Ordinanza
nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del
21  dicembre  2007, con la quale, ai sensi dell'art. 68, terzo comma,
Cost., e' stata negata l'autorizzazione all'acquisizione dei tabulati
telefonici  riferibili  al  sen.  Giuseppe  Valentino,  promosso  con
ricorso  del  Procuratore  della  Repubblica  del  Tribunale di Roma,
depositato  in  cancelleria  il  4 marzo 2008 ed iscritto al n. 5 del
registro   conflitti   tra   poteri   dello   Stato   2008,  fase  di
ammissibilita'.
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 25 giugno 2008 il giudice
relatore Gaetano Silvestri.
   Ritenuto  che  la  Procura della Repubblica presso il Tribunale di
Roma,  con ricorso depositato il 4 marzo 2008, ha sollevato conflitto
di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della
Repubblica,  a  seguito della delibera del 21 dicembre 2007 (doc. IV,
n. 1),   con   la   quale,  in  conformita'  alla  proposta  adottata
all'unanimita'   dalla   Giunta  delle  elezioni  e  delle  immunita'
parlamentari,  e'  stata negata l'autorizzazione all'acquisizione dei
tabulati  delle  comunicazioni  intercorse  su  un'utenza  in  uso al
senatore  Giuseppe  Valentino, nel periodo compreso tra il 10 e il 20
luglio 2005;
     che   la  ricorrente  premette  che  il  senatore  Valentino  e'
indagato,  unitamente  a  Michele  Sinibaldi, per il delitto previsto
dall'art.  378 del codice penale (recante la rubrica «Favoreggiamento
personale»);
     che il procedimento ha preso l'avvio dalle dichiarazioni rese da
Giampiero  Fiorani  in  data  17  e 18 dicembre 2005, nel corso degli
interrogatori  svoltisi,  rispettivamente,  davanti al Giudice per le
indagini  preliminari ed al Pubblico ministero presso il Tribunale di
Milano;
     che il citato Fiorani avrebbe dichiarato, tra l'altro, di essere
stato  informato  da Michele Sinibaldi e Stefano Ricucci in merito ad
intercettazioni  telefoniche  disposte  a  suo  carico dall'autorita'
giudiziaria  milanese,  nel  corso di un colloquio intrattenuto con i
due uomini, la mattina del 13 luglio 2005, presso l'hotel Baglioni di
Roma,  e  che,  a conferma dell'attendibilita' dell'informazione, gli
era  stato  riferito  il  contenuto  di  una conversazione telefonica
(effettivamente  avvenuta)  intercorsa  tra  lui  stesso  e la moglie
dell'allora Governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio;
     che,  inoltre,  nella  medesima  occasione, i citati Sinibaldi e
Ricucci avrebbero precisato che l'informazione era stata loro fornita
dal  senatore  Giusepe Valentino, all'epoca sottosegretario presso il
Ministero della giustizia;
     che,  prosegue la ricorrente, la circostanza dell'incontro tra i
soggetti  indicati  presso  l'hotel  Baglioni di Roma avrebbe trovato
conferma  nei  risultati  delle  intercettazioni telefoniche disposte
dall'autorita'  giudiziaria  milanese a carico di Stefano Ricucci (di
cui  erano  stati  acquisiti  in  copia  i  brogliacci),  pur  se con
riferimento alla diversa data del 20 luglio 2005;
     che,  su  tale  notizia  di  reato, la ricorrente aveva disposto
indagini  e,  in  particolare,  aveva acquisito i tabulati telefonici
relativi  all'utenza  in uso a Michele Sinibaldi per tutto il periodo
indicato  dal Fiorani (dal 10 al 20 luglio 2005), documenti dai quali
risultavano quattordici contatti (nove in entrata e cinque in uscita)
tra  la  predetta  utenza  ed  un'utenza intestata al Ministero della
giustizia, poi risultata in uso al senatore Valentino;
     che,  successivamente,  ritenuta  la  necessita'  di individuare
ulteriori  elementi  di riscontro dell'ipotesi investigativa, nonche'
l'eventuale   fonte   originaria   dell'informazione,  la  ricorrente
disponeva  l'acquisizione  dei  tabulati concernenti le comunicazioni
telefoniche  intercorse su tutte le utenze, fisse e mobili, in uso al
sentore  Valentino  nel periodo indicato, e, sospesa l'esecuzione dei
relativi  decreti di acquisizione, in data 17 novembre 2006 formulava
istanza   di   autorizzazione   alla   Camera   di  appartenenza  del
parlamentare  indagato,  ai  sensi  dell'art. 4 della legge 20 giugno
2003,  n. 140  (Disposizioni  per l'attuazione dell'articolo 68 della
Costituzione  nonche'  in  materia  di  processi penali nei confronti
delle alte cariche dello Stato);
     che  la ricorrente richiama le argomentazioni in base alle quali
la  Giunta  delle elezioni e delle immunita' parlamentari ha motivato
la  proposta  di  diniego  dell'autorizzazione,  e  cioe'  che  dalla
relativa  richiesta  non  risulterebbero  la  «decisivita»  dell'atto
oggetto  di  autorizzazione,  ai  fini  della  verifica  dell'ipotesi
accusatoria,  ne' la sua «indispensabilita», nel senso della mancanza
di ogni altra percorribile soluzione investigativa;
     che,  quanto  al  primo profilo, nella Relazione della Giunta si
legge  che  «negli  atti  trasmessi  non  vi e' nulla che consenta di
comprendere  sulla base di quali elementi il Pubblico ministero abbia
formulato  la  supposizione  che  il  senatore  Valentino  sia  stato
informato   telefonicamente   dell'esistenza   di   un'attivita'   di
intercettazione   a   carico   del   Fiorani,   o   abbia   informato
telefonicamente  il  Sinibaldi,  e  che  in ogni caso dimostri la sua
decisivita' ai fini della eventuale res judicanda»;
     che,  quanto al secondo aspetto, la Giunta ha osservato che «una
richiesta  di  questo  tipo  -  per  evidenti ragioni di tutela della
liberta' di svolgimento del mandato parlamentare - puo' quindi essere
accolta   solo   se   la   necessita'  della  stessa  ai  fini  della
ricostruzione   dell'ipotesi  accusatoria  non  solo  corrisponde  ad
un'esigenza  attuale  e  non  meramente potenziale [...] ma emerge in
modo   palese   e   stringente  dalle  prospettazioni  dell'Autorita'
giudiziaria  che,  coerentemente con quanto imposto dalle esigenze di
leale collaborazione fra i poteri dello Stato, deve dar conto di aver
esperito   le   soluzioni  alternative  ragionevolmente  ipotizzabili
rispetto alla formulazione di tale richiesta ovvero della presumibile
impraticabilita' delle medesime»;
     che,  a parere della ricorrente, i requisiti della decisivita' e
della   indispensabilita'   dell'atto  investigativo  da  autorizzare
sarebbero  estranei alla disciplina introdotta dalla legge n. 140 del
2003,  la  quale  avrebbe configurato il contenuto della richiesta di
autorizzazione  in  riferimento  ai  diversi  criteri della utilita',
rilevanza   e   necessita'  dell'atto,  riservandone  l'apprezzamento
all'autorita'  richiedente,  come  del  resto a quest'ultima dovrebbe
intendersi  riservata  l'attivita'  di  interpretazione  delle  norme
processuali, ivi comprese quelle della stessa legge n. 140 del 2003;
     che,  in  particolare, l'art. 5 della legge citata, con riguardo
alla  richiesta  di  autorizzazione  al  compimento di uno degli atti
investigativi  indicati nel precedente art. 4, esigerebbe che fossero
indicati  i  fatti  per  i quali si procede, le norme che si assumono
violate e gli elementi su cui si fonda l'ipotesi investigativa;
     che  dunque,  secondo  la Procura ricorrente, nella richiesta di
autorizzazione   l'autorita'  giudiziaria  dovrebbe  «dimostrare  che
occorre compiere l'atto investigativo offrendo alla camera i dati per
il   controllo  della  sua  rispondenza  ad  una  obiettiva  esigenza
investigativa,  della  sua  interna  coerenza  e della sua congruenza
rispetto agli atti del procedimento penale in corso»;
     che  pertanto,  con  la  delibera  in  esame,  il Senato avrebbe
esorbitato  dai  limiti  delle  proprie  attribuzioni,  come previste
dall'art.  68  Cost.  e  dalla  legge  di attuazione n. 140 del 2003,
invadendo  la  sfera  di  attribuzioni  riservata dall'art. 112 Cost.
all'autorita'  giudiziaria,  e con cio' avrebbe introdotto, a fini di
salvaguardia  della  riservatezza  dei  propri  membri,  «una  tutela
speciale  ed  ulteriore rispetto a quella assicurata dalla legge agli
altri  consociati,  in  violazione  del  principio di uguaglianza dei
cittadini  sancito  dall'art.  3  della  Costituzione»,  e  in  netto
contrasto  con quanto di recente affermato dalla Corte costituzionale
nella sentenza n. 390 del 2007;
     che  la  ricorrente richiama alcuni passaggi motivazionali della
citata   pronuncia,   nei   quali,   tra   l'altro,   si   legge  che
«l'autorizzazione preventiva - contemplata dalla norma costituzionale
- postula un controllo sulla legittimita' dell'atto da autorizzare, a
prescindere dalla considerazione dei pregiudizi che la sua esecuzione
puo'   comportare  al  singolo  parlamentare.  Il  bene  protetto  si
identifica,   infatti,  con  l'esigenza  di  assicurare  il  corretto
esercizio  del  potere  giurisdizionale  nei confronti dei membri del
Parlamento,  e  non  con  gli  interessi sostanziali di questi ultimi
(riservatezza,  onore,  liberta'  personale), in ipotesi pregiudicati
dal  compimento  dell'atto;  tali  interessi trovano salvaguardia nei
presidi,  anche  costituzionali,  stabiliti  per  la  generalita' dei
consociati»;
     che  inoltre,  secondo la Procura ricorrente, con la delibera in
oggetto  il  Senato  avrebbe  riservato  a  se  stesso  «il potere di
effettuare  di  volta  in  volta  un  bilanciamento in concreto degli
interessi  in  gioco»,  sostituendo  le sue particolari valutazioni a
quella   tipizzata   ed  astratta,  compiuta  dal  legislatore  nella
formulazione degli artt. 4 e 5 della legge n. 140 del 2003;
     che,   diversamente,   il   potere   riservato  alla  Camera  di
appartenenza    del   parlamentare   indagato   dovrebbe   intendersi
circoscritto  alla verifica della necessita' dell'atto investigativo,
secondo  i  parametri  sopra  indicati, e all'assenza di ogni intento
strumentale o persecutorio;
     che,  in riferimento al caso di specie, la ricorrente sottolinea
l'evidente l'assenza di finalita' persecutorie o strumentali da parte
dell'Ufficio richiedente, considerata la doverosita' delle indagini a
carico  del parlamentare, scaturite da dichiarazioni accusatorie rese
ad altra autorita' giudiziaria da un soggetto indagato;
     che,   prosegue   la  ricorrente,  l'acquisizione  dei  tabulati
risulterebbe  l'unico  strumento  investigativo esperibile al fine di
individuare l'eventuale fonte, «interna alle indagini», della notizia
oggetto   di  illecita  divulgazione,  e  dunque  di  riscontrare  le
dichiarazioni del chiamante in reita';
     che,   infine,   trattandosi   di  richiesta  di  autorizzazione
preventiva  e  non  essendo  percio'  conoscibili gli esiti dell'atto
investigativo,      la     valutazione     concernente     l'utilita'
dell'acquisizione  dei tabulati non avrebbe potuto essere espressa se
non in termini di giudizio prognostico;
     che,  pertanto,  previo richiamo di alcune tra le pronunce della
Corte   costituzionale   che  hanno  riconosciuto  la  legittimazione
dell'Ufficio  del  Pubblico ministero alla proposizione del conflitto
di   attribuzione,   la   ricorrente  Procura  chiede  che  la  Corte
costituzionale    voglia   dichiarare   che   «spetta   all'autorita'
giudiziaria,  e  nella  specie  al  pubblico ministero quale titolare
dell'azione   penale   nella  fase  delle  indagini  preliminari,  la
valutazione  sulla utilita' e rilevanza degli atti investigativi, con
particolare   riferimento   alla   sussistenza  dei  presupposti  per
l'acquisizione,   con   decreto   motivato,  dei  dati  del  traffico
telefonico,   mentre   spetta   all'Assemblea   cui  il  parlamentare
appartiene   esclusivamente   la   valutazione   circa  il  carattere
strumentale  o  persecutorio  dell'atto  di  indagine  oggetto  della
richiesta»  e,  conseguentemente,  chiede di annullare la delibera in
data 21 dicembre 2007 (doc. IV, n. 1).
   Considerato  che,  in  questa fase del giudizio, a norma dell'art.
37,  terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte
costituzionale e' chiamata a deliberare, senza contraddittorio, circa
l'esistenza  o meno della «materia di un conflitto la cui risoluzione
spetti  alla  sua competenza», restando impregiudicata ogni ulteriore
decisione, anche in punto di ammissibilita';
     che,   per   quanto   riguarda  il  requisito  soggettivo,  deve
riconoscersi  la  legittimazione  della ricorrente Procura «in quanto
organo  direttamente  investito delle funzioni previste dall'art. 112
della  Costituzione  e  dunque  gravato  dell'obbligo  di  esercitare
l'azione  penale  e  le  attivita'  di indagine a questa finalizzate»
(ordinanza  n. 73  del  2006,  che  richiama testualmente l'ordinanza
n. 404 del 2005);
     che,  ancora  sotto  il  profilo  soggettivo,  il  Senato  della
Repubblica,    che    ha    adottato    la    delibera   di   diniego
dell'autorizzazione  all'acquisizione  di  tabulati  telefonici di un
proprio  membro,  e'  legittimato  ad  essere  parte del conflitto di
attribuzione,  essendo  competente  a  dichiarare  definitivamente la
volonta'    del    potere    che   esso   impersona,   in   relazione
all'applicabilita' della prerogativa di cui all'art. 68, terzo comma,
della Costituzione;
     che,  quanto  al  requisito  oggettivo del conflitto, la Procura
della Repubblica presso il Tribunale di Roma lamenta la lesione della
propria  sfera  di  attribuzioni,  costituzionalmente  garantita,  in
conseguenza   dell'esercizio   -  ritenuto  illegittimo  perche'  non
corrispondente  ai  criteri  che  la  Costituzione  stabilisce,  come
sviluppati  dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte  -  del  potere,
spettante  al  Senato della Repubblica, di negare l'autorizzazione al
compimento  di  un  atto  investigativo  nei  confronti di un proprio
membro;
     che,  in  conclusione,  esiste  la  materia  di  un conflitto di
attribuzione,  la  cui  risoluzione  spetta alla competenza di questa
Corte.