IL TRIBUNALE 
    Ha  pronunziato  la   seguente   ordinanza   di   non   manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
61, comma uno, n.11-bis c.p., introdotto all'art.  l,  lett.  f)  del
decreto-legge n. 92 del 23 maggio 2008, in relazione agli artt. 3, 25
e 27 Cost. 
Premessa. 
    In data 3 giugno 2008, Sene Malick, nato in Senegal il 1º gennaio
1977, veniva presentato in  stato  di  arresto  dinanzi  al  presente
giudice ai sensi dell'art. 558 c.p.p. per  essere  giudicato  con  il
rito direttissimo dei seguenti reati tutti commessi in data 1º giugno
2008: 
        a) delitto p. e p. dagli artt.  337  e  61  n.  11-bis,  c.p.
perche' usava violenza nei confronti del car. Pagano Vincenzo  e  del
car. Catera  Vincenzo,  pubblici  ufficiali  in  servizio  presso  la
Stazione  Carabinieri  di  Villaggio  Mose'  e  di  Villaseta  ed  in
particolare sferrava  una  gomitata  al  volto  del  Pagano,  nonche'
colpiva il Catera  alla  mano  sinistra,  al  fine  di  opporsi  alle
operazioni di identificazione personale. Fatto aggravato  dall'essere
stato commesso da soggetto che si trovava illegalmente sul territorio
nazionale; 
        b) delitti p. e p. dagli artt. 81 c.p.v., 582, 585, 61 n.  2,
11-bis c.p., perche' con piu' azioni esecutive del  medesimo  disegno
criminoso, al fine di eseguire il reato  di  cui  al  capo  a)  della
rubrica, procurava dapprima al car. Pagano Vincenzo lesioni personali
consistite in  «trauma  contusivo  spalla  destra  con  escoriazione,
contusione piramide nasale» con prognosi di giorni sei ed in  seguito
procurava al car. Catera  Vincenzo,  lesioni  fisiche  consistite  in
«contusione spalla sinistra, piccola escriazione del polso  sinistro»
con  prognosi  di  giorni  uno.  Fatto  aggravato  dall'essere  stato
commesso  da  soggetto  che  si  trova  illegalmente  sul  territorio
nazionale; 
        c) delitto p. e p. dall'art. 14, comma cinque-ter, d.lgs.  n.
286/1998, perche',  senza  giustificato  motivo,  si  tratteneva  nel
territorio dello Stato in violazione dell'ordine  di  espulsione  del
Questore di Agrigento emesso in data 16 gennaio 2008 e notificato  in
pari data. 
    All'udienza  del  3  giugno  2008,  il   giudice   provvedeva   a
convalidare l'arresto e rigettando la richiesta di  misura  cautelare
formulata dal p.m., disponeva l'immediata liberazione  dell'imputato.
Instauratosi il giudizio direttissimo, il difensore chiedeva  termine
a difesa. 
    All'udienza  dell'8  luglio  2008,  a  seguito  dell'istanza  del
difensore munito di procura speciale, il giudice disponeva procedersi
nelle forme del rito abbreviato e sentite le  parti  si  ritirava  in
camera di consiglio. 
    All'esito,  ritenutane  la   rilevanza   e   la   non   manifesta
infondatezza ai sensi dell'art. 23, legge  11  maggio  1953,  n.  87,
sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art.  61,  n.
11-bis c.p. 
Rilevanza della questione di costituzionalita'. 
    Gli elementi di prova acquisiti in atti  consentono  di  ritenere
provata la responsabilita' dell'imputato in ordine  alle  fattispecie
contestategli. 
    Dal verbale di arresto emerge che il Sene Malick, di nazionalita'
senegalese, in data 1º giugno 2008 era intento a vendere occhiali  da
sole e altra mercanzia sul lungomare di S. Leone ad  Agrigento.  Alla
vista dei carabinieri della Stazione di Villaseta, si dava alla  fuga
e accidentalmente cadeva. 
    Raggiunto dai Militari dava in escandescenza e  colpiva  con  una
gomitata al viso il carabiniere Pagano, e procurava, altresi',  delle
escoriazioni alla mano al carabiniere Catera. 
    Dai  referti  medici  in   atti   risulta   effettivamente,   con
riferimento al Pagano, un trauma contusivo  alla  spalla  destra  con
escoriazione e contusione alla piramide nasale (prognosi di giorni 6)
e, con riferimento al Catera, una contusione alla spalla  sinistra  e
un'escoriazione del polso sinistro (prognosi di giorni 1). 
    Il Sene, privo di permesso di  soggiorno  e  destinatario  di  un
ordine di espulsione da parte del  Questore  di  Agrigento  emesso  e
notificatogli  in  data  16  gennaio  2008,  si  trovava  in   Italia
illegalmente. Risulta, dunque, provata  anche  la  sussistenza  della
contestata circostanza aggravante prevista dall'art.  61,  n.  11-bis
c.p., introdotto dall'art. 1, lett. f) del  decreto-legge  23  maggio
2008, n. 92. 
    La necessita' di procedere  alla  determinazione  della  pena  in
ordine ai reati indicati ai capi a) e b),  entrambi  aggravati  dalla
circostanza  prevista   dall'art.   61,   n.   11-bis   c.p.,   rende
pregiudiziale   la   risoluzione   del   dubbio    di    legittimita'
costituzionale della  suddetta  norma,  che,  per  i  motivi  che  si
indicano di seguito, appare non manifestamente infondato. 
Non manifesta infondatezza della questione. 
    1. - Il legislatore con il d.l. n.  92  del  23  maggio  2008  ha
aggiunto al novero delle aggravanti  comuni  previste  dall'art.  61,
primo comma, c.p. quella di  chi  ha  commesso  il  fatto  trovandosi
illegalmente sul territorio nazionale (n. 11-bis). 
    L'aggravante  cosi'  introdotta  pare  fondarsi  sulla   maggiore
capacita' a delinquere  del  reo  a  cui  puo'  muoversi  un  duplice
rimprovero: 
        la precedente condotta illegale con cui ha violato  le  norme
sull'ingresso  e  la  permanenza  degli  stranieri  in  Italia  e  la
permanente   ed   attuale   condizione   di   illegalita'   derivante
dall'assenza del permesso di soggiorno o del visto d'ingresso. 
    La maggiore meritevolezza di  pena,  parrebbe  fondarsi,  da  una
parte, sul fatto che il reo si e' reso responsabile in precedenza  di
una violazione  delle  norme  di  legge  regolanti  l'ingresso  o  la
permanenza dello straniero nel territorio italiano, dall'altra, sulla
maggiore pericolosita' di tale soggetto che si trova in Italia  nella
condizione di irregolarita' o clandestinita'. 
    2. - Questa essendo la ratio della norma, non sembra infondato il
dubbio di costituzionalita'  della  stessa  sotto  il  profilo  della
violazione  del  principio  di  offensivita'   del   diritto   penale
ricavabile dagli artt. 25 e 27 Cost. e del principio di uguaglianza e
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. 
    Appare  dubbio,  infatti,  con  riferimento   al   principio   di
offensivita' del diritto penale, che  possano  rimproverarsi  al  reo
precedenti  condotte  illecite,  quali  la  violazione  delle   norme
regolanti l'immigrazione degli stranieri nel territorio italiano, che
con il fatto reato sono in rapporto di mera  antecedenza  cronologica
senza che vi sia anche un correlazione fondata sull'affinita'  con  i
beni-interessi protetti dalle  diverse  norme  violate  ovvero  sulla
pericolosita' delle precedente condotta  illecita  rispetto  al  bene
tutelato dalla norma penale successivamente violata. 
    Nella misura in cui il  bene  protetto  dalla  norma  penale  (ad
esempio  il  patrimonio,   la   liberta'   personale,   l'incolumita'
individuale, etc. ...) non ha attinenza con il controllo  dei  flussi
migratori a cui presiedono le norme sull'ingresso e la permanenza  in
Italia  degli  stranieri,  sembra  irragionevole  che  la  precedente
violazione venga punita mediante l'aggravante in occasione del  reato
commesso sul territorio  italiano  senza  che  tra  l'una  e  l'altra
violazione vi sia alcun valido nesso. 
    Conseguentemente, avuto riguardo al principio di  uguaglianza  di
cui all'art. 3  Cost.,  con  tale  aggravante  si  applica  al  fatto
commesso dallo straniero  irregolare  o  clandestino  una  pena  piu'
elevata rispetto ad analoghe condotte poste in  essere  da  cittadini
italiani o stranieri regolari,  senza  alcun  elemento  che  valga  a
rendere il reato del primo meritevole di una pena  maggiore  rispetto
al reato commesso dai secondi. 
    3.  -  La  difficolta'  di  giustificare  in   chiave   di   pari
trattamento, ragionevolezza e  offensivita'  l'aggravante  introdotta
con  il  d.l.  citato  non  sembra  poter  essere  superata  con   la
considerazione che  il  legislatore  non  si  limita  a  prendere  in
considerazione la mera precedente violazione  ma  il  conseguente  ed
attuale status di irregolare  o  clandestino  perdurante  al  momento
della commissione del fatto. 
    Non  sembra,  infatti,   -   anche   sulla   scorta   di   alcune
considerazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n.
22/2007   in   ordine   alla   non   traducibilita'   del    fenomeno
dell'immigrazione clandestina in un mero problema di ordine  pubblico
- che tale condizione possa legittimamente  essere  individuata  come
indice di pericolosita' del soggetto agente: nulla, infatti, puo' far
ritenere che chi giunga o rimanga in Italia in violazione delle leggi
sull'ingresso  e  la  permanenza  degli   stranieri   manifesti   una
propensione a delinquere. 
    Lo stato di illegalita' dello straniero,  puo',  al  piu'  e  con
buona approssimazione, indicare una situazione di indigenza del  reo,
dal momento che la legislazione italiana subordina  il  rilascio  del
visto e del permesso di  soggiorno  al  possesso  di  adeguati  mezzi
economici ovvero alla titolarita' di un lavoro regolare  (cfr.  artt.
4, comma 3, 5 e 21 e segg. d.lgs. n. 286/1998). 
    Far  discendere  da  tale  presunta  condizione   di   indigenza,
un'ulteriore  presunzione  di  pericolosita'  sembra  comportare  una
criminalizzazione di condizioni di vita  del  reo  che  solo  in  via
lontana ed ipotetica sono collegate con  l'offesa  al  bene  protetto
dalla norma incriminatrice. Tanto piu' che, anche a voler individuare
nella situazione di  bisogno  economico  o  indigenza  in  cui  versa
l'immigrato  clandestino   o   irregolare   un   valido   indice   di
pericolosita',  tale  condizione   non   gli   e'   in   alcun   modo
rimproverabile. 
    L'aggravante di cui all'art. 61, n. 11-bis c.p. viene, dunque, da
un lato, ad  imputare  al  reo  uno  status  -  quello  di  immigrato
clandestino - che di per se' non presenta attinenza con gli interessi
protetti dalle  norme  incriminatrici  e  non  esprime  una  maggiore
capacita' a delinquere; dall'altro, indirettamente, una condizione di
bisogno e precarieta' economica che, innanzitutto, non e'  riferibile
di per se' ad una scelta colpevole del reo, e, in ogni caso, non puo'
certo ritenersi una conseguenza di tale violazione. 
    4. - Il sospetto di incostituzionalita' e', dunque, ingenerato: 
        dalla difficile compatibilita' tra la norma e il principio di
offensivita' del diritto penale nella  misura  in  cui  si  puniscono
condotte  prive  di  disvalore  rispetto  al  bene   protetto   dalla
fattispecie penale; 
        dall'irragionevolezza di riconnettere un aumento  di  pena  a
condotte antecedenti al fatto che non hanno alcun legame con questo; 
        dall'ingiustificata disparita' di trattamento derivante dalla
punizione di un medesimo fatto di reato in modo diverso in  relazione
ad una circostanza - lo stato di clandestinita' o irregolarita' - che
non rileva ne'  sulla  gravita'  del  fatto  ne'  sulla  capacita'  a
delinquere del reo. 
    5. - Il dubbio e' rafforzato dalla comparazione della  aggravante
in parola con altre aggravanti  analoghe  gia'  presenti  nel  nostro
ordinamento. 
    Da  tale  raffronto  emerge,  infatti,  che,  sebbene   l'attuale
legislazione  conosca  diverse  ipotesi  in  cui  al   fine   di   un
aggravamento  di  pena  si  valutano  condotte  precedenti  e  status
personali del reo,  in  tanto  cio'  accade  in  quanto  a  chi  deve
applicare tali norme sia consentito valutare in concreto  l'incidenza
di tali precedenti condotte sulla capacita' a delinquere  del  reo  e
sulla gravita' del reato ovvero in quanto tali status derivino da  un
precedente accertamento in concreto della maggiore pericolosita'  del
reo e dell'intensita' della sua indole criminale. 
    Il fatto, dunque, che la nuova aggravante introdotta con il  d.l.
n. 92/2008 non  consenta  al  giudice  di  valutare  in  concreto  la
personalita'  del  reo  e  che,  inoltre,  fondi  la  presunzione  di
pericolosita' su una violazione amministrativa che non consegue ad un
giudizio di pericolosita'  in  concreto  non  fa  che  confermare  la
difficolta' di armonizzare  la  nuova  aggravante  con  il  principio
costituzionale di offensivita' del diritto penale. 
    5.1. - Viene  in  rilievo,  innanzitutto,  il  confronto  con  la
disciplina della recidiva che, analogamente  a  quanto  e'  stabilito
dall'aggravante di cui  all'art.  61,  n.  11-bis  c.p.,  prevede  un
aumento di pena nei confronti del reo che abbia in  precedenza  posto
in essere una condotta illecita. 
    La prima differenza evidente e' che l'aggravante di cui  all'art.
99 c.p. si applica a  chi  ha  commesso  in  precedenza  delitti  non
colposi mentre l'aggravante dell'art. 61, n. 11-bis c.p. si applica a
chi ha commesso una violazione amministrativa. 
    Tale differenza di presupposti sebbene significativa non  sembra,
pero',  essere  decisiva  in  quanto   il   legislatore   nella   sua
discrezionalita' puo' ben ritenere che una violazione  amministrativa
possa essere indice di maggiore capacita' a delinquere. 
    La differenza piu' rilevante e che sembra suffragare il  giudizio
di incostituzionalita' della norma  in  questione,  attiene,  invece,
alle modalita' di applicazione di tali aggravanti. 
    Com'e' noto,  in  relazione  al  riconoscimento  della  recidiva,
infatti,  il  giudice  e'  chiamato  a   compiere   una   preliminare
valutazione delle precedenti  condanne  del  reo  per  verificare  se
l'ulteriore reato sia indice di  una  accentuata  colpevolezza  e  di
maggiore pericolosita' (cosi' Corte cost. n. 192 del 14 giugno 2007). 
    Tale giudizio in tanto e' possibile in quanto il  legislatore,  a
seguito della novella introdotta con la legge 7 giugno 1974, n. 220 -
e salvo l'ipotesi del quinto comma dell'art. 99 c.p. - ha  utilizzato
l'espressione «puo»  che  ha  lasciato  al  giudice  la  facolta'  di
decidere  se  riconoscere  o  meno  l'aggravante  in   relazione   ai
summenzionati criteri di giudizio (colpevolezza e pericolosita'). 
    Nell'applicazione dell'aggravante dell'art. 61, n.  11-bis  c.p.,
invece, non e' consentita al giudice l'operazione volta a selezionare
in concreto le ipotesi in cui la violazione delle norme sull'ingresso
degli  stranieri  da  parte  del  reo  effettivamente  determina  una
maggiore meritevolezza  di  pena  da  quelle  in  cui,  invece,  tale
condotta antecedente del reo rimanga  neutra  ai  fini  del  giudizio
sulla sua capacita' a delinquere. 
    Il  legislatore,  infatti,  non  ha  lasciato  al  giudice   tale
discrezionalita'  e,  come  nelle  altre   ipotesi   di   circostanze
aggravanti indicate nell'art. 61 c.p., ne ha  imposto  l'applicazione
salvo  la  scelta  della  misura  dell'aumento  di  pena  ovvero  del
bilanciamento con eventuali attenuanti. 
    In tal modo,  dunque,  a  differenza  di  quanto  accade  per  il
recidivo - che,  pure,  in  precedenza  ha  commesso  una  violazione
penalmente rilevante - si e' stabilita una  presunzione  assoluta  di
maggiore capacita' a delinquere del soggetto che ha posto  in  essere
una  precedente  violazione  amministrativa,  senza  possibilita'  di
riscontrare concretamente tale giudizio normativo con altri  elementi
di fatto. 
    5.2. - Considerazioni  analoghe  valgono  nel  raffronto  tra  la
aggravante dell'art. 61, n. 11-bis c.p. e le ipotesi di legge in  cui
vengono in rilievo status  personali  ai  fini  della  determinazione
della pena. 
    Presentano attinenza con la norma in questione,  in  particolare,
l'aggravante di cui all'art. 61, n. 6 c.p. che si applica  a  chi  ha
commesso il fatto mentre si sottraeva volontariamente ad un ordine di
cattura e l'aggravante di cui all'art. 7, legge n.  575/1965  che  si
applica, solo in relazione ad alcuni reati, quando siano commessi  da
chi e' stato sottoposto ad una misura di prevenzione, nel periodo  di
vigenza della misura ovvero nei tre anni successivi. 
    Da un approfondimento delle norme ora citate emerge con  evidenza
la  maggiore  concretezza  del  giudizio  di   pericolosita'   e   di
riprovevolezza presupposto da tali norme rispetto a quello  implicito
nell'aggravante introdotta con il d.l. cit. 
    E, infatti, quanto all'aggravante  prevista  all'art.  61,  n.  6
c.p., si osserva che, mentre quest'ultima si riferisce a soggetti che
sono stati ritenuti pericolosi sulla base di un accertamento di fatto
e di seri indizi in ordine alla commissione di un reato di una  certa
gravita' tanto  da  giustificare  una  misura  custodiale,  nel  caso
dell'art. 61, n.11-bis,  c.p.,  l'aumento  di  pena  si  riferisce  a
soggetti che hanno compiuto una violazione amministrativa e  rispetto
ai quali non  e'  stata  espressa  nessuna  valutazione  concreta  di
pericolosita' sulla base di un provvedimento specifico. 
    Inoltre, mentre la prima aggravante  si  applica  a  chi  con  il
sottrarsi  volontariamente  alla  cattura  ha  posto  in  essere  una
condotta che e' di per se' ragione di allarme, la seconda si  applica
allo straniero clandestino o  irregolare  per  il  solo  fatto  della
violazione delle norme sull'ingresso e la permanenza in Italia  degli
stranieri senza che rilevi una successiva condotta volta a  sottrarsi
alle conseguenze di tale violazione. 
    E  le  stesse  considerazioni  possono  farsi   con   riferimento
all'aggravante prevista dall'art. 7, legge n.  575/1965:  i  soggetti
per i quali e' previsto tale aumento di  pena  sono  stati  giudicati
pericolosi da un Tribunale ai sensi della legge n.  1423/1956  ovvero
della legge n. 575/1965 e ad essi si applica l'aumento di  pena  solo
in quanto abbiano compiuto determinate ipotesi di reato e solo se  il
fatto sia stato commesso entro un certo periodo di tempo (fino a  tre
anni dalla cessazione della misura). 
    Al contrario, l'aggravante di cui all'art.  61,  n.  11  c.p.  si
applica a tutti i reati commessi dallo straniero  e  pur  quando  sia
trascorso molto tempo dalla violazione delle norme  sull'immigrazione
senza possibilita' che il decorso del tempo possa incidere  in  alcun
modo a meno che lo straniero perda la sua condizione di illegalita'. 
    6. - L'attuale legislazione conferma, dunque, che in  tanto  puo'
considerarsi lo status personale del reo ai fini di  un  aggravamento
della pena, in quanto la pericolosita' del soggetto si fondi su  dati
concreti e specifici (le esigenze cautelari della misura  custodiale,
ovvero il giudizio di pericolosita' fondante  l'applicazione  di  una
misura di prevenzione) e  purche'  tali  dati  manifestino  un'indole
criminale che giustifichi il giudizio di maggiore riprovevolezza  del
successivo fatto-reato  commesso  (i  gravi  indizi  di  reato  e  la
sottrazione all'ordine di  cattura  del  latitante,  la  personalita'
criminale fondante la misura di prevenzione). 
    Anche quando,  come  nel  caso  dell'aggravante  della  recidiva,
l'aumento e' connesso al  dato  formale  dei  precedenti  penali,  il
legislatore affida al giudice il compito di  verificare  in  concreto
l'esistenza di una correlazione tra la precedente condotta delittuosa
e  quella  posta  in  essere  in  chiave  di  maggiore  capacita'   a
delinquere. 
    La norma introdotta nel d.l. n. 92 del 2008 sembra discostarsi da
questo schema sotto entrambi i profili: il giudizio di  pericolosita'
e' legato ad un dato formale, quale la condizione di illegalita', che
prescinde da un accertamento concreto, e la  maggiore  riprovevolezza
del reato commesso dallo straniero irregolare e' affidata  unicamente
alla circostanza della violazione di carattere  amministrativo  delle
norme sull'ingresso in Italia a prescindere da ogni  altro  dato  che
valga a supporre una propensione al  crimine  ovvero  ad  individuare
nella  precedente  violazione  amministrativa  un   antecedente   non
meramente cronologico ma in senso lato causale del reato di cui si e'
reso responsabile. 
    7. - In conclusione si osserva  quanto  segue:  il  principio  di
necessaria offensivita' del diritto penale costituisce un limite alla
discrezionalita' del legislatore nel senso di non consentire che  per
finalita' di mera deterrenza siano introdotte  sanzioni  che  non  si
ricollegano a fatti colpevoli ma, piuttosto, a modi  d'essere  ovvero
ad una mera disobbedienza priva di disvalore (anche  potenziale)  per
un determinato bene giuridico protetto (cfr. Corte cost.  n.  364/88,
n. 58/1995, n. 263/2000 e n. 354/2002). 
    Nell'ambito della disciplina delle circostanze  del  reato,  tale
principio sembra  tradursi  nella  necessita'  di  una  relazione  di
adeguatezza tra la  condotta  o  la  situazione  a  cui  e'  connesso
l'aggravamento di pena e il fatto di reato, tale che questo  non  sia
semplicemente  la  condizione  al  cui  verificarsi  si  punisce   un
precedente illecito  o  una  condotta  di  vita,  ma,  piuttosto,  la
realizzazione  del  pericolo  che  la  norma  in  precedenza  violata
intendeva  prevenire  ovvero  che  la  propria   condotta   di   vita
ingenerava. 
    La norma in questione, congegnata in modo tale da far  discendere
il suo riconoscimento automaticamente dall'accertamento  dello  stato
amministrativo dello straniero immigrato, sembra porsi  in  contrasto
con tali criteri traducendosi in una sanzione applicata in  occasione
della realizzazione di qualsiasi fatto  di  reato  e  senza  che  sia
accertato alcun legame di adeguatezza tra tale fatto e la condotta  o
la condizione a cui e' collegato l'aumento di pena. 
    Prescindendosi da ogni  accertata  messa  in  pericolo  dei  beni
tutelati dalla norma penale violata e semplicemente  applicandosi  in
occasione  della  violazione  di  quest'ultima,  l'aggravante  sembra
punire una mera disobbedienza (violazione delle  norme  sull'ingresso
nel territorio italiano) e un tipo d'autore (lo straniero clandestino
o irregolare). 
    In questo senso non e'  manifestamente  infondato  il  dubbio  di
legittimita' costituzionale dell'art. 61, n. 11-bis c.p. in relazione
agli artt. 3, 25 e 27 Cost.