Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici ha legale domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Contro la Regione Lazio, in persona del Presidente della Giunta in carica con sede in Roma, per la declaratoria di incostituzionalita' e conseguente annullamento dell'art. 1, comma 52, della legge della Regione Lazio 11 agosto 2009, n. 22, pubblicata nel Supplemento ordinario n. 142 al Bollettino ufficiale n. 31 del 21 agosto 2009, recante norme di «assestamento al bilancio annuale e pluriennale 2009-2011 della Regione Lazio» per contrasto con gli articoli 3, primo comma, e 97, primo e terzo comma, della Costituzione a seguito della determinazione del Consiglio dei ministri di impugnativa della predetta legge regionale, assunta nella seduta del 15 ottobre 2009. 1. - Nel Supplemento n. 142 al Bollettino ufficiale della Regione Lazio del 21 agosto 2009, risulta pubblicata la legge 11 agosto 2009, n. 22, recante norme «assestamento al bilancio annuale e pluriennale 2009-2011 della Regione Lazio». Il testo dell'impugnato articolo 1, comma 52, di tale legge stabilisce testualmente che «i soggetti che previa una selezione di evidenza pubblica hanno ricoperto, per almeno cinque anni consecutivi, incarichi dirigenziali nelle strutture della regione e attualmente prestano servizio presso le stesse sono, a domanda, immessi nel ruolo della dirigenza della regione». 2. - Con riferimento a tale articolo, si Ritiene che il riportato comma 52 sia illegittimo. Esso, infatti, offre la possibilita' a tutti i dipendenti regionali, che abbiano superato una selezione di evidenza pubblica e abbiano avuto un incarico dirigenziale per cinque anni consecutivi, di diventare dirigenti grazie ad una semplice domanda. 3. - Tale norma regionale, invero, si pone in contrasto con gli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione, determinando una grave lesione ai principi costituzionali di parita' tra i cittadini (art. 3), di uguaglianza nell'accesso agli uffici pubblici (art. 51) e di accesso mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge, agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni (art. 97). Con riferimento all'art. 97, giova far presente che la regola del pubblico concorso, come ribadito anche dal Consiglio di Stato, e' posta a tutela non solo dell'interesse pubblico alla scelta dei migliori, mediante una selezione aperta alla partecipazione di coloro che siano in possesso dei prescritti requisiti, ma anche del diritto dei potenziali aspiranti a poter partecipare alla relativa selezione (Cons. Stato, Ad, pl, 29 febbraio 1992, n. 2; sez. IV 29 luglio 2000, n. 4188; sez. V 4 aprile 2002 n. 1859; sez. VI 29 aprile 2002, n. 2272; sez. V 25 luglio 2006, n. 4636). La regola costituzionale del pubblico concorso viene poi concretamente salvaguardata con una serie di disposizioni legislative che espressamente comminano la nullita' dell'assunzione effettuata senza osservanza delle prescritte procedure selettive e la responsabilita' personale degli amministratori che vi hanno provveduto con riguardo sia alle amministrazioni statali sia alle altre amministrazioni pubbliche, compresi gli Enti locali (art. 3 d.P.R. 3 gennaio 1957, n. 3; art. 12 d.lgs., C.P.S. 4 aprile 1947, n. 207; art. 5 legge 8 gennaio 1979, n. 3; art. 6 legge 20 marzo 1975, n. 70; art. 9 d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 ed art. 14 legge 20 maggio 1985, n. 207; art. 36 d.lgs. 3 febbraio 1993, e successive modificazioni; art. 36 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165). Per quanto concerne la fattispecie in esame, la richiesta di annullamento delle denunciate norme regionali - la quale addirittura non prevede alcun concorso - trova conforto anche nella fondamentale sentenza di codesta Corte costituzionale n. 194 del 9-16 maggio 2002, la quale ha avuto modo di precisare, in tema di concorsi interni, che e' illegittimo riservare ad essi una quota incongruamente elevata dei posti disponibili, a discapito della copertura mediante il pubblico concorso. Tale sentenza ha ricevuto piena conferma nella sentenza 20-26 gennaio 2004, n. 4, in tema di concorso riservato al solo personale che ha gia' operato con l'assegnazione di borse di studio e che abbia ottenuto almeno due proroghe del contratto di ricerca. Al riguardo, codesta Corte ha riconosciuto nel concorso pubblico (art. 97, terzo comma, della Costituzione) la forma generale di ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell'amministrazione (sentenze n. 194 del 2002, n. 1 del 1999, n. 333 del 1993, n. 453 del 1990 e n. 81 del 1983), ed ha ritenuto che possa derogarsi a tale regola solo in presenza di peculiari situazioni giustificatrici, nell'esercizio di una discrezionalita' che trova il suo limite nella necessita' di garantire il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97, primo comma, della Costituzione) ed il cui vaglio di costituzionalita' non puo' che passare attraverso una valutazione di ragionevolezza della scelta operata dal legislatore. Inoltre codesta Corte ha riconosciuto che l'accesso al concorso possa essere condizionato al possesso di requisiti fissati in base alla legge, anche allo scopo di consolidare pregresse esperienze lavorative maturate nell'ambito dell'amministrazione, ma cio' «fino al limite oltre il quale possa dirsi che l'assunzione nell'amministrazione pubblica, attraverso norme di privilegio, escluda o irragionevolmente riduca, le possibilita' di accesso, per tutti gli altri aspiranti, con violazione del carattere «pubblico» del concorso, secondo quanto prescritto in via normale, a tutela anche dell'interesse pubblico, dall'art. 97, terzo comma, della Costituzione» (sentenza n. 141 del 1999). Solo in peculiari ipotesi codesta Corte ha ritenuto legittime procedure concorsuali integralmente riservate a personale interno e specificamente qualificato (cfr. sentenze n. 228 del 1997, n. 477 del 1995 e ordinanza n. 517 del 2002). In tali ipotesi, peraltro, codesta Corte, dopo avere confermato l'indirizzo interpretativo sopra ricordato, ha ritenuto non irragionevoli tali previsioni, solo in considerazione della specificita' della fattispecie, ma comunque coerenti con il principio del buon andamento. L'impugnata disposizione, nel prevedere l'automatica assunzione di soggetti che hanno ricoperto, per almeno cinque anni consecutivi, incarichi dirigenziali, nei ruoli della dirigenza della Regione Lazio senza pubblici e oggettivi procedimenti di selezione, viola quindi il principio generale del pubblico concorso quale normale forma di accesso nelle pubbliche amministrazioni, perche' offre le migliori garanzie di selezione dei piu' capaci, in funzione dell'efficienza della stessa amministrazione, anche per l'accesso dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni a funzioni piu' elevate, come piu' volte ribadito dalla costante giurisprudenza di codesta Corte costituzionale (sentenza n. 159/2005 n. 205/2004, n. 39/2004, n. 194/2002, n. 1/1999). In particolare, codesta Corte costituzionale ha avuto modo di precisare che anche in regime di impiego pubblico privatizzato, infatti, il collocamento in molo costituisce la modalita' attraverso la quale si realizza l'inserimento stabile dell'impiegato in un posto della pianta organica di una pubblica amministrazione, cosicche' la garanzia del concorso pubblico non puo' che riguardare anche l'ipotesi di mera trasformazione di un rapporto contrattuale a tempo indeterminato in rapporto di ruolo, allorche' - come si e' detto - l'accesso al suddetto rapporto non di ruolo non sia a sua volta avvenuto mediante una procedura concorsuale (sentenza n. 205/2004). La disciplina regionale, invece, prevedendo una illegittima stabilizzazione a dirigente, si pone in contrasto anche con l'articolo 3, comma 94, della legge n. 244/2007, il quale prevede il ricorso alla stabilizzazione soltanto per il personale non dirigenziale. L'impugnata norma merita dunque di essere annullata.