IL TRIBUNALE Provvedendo d'ufficio, nel procedimento di cui in epigrafe, nei confronti di Petrica Aurel Georgel, Bradea Andrei e Pal Ionut Cosmin, in atti generalizzati; Sentite le parti, Osserva e rileva Questo stesso Tribunale in composizione monocratica veniva investito di procedimento con rito direttissimo, ex artt. 449 e 558 c.p.p., in seguito ad arresto dei sunnominati Petrica Aurel Georgel, Bradea Andrei e Pal Ionut Cosmin nella flagranza del reato originariamente loro contestato come furto pluriaggravato in concorso (artt. 110, 624, 625 nn. 2, 5 e 7 c.p.). Nel corso del giudizio di convalida e di applicazione delle misure cautelari richieste nei riguardi dei suddetti arrestati, il giudice monocratico dott. Giuseppe Pavich, componente l'odierno Collegio, con ordinanza emessa in data 13 luglio 2009, convalidava l'arresto, applicava ai tre prevenuti la misura della custodia cautelare in carcere e, ravvisata la diversa qualificazione giuridica del fatto da furto pluriaggravato in concorso a rapina impropria in concorso, dichiarava il proprio difetto di attribuzione in favore del Tribunale in composizione collegiale, disponendo restituirsi gli atti al p.m.; le ragioni in base alle quali il Giudice monocratico ab origine investito del rito direttissimo ravvisava la diversa qualificazione del fatto e provvedeva ex art. 33-septies dichiarando la propria carenza di attribuzioni sono compiutamente esposte nella detta ordinanza in data 13 luglio 2009, nella quale al riguardo si rilevava quanto segue: «Da ultimo, peraltro, questo giudice rileva che nella condotta descritta in atti emergono profili tali da indurre lo scrivente a riqualificare il fatto per cui si procede. Ed invero, il fatto che in seguito, alla scoperta dell'azione furtiva il Bradea, nel darsi alla fuga, ingaggiava una colluttazione con il car. Capasso (che con propria annotazione meglio descrive l'accaduto e che all'esito del contatto fisico, fra l'altro, riportava le lesioni documentate dal referto in atti), induce a ravvisare nella condotta del Bradea gli estremi della rapina impropria, anziche' del furto pluriaggravato a lui contestato in concorso con gli altri arrestati. Peraltro, come afferma la giurisprudenza di legittimita', in tema di concorso anomalo ex art. 116 cod. pen., puo' essere ritenuto prevedibile sviluppo dell'azione inerente ad un furto l'uso eventuale di violenza o minaccia, che se realizzato, fa progredire la sottrazione della cosa mobile altrui in rapina impropria ascrivibile al compartecipe a titolo appunto di concorso ex art. 116 cod. pen. (Cass. II, n. 6300/91; Cass. VI, n. 9952/2003). Dunque, analogo titolo di reato p. e p. ex art. 628, comma 2 c.p. va ascritto non solo al Bradea, ma altresi' agli altri due compartecipi: con il risultato che detto titolo di reato risulta aggravato, per tutti, ex art. 628, comma 3, n. 1 c.p., essendo il reato commesso da piu' persone riunite. Sul punto, si rammenta che secondo Cass. II, n. 7521/1986, l'aggravante della violenza compiuta da piu' persone riunite e' configurabile nel caso di rapina impropria quando ricorra la simultanea presenza di almeno due compartecipi e la violenza e minaccia sia posta in essere anche soltanto da uno di essi. In tale quadro, deve rilevare il giudicante che il reato cosi' riqualificato appartiene alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-ter c.p.p. Pertanto, la misura cautelare emessa da questo giudice deve necessariamente accompagnarsi alla dichiarazione del proprio difetto di attribuzione ex art. 33 septies c.p.p.». Il pubblico ministero, ricevuti gli atti, disponeva procedersi nelle forme del rito direttissimo nei confronti dei sunnominati presentandoli all'odierna udienza avanti questo Tribunale in composizione collegiale. Il Collegio, investito del processo, rileva che uno dei propri componenti e' lo stesso Giudice monocratico-persona fisica avanti al quale si e' tenuto il primigenio giudizio direttissimo nella fase della convalida e dell'applicazione di misure cautelari; e che, non limitandosi a convalidare l'arresto dei tre odierni imputati e ad applicare nei loro confronti la misura della custodia cautelare in carcere, ha altresi' riqualificato il fatto loro ascritto in altra ipotesi di reato, piu' gravemente sanzionata e, come tale, attribuita dal codice di rito alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale. Osserva il Collegio remittente che e' ben vero che, in base alle decisioni a piu' riprese adottate dalla Corte costituzionale (sent. n. 177/1996; ord. n. 284/1996; ord. n. 316/1996 e numerose altre; e, da ultimo, ord. n. 90/2004), il procedimento direttissimo, comprensivo delle diverse fasi della convalida dell'arresto ed eventuale applicazione di misure cautelali e della successiva trattazione con procedimento ordinario o speciale (artt. 451, 452, 558 comma 6 e ss. c.p.p.), non determina l'incompatibilita' del giudice adito, in relazione ai provvedimenti de libertate da questi adottati, per la successiva trattazione della loro posizione con giudizio dibattimentale nelle forme ordinarie, ovvero con rito alternativo. E cio' in quanto, si osserva, «non appare configurabile una menomazione dell'imparzialita' del giudice che adotta decisioni preordinate al proprio giudizio o rispetto ad esse incidentali, soprattutto quando la funzione pregiudicante e la funzione pregiudicata si collocano all'interno della medesima fase; ne' appaiono valide le argomentazioni, impiegate dal rimettente per riproporre la questione, circa un'asserita analogia tra la situazione processuale del giudice che prima di procedere al giudizio direttissimo abbia convalidato l'arresto e applicato una misura cautelare nei confronti dell'imputato, da un lato, e la situazione di incompatibilita' - introdotta dal comma 2-bis dell'art. 34 cod. proc. - del giudice per le indagini preliminari a svolgere le funzioni di giudice dell'udienza preliminare, dall'altro lato, posto che, lungi dall'integrare la seconda "sub-fase'' di un'unica "fase'' delle indagini preliminari come erroneamente ritenuto dal rimettente, il momento dell'udienza preliminare si presenta ora come una vera e propria fase processuale del tutto autonoma rispetto alla precedente fase delle indagini preliminari» (cfr. ord. C. cost. n. 90, ud. 11 febbraio 2004, cit.). Eppero', ad avviso del Collegio rimettente, la questione e', nella specie, alquanto diversa. Non si tratta, infatti, di mero mutamento della composizione dell'organo giudicante, del quale e' componente lo stesso giudice-persona fisica che, quale giudice monocratico originariamente adito, ha provveduto de libertate nella prima fase del rito direttissimo; ma, nella specie, il giudice monocratico in origine investito del giudizio ha ex officio delibato la questione in termini di inquadramento del fatto per cui si procede in altra, diversa e piu' gravemente sanzionata ipotesi di reato. E, in base a tale valutazione ed alle conclusioni cui si e' accennato, ha opinato per il proprio difetto di attribuzione in favore del Tribunale in composizione collegiale, che oggi egli concorre a comporre. Nella specie, sembra al Collegio che la valutazione incidentale del giudice monocratico in tema di corretta qualificazione del fatto reato, essendo scesa al merito delle risultanze di fatto rivenienti dal fascicolo e dallo stesso specificamente indicate a sostegno della propria declaratoria di difetto di attribuzione, non possa assimilarsi all'ipotesi menzionata nella citata sentenza C. cost. n. 177/96, in cui «non e' prefigurabile una menomazione dell'imparzialita' del giudice, il quale adotta decisioni, anche incidentali, preordinate al giudizio di cui e' legittimamente investito»; e cio' proprio perche', nel suo giudizio, il giudice monocratico ha ravvisato - sulla base di una diversa qualificazione del fatto - l'illegittimita' dell'attribuzione ad esso giudice del giudizio de quo. Ed a tanto ha provveduto in base alla delibazione in fatto e in diritto delle emergenze procedimentali nei termini sopra evidenziati. Quindi, il fatto di avere espresso, con propria ordinanza in data 13 luglio 2009, il proprio convincimento non solo sulla posizione cautelare dei tre prevenuti, ma anche sull'inquadramento del fatto agli stessi attribuito, per di piu' concludendo per la configurabilita' di ipotesi di reato dalle piu' gravi conseguenze edittali e comprensiva, fra l'altro, di una condotta di violenza successiva e distinta rispetto a quella furtiva in origine contestata (attribuita ad uno dei compartecipi ma giudicata riferibile anche agli altri due concorrenti, a titolo di concorso nel reato diverso da quello voluto da costoro, ex art. 116 c.p.), sembra configurare un'ipotesi di pre-giudizio del giudice-monocratico inizialmente investito del rito direttissimo, tale da inficiarne, quanto meno sul piano potenziale, l'imparzialita'. Ipotesi che non risulta contemplata fra quelle di incompatibilita' ex art. 34 c.p.p., ne' fra quelle in ordine alle quali la Corte costituzionale si e' pronunciata laddove investita di giudizi di legittimita' costituzionale del citato art. 34 c.p.p. Fra queste ultime, si ricordano a titolo di esempio altre ipotesi nelle quali il pregresso intervento dell'organo giudicante sulla qualificazione giuridica del fatto ha determinato declaratorie di illegittimita' costituzionale in parte qua in relazione al successivo ruolo dello stesso giudice nel giudizio ad quem: sentenza. n. 455 in data 30 dicembre 2004, dichiarativa di illegittimita' del comma 2 dell'art. 34 c.p.p. nella parte in cui prevede l'incompatibilita' alla funzione di giudizio del giudice che abbia, all'esito di precedente dibattimento, riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato, ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero a norma dell'art. 521, comma 2 c.p.p.; sentenza n. 453 del 30 dicembre 1994, dichiarativa di illegittimita' del comma 2 dell'art. 34 c.p.p. nella parte in cui prevede l'incompatibilita' alla funzione di giudizio del giudice per le indagini preliminari il quale, per la ritenuta diversita' del fatto, sulla base di una valutazione del complesso delle indagini preliminari, abbia rigettato la domanda di oblazione; sentenza n. 399 del 26 ottobre 1992, dichiarativa di illegittimita' del comma 2 dell'art. 34 c.p.p. nella parte in cui prevede l'incompatibilita' a procedere al dibattimento del pretore che, prima dell'apertura di questo, abbia respinto la richiesta di applicazione di pena concordata per il ritenuto non ricorrere di un'ipotesi attenuata del reato contestato. In base a tali pronunce, pare al Collegio remittente che il Giudice delle leggi abbia inteso affermare il principio secondo il quale deve ritenersi incompatibile a giudicare in ordine al medesimo fatto, a prescindere dal suo ruolo nel giudizio, il giudice che abbia effettuato una precedente valutazione in base agli atti all'esito della quale egli abbia ritenuto il fatto inquadrabile in reato diverso da quello contestato; ovvero abbia manifestato il proprio giudizio in ordine alla sua qualificazione giuridica in termini diversi rispetto a quelli oggetto di imputazione o di prospettazione delle parti; o comunque abbia precedentemente formulato valutazioni cadenti sulla stessa res iudicanda, specie se in vista di una decisione. Se cosi' e', allora e' evidente che anche nell'ipotesi in esame (sul quale, si ripete, non risulta al Collegio remittente alcuna pregressa pronuncia della Corte costituzionale) vi e' comunque, da parte del giudice a quo una valutazione giuridica e di merito sull'inquadramento giuridico della stessa vicenda di cui, in seguito alla sua pronuncia di difetto di attribuzione in favore del Tribunale in composizione collegiale, egli stesso si trovi a comporre l'organo collegiale ad quem. Percio' ritiene il tribunale che, nell'ambito del procedimento pendente avanti questo Collegio, si determini la lesione di una serie di principi costituzionali, ed in specie: del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), poiche' l'assenza di una specifica previsione di incompatibilita' ex art. 34 c.p.p. (con specifico riferimento al secondo comma di detto articolo) del giudice investito del giudizio direttissimo che all'esito del giudizio di convalida e cautelare, diversamente qualificato il reato originariamente contestato e dichiarato conseguentemente il proprio difetto di attribuzione in favore dei Tribunale in composizione collegiale, si trovi a comporre il collegio investito del giudizio, lede il principio di parita' di trattamento normativo di situazioni simili, in assenza di ragionevoli motivi che giustifichino la differenza di statuizioni: e cio' con riferimento, in particolare, alle altre situazioni - determinanti incompatibilita' alla funzione del giudizio - nelle quali il giudice abbia, in uno stadio anteriore del procedimento, espresso una valutazione nel merito della stessa materia processuale riguardante il medesimo incolpato; del principio del diritto di difesa (art. 24 Cost.), del principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.) e del principio del giusto processo (art. 111 Cost.), poiche' l'ipotesi in esame pone l'imputato nelle condizioni di non poter pienamente esercitare i propri diritti difensivi al cospetto di un organo giudicante che, per avere in precedenza espresso una valutazione incidente sullo stesso oggetto dell'imputazione al punto da determinarne la modificazione, viene a trovarsi in posizione incompatibile con l'imparzialita' e terzieta' richiesta al giudice, essendosi comunque formato un convincimento sul merito dell'azione penale evenienza idonea, per quello che si e' detto, a configurare una sua incompatibilita' a nuovamente giudicare sul medesimo fatto. E' di palmare evidenza che la rilevanza della questione ai fini del giudizio a quo riposa sul fatto che, ove dichiarata, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2 c.p.p. in parte qua determinerebbe l'incompatibilita' del giudice investito del giudizio direttissimo che all'esito del giudizio di convalida e cautelare, diversamente qualificato il reato originariamente contestato e dichiarato conseguentemente il proprio difetto di attribuzione in favore del Tribunale in composizione collegiale, compone oggi questo collegio; e gli imporrebbe, cosi', di astenersi dal partecipare al giudizio quale componente dell'organo collegiale giudicante, con conseguente designazione, al suo posto, di altro magistrato che non versi in condizioni di incompatibilita' ed eliminazione dei pregiudizi derivanti dal vulnus allo stato ravvisabile all'imparzialita' e terzieta' del collegio investito del processo. Quanto alla non manifestata infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, sulla base delle considerazioni critiche in precedenza svolte, essa ad avviso di questo Collegio attiene nella specie alla violazione degli art. 3, 24, 25 e 111 Cost., nell'attuale formulazione dell'art. 34, comma 2 c.p.p., nella parte in cui esso non prevede l'incompatibilita' a partecipare al giudizio quale componente del tribunale in composizione collegiale del giudice che in precedenza, investito del giudizio direttissimo conseguente ad arresto in flagranza di reato per lo stesso fatto e nei confronti delle stesse persone, all'esito del giudizio di convalida e di applicabilita' di misura cautelare personale, proceda a diversa qualificazione del reato originariamente contestato e, sulla base di tale diversa qualificazione, dichiari il proprio difetto di attribuzione in favore dei Tribunale in composizione collegiale.