Sentenza
nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 1, comma 55,
della  legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia pensionistica e
deleghe  al  Governo  nel  settore  della previdenza pubblica, per il
sostegno  alla  previdenza  complementare e all'occupazione stabile e
per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria),
promossi  con  due  ordinanze  del  12  ottobre  2007  dalla Corte di
cassazione  nei  procedimenti  civili  vertenti  tra Intesa San Paolo
S.p.A  e  Accinni Pia ed altri e tra Intesa San Paolo S.p.A. e Nugnes
Giuseppe  ed  altri,  iscritte  ai nn. 62 e 63 del registro ordinanze
2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, 1ª
serie speciale, dell'anno 2008.
   Visti  gli  atti  di  costituzione  di Intesa San Paolo S.p.A., di
Lupoli  Vittorio  ed altri e di Nugnes Sergio ed altri nella qualita'
di  eredi di Nugnes Giuseppe ed altri, nonche' gli atti di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 7 ottobre 2008 il Giudice relatore
Luigi Mazzella;
   Uditi gli avvocati Roberto Pessi e Paolo Tosi per Intesa San Paolo
S.p.A.,  Giuseppe  Ferraro  per Lupoli Vittorio ed altri e per Nugnes
Sergio ed altri nella qualita' di eredi di Nugnes Giuseppe ed altri e
l'avvocato  dello  Stato  Massimo  Salvatorelli per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso di due giudizi civili aventi entrambi ad oggetto
l'accertamento  del  diritto  di  alcuni  ex  dipendenti del Banco di
Napoli alla perequazione automatica secondo la disciplina dettata dal
decreto  legislativo  20  novembre  1990,  n. 357 (Disposizioni sulla
previdenza  degli enti pubblici creditizi), della quota di pensione a
carico  dell'istituto  di  credito,  la  Corte di cassazione, con due
distinte  ordinanze, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 102 e
111  della  Costituzione,  questione  di  legittimita' costituzionale
dell'art.  1,  comma 55, della legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in
materia   pensionistica  e  deleghe  al  Governo  nel  settore  della
previdenza  pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e
all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed
assistenza obbligatoria).
   Nelle  ordinanze  di  rimessione,  di identico tenore, la Corte di
cassazione  premette  che,  nei  due  giudizi  a  quibus,  i  giudici
d'appello  hanno  dichiarato  il  diritto  degli  attori (collocati a
riposo   anteriormente   al   31  dicembre  1990)  alla  perequazione
automatica  delle  pensioni in base alla disciplina del d.lgs. n. 357
del  1990,  fino  al  26  luglio  1996.  Tali  sentenze  hanno  fatto
applicazione   dei   principi   affermati,   dalla  stessa  Corte  di
cassazione, nelle pronunce rese a sezioni unite n. 9023 e n. 9024 del
2001  (alle  quali  si  e'  uniformata la successiva giurisprudenza),
secondo  cui  il sistema di perequazione delle pensioni vigente per i
dipendenti  degli  enti  pubblici creditizi gia' pensionati alla data
del  31  dicembre  1990  e' sopravvissuto alla legge 23 ottobre 1992,
n. 421  (Delega  al  Governo  per la razionalizzazione e la revisione
delle  discipline  in  materia  di  sanita',  di pubblico impiego, di
previdenza  e  di  finanza territoriale) ed al decreto legislativo 30
dicembre  1992,  n. 503  (Norme  per  il  riordinamento  del  sistema
previdenziale   dei   lavoratori   privati   e   pubblici,   a  norma
dell'articolo  3  della  legge  23  ottobre  1992,  n. 421), ritenuti
applicabili  esclusivamente  ai  lavoratori  ancora  in servizio alla
predetta data del 31 dicembre 1990.
   Tuttavia,   successivamente   alla  pronuncia  delle  sentenze  di
appello,  e'  entrata in vigore la legge n. 243 del 2004, il cui art.
1,  comma  55,  dispone  che  «Al  fine  di estinguere il contenzioso
giudiziario relativo ai trattamenti corrisposti a talune categorie di
pensionati   gia'   iscritti   a  regimi  previdenziali  sostitutivi,
attraverso  il pieno riconoscimento di un equo e omogeneo trattamento
a  tutti  i pensionati iscritti ai vigenti regimi integrativi, l'art.
3, comma 1, lettera p), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e l'art.
9,  comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, devono
intendersi  nel  senso  che la perequazione automatica delle pensioni
prevista  dall'art.  11  del  decreto  legislativo  30 dicembre 1992,
n. 503,   si   applica   al  complessivo  trattamento  percepito  dai
pensionati  di  cui  all'art.  3  del decreto legislativo 20 novembre
1990,    n. 357.    All'assicurazione    generale   obbligatoria   fa
esclusivamente  carico  la perequazione sul trattamento pensionistico
di propria pertinenza».
   La  rimettente  prosegue affermando che la San Paolo IMI S.p.A. ha
proposto  ricorsi  per  cassazione  contro le due sentenze di secondo
grado, deducendo, quale primo motivo di impugnazione, il sopravvenuto
art.  1,  comma  55, della legge n. 243 del 2004. Di qui la rilevanza
della  questione di legittimita' costituzionale di tale norma, la cui
applicazione  ai  giudizi  a quibus determinerebbe l'accoglimento dei
ricorsi,   cosi'   come   gia'   stabilito  dalla  giurisprudenza  di
legittimita' in precedenti occasioni.
   Circa  la  non manifesta infondatezza della questione, la Corte di
cassazione  premette  che  l'art. 1, comma 55, della legge n. 243 del
2004  ha  sicuramente  natura  interpretativa,  perche' esso utilizza
un'espressione   («devono  intendersi»)  equivalente  all'espressione
«devono interpretarsi».
   Il  giudice a quo, poi, riconosce che una norma di interpretazione
autentica  non  e'  illegittima  per  il  solo  fatto  di discostarsi
dall'interpretazione   sostenuta   dalla   giurisprudenza  univoca  o
maggioritaria  e  che  essa  non  puo' ritenersi irragionevole ove si
limiti  ad  assegnare  alla  disposizione interpretata un significato
gia'   in   essa   contenuto.  Secondo  la  rimettente,  quest'ultima
circostanza  ricorre nella fattispecie e, tuttavia, la fissazione con
norma  interpretativa  di  una  delle  possibili  letture  del  testo
originario   escluderebbe  l'irragionevolezza  della  norma  medesima
solamente quando si accompagnasse ad una situazione di incertezza del
dato normativo. Infatti, poiche' l'irragionevolezza ricorre allorche'
sussista  un'evidente  sproporzione tra i mezzi approntati ed il fine
asseritamente  perseguito,  sarebbe  insufficiente,  per escludere il
dubbio    di    ragionevolezza,   la   semplice   circostanza   della
corrispondenza  del significato attribuito dalla legge interpretativa
ad  una  delle  possibili  letture  del testo interpretato, dovendosi
invece   esaminare   tutte  le  peculiarita'  connotanti  la  vicenda
legislativa.
   Nella   fattispecie,  dai  lavori  preparatori  e  dalla  testuale
formulazione  dell'art.  1,  comma  55,  della  legge n. 243 del 2004
risulta espressamente che il legislatore si e' assegnato la finalita'
di  estinguere  il  contenzioso  giudiziario  relativo ai trattamenti
corrisposti   ad   alcune   categorie  di  pensionati,  obiettivo  da
perseguire  attraverso  il pieno riconoscimento di un equo e omogeneo
trattamento   a   tutti  i  pensionati  iscritti  ai  vigenti  regimi
integrativi.  Pertanto, ad avviso della rimettente, la ragionevolezza
dell'intervento   legislativo  in  esame  deve  essere  valutata  con
riferimento alla suindicata finalita'.
   Al   riguardo,  il  giudice  a  quo  evidenzia  che  la  norma  di
interpretazione  autentica  e'  intervenuta  dopo  molto tempo (circa
dodici    anni)    dall'entrata   in   vigore   di   quelle   oggetto
dell'interpretazione  medesima; inoltre, la norma originaria riguarda
i  soggetti  collocati in pensione entro il 31 dicembre 1990 e dunque
una  categoria  destinata  a  ridursi  col  trascorrere  del tempo e,
presumibilmente, assai meno numerosa nel 2004 di quanto non fosse nel
1990;  infine,  la pluralita' di sensi desumibili dalle norme oggetto
dell'interpretazione   autentica   ha   dato   luogo  ad  un  nutrito
contenzioso giudiziario pervenuto, sin dalla seconda meta' degli anni
novanta,  all'esame  della  Corte  di cassazione che su di esso si e'
pronunciata,   dapprima   con   sentenze   in   senso   diverso,   ma
successivamente con le sentenze n. 9023 e 9024 del 2001 delle sezioni
unite  che  hanno  composto  i  contrasti  interpretativi  esistenti,
enunciando  un  indirizzo interpretativo al quale si sono prontamente
conformate le successive pronunce di legittimita' e di merito.
   In  questa  concreta situazione, l'intervento legislativo di oltre
tre   anni  successivo  alle  pronunce  delle  sezioni  unite  ed  al
conseguente  assestamento  in  senso  univoco  della  giurisprudenza,
rischierebbe  di alimentare (piuttosto che estinguere) il contenzioso
giudiziario considerato che, in ragione del lungo tempo trascorso dal
pensionamento,   deve   presumersi   insignificante   il  numero  dei
pensionati  che  non  abbiano  ancora  intrapreso azione giudiziaria:
dunque  il contenzioso sul quale puo' concretamente incidere la norma
interpretativa e' quello gia' pendente, rispetto al quale la certezza
giuridica raggiunta, grazie alla pronuncia delle sezioni unite, aveva
offerto  un  parametro  di assestamento e che invece, per effetto del
mutamento del quadro giuridico, riceve nuovo impulso ed incentivo.
   Alla  luce  di  tali  considerazioni, la rimettente ritiene che il
mezzo  utilizzato  dal  legislatore  sia sproporzionato e addirittura
controproducente rispetto al fine asseritamente perseguito.
   Esso,  inoltre,  fa dipendere l'assetto definitivo degli interessi
delle parti in conflitto da un fattore - quale la durata della lite -
di  per  se'  contrario  alla  Costituzione (art. 111, secondo comma,
Cost.)  ed  introduce  una disparita' di trattamento tra quanti hanno
ottenuto, nei tre anni che separano la norma censurata dalle pronunce
delle  sezioni  unite,  una sentenza definitiva e quanti hanno ancora
una lite pendente.
   Infine,   ad  avviso  del  giudice  a  quo,  la  norma  della  cui
legittimita'  si  dubita  sacrifica senza plausibili ragioni il ruolo
nomofilattico  della  Corte  di  cassazione,  favorendo  le  spinte a
«premere»   sul   legislatore   per   piegarne   la   funzione,   non
all'imposizione  di  regole  generali  e  astratte, ma ad un ruolo di
giudice  di  quarta istanza, con ulteriore alimento ad un contenzioso
giudiziario intrapreso solo nella speranza di un intervento ad hoc.
   2. - Si e' costituita la Intesa San Paolo S.p.A. che chiede che la
questione sia dichiarata infondata.
   La  societa'  deduce  che,  poiche' la norma censurata attribuisce
alle  disposizioni interpretate uno dei possibili significati gia' in
esse contenuto, non possono esservi dubbi sulla sua ragionevolezza la
quale,  comunque,  non  puo'  essere vagliata alla luce delle vicende
dell'applicazione   giurisprudenziale   delle   norme   interpretate,
poiche',  pur  a  fronte  di una formulazione piu' o meno criptica di
queste  ultime,  la  composizione dei dissensi da parte delle sezioni
unite  e  della sezione lavoro della Corte di cassazione non priva le
norme  medesime  dell'originario  equivoco,  sempre  suscettibile  di
favorire nuovi orientamenti dissenzienti.
   Ad  avviso  della Intesa San Paolo S.p.A., poi, la norma censurata
non potrebbe essere giudicata irragionevole per la sua inidoneita' al
conseguimento   dell'obiettivo   dell'estinzione   del   contenzioso.
Infatti,  in primo luogo, la rimettente ignorerebbe l'altra finalita'
dichiarata   dal   legislatore  e  cioe'  quella  di  scongiurare  le
disparita'  di  trattamento  derivanti dall'interpretazione affermata
dalle  sezioni  unite  della  Corte di cassazione. Obiettivo che deve
essere considerato quello primario della norma censurata e di per se'
sufficiente a ritenerla ragionevole.
   In  secondo  luogo,  ad  avviso della societa', la rimettente, nel
valutare  l'idoneita'  dell'art.  1, comma 55, della legge n. 243 del
2004  a  realizzare l'obiettivo deflativo, si affida a mere illazioni
prognostiche   ovvero   a  valutazioni  ex  post  prive  di  supporto
documentale  e di valenza retrospettiva. Al contrario, nel momento in
cui  il  legislatore  e'  intervenuto, la norma interpretativa poteva
sicuramente   apparire   idonea,  con  plausibile  prevedibilita',  a
favorire  il  superamento di un contenzioso ampio ed articolato, come
confermato  dalle  successive  vicende  giudiziarie.  Infatti,  si e'
subito  formato,  sia  nella  giurisprudenza  di legittimita', sia in
quella  di  merito,  un orientamento concorde sull'applicazione della
norma  interpretativa e sulla sua legittimita' costituzionale tale da
favorire  non  solo la soluzione rapida ed univoca del contenzioso in
essere,  ma  anche la prevenzione di quello futuro (come, ad esempio,
quello  relativo  alla  quantificazione  degli  importi  spettanti  a
pensionati  che  avevano  pendenti  giudizi relativi al solo an della
prestazione).
   Quanto  alla  disparita'  di  trattamento  che  la norma censurata
determinerebbe   con  riferimento  ai  pensionati  che  avevano  gia'
ottenuto  un  giudicato favorevole, la Intesa San Paolo S.p.A. deduce
che,  nel  periodo  di tempo intercorso tra le sentenze delle sezioni
unite e l'entrata in vigore dell'art. 1, comma 55, della legge n. 243
del  2004,  il  giudicato si e' formato solamente in una controversia
(peraltro   coinvolgente   1724   pensionati)  e  che,  comunque,  la
ragionevolezza  di una norma non puo' essere valutata alla stregua di
circostanze   casuali  derivanti  da  vicende  giudiziarie.  Inoltre,
proprio dall'eventuale dichiarazione di incostituzionalita' dell'art.
1,  comma  55,  della  legge  n. 243  del  2004  deriverebbe, per una
consistente  platea  di  pensionati,  sempre  a  causa di occasionali
giudicati,  una  disparita' di trattamento a danno dei pensionati che
hanno  promosso  i  giudizi  nei  quali  la  Corte  di  cassazione ha
definitivamente  respinto  -  applicando  la  norma  denunciata  - le
domande di perequazione automatica.
   Ad avviso della societa', non puo' neppure sostenersi che la norma
censurata  sia irragionevole per aver leso aspettative ormai radicate
in  capo  agli  interessati;  essa, infatti, e' intervenuta a stretto
ridosso del superamento del contrasto giurisprudenziale (realizzatosi
grazie  alle  sentenze  delle  sezioni unite del luglio 2001) e delle
pronunce  del  periodo  settembre 2003-luglio 2004 con cui la sezione
lavoro  della  Corte  di  cassazione  si  e'  adeguata  al  principio
affermato dalle sezioni unite e, dunque, quando la norma censurata e'
stata  emanata, non potevano dirsi maturate aspettative circa l'esito
favorevole delle liti.
   Infine,  la  Intesa  San Paolo S.p.A. contesta che l'art. 1, comma
55,  della  legge  n. 243 del 2004 realizzi un'illegittima incursione
del legislatore nell'area riservata alla funzione giurisdizionale.
   Infatti,  la  Corte  costituzionale ha costantemente affermato che
una   norma   interpretativa,  la  quale  non  pretenda  di  incidere
direttamente sui processi e sui loro esiti, ma operi esclusivamente a
livello   di   fonti,   non  puo'  essere  considerata  lesiva  delle
prerogative  della  funzione  giurisdizionale, perche' il legislatore
ben  puo'  intervenire  per  rimediare  a  un'opzione  interpretativa
consolidata  nella  giurisprudenza in un senso divergente dalla linea
di politica del diritto da lui giudicata piu' opportuna.
   3. - Si sono costituiti alcuni dei pensionati controricorrenti nei
giudizi  a  quibus,  i  quali concludono chiedendo che sia dichiarata
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1, comma 55, della legge
n. 243 del 2004.
   Peraltro queste parti private sostengono anzitutto che la corretta
interpretazione della norma denunciata e' diversa da quella affermata
nelle  ordinanze di rimessione. Precisamente, tale norma stabilirebbe
che  il  sistema di perequazione legale di cui all'art. 11 del d.lgs.
n. 503  del  1992  -  che l'art. 59, comma 4, della legge 27 dicembre
1997,  n. 449  (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica)
ha  esteso  a tutte le forme di trattamenti pensionistici a decorrere
dal  1° gennaio 1998 - si applica, appunto dal 1° gennaio 1998, oltre
che    alla    quota    di   trattamento   pensionistico   a   carico
dell'assicurazione  generale obbligatoria, anche alla quota rimasta a
carico degli enti creditizi.
   Interpretando  invece  l'art.  1, comma 55, della legge n. 243 del
2004 nel senso sostenuto dalla Corte di cassazione, ne discenderebbe,
a  parere  delle  parti  private, che la norma censurata non potrebbe
essere  considerata  interpretativa,  poiche'  essa  non si limita ad
esplicitare  il  significato  gia' desumibile dal testo normativo, ma
introduce elementi totalmente innovativi.
   Se,  poi,  l'art.  1,  comma 55, della legge n. 243 del 2004 fosse
considerato  una  norma interpretativa, ad avviso dei pensionati esso
sarebbe incostituzionale sotto vari profili.
   Innanzitutto,  nella  fattispecie  non sussisterebbero le esigenze
straordinarie  che possono giustificare un intervento legislativo con
efficacia  retroattiva.  Tale  non  potrebbe  essere  considerata, in
particolare,   quella   di   estinguere  il  contenzioso  giudiziario
dichiarata   dalla   stessa  norma  censurata.  Infatti,  considerata
l'unanimita'  degli  esiti  giurisprudenziali  in senso favorevole ai
pensionati,   il   contenzioso  era  imputabile  esclusivamente  alla
resistenza   ad   oltranza   frapposta  dagli  istituti  di  credito,
comportamento   che  sarebbe  premiato  dall'intervento  legislativo.
Inoltre,  dopo  l'intervento delle pronunce delle sezioni unite della
Corte  di cassazione, tutta la giurisprudenza si esprimeva in termini
conformi  ed  il  contenzioso  poteva  pertanto  ritenersi avviato ad
esaurimento.
   L'intervento     legislativo     retroattivo    sarebbe    inoltre
sproporzionato  (trattandosi  di  un  contenzioso concernente qualche
migliaio di pensionati e di importo complessivamente trascurabile per
un   istituto   di  credito),  ingiusto  (perche'  non  soddisferebbe
interessi   prioritari  della  collettivita',  ne'  ridurrebbe  oneri
gravanti  sulla  finanza pubblica, bensi' inciderebbe su un conflitto
tra  privati, sottraendo risorse economiche alla parte piu' debole ed
attribuendole  a quella piu' forte), contraddittorio (perche' sarebbe
destinato a riaccendere un contenzioso che andava esaurendosi).
   I  pensionati sostengono altresi' che la norma censurata lederebbe
il  diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost., l'autonomia della
funzione  giurisdizionale  (tutelata dagli artt. 101, 102, 104, 105 e
111  Cost.), il principio di uguaglianza di cui agli artt. 3, 36 e 38
Cost.,  i principi costituzionali in materia di liberta' ed attivita'
sindacale  (artt.  18,  39  e  40  Cost., in connessione con l'art. 3
Cost.),  l'art. 117, primo comma, Cost. (che impone al legislatore di
rispettare  gli  obblighi  internazionali), gli artt. 3, 24, 97 e 113
Cost. (trattandosi di una legge-provvedimento).
   4.  - E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei ministri,
rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha
concluso chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
   La  difesa  erariale  sostiene che l'art. 1, comma 55, della legge
n. 243 del 2004 e' una norma di interpretazione autentica che enuncia
una  delle  possibili  letture delle disposizioni originarie e non e'
viziata da irragionevolezza, tendendo a realizzare un'uniformita' tra
tutti  i beneficiari del trattamento pensionistico ed a salvaguardare
le esigenze di riequilibrio delle risorse in materia pensionistica.
   Inoltre,  ad  avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la
norma  censurata  non e' fonte ne' di proliferazione del contenzioso,
ne'  di  irragionevole  aumento della durata dei processi che invece,
proprio  grazie  ad  essa,  saranno presumibilmente definiti in tempi
brevissimi.
   Infine,  quanto  al  principio  di eguaglianza, avendo la Corte di
cassazione   gia'   applicato   la   norma  interpretativa  in  altre
controversie,  sarebbe  proprio  la  dichiarazione  di illegittimita'
costituzionale  che provocherebbe una disparita' di trattamento tra i
pensionati  i  cui  giudizi  si sono gia' esauriti con esito per essi
negativo e pensionati il cui contenzioso sia ancora pendente.
   5.  - La Intesa San Paolo S.p.A. ha depositato memorie nelle quali
sostiene anzitutto che la questione deve essere esaminata dalla Corte
esclusivamente con riferimento ai parametri dell'art. 102 e dell'art.
111 Cost., perche' la rimettente non deduce la violazione dell'art. 3
Cost.  come  vizio  autonomo,  ma esclusivamente in connessione con i
predetti due precetti costituzionali.
   Cosi'  delimitata  la  questione,  essa, ad avviso della societa',
deve  essere  dichiarata  infondata perche' la norma censurata non e'
idonea   ne'   ad   alimentare   il   contenzioso,  ne'  ad  incidere
negativamente  sulla  durata  dei  processi  pendenti  e perche' essa
agisce  esclusivamente  sul  piano  delle  fonti senza operare alcuna
ingerenza nella decisione delle singole controversie.
   La   Intesa   San   Paolo   S.p.A.   contesta,   poi,  l'esattezza
dell'interpretazione  dell'art.  1,  comma 55, della legge n. 243 del
2004  sostenuta  dai  pensionati, interpretazione smentita gia' dalla
giurisprudenza  di  legittimita',  e  ribadisce  le  argomentazioni a
sostegno    dell'infondatezza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale gia' svolte negli atti di costituzione.
   Infine  la  societa'  eccepisce  l'irrilevanza  (e,  in subordine,
l'infondatezza) dei parametri costituzionali evocati dalla difesa dei
pensionati e non menzionati nelle ordinanze di rimessione.
   6.  -  Anche  i  pensionati  controricorrenti nei giudizi a quibus
hanno  depositato  una  memoria.  In essa sostengono l'illegittimita'
costituzionale  della  norma  censurata  in  quanto avrebbe contenuto
provvedimentale,  dettando  una  disciplina puntuale che concerne una
platea  ristretta e ben individuata di destinatari (gli ex dipendenti
del  Banco  di Napoli e del Banco di Sicilia che avevano ottenuto una
sentenza   favorevole),   con   conseguente   sottrazione  di  quelle
fattispecie  al  controllo giurisdizionale (previsto dagli artt. 24 e
113 Cost.) e privazione delle garanzie del giusto procedimento (artt.
3, 97, 24 e 113 Cost.).
   Le  parti  private ribadiscono, poi, che l'art. 1, comma 55, della
legge  n. 243  del 2004 attribuisce alle disposizioni interpretate un
significato  che  non  poteva  ragionevolmente  considerarsi  in esse
contenuto;  che  la  norma  censurata  e'  irragionevole  perche' non
estingue  il  contenzioso  (bensi' lo incrementa); che essa contrasta
con  gli  artt.  111  e 117 Cost. (in relazione alle previsioni della
CEDU);  che  essa  e' fonte di discriminazioni tra chi era pensionato
alla  data  del 31 dicembre 1990 e chi invece era ancora in servizio,
nonche'  tra  chi aveva gia' ottenuto una sentenza favorevole passata
in  giudicato  e  coloro i cui giudizi erano ancora pendenti, nonche'
tra  i pensionati del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia e quelli
degli  altri  istituti  di credito pubblici o privati che, fino al 31
dicembre  1997, hanno pacificamente usufruito di forme di adeguamento
delle  pensioni  collegate alla dinamica retributiva del personale in
servizio.
   Le  stesse  parti  private  aggiungono  che la norma oggetto della
presente questione e' estranea alla categoria di norme interpretative
ritenute  legittime  dalla  Corte  costituzionale,  sia perche' nella
fattispecie vi e' stato un precedente intervento chiarificatore delle
sezioni  unite della Corte di cassazione, sia perche' l'art. 1, comma
55,   della   legge  n. 243  del  2004  interviene  in  un  conflitto
giudiziario  tra  parti  private  al  quale  sono  estranei interessi
pubblici meritevoli di tutela ed esigenze di finanza pubblica.
                       Considerato in diritto
   1.  -  La Corte di cassazione dubita, in riferimento agli artt. 3,
102  e  111  della  Costituzione,  della  legittimita' costituzionale
dell'art.  1,  comma 55, della legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in
materia   pensionistica  e  deleghe  al  Governo  nel  settore  della
previdenza  pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e
all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed
assistenza obbligatoria).
   1.1.   -  La  questione  attiene  al  meccanismo  di  perequazione
automatica  applicabile  alla quota integrativa di pensione spettante
ai  dipendenti  degli  enti  pubblici  creditizi cessati dal servizio
entro il 31 dicembre 1990.
   Per  costoro,  il  decreto  legislativo  20  novembre 1990, n. 357
(Disposizioni   sulla  previdenza  degli  enti  pubblici  creditizi),
emanato  in  attuazione della delega prevista dall'art. 3 della legge
30 luglio 1990, n. 218 (Disposizioni in materia di ristrutturazione e
integrazione  patrimoniale  degli  istituti  di  credito  di  diritto
pubblico),  dispose che l'Istituto nazionale della previdenza sociale
(INPS)  avrebbe  assunto  a  proprio carico una quota del trattamento
pensionistico   gia'   in   godimento  (art.  3).  La  quota  residua
(cosiddetta  «quota  integrativa»,  da calcolare sottraendo l'importo
erogato  dall'INPS  a  quello risultante applicando la disciplina dei
previgenti regimi esclusivi o esonerativi goduti dai dipendenti degli
enti  pubblici  creditizi)  sarebbe  rimasta  a  carico dei datori di
lavoro  ovvero  dei  fondi  o  casse costituiti in base alla legge 20
febbraio 1958, n. 55 (Estensione del trattamento di riversibilita' ed
altre   provvidenze   in  favore  dei  pensionati  dell'assicurazione
obbligatoria  per  la  invalidita',  la  vecchiaia  ed i superstiti),
contestualmente  trasformati,  per  effetto  dell'art. 5 dello stesso
d.lgs.  n. 357  del  1990,  in  fondi  integrativi dell'assicurazione
generale obbligatoria (art. 4).
   1.2.  -  La  successiva  legge  23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al
Governo  per  la razionalizzazione e la revisione delle discipline in
materia  di  sanita', di pubblico impiego, di previdenza e di finanza
territoriale),  nel delegare il Governo ad emanare uno o piu' decreti
legislativi  per  il  riordino  del  sistema  previdenziale (art. 3),
detto'  un  principio  direttivo  anche  in  ordine alla perequazione
automatica.  Precisamente,  secondo  la lettera q) del citato art. 3,
l'emananda  disciplina avrebbe dovuto «garantire, tenendo anche conto
del  sistema relativo ai lavoratori in attivita', la salvaguardia del
loro potere di acquisto» e, in virtu' di quanto disposto dallo stesso
art.  3,  lettera  p),  tale  principio  direttivo  si sarebbe dovuto
applicare  anche  «al  personale  di  cui  all'articolo 2 del decreto
legislativo 20 novembre 1990, n. 537».
   In  esecuzione  della  delega fu emanato il decreto legislativo 30
dicembre  1992,  n. 503  (Norme  per  il  riordinamento  del  sistema
previdenziale   dei   lavoratori   privati   e   pubblici,   a  norma
dell'articolo  3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), il cui art. 11
(compreso  nel  titolo  III  del decreto legislativo stesso) dispose,
quale  principio generale in materia pensionistica, che gli aumenti a
titolo  di  perequazione automatica si dovessero applicare sulla base
del  solo  adeguamento  al costo della vita con cadenza annuale ed in
misura  pari  alla variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo
per famiglie di operai ed impiegati.
   L'art.   9   dello  stesso  d.lgs.  n. 503  del  1992,  intitolato
«Trattamenti  di pensione ai lavoratori di cui al decreto legislativo
20  novembre 1990, n. 357», al comma 1, stabili' che «Le disposizioni
di  cui ai titoli I e III del presente decreto riferite ai lavoratori
dipendenti    dell'assicurazione    generale   obbligatoria   trovano
applicazione  anche per gli iscritti alla gestione speciale di cui al
decreto  legislativo  20  novembre  1990,  n. 357, relativamente alle
pensioni  o quote di esse a carico della gestione medesima». Il comma
2  aggiunse  che  «Gli  articoli  2,  3,  8,  10, 11, 12 e 13 trovano
applicazione  nei confronti dei regimi aziendali integrativi ai quali
e'   iscritto   il  personale  di  cui  all'articolo  2  del  decreto
legislativo 20 novembre 1990, n. 357».
   1.3.  -  Con  riferimento  agli  ex dipendenti degli enti pubblici
creditizi  che  il  31 dicembre 1990 erano gia' in pensione, sorse il
dubbio   se,  anche  per  essi,  in  virtu'  delle  norme  da  ultimo
menzionate,  l'unico  meccanismo  perequativo  operante  fosse  ormai
quello  dell'art.  11, oppure se quest'ultimo si applicasse solamente
alla  quota  di  pensione  loro erogata dall'INPS, mentre, al fine di
determinare il complessivo trattamento pensionistico cui essi avevano
diritto  -  e,  dunque,  la  quota integrativa a carico dei datori di
lavoro  ovvero  dei fondi integrativi - dovesse continuare ad operare
il  diverso  meccanismo perequativo proprio delle forme di previdenza
esclusive  o  esonerative dell'assicurazione generale obbligatoria di
cui  i  lavoratori  in questione godevano prima della riforma operata
dalla  legge n. 218 del 1990 e dal d.lgs. n. 537 del 1990: meccanismo
che  assicurava  il collegamento del trattamento dei lavoratori ormai
cessati  dal  servizio con quello dei lavoratori ancora in attivita',
prevedendo  che  gli  aumenti  stipendiali  conseguiti dai secondi si
riflettessero  automaticamente  anche  sull'ammontare  delle pensioni
godute dai primi (cosiddetta clausola oro).
   Ne  scaturiva  un  contenzioso  sfociato, dopo un primo contrasto,
nelle  sentenze  n. 9023  e n. 9024 del 2001, con le quali le sezioni
unite  della  Corte  di  cassazione  affermavano  che l'art. 9 d.lgs.
n. 503   del   1992   aveva   lasciato  operare  la  «clausola  oro»,
limitatamente  alla quota delle pensioni erogata dai datori di lavoro
o dai fondi integrativi, per chi era gia' pensionato alla data del 31
dicembre 1990.
   1.4.  - E'  quindi  intervenuta la disposizione censurata, a norma
della  quale  «Al  fine  di  estinguere  il  contenzioso  giudiziario
relativo  ai trattamenti corrisposti a talune categorie di pensionati
gia' iscritti a regimi previdenziali sostitutivi, attraverso il pieno
riconoscimento di un equo e omogeneo trattamento a tutti i pensionati
iscritti  ai  vigenti  regimi  integrativi,  l'articolo  3,  comma 1,
lettera p), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e l'art. 9, comma 2,
del  decreto  legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, devono intendersi
nel  senso  che  la  perequazione  automatica delle pensioni prevista
dall'art.  11  del  decreto  legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, si
applica  al  complessivo  trattamento percepito dai pensionati di cui
all'art.   3  del  decreto  legislativo  20  novembre  1990,  n. 357.
All'assicurazione  generale  obbligatoria fa esclusivamente carico la
perequazione sul trattamento pensionistico di propria pertinenza».
   La  giurisprudenza  di  legittimita'  si e' subito ed unanimemente
indirizzata  nel  senso  che,  in base ad essa, deve ritenersi che il
meccanismo  perequativo di cui all'art. 11 del d.lgs. n. 503 del 1992
si applica anche alla quota di trattamento pensionistico spettante al
personale  gia'  pensionato alla data del 31 dicembre 1990 ed erogata
dai datori di lavoro o dai fondi integrativi.
   Invece,  nelle  due ordinanze di cui qui ci si occupa, la Corte di
cassazione  sostiene  che  l'art. 1, comma 55, della legge n. 243 del
2004  violerebbe l'art. 3 «in connessione con gli articoli 102 e 111»
Cost., sotto tre profili: a) il ricorso alla norma di interpretazione
autentica    sarebbe    nella   fattispecie   irragionevole   perche'
sproporzionato   e  addirittura  controproducente  rispetto  al  fine
asseritamente  perseguito (cioe' quello di estinzione del contenzioso
giudiziario);   b)   la   disposizione  censurata  farebbe  dipendere
l'assetto  definitivo  degli interessi delle parti in conflitto da un
fattore  (la  durata  della  lite)  contrario  alla  Costituzione  ed
introdurrebbe  una  disparita'  di  trattamento tra quanti hanno gia'
ottenuto  una  sentenza  definitiva  e  quanti  hanno ancora una lite
pendente;   c)  la  norma  sacrificherebbe  senza  ragione  il  ruolo
nomofilattico della Corte di cassazione.
   2.  -  Le due ordinanze di rimessione sono di identico tenore ed i
due  giudizi  vanno  dunque  riuniti  per  essere decisi con un'unica
pronuncia.
   3. - La questione non e' fondata.
   3.1.  -  Va  premesso  che  l'oggetto  del giudizio incidentale di
costituzionalita'  e'  individuato  esclusivamente  dall'ordinanza di
rimessione  e  che  non  possono quindi essere esaminati gli autonomi
vizi   eccepiti   dai   controricorrenti   nei   giudizi   principali
costituitisi  nel presente giudizio, relativi alla pretesa violazione
degli  artt.  3, 18, 24, 36, 38, 39, 40, 97, 101, 104, 105, 113 e 117
Cost., tutti parametri non evocati dalla rimettente.
   3.2.  -  Come  e'  stato  affermato dall'unanime giurisprudenza di
legittimita', con l'art. 1, comma 55, della legge n. 243 del 2004, il
legislatore  ha  introdotto una disposizione interpretativa dell'art.
9,  comma 2, del d.lgs. n. 503 del 1992, secondo cui il meccanismo di
perequazione  automatica,  previsto  dall'art. 11 dello stesso d.lgs.
n. 503  del 1992, deve applicarsi a tutte le pensioni integrative dei
dipendenti  degli  enti pubblici creditizi, qualunque sia la data del
loro pensionamento.
   La   natura   interpretativa  risulta  chiara  dal  fatto  che  il
legislatore  si e' limitato, con la predetta norma, ad assegnare alle
disposizioni  interpretate un significato rientrante tra le possibili
letture  del  testo  originario  (si  vedano  in  tal senso le stesse
ordinanze  di  rimessione). D'altra parte, gia' prima dell'intervento
delle  sezioni unite sopra menzionato, una parte della giurisprudenza
di  legittimita'  aveva  statuito  che,  in virtu' delle disposizioni
contenute  negli  artt.  9  ed  11 del d.lgs. n. 503 del 1992, gli ex
dipendenti  degli  enti  pubblici creditizi gia' pensionati alla data
del  31  dicembre  1990 non si sottraevano alle nuove regole uniformi
stabilite per la perequazione di tutte le pensioni.
   Orbene, questa Corte ha ripetutamente affermato la legittimita' di
norme   di   interpretazione   autentica   che   attribuiscono   alla
disposizione  interpretata  uno  dei significati ricompresi nell'area
semantica  della  disposizione  stessa (tra le piu' recenti, sentenza
n. 74 del 2008 e ordinanza n. 41 del 2008).
   Le  censure  di  irragionevolezza  contenute  nelle  ordinanze  di
rimessione  sono formulate, peraltro, con riferimento ad uno soltanto
degli  scopi  della norma. Il giudice a quo si e' limitato a ritenere
irragionevole   la   disposizione  censurata  solo  perche'  ritenuta
inidonea a conseguire uno dei suoi obiettivi.
   Il  ricorso  alla  norma  di interpretazione autentica, secondo la
rimettente,  nella  fattispecie  sarebbe sproporzionato e addirittura
controproducente   rispetto  al  fine  asseritamente  perseguito  che
sarebbe  quello  dell'estinzione  del  contenzioso giudiziario. Cosi'
limitando  la sua censura, la Corte di cassazione non tiene conto del
fatto  che  la  norma  oggetto  della  questione di costituzionalita'
enuncia,  tra  i  propri  scopi,  anche quello, non irragionevole, di
realizzare «il pieno riconoscimento di un equo e omogeneo trattamento
a  tutti  i pensionati iscritti ai vigenti regimi integrativi». Circa
l'idoneita'  o  meno  della  disposizione a realizzare tale ulteriore
obiettivo, nulla e' detto nelle ordinanze di rimessione.
   La  stessa inidoneita' della norma censurata a realizzare il primo
obiettivo,  quello  deflattivo,  e'  affermata dalla rimettente sulla
base di mere presunzioni (come quella secondo cui sarebbe inesistente
o  trascurabile il numero di pensionati che non hanno ancora promosso
azione  giudiziaria)  prive  di effettivi riscontri. Ne' il giudice a
quo  spiega  come  la  norma in questione (tra l'altro immediatamente
oggetto  di un'applicazione uniforme da parte della giurisprudenza di
legittimita)  possa  addirittura  alimentare il contenzioso, quando -
proprio grazie ad essa - ne appare prevedibile l'esito.
   3.3.  - Infondata e' anche la censura secondo cui la norma farebbe
dipendere   l'assetto  definitivo  degli  interessi  delle  parti  in
conflitto  dalla  durata  della lite e sarebbe fonte di disparita' di
trattamento  tra quanti hanno gia' ottenuto una sentenza definitiva e
quanti  hanno  ancora  una lite pendente. Gli inconvenienti lamentati
derivano  invero da circostanze di fatto casuali, di per se' inidonee
a giustificare il giudizio di illegittimita' di una norma.
   3.4. - Neppure la censura relativa alla pretesa compromissione del
ruolo  nomofilattico della Corte di cassazione e' fondata, perche' il
legislatore  puo'  porre  norme che precisino il significato di altre
norme,   non   solo   ove   sussistano   situazioni   di   incertezza
nell'applicazione    del    diritto   o   siano   insorti   contrasti
giurisprudenziali,  ma  pure in presenza di indirizzi omogenei (anche
di  legittimita),  se  la scelta imposta per vincolare il significato
ascrivibile alla legge anteriore rientra tra le possibili varianti di
senso  del  testo  originario  (sentenze n. 374 del 2002 e n. 525 del
2000).