LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 807/07, depositato il 16 marzo 2007, avverso ruolo e cartella di pagamento n. 04820040018585517 27; Pubblicita' 2001 - Canoni; Contro Comune di Genova, proposto dal ricorrente Mastrangelo Patrizio gia' socio acc. di Bar Mignon s.a.s di Mastrangelo Patrizio & C., via Salgari n. 71/B/6 - 16100 Genova. O s s e r v a Il Concessionario del servizio nazionale di riscossione per la Provincia di Genova - GEST LINE S.p.A. - con la cartella indicata in epigrafe, richiedeva alla ditta Bar Mignon di Mastrangelo Patrizio & C. S.a.s. c/o il socio accomandatario Mastrangelo Patrizio il pagamento della complessiva somma di euro 576,80 (comprensiva di interessi e spese) iscritta a ruolo dal Comune di Genova - Ufficio Tributi, a titolo di canone coattivo comunale sulla pubblicita' dovuto per l'anno 2001 (Ruolo n. 2004/5289 reso esecutivo in data 17 marzo 2004 Ruolo ordinario - avviso di pagamento n. 1832/2001 notificato il 27 novembre 2002). Avverso questa cartella di pagamento Mastrangelo Patrizio, gia' socio accomandatario della ditta Bar Mignon di Mastrangelo Patrizio & C., con sede ed attivita' in questa via Cesarea n. 14/R, ha proposto ricorso, consegnandone copia al Comune di Genova. Con l'unico complesso motivo contesta la fondatezza della pretesa giacche' l'attivita' della ditta ha avuto termine in data 20 novembre 1998 per cessazione dell'azienda al sig. Cifariello Maurizio. Precisa che in data 2 dicembre 1998 la societa' e' stata sciolta senza messa in liquidazione per atto notaio Novara Fabio in Genova Rep. 44145. Chiede, pertanto, che venga dichiarato non dovuto l'importo iscritto a ruolo. Si e' costituito il Comune di Genova in persona del sindaco pro tempore, prof. Giuseppe Pericu, rappresentato e difeso dal dott. Ennio Dina, e in sua sostituzione dal dott. Domenico Finocchietti, in forza della ordinanza n. 20 del 31 gennaio 2007, autorizzato con delibera di Giunta. Con l'atto di costituzione in giudizio e controdeduzioni depositato il 22 marzo 2007 eccepisce, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione in quanto il ricorso doveva essere proposto dinanzi alla giustizia amministrativa. Il Comune di Genova, infatti, dall'anno 2001, in sostituzione dell'«imposta sulla pubblicita» ha adottato il «canone» «per il quale la competenza a giudicare sul presupposto impositivo era del t.a.r.» e non del giudice tributario. Sottolinea che la modifica' apportata sul punto, con effetto dal 3 dicembre 2005, all'art. 2, comma 2, ultima parte, del d.lgs. n. 546/1992, dall'art. 3-bis, comma 1, lett. b) del d.1. 30 settembre 2000, n. 203, convertito con modificazioni con legge 2 dicembre 2005, n. 248, in assenza di norme transitorie, e' inapplicabile al caso di specie poiche' la modifica non ha riguardato anche i canoni che erano relativi ad annualita' per le quali la competenza era invece di un altro organo giurisdizionale. Ne' vale ad escludere tale competenza giurisdizionale la circostanza che la cartella di pagamento sia stata notificata solo successivamente a tale modifica normativa, essendo la cartella semplicemente un atto esecutivo d'un presupposto impositivo gia' perfezionatosi. Chiede, in subordine, che il ricorso sia dichiarato inammissibile non essendo stato convenuto in giudizio l'Ente che ha emesso l'atto impugnato: il Concessionario per la riscossione, considerato che la sentenza che concludera' questo giudizio non potra' che avere effetto tra le sole parti del giudizio. Contesta, inoltre, la tempestivita' del proposto ricorso, non essendo leggibile, nella copia della cartella ad esso allegata, la data di notifica della stessa. Chiede poi che il ricorso sia dichiarato inammissibile, ai sensi dell'art. 19, comma 3, d.lgs. n. 546/1992, poiche' la cartella di pagamento e' impugnabile solo per vizi propri e non per far valere ragioni di merito riguardanti il presupposto impositivo. Il canone, infatti, e' dovuto dal titolare dell'insegna pubblicitaria sulla base della richiesta che egli fa all'atto dell'installazione. Da quel momento, a meno di richiesta di cancellazione da parte sua, il canone deve essere automaticamente pagato. Se il pagamento non risulta essere effettuato, solo allora il comune emette cartella di pagamento che non equivale affatto ad un atto impositivo, ma e' semplicemente un atto esecutivo. Nella ipotesi invece in cui si voglia contestare il presupposto impositivo, la sistematica del canone/imposta prevede che l'interessato chieda formalmente l'esclusione dall'imposta per le ragioni da lui addotte. Ed e' solo contro il rifiuto espresso o tacito opposto dal comune che l'interessato puo' proporre ricorso indicandone i motivi. Nel merito chiede il rigetto del ricorso poiche' infondato in fatto e in diritto. Con vittoria di spese ed onorari di giudizio. Il ricorrente ha presentato memoria in data 17 aprile 2008. All'odierna pubblica udienza di trattazione, assente il ricorrente, il comune si e' riportato alle proprie conclusioni. Motivi della decisione In via preliminare occorre sollevare la questione di costituzionalita' dell'art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) - come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 -, nella parte in cui stabilisce che «Appartengono alla giurisdizione tributaria .... le controversie attinenti ... il canone sulla pubblicita' ...», in riferimento all'art. 102, secondo comma, Costituzione, considerato che la decisione sulla controversia, oggetto di ricorso, postula che la stessa abbia natura tributaria e che il relativo difetto, ancorche' non eccepito da alcuna delle parti, e' rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, a norma dell'art. 3, d.lgs. n. 546/1992. Di nessun pregio e' invece l'eccezione proposta dal comune in ordine al difetto di giurisdizione delle commissioni tributarie a conoscere la presente controversia appartenendo la stessa, ratione temporis, al t.a.r. in quanto relativa al pagamento del canone per la pubblicita' dovuto per l'anno 2001. E cio' sul duplice rilievo: che l'asserita giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti i canoni, in esse comprese quello dovuto per la pubblicita', non trova conforto alcuno nel diritto positivo, tanto meno nella giurisprudenza di legittimita' (cfr. Cass. civ., s.u. sent. n. 22662 del 23 ottobre 2006; id. sent. n. 22661 del 23 ottobre 2006); che per il principio tempus regit actum, applicabile nella specie, la cartella di pagamento notificata all'interessato nel 2007, ancorche' relativa al canone comunale sulla pubblicita' dovuto per l'anno 2001, in assenza di norme transitorie, non puo' che essere impugnata dinanzi alle commissioni tributarie, in forza del chiaro dettato dell'art. 2, comma 2, ultima parte, del d.lgs. n. 546/1992, come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lett. b) del d.l. 30 settembre 2000, n. 203, convertito con modifificazioni con legge 2 dicembre 2005, n. 248, con effetto dal 3 dicembre 2005 (cfr. Cass. civ., s.u. sent. 1614 del 25 gennaio 2007; id. sent. 1611 del 25 gennaio 2007). E' bene precisare che la controversia sottoposta all'attenzione di questa Commissione Tributaria ha ad oggetto non gia' il pagamento di un tributo quale era certamente l'«imposta sulla pubblicita», disciplinata dal Capo I del d.lgs. n. 507/1993, ma il pagamento del «canone per l'installazione di mezzi pubblicitari» - relativo all'anno 2004 - introdotto con l'art. 62 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, in sede di riordino della disciplina dei tributi locali, quale corrispettivo, in base a tariffa, della autorizzazione all'installazione del mezzo pubblicitario. Questo canone, come puntualizzato dallo stesso comune nelle sue controdeduzioni, rientra nel novero delle entrate pubbliche patrimoniali ma non ha piu' natura di tributo. Ne consegue che ogni controversia al riguardo dovrebbe appartenere non gia' alla giunsdizione tributaria bensi' a quella del giudice ordinario. Tanto si ricava dalla sentenza n. 64/2008 della Corte costituzionale, che ha dichiarato «l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) - come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 - nella parte in cui stabilisce che ''appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall'art. 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni''» proprio per contrasto con l'art. 102, secondo comma, Costituzione, poiche' prive di natura tributaria. Ne' vale a far ritenere manifestamente infondata la questione di costituzionalita' che si intende qui sollevare evocare quanto gia' sostenuto in sede di legittimita', sia pure in materia di TIA, per affermare la riconducibilita' del canone che qui interessa nell'ambito della materia tributaria, indipendentemente dal normen iuris utilizzato dalla normativa che l'ha introdotto - «riordino della disciplina dei tributi locali» - trattandosi di fattispecie in qualche misura simile a quella che in precedenza rivestiva indiscussa natura tributaria. Siffatto argomentare si scontra innanzi tutto con il principio affermato dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 64/2008 «il difetto della natura tributaria della controversia fa necessariamente venir meno il fondamento costituzionale della giurisdizione del giudice tributario, con la conseguenza che l'attribuzione a tale giudice della cognizione della suddetta controversia si risolve inevitabilmente nella creazione, costituzionalmente vietata, di un ''nuovo'' giudice speciale», ribadito nella sentenza n. 130 del 14 maggio 2008. Esso si pone poi in netto contrasto con il chiaro dettato dell'art. 62, comma 1, d.lgs. n. 446/1997 che ha previsto l'alternativita' tra «imposta comunale sulla pubblicita» e «canone per l'installazione dei mezzi pubblicitari», in base a tariffa, quale corrispettivo della relativa autorizzazione. Se fosse sostanzialmente identica la natura giuridica delle due entrate (imposta e canone) non si comprende la ragione per la quale il legislatore nel riordinare la disciplina dei tributi locali abbia attribuito ai comuni la potesta' regolamentare «di escludere l'applicazione nel proprio territorio dell'imposta comunale sulla pubblicita' di cui al Capo I del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, sottoponendo le iniziative pubblicitarie che incidono sull'arredo urbano o sull'ambiente, ad un regime autorizzatorio e assoggettandole al pagamento di un canone in base a tariffa». Il persistere, se pure in via alternativa, di «imposta» e «canone» sulla pubblicita', depone per la differente «natura» delle due entrate ancorche' pubbliche: «tributaria» la prima, «patrimoniale» la seconda. Tanto basta a far ritenere non manifestamente infondata e giuridicamente rilevante nel caso di specie, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 - come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 - nella parte in cui stabilisce che «Appartengono alla giurisdizione tributaria ... le controversie attinenti .... il canone sulla pubblicita' ...», in riferimento all'art. 102, secondo comma, Costituzione ed alla VI disp. trans. della Costituzione.