Sentenza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 219 del  codice
penale promosso dal Giudice per l'udienza preliminare  del  Tribunale
di Trapani nel procedimento penale a carico di P. G.,  con  ordinanza
del 25 giugno 2008, iscritta al n. 359 del registro ordinanze 2008  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, 1ª  serie
speciale, dell'anno 2008; 
    Udito nella Camera di consiglio del 20  maggio  2009  il  giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Il  Giudice  per  l'udienza  preliminare  del  Tribunale  di
Trapani, con ordinanza depositata il 25 giugno 2008, ha sollevato, in
riferimento agli articoli 3 e 32  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 219  del  codice  di  procedura
penale (recte: del codice penale), «nella parte in cui  non  consente
al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero
in casa di cura e custodia, una diversa misura di sicurezza, prevista
dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell'infermo di mente
e a far fronte alla sua pericolosita' sociale». 
    2.  -  Il  giudice  a  quo  premette  che,  in  sede  di  udienza
preliminare, l'imputato P. G., chiamato a rispondere del  delitto  di
cui  all'art.  609-quater  del  codice  penale  (atti  sessuali   con
minorenne), ha chiesto  di  essere  giudicato  con  rito  abbreviato,
condizionato all'espletamento di perizia psichiatrica. 
    Il  perito  ha  ritenuto  l'imputato  capace  di  partecipare  al
processo,  ma   seminfermo   di   mente   al   momento   del   reato,
riconoscendone, altresi', la pericolosita' sociale attuale. 
    All'esito della discussione il giudicante, ritiratosi  in  Camera
di  consiglio,  «ha  raggiunto  la  conclusione   di   affermare   la
responsabilita' dell'imputato, concedendogli le attenuanti generiche,
l'attenuante del fatto di  minore  gravita'  e  la  diminuente  della
seminfermita',  infliggendogli  una  pena  (non  sospesa  stante   il
pericolo di reiterazione) di un anno e sei mesi di reclusione». 
    A norma dell'art. 219  cod.  pen.,  essendo  stata  applicata  la
riduzione per seminfermita'  ed  in  presenza  di  una  pericolosita'
attuale, deve essere disposta una misura di sicurezza. 
    Il rimettente prosegue osservando che, nella scelta della misura,
il giudice si trova vincolato dal disposto del citato art.  219,  che
distingue le misure di sicurezza applicabili facendo riferimento alla
pena minima edittale prevista dalla legge e, in particolare, rendendo
obbligatoria l'assegnazione a casa di cura e di custodia nel caso  in
cui «la pena stabilita dalla legge non e' inferiore a cinque anni». 
    In base a consolidata giurisprudenza (Cass., sentenze n. 281  del
1981 e n. 9044 del 1977), «Per il calcolo della pena, ai  fini  della
determinazione della durata minima del ricovero in una casa di cura e
di custodia, vale il  principio  stabilito  dall'art.  157  del  cod.
pen.». Pertanto, ad avviso del rimettente, il legislatore  del  2005,
nel modificare il terzo comma della  norma,  ha  inciso  anche  sulla
disciplina prevista dall'art. 219 cod. pen., rendendo inoperanti,  ai
fini del calcolo della pena, le diminuzioni per l'applicazione  delle
circostanze  attenuanti  e  rendendo  obbligatoria  l'adozione  della
misura di sicurezza del ricovero in una casa di cura  e  di  custodia
anche in relazione  a  fattispecie  per  le  quali,  nel  trattamento
precedente, essa non lo era. 
    Tale disciplina si rivela illogica considerando che, nei casi  di
minore gravita' previsti dall'art.  609-quater,  quarto  comma,  cod.
pen., «la pena e' diminuita fino a due terzi», sicche', in  relazione
a  manifestazioni  di  pericolosita'  anche  modeste,   e'   ritenuto
obbligatorio un apparato sanzionatorio sproporzionato. 
    In  sostanza,  ai  fini  del  contenimento  della   pericolosita'
dell'imputato, l'attuale sistema impone di  applicare  la  misura  di
sicurezza dell'assegnazione a casa di cura e di custodia, anche se la
pericolosita' dell'imputato potrebbe essere arginata con la misura di
sicurezza meno grave della liberta'  vigilata,  con  prescrizione  di
dimora  presso  una  comunita'  terapeutica   assistita.   La   norma
sospettata di illegittimita'  costituzionale  si  rivela  ancor  piu'
irragionevole, e lesiva del diritto alla salute, se si  considera  la
precedente pronunzia di questa Corte (sentenza n. 253 del  2003),  la
quale  ha  ritenuto  costituzionalmente   illegittimo   il   disposto
dell'art. 222 cod. pen., in  quanto  non  consente  di  adottare  nei
confronti dell'imputato «in  luogo  della  misura  di  sicurezza  del
ricovero in ospedale giudiziario, una diversa  misura  di  sicurezza,
prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure  all'infermo
di mente ed a far fronte alla sua pericolosita' sociale». 
                       Considerato in diritto 
    1. - Il  Giudice  per  l'udienza  preliminare  del  Tribunale  di
Trapani, con l'ordinanza indicata in epigrafe dubita, in  riferimento
agli  articoli  3  e  32  della  Costituzione,   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 219 del codice penale, «nella parte  in  cui
non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo
del ricovero in casa di  cura  e  custodia,  una  diversa  misura  di
sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare  adeguate  cure
all'infermo di mente ed a far fronte alla sua pericolosita' sociale». 
    2. - Il rimettente riferisce di essere chiamato  a  giudicare  un
soggetto, imputato del delitto di cui all'art. 609-quater  cod.  pen.
(atti  sessuali  con  minorenne),  il  quale  ha  richiesto  il  rito
abbreviato, condizionato all'espletamento  di  perizia  psichiatrica.
All'esito della perizia,  l'imputato  e'  stato  ritenuto  capace  di
partecipare al processo, ma seminfermo di mente al momento del reato;
inoltre, e' stata affermata la sua attuale pericolosita' sociale. 
    Il giudice a quo aggiunge di essere  pervenuto  alla  conclusione
che l'imputato e' colpevole e che gli va  applicata  la  pena  -  non
sospesa stante il pericolo di reiterazione - di un anno e sei mesi di
reclusione,   previa   concessione   delle   attenuanti    generiche,
dell'attenuante del fatto di minore gravita' e della diminuente della
seminfermita' di mente. Inoltre, avuto riguardo a tale diminuente  ed
in presenza di una pericolosita' attuale, ai sensi dell'art. 219 cod.
pen. va disposta una misura di sicurezza, nella scelta  della  quale,
peraltro, il giudice e' vincolato dal disposto della norma, che rende
obbligatoria l'assegnazione a casa di cura e di custodia nei casi  in
cui «la pena stabilita dalla legge non e' inferiore  a  cinque  anni»
(come nel caso in esame). 
    Secondo consolidata giurisprudenza «per il calcolo della pena, ai
fini della determinazione della durata minima  del  ricovero  in  una
casa di cura e di custodia, vale il principio stabilito dall'art. 157
cod. pen.». Pertanto il legislatore, mediante  la  riforma  di  detta
norma attuata con l'art. 6  della  legge  5  dicembre  2005,  n.  251
(Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.  354,  in
materia  di  attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio   di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), ha inciso anche sulla  disciplina  prevista  dall'art.
219 cod. pen., rendendo inoperanti, ai fini del calcolo  della  pena,
le riduzioni conseguenti alle circostanze attenuanti e cosi'  facendo
divenire obbligatoria l'adozione dell'indicata  misura  di  sicurezza
anche per fattispecie in cui, nel regime precedente, non lo era. 
    Tale disciplina, prosegue  il  rimettente,  si  rivela  illogica,
irragionevole e lesiva del diritto alla salute, considerando che, nei
casi di minore gravita' previsti dall'art. 609-quater, quarto  comma,
cod. pen., la pena e' diminuita fino a  due  terzi.  Ne  deriva  che,
anche con riferimento a manifestazioni di pericolosita'  modeste,  e'
divenuto   obbligatorio   applicare   la    misura    di    sicurezza
dell'assegnazione  a  casa  di  cura  e  di  custodia,   benche'   la
pericolosita' del soggetto possa essere arginata con la  misura  meno
grave della liberta' vigilata, con prescrizione di dimora presso  una
comunita' terapeutica assistita. 
    3. - La questione e' inammissibile. 
    3.1. - L'art. 219 cod. pen. (Assegnazione a una casa di cura e di
custodia) dispone, nel primo comma, che il  «condannato  per  delitto
non colposo ad una pena diminuita per cagione di infermita'  psichica
o di cronica intossicazione da alcool  o  da  sostanze  stupefacenti,
ovvero per cagione di sordomutismo, e' ricoverato in una casa di cura
e di custodia per un tempo non inferiore ad un anno, quando  la  pena
stabilita dalla legge non e' inferiore nel minimo a  cinque  anni  di
reclusione». 
    Il secondo comma della norma riguarda i delitti per  i  quali  e'
stabilita dalla legge la pena  dell'ergastolo  o  la  reclusione  non
inferiore nel minimo a dieci anni. 
    Il terzo comma stabilisce che, se si tratta di altro  reato,  per
il quale la legge  prevede  la  pena  detentiva,  e  risulta  che  il
condannato e' persona socialmente pericolosa,  «il  ricovero  in  una
casa di cura e di custodia e' ordinato per un tempo non  inferiore  a
sei mesi;  tuttavia  il  giudice  puo'  sostituire  alla  misura  del
ricovero quella della liberta' vigilata.  Tale  sostituzione  non  ha
luogo,  qualora  si  tratti  di  condannati  a  pena  diminuita   per
intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti». 
    Infine, il quarto comma dispone che, quando deve essere  ordinato
il ricovero in una casa di cura e di custodia, non si  applica  altra
misura di sicurezza detentiva. 
    3.2. - Ad avviso del rimettente, per il  calcolo  della  pena  ai
fini della determinazione della durata minima  del  ricovero  in  una
casa di cura e di custodia, vale il principio stabilito dall'art. 157
cod.  pen.  (Prescrizione.  Tempo  necessario  a   prescrivere).   In
particolare, a seguito della riforma attuata con la legge n. 251  del
2005,  l'art.  157,  secondo  comma,  cod.  pen.  prevede  che,   per
determinare il tempo necessario a prescrivere, si  ha  riguardo  alla
pena stabilita dalla legge per il reato consumato  o  tentato,  senza
tener  conto  della  diminuzione  per  le  circostanze  attenuanti  e
dell'aumento  per  le  aggravanti  (salvo  i  casi   di   circostanze
aggravanti che stabiliscono una pena  di  specie  diversa  da  quella
ordinaria e di circostanze aggravanti ad effetto  speciale,  che  qui
non rilevano). Inoltre il terzo comma dello stesso art. 157 statuisce
che non si applicano le disposizioni dell'art. 69 cod. pen. (Concorso
di circostanze aggravanti ed attenuanti)  e  il  tempo  necessario  a
prescrivere e' determinato a norma dell'art. 157, secondo comma, cod.
pen. 
    In sostanza, con tale normativa il  legislatore  avrebbe  inciso,
seppure  in  modo  inconsapevole,  anche  sulla  disciplina  prevista
dall'art. 219 cod. pen., escludendo che, ai fini  del  calcolo  della
pena,  possano  operare  le  diminuzioni  per  l'applicazione   delle
circostanze attenuanti e cosi' rendendo obbligatoria l'adozione della
misura di sicurezza, prevista dal citato art. 219, primo comma, anche
per fattispecie ad essa sottratte in base al regime precedente. 
    4. - Al riguardo si deve pero' osservare che  questa  Corte,  con
sentenza  n.   253   del   2003,   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 222  cod.  pen.  (Ricovero  in  un  ospedale
psichiatrico  giudiziario),  nella  parte  in  cui  non  consente  al
giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in
ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura  di  sicurezza,
prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell'infermo
di mente ed a far fronte alla sua pericolosita' sociale. 
    In motivazione questa  Corte  ha  censurato  «il  vincolo  rigido
imposto al giudice di disporre comunque la misura detentiva (tale  e'
il ricovero in ospedale psichiatrico  giudiziario:  art.  215,  primo
comma, n. 3, cod. pen.) anche quando una misura meno drastica,  e  in
particolare una  misura  piu'  elastica  e  non  segregante  come  la
liberta' vigilata, che e' accompagnata da  prescrizioni  imposte  dal
giudice di contenuto  non  tipizzato  (e  quindi  anche  con  valenza
terapeutica), "idonee ad evitare le occasioni di nuovi  reati"  (art.
228, secondo comma,  cod.  pen.),  appaia  capace,  in  concreto,  di
soddisfare contemporaneamente le esigenze  di  cura  e  tutela  della
persona interessata e di controllo della sua pericolosita'  sociale»;
ha posto, altresi', in luce che per l'infermo di mente «l'automatismo
di una misura segregante e "totale", come  il  ricovero  in  ospedale
psichiatrico giudiziario, imposta pur quando essa appaia in  concreto
inadatta, infrange l'equilibrio costituzionalmente necessario e viola
esigenze essenziali di protezione dei diritti  della  persona,  nella
specie  del  diritto  alla  salute   di   cui   all'art.   32   della
Costituzione»; ed ha concluso affermando la necessita' «di  eliminare
l'accennato   automatismo,   consentendo   che,    pur    nell'ambito
dell'attuale sistema, il giudice possa adottare, fra  le  misure  che
l'ordinamento  prevede,  quella  che  in  concreto  appaia  idonea  a
soddisfare le esigenze di cura e tutela della persona, da un lato, di
controllo e contenimento della sua pericolosita'  sociale  dall'altro
lato». 
    La pronuncia ora citata e' stata seguita da  altra  sentenza  (n.
367 del 2004),  che  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 206 cod. pen. (Applicazione  provvisoria  delle  misure  di
sicurezza), nella parte in cui non consente al giudice  di  disporre,
in luogo del  ricovero  in  ospedale  psichiatrico  giudiziario,  una
misura di sicurezza non detentiva, prevista dalla  legge,  idonea  ad
assicurare alla persona inferma di mente cure adeguate ed a contenere
la sua pericolosita' sociale. Con  tale  sentenza  le  censure  circa
l'automatismo  che  caratterizzava  l'art.  222  cod.   pen.   e   le
conclusioni circa la violazione del principio di ragionevolezza e del
diritto alla salute hanno trovato piena conferma. 
    5. - Per effetto delle  menzionate  decisioni  di  questa  Corte,
risulta ormai presente nella disciplina sulle misure di sicurezza  il
principio secondo il quale si deve escludere l'automatismo che impone
al giudice di disporre comunque la misura detentiva, anche quando una
misura meno drastica, e in particolare una misura piu' elastica e non
segregante come la liberta' vigilata,  accompagnata  da  prescrizioni
stabilite dal giudice medesimo, si riveli  capace,  in  concreto,  di
soddisfare contemporaneamente le esigenze  di  cura  e  tutela  della
persona interessata e di controllo della sua pericolosita' sociale. 
    Tale principio, dettato in relazione alla misura del ricovero  in
un ospedale psichiatrico giudiziario, vale anche  per  l'assegnazione
ad una casa di cura e di custodia, che e', a  sua  volta,  misura  di
sicurezza detentiva e quindi segregante (art. 215, comma secondo,  n.
2, cod. pen.), sicche' ad essa ben si attagliano le conclusioni circa
la violazione del principio di  ragionevolezza  e  del  diritto  alla
salute svolte, in particolare, nella sentenza n. 253 del 2003. 
    Differenze significative non possono ravvisarsi nella circostanza
che la misura di  cui  all'art.  222  cod.  pen.  presuppone  che  il
soggetto interessato risulti gravemente infermo di  mente,  e  quindi
non sia penalmente responsabile.  Come  rilevato  in  dottrina  e  in
giurisprudenza, vi e' una sostanziale identita' concettuale tra vizio
totale  e  vizio  parziale  di   mente,   il   cui   unico   elemento
differenziatore  consiste  nella   diversa   incidenza   quantitativa
esercitata sulla capacita' d'intendere e di volere, capacita' esclusa
nell'ipotesi di cui all'art. 88 cod. pen., soltanto  diminuita  -  ma
comunque grandemente scemata - nell'ipotesi di cui all'art.  89  cod.
pen. 
    Non costituisce ostacolo  all'applicazione  del  principio  sopra
indicato neppure  il  richiamo,  operato  dalla  giurisprudenza  piu'
remota, all'art. 157 cod. pen. (disposizione, peraltro, relativa alla
prescrizione), per il calcolo della pena ai fini della determinazione
della durata minima del ricovero in una casa di cura e  di  custodia.
Quel  richiamo,  infatti,  non  presuppone   l'applicabilita'   della
disciplina della prescrizione al sistema delle misure  di  sicurezza,
ma si riferisce per l'appunto  soltanto  alla  individuazione  di  un
criterio sulla base del quale stabilire il periodo minimo  di  durata
della misura (salva la possibilita' di revoca di questa per il  venir
meno della pericolosita'). 
    Ne deriva che le modifiche normative in tema di prescrizione  non
incidono  necessariamente  anche  sulle  regole  che   governano   la
disciplina delle misure di sicurezza, disciplina  che  comunque  deve
tenere  conto  della  necessita'  di  pervenire   ad   un   risultato
ermeneutico conforme a Costituzione, anche determinando la nozione di
«pena stabilita dalla legge» con  riguardo  a  tutte  le  circostanze
ricorrenti nella fattispecie concreta. 
    6. - Il rimettente, che pur non  ignora  la  sentenza  di  questa
Corte n. 253 del 2003, ha trascurato di vagliare la  possibilita'  di
pervenire, nel quadro definito dalle decisioni sopra citate,  ad  una
soluzione  interpretativa  costituzionalmente  orientata  e  tale  da
determinare il superamento dei dubbi di costituzionalita'. 
    Per costante giurisprudenza di questa Corte, l'omessa motivazione
sulla possibilita' di giungere ad  una  interpretazione  della  norma
impugnata conforme a Costituzione rende  inammissibile  la  sollevata
questione di legittimita' costituzionale (ex plurimis, ordinanze  nn.
341, 268, 226, 205, 193 del 2008).