Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici ha per legge domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Contro la Regione Calabria, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore per la declaratoria di illegittimita' costituzionale e conseguente annullamento, della legge regionale n. 46 del 31 dicembre 2008, pubblicata sul Bollettino ufficiale n. 25 del 2 gennaio 2009, recante: «Disposizioni in materia sanitaria», con specifico riguardo all'art. 1, comma 2, di detta legge regionale, per contrasto con l'art. 117, terzo comma, e 127 della Costituzione, e cio' a seguito ed in forza della delibera di impugnativa assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta del 27 febbraio 2009. Nel Bollettino ufficiale n. 25 del 2 gennaio 2009 della Regione Calabria e' stata pubblicata la legge regionale n. 46 del 31 dicembre 2008, con la quale la regione ha disposto, nell'art. 1, comma 2, che «il personale sanitario incaricato ai sensi della legge 9 ottobre 1970 n. 740 e' inquadrato con uguale numero di ore contrattualizzate, nei ruoli del Servizio sanitario regionale nella corrispondente categoria e profilo previsti per il personale delle Aziende sanitarie provinciali. Tale disposizione non si applica ai rapporti a tempo determinato instaurati ai sensi della stessa legge. Il personale incaricato ai sensi della legge 9 ottobre 1970, n. 740 dovra' eliminare eventuali situazioni di incompatibilita' al momento dell'accettazione dell'inquadramento nei ruoli del Servizio sanitario regionale». Va subito rilevato che la disposizione qui censurata investe due diversi ambiti materiali. Da un lato, essa costituisce espressione della funzione di coordinamento della finanza pubblica; dall'altro, afferisce alla tutela della salute, materie entrambe oggetto di potesta' legislativa concorrente di Stato e regioni, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. Da cio' consegue che, vertendosi in materie di legislazione concorrente, lo Stato e' legittimato a porre principi fondamentali, come tali vincolanti per le regioni e per le province autonome, palesemente disattesi dalla legge regionale impugnata. L'art. 1, comma 2, della legge Regione Calabria viola innanzitutto il principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica contenuto nell'art. 3, comma 4, del d.P.C.m. 1° aprile 2008, adottato in attuazione dell'art. 2, comma 283, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), secondo il quale, nell'ambito del trasferimento del personale sanitario penitenziario al Servizio sanitario regionale, i rapporti di lavoro instaurati ai sensi della legge n. 740 del 1970 continuano ad essere disciplinati dalla stessa legge fino alla relativa scadenza. Secondo tale norma finanziaria statale, infatti, il personale sanitario penitenziario «incaricato» ai sensi della menzionata legge n. 740 del 1970, a differenza del personale dipendente di ruolo dell'amministrazione penitenziaria, non e' inquadrato nei ruoli del Servizio sanitario regionale, ma e' semplicemente trasferito alle Aziende sanitarie locali continuando ad essere disciplinato e retribuito secondo quanto previsto dalla citata legge statale. La disposizione regionale in esame pertanto, che comporta oneri aggiuntivi non quantificati, eccede dalla competenza concorrente attribuita alla regione in materia di coordinamento della finanza pubbuca e viola l'art. 117, terzo comma, della Costituzione. Per meglio comprendere la portata della predetta censura, potrebbe risultare utile effettuare una breve disamina delle norme che costituiscono il fondamento dell'attivita' dell'amministrazione penitenziaria in materia di sanita' penitenziaria. La presenza di personale sanitario negli istituti penitenziari venne originariamente prevista dal regolamento per gli istituti di prevenzione e pena del 1931. Detto regolamento ebbe a prevedere la presenza di un medico all'interno di ogni istituto penitenziario, omettendo, tuttavia, di precisare la natura del rapporto di lavoro tra il professionista e il Ministero di grazia e giustizia. Non esisteva in quel tempo un unico organismo pubblico preposto alla tutela del diritto alla salute dei cittadini. Infatti, enti di varia natura (previdenziali e di tipo mutualistico) provvedevano all'assistenza sanitaria di singole categorie di lavoratori (commercianti, artigiani, ...) in modo diverso qualitativamente e quantitativamente. Il Ministero della salute venne istituito solo nel 1958, quindi solo con il tempo si e' affermata una concezione unitaria dell'attivita' sanitaria. ln questo quadro, la presenza di un servizio sanitario per detenuti gestito dal Ministero della giustizia risultava coerente con la realta' dell'epoca. Al regolamento del 1931 ha fatto seguito la legge 9 ottobre 1970, n. 740 che ha disciplinato il rapporto di lavoro di tutte le categorie di personale sanitario che svolgono attivita' lavorativa negli istituti penitenziari e non sono inseriti nei ruoli organici dell'amministrazione penitenziaria. Detta legge ha, cosi', posto le basi dell'organizzazione, negli istituti penitenziari, di un servizio sanitario volto ad assicurare la continuita' assistenziale alle persone in stato di privazione della liberta' personale. Soltanto con la legge 26 luglio 1975, n. 354, «Ordinamento penitenziario» sono state introdotte specifiche norme in tema di organizzazione dei servizi sanitari negli istituti penitenziari. In particolare ed innanzitutto, e' stato stabilito che detti servizi dovessero necessariamente corrispondere alle effettive esigenze sanitarie della popolazione detenuta. Inoltre, il comma 10 dell'art. 11, ha attribuito all'amministrazione penitenziaria la facolta' di avvalersi per l'organizzazione e il funzionamento dei servizi sanitari della collaborazione dei servizi pubblici sanitari locali ospedalieri ed extra ospedalieri. Il quadro normativo sulla materia e', poi, stato completato dal successivo d.P.R. 431 del 1976 «Regolamento di esecuzione della legge 26 luglio 1975, n. 354, Ordinamento penitenziario», ora modificato con il d.P.R. 230/2000. E' indubbio, quindi, che il Legislatore del 1975 ha previsto come l'organizzazione sanitaria penitenziaria fosse rimessa, in via esclusiva, alla amministrazione penitenziaria, con la facolta', per quest'ultima, di richiedere ai servizi sanitari pubblici del territorio la collaborazione ritenuta utile, nel caso di specie. Non sembra che tale impostazione abbia subito trasformazioni a seguito della legge 833/1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, la quale non fa menzione della sanita' penitenziaria. Il dibattito sorto successivamente a tale normativa ha visto due fronti contrapposti: l'uno costituito dai sostenitori dell'autonomia della sanita' penitenziaria, proprio in assenza di norme sul punto, nell'ambito della legge n. 833/1978; l'altro costruito dai sostenitori della tesi opposta, che vedeva la sanita' penitenziaria, oramai, riassorbita dal servizio sanitario nazionale proprio perche' non espressamente derogata da detta legge. La vicenda ha trovato composizione a seguito dell'intervento del parere del Consiglio di Stato, n. 305 del 7 luglio 1987, che si e' espresso confermando la esclusiva competenza della amministrazione penitenziaria in materia di diritto alla salute della popolazione detenuta, confermando la tesi favorevole sulla conservazione dell'assistenza sanitaria «tra i compiti riservati allo Stato, da svolgere con le preesistenti strutture del servizio sanitario penitenziario». A partire tuttavia dalla legge n. 419 del 1998 («Delega al governo per la razionalizzazione del servizio sanitario nazionale ...») sino ad arrivare alla legge finanziaria per il 2008 e' stato avviato un progetto di riforma penitenziaria inteso a razionalizzare il costoso sistema sanitario generale del Paese e soggetto alla regola generale che vieta «oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato». Con le risorse disponibili e' stata quindi avviata la razionalizzazione del sistema sanitario generale, con l'obiettivo non rinunciabile di «perseguire la piena realizzazione del diritto alla salute», da assicurare con meccanismi idonei a completare il processo di regionalizzazione ... nonche' a «razionalizzare le strutture e le attivita' connesse alle prestazioni di servizi sanitari, al fine di eliminare sprechi e disfunzioni» (art. 2 della legge 419 del 1998). Il comma 283 dell'art. 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008), in particolare, ha previsto, tra l'altro, che «sono definiti nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza previsti dalla legislazione vigente e delle risorse finanziarie (...) b) le modalita' e le procedure (...) per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale dei rapporti di lavoro in essere (...) relativi all'esercizio di funzioni sanitarie nell'ambito del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia, con contestuale riduzione delle dotazioni organiche dei predetti dipartimenti in misura corrispondente alle unita' di personale di ruolo trasferite al Servizio sanitario nazionale». Il d.P.C.m. 1° aprile 2008 summenzionato, che ha dato attuazione al suddetto comma, si e' preoccupato di disciplinare dal punto di vista operativo (art. 1) «le modalita', i criteri e le procedure per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, delle risorse finanziarie, dei rapporti di lavoro, delle attrezzature, arredi e beni strumentali relativi alla sanita' penitenziaria». Il provvedimento prevede quindi che, ai fini dell'esercizio delle funzioni sanitarie afferenti alla medicina penitenziaria da parte del Sistema sanitario nazionale, siano trasferite allo stesso risorse finanziarie cosi' quantificate: 157,8 milioni di euro per l'anno 2008; 162,8 milioni di euro per l'anno 2009; 167,8 milioni di euro a decorrere dall'anno 2010. La suddetta disposizione non e' assolutamente estranea alle esigenze di coordinamento della finanza pubblica, in quanto tende a contenere i costi del Servizio sanitario. L'art. 6, comma quarto, del predetto decreto stabilisce infatti espressamente che dalla sua applicazione «non devono derivare oneri a carico della finanza pubblica superiori all'ammontare delle risorse complessivamente trasferite al Servizio sanitario nazionale ai sensi del comma 1». In tale contesto, non e' peraltro senza significato che la disposizione - a conferma di quella che appare essere la sua specifica finalita' (commisurare l'attuazione del diritto alla salute alle effettive disponibilita' finanziarie dell'ente territoriale) - sia stata inserita nelle norme attuative attinenti alla programmazione finanziaria. Come codesta ecc.ma Corte ha avuto gia' modo di affermare in piu' occasioni, non appare dubbio che nel sistema di assistenza sanitaria - delineato dal legislatore nazionale fin dalla emanazione della legge di riforma sanitaria 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del Servizio sanitario nazionale) - l'esigenza di assicurare la universalita' e la completezza del sistema assistenziale nel nostro Paese si e' scontrata, e si scontra ancora attualmente, con la limitatezza delle disponibilita' finanziarie che annualmente e' possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario. Il legislatore regionale ha pertanto violato i confini entro cui sarebbe stato legittimo il suo intervento regolativo della materia, avendo esso operato un incauto scollamento con la disciplina statale. Posto, quindi, che, in forza del terzo comma dell'art. 117 Cost., il coordinamento della finanza pubblica e' materia di legislazione concorrente (come sarebbe confermato dal secondo comma dell'art. 119 Cost.), per cui allo Stato e' riservata la determinazione dei principi fondamentali nell'ambito e nel rispetto dei quali puo' legittimamente esplicarsi la potesta' legislativa delle regioni, la legge regionale censurata si e' profondamente discostata da detti principi, prevedendo l'inquadramento del personale sanitario incaricato ai sensi della legge n. 740/1970 nei ruoli del Servizio sanitario regionale. L'art. 1, comma 2, della legge della Regione Calabria n. 46 del 31 dicembre 2008, comportando l'inquadramento nei ruoli del Servizio sanitario regionale dei dirigenti medici che sono stati ammessi all'incarico di cui alla legge n. 740 del 1970 mediante pubblico concorso per titoli ed in possesso del solo diploma di laurea in medicina e chirurgia, contrasta altresi' con il principio fondamentale in materia di tutela della salute di cui all'art. 15 del d.lgs. n. 502 del 1992 e all'art. 24 del d.P.R. n. 483 del 1997, secondo i quali alla dirigenza sanitaria si accede per concorso pubblico per titoli ed esami solo se in possesso della laurea e della specializzazione nella disciplina oggetto del concorso. La disposizione impugnata appare, quindi, costituzionalmente illegittima, perche' attribuirebbe il diritto al conferimento degli incarichi dirigenziali in questione a soggetti privi dei requisiti stabiliti dalla normativa statale, ovvero della specializzazione nella disciplina oggetto del concorso. Cosi' disponendo la disposizione regionale eccede dalla competenza legislativa concorrente attribuita alla regione in materia di tutela della salute e viola l'art. 117, terzo comma, della Costituzione. Ne', d'altra parte, potrebbe mettersi in dubbio il fatto che la competenza legislativa statale lesa si giustifica, nel caso di specie, «sotto il profilo della tutela della salute» (materia «ripartita» tra Stato e regioni). Rileva, infatti, la stretta inerenza che la disciplina dell'accesso alla dirigenza professionale dei Servizi sanitari locali presenta con le condizioni per la fruizione delle prestazioni rese agli utenti, essendo queste ultime dipendenti, sotto molteplici aspetti, dalla professionalita' e dall'impegno di tutti i sanitari addetti ai servizi, e segnatamente di coloro che rivestono una posizione apicale (sentenze n. 181 del 2006 e n. 449 del 2006).