Sentenza
nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 1,
lettera  c),  del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre
1986,   n. 917  (Approvazione  del  testo  unico  delle  imposte  sui
redditi),  promosso con ordinanza depositata il 12 ottobre 2007 dalla
Commissione  tributaria  provinciale  di Novara nel giudizio vertente
tra  Mauro  Bolognesi  e  l'Agenzia delle entrate, ufficio di Novara,
iscritta  al  n. 138  del  registro ordinanze 2008 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 20,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2008.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio del 22 ottobre 2008 il giudice
relatore Franco Gallo.
                          Ritenuto in fatto
   1.  -  Con ordinanza depositata il 12 ottobre 2007, la Commissione
tributaria   provinciale  di  Novara  ha  sollevato,  in  riferimento
all'art.    3   della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  10,  comma  1,  lettera  c), del d.P.R. 22
dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui
redditi).  La  questione  e'  sollevata  nel  corso di un giudizio di
impugnazione  del  diniego  di  rimborso dell'IRPEF relativa a quanto
corrisposto  da  un  contribuente,  nell'anno  2004,  alla propria ex
coniuge,  quale  contributo  periodico  determinato  dal Tribunale di
Novara  in sede di modificazione delle condizioni di divorzio, per il
mantenimento del comune figlio maggiorenne. La Commissione tributaria
provinciale  censura  la  predetta  disposizione  nella  parte in cui
esclude  la  deducibilita'  dal  reddito  complessivo,  ai fini delle
imposte  dirette,  degli  assegni  periodici corrisposti al coniuge a
seguito  di  separazione  o  divorzio,  nella misura in cui risultano
dovuti  in  base  a  provvedimenti dell'autorita' giudiziaria, per il
mantenimento   dei   figli.   Secondo   il   giudice  rimettente,  la
disposizione  censurata,  nel prevedere la menzionata indeducibilita'
dei  suddetti  assegni  per  il  mantenimento  dei  figli,  crea  una
ingiustificata disparita' di trattamento fiscale rispetto all'ipotesi
di  somme  corrisposte  in  adempimento  dell'obbligo di prestare gli
alimenti  ai  soggetti  indicati  dall'art. 433 del codice civile (e,
quindi,  anche  ai  figli), le quali, invece - sempre nella misura in
cui  risultano  da  provvedimenti  dell'autorita' giudiziaria -, sono
deducibili  dal  reddito  complessivo,  ai fini delle imposte dirette
(art. 10, comma 1, lettera d, del d.P.R. n. 917 del 1986). A sostegno
di tale assunto il rimettente afferma che, in tali casi, l'assegno di
mantenimento  e  quello  alimentare  hanno  «analoga funzione» e che,
pertanto,  la  disparita'  di  trattamento  fiscale  tra tali assegni
«risulta  [...] ingiustificata»; e cio' tanto piu' ove il giudizio di
separazione  o  di divorzio faccia seguito ad una precedente condanna
al  pagamento  degli  alimenti  a  favore del figlio, perche', in tal
caso,  «gli importi destinati a quest'ultimo sarebbero legittimamente
deducibili  dal  reddito  dell'onerato». In particolare, il giudice a
quo nega che la invocata deducibilita' dell'assegno periodico fissato
dal  giudice  per il mantenimento del figlio comporta la necessita' -
come,  invece,  obiettato dall'amministrazione finanziaria resistente
in  giudizio  -  di  riconoscere  anche  all'altro  coniuge  una pari
deduzione per le spese sostenute allo stesso fine. Per la Commissione
tributaria, infatti, la somma di denaro determinata autoritativamente
dal  giudice  non  puo'  essere  assimilata  a  «spese, genericamente
riconducibili  al generico menage familiare del genitore convivente e
non   precisamente  determinabili,  che  come  tali  giustificano  la
apposita  detrazione  forfetaria per familiari a carico». La medesima
Commissione tributaria aggiunge che la questione cosi' prospettata e'
diversa  da  quella  dichiarata  manifestamente infondata dalla Corte
costituzionale,  con ordinanza n. 950 del 1988; questione sollevata -
con  riferimento  all'assegno  periodico  determinato  dal  giudice e
corrisposto al coniuge separato o divorziato - sotto il profilo della
denunciata  disparita'  di  trattamento  fiscale tra la deducibilita'
dell'assegno  per  il mantenimento del coniuge e l'indetraibilita' di
quello per il mantenimento dei figli assegnati all'altro coniuge.
   2.  -  Il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  in
giudizio,  deducendo  che:  a)  il  giudice a quo erroneamente pone a
raffronto  situazioni  diverse,  cioe'  l'obbligo (rientrante tra gli
ordinari  doveri dei genitori di mantenere ed educare i propri figli,
ancorche'  maggiorenni) di corrispondere al coniuge un assegno per il
mantenimento  dei  figli e quello (derivante dal dovere di assicurare
le  necessarie  fonti  di  sostentamento  ai  congiunti  in  stato di
indigenza)  di  corrispondere  al  figlio di un assegno alimentare ai
sensi  dell'art.  433  cod. civ.; b) la manifesta difformita' di tali
situazioni,  basate  su  presupposti  affatto  diversi  e  su diritti
azionabili  da differenti soggetti, e' affermata dalla giurisprudenza
della  Corte  di  cassazione (vengono citate le sentenze n. 12477 del
2004,  n. 26259  del  2005  e  n. 24498  del  2006); c) rientra nella
discrezionalita' del legislatore regolare le ipotesi di deducibilita'
delle  spese  ai  fini  fiscali (come sottolineato, proprio in ordine
alla   disposizione   censurata,   dalla  Corte  costituzionale,  con
l'ordinanza  n. 950  del  1988);  d)  l'accoglimento  della sollevata
questione  comporterebbe una ingiustificata disparita' di trattamento
tra  il genitore separato o divorziato che, in quanto destinatario di
un provvedimento giudiziario che lo obbliga a corrispondere l'assegno
per il mantenimento del figlio, puo' dedurre tale assegno dal reddito
imponibile ed il genitore che, in quanto contribuisca al mantenimento
del  figlio  in  via  ordinaria  (ai sensi degli artt. 147 e 148 cod.
civ.),  non puo' operare detta deduzione. La difesa erariale conclude
chiedendo  che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque,
manifestamente infondata.
                       Considerato in diritto.
   1.  -  La  Commissione tributaria provinciale di Novara dubita, in
riferimento   all'art.   3  della  Costituzione,  della  legittimita'
dell'art.  10,  comma  1,  lettera  c),  del d.P.R. 22 dicembre 1986,
n. 917  (Approvazione  del  testo  unico  delle imposte sui redditi),
nella  parte in cui esclude la deducibilita' dal reddito complessivo,
ai fini delle imposte dirette, degli assegni periodici corrisposti al
coniuge  a  seguito  di  separazione  o divorzio, nella misura in cui
risultano   da   provvedimenti  dell'autorita'  giudiziaria,  per  il
mantenimento   dei  figli.  Secondo  la  Commissione  tributaria,  la
disposizione  denunciata  viola  l'art.  3  Cost.,  perche'  crea una
ingiustificata    disparita'    di   trattamento   fiscale   rispetto
all'«analoga»   ipotesi   di   somme   corrisposte   in   adempimento
dell'obbligo  di prestare gli alimenti ai soggetti indicati dall'art.
433 del codice civile (e, quindi, anche ai figli), le quali, invece -
nella   misura  in  cui  risultano  da  provvedimenti  dell'autorita'
giudiziaria -, sono deducibili dal reddito complessivo, ai fini delle
imposte  dirette  (art. 10, comma 1, lettera d, del d.P.R. n. 917 del
1986).
   2. - La questione non e' fondata.
   Questa  Corte  ha  costantemente  affermato  che  la previsione di
ipotesi  di  deducibilita'  e  detraibilita'  ai  fini  fiscali resta
affidata  alla  discrezionalita'  del  legislatore,  la quale «rimane
insindacabile  nel  giudizio  di  costituzionalita',  a  meno che non
trasmodi in arbitrio» (ordinanza n. 950 del 1988; nello stesso senso,
ex  plurimis,  sentenza  n. 134 del 1982; ordinanze n. 258 del 2008 e
n. 370  del  1999).  Nella  specie,  la  scelta  del  legislatore  di
differenziare - nell'ambito degli assegni determinati iussu iudicis a
favore  dei figli - il regime fiscale dell'assegno di mantenimento da
quello  dell'assegno di alimenti legali non e' arbitraria, per almeno
due distinte e concorrenti ragioni.
   2.1.  -  In  primo luogo, va rilevato che dall'esatta premessa che
l'assegno   alimentare   costituisce,   quantitativamente,  un  minus
rispetto  all'assegno  di  mantenimento, il rimettente trae l'erronea
conseguenza  che  tali  assegni debbono avere il medesimo trattamento
fiscale.  Dalla  suddetta  premessa deriva soltanto, invece, che, nel
caso di assegno di mantenimento per i figli, la funzione propriamente
alimentare  del  medesimo  assegno  e' assolta dal minore importo, in
esso ricompreso, corrispondente all'ammontare di un ipotetico assegno
di  alimenti  legali. Al riguardo, questa Corte ha gia' precisato che
il  credito  di  alimenti  legali  va  equiparato  a  quello relativo
all'assegno  di  mantenimento  solo  «nei  limiti in cui questo abbia
carattere alimentare» (sentenza n. 506 del 2002) e, quindi, solo «una
volta  accertato  lo  stato  di  bisogno  del beneficiario» (sentenza
n. 1041  del  1988).  Occorre,  tuttavia,  osservare  che,  anche ove
risulti  accertato  lo  stato  di  bisogno,  la quota dell'assegno di
mantenimento  che  soddisfa  esigenze  strettamente alimentari non e'
concretamente  determinata nel quantum ed e' indistinguibile dal piu'
ampio  ammontare  fissato  dal  giudice  per  il mantenimento. Questa
circostanza e' da sola sufficiente a rendere non arbitraria la scelta
legislativa di consentire la deduzione fiscale delle sole prestazioni
alimentari  certe  nel  loro ammontare e di escluderla per quelle non
certe   perche'   ricomprese   nella   piu'   ampia   prestazione  di
mantenimento.  Questa Corte, infatti, ha piu' volte sottolineato che,
nella  individuazione  degli  oneri detraibili, e' ragionevole che il
legislatore  si  ispiri  ad esigenze di certezza, senza lasciare tale
individuazione alla volonta' del contribuente o alla discrezionalita'
dell'amministrazione  finanziaria  (ex  pluribus, la citata ordinanza
n. 370  del  1999, che ha ritenuto non illegittima costituzionalmente
la  normativa  che consente la deduzione dal reddito imponibile degli
assegni   alimentari   limitatamente   alla   misura   risultante  da
provvedimento   dell'autorita'   giudiziaria  e  la  esclude  per  la
prestazione alimentare spontaneamente corrisposta dal debitore).
   Non  potrebbe  obiettarsi,  come  fa  il rimettente, che la misura
degli  alimenti  sarebbe  determinata  almeno  nel  caso  in  cui una
condanna  al pagamento degli alimenti a favore del figlio sia seguita
da  un  giudizio  di  separazione  o  di divorzio recante condanna al
mantenimento  del  medesimo  figlio. Detta ipotesi non e' in concreto
configurabile,   sia   perche'   la   sussistenza   dell'obbligo   di
mantenimento  e'  alternativa  a  quella  dell'obbligo  alimentare e,
pertanto,  esclude  la condanna agli alimenti legali; sia perche', in
ogni  caso,  ove  anche alla condanna agli alimenti legali segua - di
fatto  -  quella  al  mantenimento,  dovrebbe  aversi riguardo solo a
quest'ultima   pronuncia,   senza   che  all'importo  dovuto  per  il
mantenimento  (fiscalmente  non deducibile) si possa sottrarre quanto
dovuto  per  gli  alimenti legali (fiscalmente deducibile) in base ad
una precedente sentenza.
   L'identico   trattamento   fiscale   dei   due   obblighi  non  e'
giustificato,  del  resto,  nemmeno  dalla  loro  comune  funzione di
sostegno  economico al beneficiato, evidenziata da questa Corte nella
sentenza  interpretativa di rigetto n. 17 del 2000. Nella fattispecie
esaminata da tale sentenza non veniva, infatti, in rilievo l'indicata
esigenza  di certezza nella determinazione degli oneri imponibili, ma
la   possibilita'   di  un'interpretazione  conforme  a  Costituzione
dell'art.  2751,  n. 4,  cod.  civ.,  al  solo  fine  di estendere la
garanzia  del  privilegio generale prevista per il credito alimentare
al credito di mantenimento del coniuge separato o divorziato.
   2.2.   -   In  secondo  luogo,  la  norma  denunciata  appare  non
irragionevole   in   considerazione   delle  evidenti  differenze  di
presupposti  e  di funzioni tra l'obbligo di mantenimento dei figli e
l'obbligo degli alimenti legali in favore dei medesimi.
   La  Corte di cassazione civile, con numerose pronunce non prese in
considerazione  dal  rimettente  e  che,  per uniformita' e costanza,
assurgono a diritto vivente (ex plurimis, sentenze n. 12477 del 2004,
n. 2196 del 2003), ha da tempo precisato che l'obbligo di mantenere i
figli  previsto dagli artt. 147, 148 e 261 cod. civ.: a) consiste nel
prestare  loro  quanto  occorre  per  tutte  le  esigenze  della vita
(tenendo   conto   delle  loro  capacita',  inclinazioni  naturali  e
aspirazioni);  b)  si  commisura  in  proporzione  alle  sostanze dei
genitori;  c) prescinde dallo stato di bisogno dei figli medesimi; d)
decorre  dal momento in cui sorge il rapporto di filiazione e termina
nel  momento  in  cui il figlio maggiorenne e' in condizione di avere
una  propria  autonomia  economica.  Secondo  le  medesime  pronunce,
l'obbligo  di  prestare  gli  alimenti legali ai figli previsto dagli
artt.  433,  primo comma, numero 3, 438, 440 e 445 cod. civ., invece:
a)  ha  un  contenuto  piu'  ristretto  dell'obbligo di mantenimento,
perche'   consiste   nel   somministrare  quanto  necessario  per  le
fondamentali  esigenze  di vita dell'alimentando, avuto riguardo alla
sua  posizione  sociale; b) si commisura in proporzione al bisogno di
chi domanda gli alimenti ed alle condizioni economiche di chi li deve
somministrare;   c)   sorge  soltanto  in  mancanza  dell'obbligo  di
mantenimento,  quando  sussista il duplice presupposto dello stato di
bisogno  dell'alimentando  (cioe' dell'incapacita' di far fronte alle
proprie  fondamentali  esigenze  di  vita)  e dell'impossibilita' per
quest'ultimo   di   provvedere   al  proprio  mantenimento,  restando
irrilevante   se   lo   stato   di   bisogno   derivi   dalla   colpa
dell'alimentando  (salva  la riducibilita' dell'assegno alimentare in
caso  di  condotta  disordinata  o  riprovevole  dell'alimentato); d)
decorre  dalla domanda giudiziale o dal giorno della messa in mora da
parte  dell'alimentando  (ove questa sia seguita entro sei mesi dalla
domanda  giudiziale)  e  termina  con  la  cessazione  dello stato di
bisogno  o  con  la  sopravvenuta  possibilita'  per l'alimentando di
provvedere al proprio mantenimento.
   Da  tali pronunce si desume, in particolare, che, mentre l'obbligo
di  mantenimento  e' espressione del dovere di solidarieta' familiare
sancito  dall'art.  30  Cost. ed assolve la funzione di consentire il
pieno  sviluppo  della  personalita'  dei figli, l'obbligo alimentare
sussiste,  invece,  solo  ove  non  vi sia obbligo di mantenimento ed
assolve  la  diversa  funzione  di assistenza familiare, in quanto e'
diretto   esclusivamente   ad   ovviare  allo  stato  di  bisogno  ed
all'incapacita'  dell'alimentando  di  farvi  fronte.  Corollario  di
questa impostazione giurisprudenziale sono le svariate sentenze della
stessa   Corte   di  cassazione  civile  -  anch'esse  non  prese  in
considerazione  dal  rimettente  - secondo le quali la diversita' tra
l'azione  diretta  ad  ottenere  il  mantenimento e quella diretta ad
ottenere  gli  alimenti legali comporta che alla prima non si applica
la  sospensione  dei termini processuali nel periodo feriale prevista
dalla  legge per la seconda (ex plurimis, Cassazione civile, sentenze
n. 8417 del 2000; n. 7358 del 1994).
   A diversa conclusione non puo' portare l'orientamento della stessa
Corte  di cassazione civile secondo cui la richiesta in appello degli
alimenti  non  costituisce  una vietata mutatio libelli rispetto alla
domanda  di  mantenimento  avanzata  in  primo  grado,  ma  una  mera
emendatio  libelli,  come tale consentita dall'art. 345 del codice di
procedura civile (ex plurimis, sentenze n. 1761 del 2008; n. 4198 del
1998;  n. 6106  e  n. 5381  del  1997).  Invero,  la  generica comune
funzione  di  sostenere  economicamente  il  beneficiato, assolta dal
credito alimentare e da quello di mantenimento, ed il fatto che - ove
sussista  anche  lo  stato  di  bisogno  del  figlio  -  l'assegno di
mantenimento  comprenda  in  se',  nel  quantum,  il  minore  importo
dell'assegno  alimentare  sono  circostanze  che  possono  portare ad
escludere,  secondo  il  citato  orientamento  giurisprudenziale,  la
mutatio  libelli,  ma  certamente non eliminano le indicate rilevanti
diversita' dei due istituti.
   Deve,  pertanto,  concludersi  che le situazioni poste a raffronto
dal rimettente non sono omogenee e che la norma denunciata si sottrae
alla  censura  di  ingiustificata  disparita'  di trattamento fiscale
rispetto  all'assegno  alimentare  per  i  figli.  In particolare, la
scelta   del   legislatore   di   consentire   la  deduzione  fiscale
esclusivamente  dell'assegno  periodico alimentare e non di quello di
mantenimento appare ispirata alla non irragionevole ratio non solo di
differenziare  il  trattamento  fiscale di prestazioni eterogenee, ma
anche  di favorire l'adempimento dell'obbligo alimentare, cioe' di un
obbligo  che  sorge solo ove manchi quello di mantenimento e, quindi,
ove sia divenuto meno intenso il vincolo di solidarieta' familiare.