la questione dell'applicabilita' del termine previsto dal regolamento (CE) n. 659/1999, approvato dal Consiglio sulla base dell'articolo 89 (ex articolo 94) del trattato CE, nella parte in cui stabilisce le modalita' d'applicazione dell'articolo 88 (ex articolo 93) del trattato CE, per escluderne l'applicazione al settore CECA, da' incidentalmente per scontato che trattasi di termine di prescrizione come prospettato dallo Stato tedesco. Al punto 84 della stessa decisione si rinviene l'affermazione in relazione ai regimi prescrizionali operanti nel diritto interno che «Nell'ambito delle riflessioni sul principio della certezza del diritto, la Germania accenna inoltre alla necessita' che per il recupero degli aiuti illegali e incompatibili si applichino le procedure del diritto nazionale, che prevede l'applicazione di termini di prescrizione. Al riguardo, la Commissione si limita a ricordare che in base alla giurisprudenza della Corte le disposizioni del diritto nazionale devono essere applicate in modo da non rendere praticamente impossibile la ripetizione degli aiuti prescritta dal diritto comunitario.». La decisione della Commissione pare sgombrare il campo dalla possibile interpretazione che il termine fissato dal regolamento sia operante solo quale limite ai poteri di recupero della Commissione rispetto agli Stati inadempienti segnando il limite oltre il quale sorge la responsabilita' patrimoniale dello Stato. La Commissione da', infatti, per presupposto che tale previsione definisca anche negli Stati membri il limite temporale del potere dello Stato creditore avverso l'impresa debitrice delineando un (nuovo e diverso) regime prescrizionale. Accolgono tale opzione interpretativa le sentenze dei giudici di merito intervenute sulla materia tra le quali si citano il Tribunale ordinario di Milano, sezione lavoro, 22 ottobre 2007, sent. n. 3497 ed il Tribunale di Roma, sent. del 21 dicembre 2007 rel. Emili, gia' indicativi della formazione di un diritto vivente su tale opzione ermeneutica dell'art. 15 del regolamento n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999. Anche questo giudice remittente, dovendo definire la portata della previsione in esame che stabilisce «I poteri della Commissione per quanto riguarda il recupero degli aiuti sono soggetti ad un periodo limite di 10 anni.», non puo' non darvi una interpretazione sistematica con l'altro precetto di seguito ribadito «Qualsiasi azione intrapresa dalla Commissione o da uno Stato membro, che agisca su richiesta della Commissione, nei confronti dell'aiuto illegale interrompe il periodo limite». Tale ultima prescrizione fa ritenere estesa allo «Stato membro, che agisca su richiesta della Commissione», e quindi nei rapporti fra lo Stato ed i beneficiari, l'operativita' del limite temporale per il recupero. Dunque, la ratio legis del regolamento appare quella di affermare un regime prescrizionale per le pretese contributive che traggono titolo dalla decisione della Commissione europea. Tale regime e' diverso e piu' lungo rispetto a quello predisposto dal diritto interno (Italiano) vigente dal 1995 per gli obblighi contributivi. Se il conflitto di tale previsione con quella di diritto interno va risolto di norma in base alla necessaria prevalenza del diritto comunitario per come affermato dalla stessa Corte costituzionale non puo', tuttavia, trascurarsi la conseguente problematica della garanzia del rispetto e della applicazione dell'art. 3, primo comma, Costituzione all'interno dello Stato. Il giudice di diritto interno dovendo adeguare al diritto comunitario l'art. 3, comma 9, lettera a), ultima parte e comma 10 della legge n. 335/1995 dovrebbe leggere tale previsione nel senso che il limite quinquennale di prescrizione dei crediti contributivi opera a meno che i crediti in questione non siano accertati come frutto di aiuti illegittimi dalla Commissione europea. Tuttavia, l'interpretazione del precetto contenuto nell'art. 15 del regolamento comunitario n. 659/1999 quale fonte di un termine prescrizionale decennale, ossia di un termine opponibile dallo Stato membro all'impresa debitrice implica la sottrazione di queste ipotesi al regime generale predisposto dall'art. 3, comma 9, lettera a), ultima parte e comma 10 della legge n. 335/1995 e obbliga l'organo giurisdizionale alla verifica se le situazioni sostanziali attratte al diverso regime prescrizionale nascente dall'applicazione del diritto comunitario siano sostanzialmente eterogenee rispetto a quelle che viceversa continuano ad essere sottoposte alla legge nazionale in ragione della sua perdurante vigenza. In altri termini occorre accertare se tale diversificazione di disciplina sia ragionevole perche' giustificata dalla diversita' delle fattispecie come affermato in ogni occasione in cui la Corte costituzionale abbia fatto applicazione del principio di uguaglianza. Tale verifica si impone dovendo il giudice dare una interpretazione del diritto nazionale conforme non solo al diritto comunitario prevalente su quello interno ma anche ai valori costituzionali fondamentali dello Stato e, fra questi, al principio di uguaglianza consacrato espressamente all'art. 3 Cost. Se e' vero che «Il regolamento comunitario [e tale questione si pone per tutte le fonti immediatamente applicabili] va, dunque, sempre applicato, sia che segua, sia che preceda nel tempo le leggi ordinarie con esso incompatibili: e il giudice nazionale investito della relativa applicazione potra' giovarsi dell'ausilio che gli offre lo strumento della questione pregiudiziale di interpretazione, ai sensi dell'art. 177 del Trattato. Solo cosi' e' soddisfatta la fondamentale esigenza di certezza giuridica, sempre avvertita nella giurisprudenza di questo Collegio, che impone eguaglianza e uniformita' di criteri applicativi del regolamento comunitario per tutta l'area della Comunita' europea.» (C. cost. 5 giugno 1984, n. 170); se e' vero cio', non puo' trascurarsi che la Carta costituzionale pone una analoga esigenza di uguaglianza ed uniformita' (percepita come valore ineludibile dalla stessa normativa comunitaria) anche all'interno dello Stato non parendo possibile assumere che l'uguaglianza (coniugata al principio di effettivita) a livello comunitario funzionale al ripristino della libera concorrenza possa giustificare la violazione del principio di uguaglianza in ambito nazionale allorche' l'intervento comunitario interferisca con fattispecie gia' disciplinate a livello generale dal legislatore interno. L'uguaglianza, infatti, non va rispettata solo avendo come riferimento l'ambito comunitario, ma per il giudice nazionale, proprio in quanto sottoposto alla legge ed alla Costituzione, vi e' l'obbligo dell'ulteriore verifica se il precetto da applicare sia rispettoso del criterio consacrato all'art. 3, primo comma Cost., all'interno dello Stato italiano, Stato membro. L'esistenza di situazioni eterogenee va, a parere di questo giudice remittente, vagliata sotto il profilo sostanziale, ossia esaminando la consistenza delle fattispecie disciplinate, non potendo ritenersi che la distinta provenienza (fonte in senso soggettivo) delle previsioni normative (una comunitaria ed una di diritto interno) possa giustificare trattamenti diseguali. Trattasi, infatti, di fonti destinate ad operare entrambe nel territorio dello Stato e necessariamente tenute a coordinarsi ed integrarsi nel rispetto si' della preminenza del diritto comunitario operante in virtu' delle limitazioni della sovranita' consentite dall'art. 11 Cost., ma comunque sempre in attuazione dei valori costituzionali nazionali aventi il rango di «principi e diritti fondamentali» la cui osservanza va garantita all'interno dello Stato. Questo in ragione della costante giurisprudenza della Corte costituzionale (da ultimo ribadita nelle sentenze Corte costituzionale sent. n. 348 e n. 349/2007, ma vedasi anche sentenze n. 484/2006, 284/2007 e prima fra tutte sent. n. 183/1973). Tale eterogeneita' di fattispecie non e' ravvisabile, poiche' l'interpretazione nascente dal combinato disposto dell'art. 3, comma 9, lettera a) ultima parte e comma 10, legge n. 335/1995 ed il regolamento comunitario n. 659/1999 implica che norme diverse disciplinano in maniera diseguale situazioni identiche, l'unica differenza riposando sull'intervento della commissione e sulla diversa disciplina apprestata dal diritto comunitario nel caso di pronuncia della commissione di illegittimita' degli aiuti (che si siano sostanziati, nel caso, in uno sgravio ossia nella rinuncia dello Stato ad esigere determinati crediti contributivi oltre una certa misura). Su tali basi non ravvisandosi spazio per una interpretazione adeguatrice della norma nascente dal combinato disposto dell'art. 3, comma 9, lettera a) ultima parte e comma 10, legge n. 335/1995 ed il regolamento comunitario n. 659/1999 del 27 marzo 1999, rispetto alla norma parametro rappresentata dall'art. 3, primo comma Cost., viene sottoposta al Giudice delle leggi la questione di legittimita' costituzionale. Infine, non puo' non rilevarsi che la questione concerne la norma di legge tratta dalla lettura orientata «comunitariamente» non potendo farsi questione nel caso in esame, come nell'ipotesi formulata dalla stessa Corte costituzionale nella nota sentenza 5-8 giugno 1984, n. 170 in ordine al sindacato sulla norma di legge di esecuzione del trattato (ne' tantomeno volendo devolversi il sindacato su un regolamento comunitario su cui la Corte non vi e' dubbio che non abbia poteri - sent. Corte cost. n. 183/1973), ma piuttosto come ritenuto nell'ordinanza n. 454, anno 2006, che «lo stesso giudice puo' investire questa Corte della questione di compatibilita' comunitaria nel caso di norme dirette ad impedire o pregiudicare la perdurante osservanza del Trattato, in relazione al sistema o al nucleo essenziale dei suoi principi, nell'impossibilita' di una interpretazione conforme, nonche' qualora la non applicazione della disposizione interna determini un contrasto, sindacabile esclusivamente dalla Corte costituzionale, con i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale ovvero con i diritti inalienabili della persona (sentenze n. 168 del 1991, n. 232 del 1989, n. 170 del 1984, n. 183 del 1973, n. 98 del 1965, ordinanze n. 536 del 1995 e n. 132 del 1990)». E' per tali motivi che si ritiene che tale vaglio vada necessariamente demandato alla Corte costituzionale poiche' ricadente nell'ipotesi ora delineata ossia allorche' la non applicazione della disposizione interna determina un contrasto, sindacabile esclusivamente dalla Corte costituzionale, con i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale ovvero con i diritti inalienabili della persona. La questione viene, pertanto, sollevata d'ufficio nei termini del thema decidendum di seguito riassuntivamente precisati. 1) Norma censurata. Art. 3, comma 9, lettera a) ultima parte e comma 10 in combinato disposto con il regolamento comunitario n. 659/1999 (norma interposta) del 27 marzo 1999 laddove essa debba essere letta nel senso che il limite quinquennale di prescrizione opera in materia contributiva a meno che i crediti in questione non siano accertati come aiuti illegittimi dalla Commissione europea nel qual caso opera il termine decennale. Tale lettura importa una disparita' di trattamento in relazione ad obblighi contributivi della medesima consistenza e natura che non ricadono nell'area di operativita' della decisione della commissione per i quali continua ad operare la prescrizione quinquennale. 2) Norme parametro. Art. 3, primo comma, Cost. laddove importa che situazioni eguali debbano essere oggetto di uguale disciplina normativa. Art. 97, primo comma, Cost. nei termini in cui impone all'amministrazione quale regola di condotta il buon andamento di cui costituisce aspetto essenziale la certezza dei rapporti giuridici e l'affidamento che le leggi dello Stato ingenerano nei cittadini. 3) Sulla rilevanza. Non vi e' dubbio che la previsione della prescrizione in quanto preliminare di merito vada accertata in via di priorita' logica e che essa abbia applicazione nel caso di specie essendo stata rimessa al giudicante la verifica della legittimita' degli aiuti concessi all'impresa nel periodo che va da novembre 1995 al maggio 2001 che si intendono recuperare con la cartella esattoriale, per 957 contratti tutti singolarmente prodotti e emergenti come stipulati, per come in essi richiamato, in applicazione sia della legge n. 863/1984 che della legge n. 451/1994 oggetto di verifica da parte del giudice comunitario di compatibilita' al sistema della libera concorrenza in ambito comunitario degli aiuti. La richiesta di tali contributi da parte dell'INPS e' stata notificata il 7 gennaio 2005 (come si desume dal tenore del ricorso amministrativo presentato dalla societa) con lettera datata 24 dicembre 2004. Su tali basi la prescrizione in base alla legge n. 335/1995 dovrebbe ritenersi applicabile ai contratti stipulati e per i quali non vi e' stato pagamento integrale dei contributi fino al 7 gennaio 2000. Quindi, la prescrizione riguarderebbe i contributi erogati per 817 contratti che risultano stipulati fino al dicembre 1999 e per gli sgravi goduti in relazione ad essi fino al 7 gennaio 2000. A titolo esemplificativo, quali contratti in relazione ai quali deve ritenersi applicabile la prescrizione quinquennale dei contributi prevista dell'art. 3, comma 9 e 10 della legge n. 335/1995, si citano: 1) il contratto di formazione e lavoro datato 1° agosto 1995 stipulato con Gangeri Angela Maria, durata 24 mesi e scadenza 31 luglio 1997; 2) il contratto di formazione lavoro datato 19 settembre 1997 stipulato con Galati Cosimo, durata 24 mesi e scadenza 18 settembre 1999; 3) il contratto di formazione lavoro datato 3 giugno 1996 stipulato con Galante Rocco, durata 24 mesi e scadenza 2 giugno 1998; 4) contratto di formazione lavoro datato 3 luglio 1996 stipulato con Galante Massimo, durata 24 mesi e scadenza 2 luglio 1998; 5) il contratto di formazione lavoro datato 12 settembre 1995 stipulato con Gagliostro Stefano, durata 24 mesi e scadenza 11 settembre 1997 (rispettivamente prodotti con la numerazione 359, 348, 342, 341, 339 dei documenti allegati al fascicolo di parte ricorrente). 4) Sulla non manifesta inammissibilita'. La questione deve essere sollevata, d'ufficio, nell'impossibilita' del giudice remittente di individuare una norma che sia rispettosa al tempo stesso della normativa comunitaria e del principio fondamentale dell'art. 3 Costituzione.