Ordinanza
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 2, 5 e
6,  della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione
dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali
nei confronti delle alte cariche dello Stato), promosso con ordinanza
del  7  giugno  2007  dal  Giudice  per  le  indagini preliminari del
Tribunale di Torino, in funzione di Giudice dell'udienza preliminare,
iscritta  al  n. 1  del  registro  ordinanze  2008 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale   della   Repubblica  n. 7, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2008.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  9 luglio 2008 il giudice
relatore Gaetano Silvestri.
   Ritenuto  che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di  Torino,  con  ordinanza  del  7  giugno  2007,  ha  sollevato, in
riferimento  agli  artt. 3, 24 e 112 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge
20  giugno  2003,  n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68
della   Costituzione  nonche'  in  materia  di  processi  penali  nei
confronti  delle  alte  cariche  dello  Stato),  nella  parte  in cui
stabilisce   che   -   nel   caso   di   diniego  dell'autorizzazione
all'utilizzazione  delle  intercettazioni  «indirette» o «casuali» di
conversazioni,  cui  abbia  preso parte un membro del Parlamento - la
relativa  documentazione debba essere immediatamente distrutta, e che
i  verbali, le registrazioni e i tabulati di comunicazioni, acquisiti
in  violazione  del  disposto  dello  stesso  art.  6, debbano essere
dichiarati  inutilizzabili  in  ogni  stato e grado del procedimento,
anziche'  limitarsi  a  prevedere  l'inutilizzabilita' della predetta
documentazione nei confronti del solo parlamentare indagato;
     che  il  rimettente, chiamato nel procedimento a quo a celebrare
l'udienza  preliminare,  riferisce  di  come,  durante  la fase delle
indagini  preliminari,  fossero  state  intercettate,  per effetto di
controlli in atto sulle utenze di altre persone, alcune conversazioni
telefoniche intrattenute da un membro della Camera dei deputati;
     che  il pubblico ministero, ritenendo necessaria l'utilizzazione
processuale nei confronti del parlamentare delle risultanze acquisite
con  l'intercettazione,  aveva sollecitato il giudice per le indagini
preliminari  a  chiedere  la  relativa autorizzazione, secondo quanto
disposto dall'art. 6 della legge n. 140 del 2003;
     che  peraltro  la  Camera  dei  deputati,  con  delibera  del 20
dicembre  2005, aveva stabilito di negare l'autorizzazione richiesta,
restituendo gli atti al giudice in allora procedente;
     che  tale  ultimo  giudice,  chiamato  dalla legge a disporre la
immediata  distruzione del materiale pertinente alle intercettazioni,
aveva  sollevato,  con  ordinanza  del  9  gennaio 2006, questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge
n. 140 del 2003;
     che l'allora rimettente - come riferisce l'odierno giudice a quo
mediante  trascrizione  integrale  della  relativa  ordinanza - aveva
sostenuto   l'eccedenza   della  disciplina  censurata  (cioe'  della
previsione  di immediata distruzione del materiale probatorio in caso
di   diniego   parlamentare   dell'autorizzazione  a  farne  uso  nel
procedimento)  rispetto  al «raggio di operativita' delle guarentigie
parlamentari, previste dall'art. 68 Cost.»;
     che  dette  guarentigie,  infatti, riguarderebbero unicamente le
intercettazioni   «dirette»   delle   conversazioni  dei  membri  del
Parlamento,  e  non  potrebbero  estendersi  a  quelle «occasionali»,
neppure  in forza della locuzione «in qualsiasi forma», impiegata nel
terzo comma del citato art. 68 Cost., la quale si riferisce piuttosto
alle differenti possibili modalita' di captazione delle comunicazioni
intrattenute dal parlamentare;
     che,   secondo  il  primo  rimettente,  data  l'eccedenza  della
garanzia    rispetto    alla    «copertura»   fornita   dalla   norma
costituzionale, la disciplina censurata si sarebbe posta in contrasto
con  il  principio  di  uguaglianza, sotto lo specifico profilo della
parita' di trattamento dei cittadini innanzi alla giurisdizione;
     che  infatti  il sistema delle immunita' e delle prerogative dei
membri  del  Parlamento assumerebbe carattere eccezionale, e potrebbe
valere  solo per i casi espressamente considerati dal Costituente, in
quanto ritenuti idonei ad interferire sulla libera esplicazione della
funzione parlamentare;
     che  invece, sempre a parere del primo rimettente, la prescritta
distruzione  del  materiale  concernente intercettazioni «casuali» in
danno  del  parlamentare,  e  la connessa regola di inutilizzabilita'
fissata  nel  comma  6  dell'art.  6 della legge n. 140 del 2003, non
avrebbero  avuto  nulla  «a  che  vedere»  con  la garanzia di libero
esercizio del mandato elettivo;
     che   infatti  -  notava  in  allora  il  giudice  a  quo  -  le
disposizioni  censurate  riguardano indagini non mirate nei confronti
del  parlamentare,  e  le risultanze acquisite, per altro verso, sono
comunque inutilizzabili contro l'interessato, per effetto diretto del
diniego deliberato dalla Camera di appartenenza;
     che  la  prescritta  distruzione  avrebbe avuto, dunque, l'unico
fine di tutelare «oltre modo» la riservatezza delle comunicazioni del
parlamentare,  con  ingiustificata  subordinazione  del  principio di
eguaglianza;
     che  la  disciplina  censurata, inoltre, avrebbe determinato una
irragionevole  disparita'  di trattamento fra gli indagati, a seconda
che  tra  i  rispettivi «interlocutori occasionali» vi fosse o non un
membro  del  Parlamento,  dato  che,  nel  primo caso, la distruzione
connessa   al  diniego  dell'autorizzazione  avrebbe  precluso  l'uso
probatorio  non soltanto nei confronti del parlamentare, ma anche, ed
ingiustificatamente,  in  danno  dei  suoi  interlocutori,  privi del
mandato elettivo;
     che,  sempre  secondo il primo rimettente, sarebbe stato violato
anche  l'art.  24  Cost.,  giacche'  la  distruzione  immediata della
documentazione,   con   conseguente   perdita   irrimediabile   delle
conversazioni    intercettate,    avrebbe    potuto   penalizzare   o
compromettere  il  diritto  di difesa degli indagati o di altre parti
(prima fra tutte, la persona offesa);
     che   la   disciplina   denunciata,  da  ultimo,  sarebbe  stata
incompatibile con l'art. 112 Cost., giacche' l'esercizio obbligatorio
dell'azione  penale  sarebbe  stato  inevitabilmente  frustrato dalla
impossibilita'  di  utilizzare  le conversazioni in parola, allorche'
queste  costituissero  elemento  di  prova rilevante nei confronti di
indagati privi delle guarentigie di cui all'art. 68 Cost.;
     che l'odierno rimettente - chiusa la citazione del provvedimento
fin qui evocato - riferisce di come, nelle more del relativo giudizio
di  legittimita' costituzionale, il procedimento a quo sia progredito
fino  alla  formulazione della richiesta di rinvio a giudizio ed alla
fissazione dell'udienza preliminare;
     che le conversazioni concernenti il parlamentare, del quale pure
e'  stato  chiesto  il  rinvio  a  giudizio,  sono state indicate dal
pubblico  ministero  quali  fonti di prova nei confronti di ulteriori
imputati;
     che  il  giudice  a  quo,  aderendo  pienamente  agli  argomenti
sviluppati   dal   primo   rimettente   in  punto  di  non  manifesta
infondatezza, ritiene che la questione sollevata assuma una rilevanza
specifica  e  diversa  nell'ambito  della  fase  cui  attualmente  e'
pervenuto il procedimento;
     che  infatti  -  secondo l'odierno rimettente - il primo giudice
era  chiamato  a  fare  applicazione  della norma che gli imponeva la
distruzione  del materiale probatorio, mentre al giudice dell'udienza
preliminare   spetta  stabilire,  nell'attuale  disponibilita'  degli
elementi  de  quibus,  se  gli  stessi  possano essere utilizzati per
valutare  la  richiesta  di  rinvio  a  giudizio  o  per definire con
sentenza eventuali riti alternativi;
     che  l'incertezza  sulla  utilizzabilita' in chiave di prova del
materiale  concernente  le  intercettazioni  relative al parlamentare
imputato,  oltre  che condizionare le valutazioni giudiziali circa la
completezza  delle indagini e lo stesso fondamento della richiesta di
rinvio  a  giudizio, inciderebbe negativamente sulle scelte difensive
in merito all'eventuale richiesta di accesso ai riti speciali;
     che dunque, secondo il rimettente, «la soluzione della questione
di  costituzionalita'  come  prospettata  dal  Giudice delle indagini
appare al riguardo imprescindibile»;
     che  il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto nel
giudizio con atto depositato il 13 febbraio 2008, chiedendo che venga
dichiarata l'inammissibilita' della questione;
     che  secondo la difesa erariale il rimettente, ove avesse inteso
sindacare  le  conseguenze  del  diniego di autorizzazione deliberato
dalla Camera, avrebbe dovuto promuovere conflitto di attribuzione tra
poteri  dello  Stato,  e  non  questione  incidentale di legittimita'
costituzionale;
     che  le  censure  del  giudice  a  quo,  se  rivolte  contro  la
previsione   di   un   regime  autorizzatorio  per  l'utilizzo  delle
intercettazioni   «casuali»   nei   confronti   di  un  parlamentare,
dovrebbero  considerarsi tardive, perche' non sollevate al momento in
cui l'autorizzazione e' stata richiesta;
     che, infine, le censure concernenti la distruzione del materiale
probatorio   difetterebbero  di  rilevanza,  trattandosi  di  atti  e
documenti comunque inutilizzabili.
   Considerato  che  il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del
Tribunale  di  Torino  solleva, in riferimento agli artt. 3, 24 e 112
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art.  6,  commi  2,  5  e  6, della legge 20 giugno 2003, n. 140
(Disposizioni   per  l'attuazione  dell'art.  68  della  Costituzione
nonche'  in  materia  di  processi  penali  nei  confronti delle alte
cariche dello Stato);
     che  il  rimettente  ha inteso censurare le norme indicate nella
parte in cui impongono - nel caso in cui la Camera di appartenenza di
un parlamentare neghi l'autorizzazione ad utilizzare nei confronti di
questi  comunicazioni  intercettate  occasionalmente,  nell'ambito di
controlli  disposti  a  carico  di  altri  soggetti - che la relativa
documentazione  venga  immediatamente  distrutta, e che i verbali, le
registrazioni  e i tabulati di comunicazioni, acquisiti in violazione
del  disposto dello stesso art. 6, siano dichiarati inutilizzabili in
ogni  stato  e grado del procedimento, anziche' limitarsi a prevedere
l'inutilizzabilita'  della  predetta documentazione nei confronti del
solo parlamentare indagato;
     che  l'ordinanza  di rimessione non prospetta alcuna censura che
riguardi   il  regime  autorizzatorio  per  l'uso  processuale  delle
intercettazioni  nei  confronti  del  parlamentare  interessato, o le
conseguenze  del  diniego di autorizzazione quanto alla posizione del
parlamentare medesimo;
     che le eccezioni di inammissibilita' prospettate dall'Avvocatura
dello Stato sono dunque infondate;
     che,  nelle  more  del  presente  giudizio,  e'  intervenuta  la
sentenza  di  questa  Corte  n. 390  del  2007, con la quale e' stata
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 2, 5 e 6,
della  legge  140  del  2003,  «nella  parte in cui stabilisce che la
disciplina  ivi  prevista  si  applichi  anche  nei  casi  in  cui le
intercettazioni  debbano  essere utilizzate nei confronti di soggetti
diversi   dal   membro   del   Parlamento,  le  cui  conversazioni  o
comunicazioni sono state intercettate»;
     che  la  conseguente  modificazione delle norme poste ad oggetto
dell'odierna  questione di legittimita' - intervenuta tra l'altro nel
senso  auspicato  dal  rimettente  -  impone  che  gli  atti  vengano
restituiti  al  giudice  a quo per una nuova valutazione di rilevanza
della questione medesima.