IL GIUDICE DI PACE 
 
    Letti gli atti dei procedimenti penali n.  24/09  R.G.  Dib.,  n.
1366/09 R.G. not. reato, a  carico  di  Nakhli  Abdessamad,  nato  in
Marocco il 6 marzo 1969 e n. 25/09 R.G. Dib. - n. 1431/09  R.G.  Not.
reato - a carico di Hajjouj Yussef, nato  in  Marocco  il  4  gennaio
1982; 
    Atteso che i predetti sono entrambi  chiamati  a  rispondere  del
reato di  cui  all'art.  10-bis,  d.lgs.  25  luglio  1998,  n.  286,
introdotto dall'art. 1, comma 16 legge n.  94/2009,  per  aver  fatto
ingresso ovvero per essersi trattenuti nel territorio dello Stato  in
violazione  delle  norme  in  materia   di   immigrazione   commesso,
rispettivamente, 1'11 agosto 2009 e il 17 agosto 2009; 
    Atteso che all'udienza del  5  ottobre  2009  il  p.m.  proponeva
eccezione di incostituzionalita' della sopra citata  norma  e  questo
Giudicante con ordinanza riteneva  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale, 
 
                 Osserva in particolare quanto segue 
 
    La legge 15 luglio 2009, n. 94, all'art. 1, comma 16, lettera  a)
ha introdotto nel «Testo  unico  delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero» il reato contravvenzionale  previsto  e  punito  dall'art.
10-bis  del  medesimo  d.lgs.  n.  286/1998  rubricato  «Ingresso   e
soggiorno illegale nel territorio dello  Stato»  a  mente  del  quale
«salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, lo straniero che fa
ingresso ovvero che si  trattiene  nel  territorio  dello  Stato,  in
violazione delle disposizioni dei presente  testo  unico  nonche'  di
quelle di cui all'art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, e' punito
con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Al reato  di  cui  al  presente
comma non si applica l'art. 162 del codice penale [...]». 
    Tale norma va peraltro letta in combinato disposto con l'art. 16,
d.lgs.  n.  286/1998,  all'uopo  modificato  dalla  stesse  legge  n.
94/2009, il  quale  prevede,  inter  alia,  la  sanzione  sostitutiva
dell'espulsione dello straniero dai territorio dello Stato irrogabile
dal giudice di pace a seguito  della  sentenza  di  condanna  per  il
delitto di cui all'art. 10-bis T.U. sull'immigrazione. 
    La fattispecie introdotta con l'art. 10-bis  d.lgs.  n.  286/1998
manifesta molteplici profili di contrasto  con  altrettanti  principi
accolti nella nostra carta costituzionale ed al  quali  e'  opportuno
fare riferimento al fine di vagliare la  legittimita'  costituzionale
della norma stessa. 
    1.  -  Il  nostro  ordinamento,  in  accoglimento  del  principio
cogitationis poenam nemo  patitur,  recepisce  all'art.  25,  secondo
comma, Cost. il c.d. principio di materialita' in materia penale,  in
ossequio al quale e' necessario, affinche' possa dirsi  legittimo  il
ricorso alla  sanzione  penale  da  parte  del  legislatore,  che  la
condotta (rectius, il  contegno  attivo  od  omissivo)  del  soggetto
agente si materializzi in un comportamento  esterno,  il  quale  deve
altresi' rivelarsi idoneo a determinare una lesione o,  quanto  meno,
una messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla  norma  (c.d.
principio di necessaria lesivita' od offensivita'). Appare ictu oculi
evidente che la norma in questione difetti di entrambi i requisiti di
legittimita' cui si e' fatto rapido riferimento. 
    Ed invero, in  primo  luogo  appare  senz'altro  irrintracciabile
qualsiasi  profilo  di  materialita'   della   condotta   incriminata
dall'art.  10-bis  posto  che  la  fattispecie  incriminatrice,   pur
sanzionando in  apparenza  una  condotta  alternativamente  tipizzata
nell'azione dell'«ingresso» ovvero nei contegno omissivo del «mancato
allontanamento», criminalizza in realta' e semplicemente,  in  aperto
contrasto con gli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost.,  lo  status  di
clandestino, una mera condizione personale del reo, del  quale  viene
ex lege presunta la pericolosita'. 
    Tale impostazione, pero', come ormai  pacificamente  riconosciuto
nella giurisprudenza  tanto  della  Corte  costituzionale  quanto  di
quella  di  legittimita',  e'  del  tutto  impraticabile  nel  nostro
ordinamento  costituzionale  nel  quale  non  puo'  dirsi  consentito
l'accertamento del  disvalore  penale  del  fatto,  in  via  unica  o
preponderante, in riferimento alle condizioni  personali  dell'agente
(cfr. sul punto l'ampio percorso giurisprudenziale della Consulta con
riguardo agli artt. 670, 707 e 708 c.p.); si tratta di un limite  che
con ogni evidenza  vincola  e  conforma  la  stessa  discrezionalita'
propria dell'organo legislativo all'atto della  tipizzazione  di  una
nuova fattispecie incriminatrice. 
    2. - Altrettanto discutibile il contenuto della norma de qua alla
luce del  principio  di  necessaria  lesivita'  ovvero  offensivita';
principio che, sebbene non trovi riconoscimento  espresso  in  alcuna
delle disposizioni della Costituzione,  non  di  meno  si  pone  come
corollario ineludibile a tutti gli altri principi costituzionali  che
informano la  disciplina  penalistica,  contribuendo  a  definire  la
fisionomia del c.d. costituzionalismo penale. 
    Perche' possa dirsi  rispettato,  il  principio  di  offensivita'
richiede che la fattispecie incriminatrice descritta dal  legislatore
importi una lesione, anche soltanto potenziale nella forma della c.d.
messa in pericolo, di un bene giuridico meritevole di tutela con cio'
dovendosi   intendere,   secondo   l'interpretazione    che    appare
preferibile, soltanto  quel  bene  giuridico  che  trovi  il  proprio
riconoscimento diretto o mediato nella Costituzione. 
    Ora, e' oltremodo difficoltoso rintracciare tale lesivita'  nella
condotta tipizzata nell'art. 10-bis d.lgs.  n.  286/1998  che  appare
formulata in chiave di mera disobbedienza delle norme che regolano il
controllo dei flussi migratori.  E  cio'  soprattutto  alla  luce  di
talune recenti pronunce della  Corte  costituzionale  intervenute  in
tema di immigrazione sicuramente attinenti al caso che ci interessa. 
    Prodromiche in tal  senso  devono  considerarsi  la  sentenza  n.
22/2007 la quale ha ritenuto il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter
del decreto legislativo n.  286/1998  (inottemperanza  all'ordine  di
allontanamento del questore) come una «fattispecie che  prescinde  da
una accertata o presunta pericolosita' dei soggetti  responsabili»  e
la n. 78/2007 nella quale si afferma  che  «il  mancato  possesso  di
titolo  abilitativo  alla  permanenza  nello  Stato»  rappresenta  un
elemento «che di per se'  non  e'  univocamente  sintomatico  di  una
particolare  pericolosita'  sociale»  del  soggetto  agente   e   che
«l'ingresso  o  la  presenza  illegale  del  singolo  straniero   non
rappresentano, di per se', fatti lesivi di beni meritevoli di  tutela
penale, ma sono  l'espressione  di  una  condizione  individuale,  la
condizione di migrante: la relativa incriminazione, pertanto,  assume
un connotato discriminatorio ratione subiecti contrastante  non  solo
con il principio di eguaglianza,  ma  con  la  fondamentale  garanzia
costituzionale in materia penale, in base alla quale si  puo'  essere
puniti solo per fatti materiali». 
    3. - Uno degli elementi di maggior  contrasto  con  il  principio
costituzionale di colpevolezza ed esigibilita'  ricavabile  dall'art.
27 Cost., cosi' come interpretato dalla Consulta a  far  luogo  dalla
celebre  pronuncia  n.  364/88,   attiene   la   mancata   previsione
all'interno della fattispecie di' cui all'art. 10-bis del  d.lgs.  n.
286/1998 e contrariamente  a  quanto  previsto  nell'analoga  ipotesi
delittuosa di cui all'art.  14,  comma  5-ter  dello  stesso  decreto
legislativo n. 286/1998,  di  «giustificati  motivi»  che  potrebbero
legittimare, senza dar luogo ad una scriminante in senso proprio,  la
presenza dello straniero clandestino sul territorio dello Stato. 
    Si tratta di questione la cui rilevanza si manifesta assorbente e
preponderante, anche in  ragione  delle  perplessita'  sollevate  sul
punto da parte del Presidente della Repubblica nella lettera  inviata
al Presidente dei Consiglio  dei  ministri  ed  ai  Presidenti  delle
Camere in data 15 luglio 2009 nella quale si  legge  «suscita  in  me
forti  perplessita'  la  circostanza  che   la   nuova   ipotesi   di
trattenimento  indebito  non  prevede  l'esimente  della   permanenza
determinata da "giustificato motivo''.». 
    Ancora una volta, peraltro, ci soccorrono talune  pronunce  della
Corte costituzionale dalle quali occorre prendere le mosse al fine di
valutare la tenuta costituzionale della norma oggetto di disamina  in
questa sede. 
    In particolare, gia' la pronuncia  n.  5/2004  chiariva  come  la
formula «senza giustificato motivo» e  formule  ad  essa  equivalenti
compaiano con particolare frequenza nel corpo di norme incriminatrici
(ad es., artt. 616, 618 c.p., art. 108, decreto del Presidente  della
Repubblica n. 361/1957) per fungere da  «valvola  di  sicurezza»  del
meccanismo  repressivo,  evitando  che  la  sanzione  penale   scatti
allorche'   l'inosservanza   del   precetto   appaia    concretamente
inesigibile in ragione di situazioni ostative a carattere oggettivo o
soggettivo astrattamente configurabili in molteplici situazioni quali
l'assoluta carenza da parte  dello  straniero  del  mezzi  di  natura
economica necessari per procurarsi il titolo di viaggio, l'assenza di
collegamento aereo con Stati  nei  quali  e'  in  atto  un  conflitto
armato, ovvero  ancora  l'assenza  dei  documenti  necessari  per  il
rimpatrio (ipotesi, questa, tutt'altro  che  infrequente  soprattutto
avuto riguardo alla fattispecie ex art. 10-bis, d.lgs. n.  286/1998),
ecc. 
    La Corte costituzionale, nella gia' citata sentenza n. 22/2007  e
sempre con riferimento alla fattispecie omologa a quella  oggetto  di
censura in questa sede rappresentata dall'art. 14,  comma  5-ter  del
decreto legislativo n. 286/1998, ha affermato che la  formula  «senza
giustificato motivo». «copre tutte le ipotesi di impossibilita' o  di
grave difficolta' che, pur non integrando cause di giustificazione in
senso tecnico, impediscono  allo  straniero  di  prestare  osservanza
all'ordine di allontanamento nei termini prescritti» e si giustifica,
come emerge dalla motivazione della pronuncia richiamata, in  ragione
della formulazione estremamente limitata del precetto. 
    Da sottolineare che la stessa giurisprudenza di  legittimita'  si
e' prontamente adeguata a tale  impostazione  riconoscendo  rilevanza
«esimente»  non  soltanto  all'assenza  di   validi   documenti   per
l'espatrio, ma anche a quella di denaro necessario per il viaggio e a
tutte le ulteriori situazioni per  cui  l'immigrato  si  trovi  senza
colpa  nell'impossibilita'  oggettiva  o  soggettiva   di   adempiere
l'ordine del Questore (cfr. ex multis, Cass. pen.  31117/2004,  Cass.
pen. 30774/2006, Cass. pen. 8 febbraio 2008). 
    Alla luce dell'iter giurisprudenziale richiamato,  non  puo'  che
evidenziarisi   l'assoluta   illegittimita'   costituzionale    della
fattispecie  qui  oggetto  di  censura  nella  parte  in  cui  omette
radicalmente qualsiasi riferimento all'eventuale presenza  di  motivi
ostativi all'osservanza del precetto. 
    L'impostazione intransigente voluta  dal  legislatore  impone  un
intervento correttivo ad opera del Giudice delle leggi per  contrasto
con gli artt. 3 e 27 della Costituzione in conformita'  alle  proprie
precedenti pronunce n. 5/2004 e 22/2007. 
    4. -  Profili  ulteriori  di  contrasto  con  la  Costituzione  e
segnatamente con l'art. 3, concernono il profilo della ragionevolezza
della scelta legislativa di criminalizzare l'ingresso e la permanenza
di clandestini nel territorio dello Stato e questo per un  molteplice
ordine di motivi. 
    Il principio di sussidiarieta' o extrema ratio  che  caratterizza
il sistema penale impone di ricorrervi quando nessun altro strumento,
civile  o  amministrativo,  si  dimostri  idoneo  alla  tutela  della
fattispecie protetta dalla norma incriminatrice. 
    Dalla lettura congiunta degli artt. 10-bis e 16 (come  modificato
dalla legge n. 94/2009) d.lgs. n. 286/1998,  emerge  chiaramente  che
l'unico  scopo  autenticamente   perseguito   dal   legislatore   con
l'introduzione del nuovo reato di clandestinita'  sia  esclusivamente
quello dell'allontanamento dello straniero irregolare dal  territorio
dello Stato. 
    E' tuttavia lecito dubitare che una tale  finalita'  abbisognasse
di una incriminazione ad hoc, posto che lo stesso obiettivo  -  prima
della novella intervenuta da ultimo -  risultava  gia'  perfettamente
assolto dalla disciplina contenuta all'art. 13 del T.U.  immigrazione
con il ricorso a sanzioni di  natura  amministrativa.  Se  cosi'  e',
l'ulteriore violazione dell'art. 27  Cost.  puo'  essere  agevolmente
rintracciata nell'uso distorto della sanzione  penale  da  parte  del
legislatore, impiegata in ultima analisi per finalita'  di  esclusiva
deterrenza  (rectius,  prevenzione  generale   c.d.   negativa)   con
contestuale ed evidente strumentalizzazione del singolo per finalita'
di politica criminale. 
    L'art.  27  della  Cost.  viene  ulteriormente   in   gioco   con
riferimento   al   carattere    necessariamente    personale    della
responsabilita' penale. La norma oggetto di censura in  questa  sede,
infatti, nel condizionare la  punibilita'  del  fatto  in  dipendenza
della mera  discrezionalita'  o  disponibilita'  di  mezzi  da  parte
dell'autorita' amministrativa, sembra disinteressarsi totalmente alla
presenza di una condotta cosciente e volontaria del soggetto  agente.
Semplificando, si puo' osservare come la norma, a parita' di condotta
materiale tenuta dall'agente (id est, ingresso o permanenza  illegale
nel territorio dello Stato), distingua ai fini della punibilita'  fra
quanti  siano  stati   destinatari   di   una   espulsione   in   via
amministrativa (ed in tal caso andra'  pronunciata  sentenza  di  non
luogo a procedere) e quanti, in  assenza  di  un  tale  provvedimento
amministrativo, diventeranno destinatari di una  sentenza  penale  di
condanna con tutte le ulteriori conseguenze sostanziali e processuali
che questa reca con se'. 
    In questo modo, pero', la responsabilita' penale  degli  imputati
viene a dipendere da circostanze  completamente  estranee  alla  loro
sfera di dominio con cio' dando luogo ad una responsabilita' che  non
puo' dirsi «personale» e che pertanto contrasta con l'art.  27  Cost.
come interpretato dai Giudice delle leggi. 
    I profili di irragionevolezza contrastanti  con  l'art.  3  della
Costituzione  non  possono  certo  dirsi  appianati  per   avere   il
legislatore  previsto,  alternativamente  alla  sanzione  sostitutiva
dell'espulsione, la pena dell'ammenda da 5.000  a  10.000  sottratta,
comunque, alla sospensione condizionale della  pena  (trattandosi  di
giudizio di competenza del Giudice di pace) e all'oblazione  ex  art.
162 c.p. 
    Appare in tutta evidenza come si tratti di sanzione  priva  della
benche' minima effettivita' per la pressoche'  totale  insolvibilita'
degli imputati, oltre che  di  qualsivoglia  efficacia  deterrente  e
funzione rieducativa con  l'unico  effetto  «collaterale»  di  sicuro
sovraccarico del sistema giudiziario. 
    Esiste, altresi', una  conseguenza  ancora  piu'  irrazionale  ed
irragionevole derivante dall'impianto caratterizzante la norma di cui
all'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998: la  pena  edittale  dell'ammenda
come comminata, seppur non suscettibile di applicazione del beneficio
della sospensione condizionale della pena nonche' dell'estinzione per
oblazione ex art. 162 c.p., risulta  in  ogni  caso  meno  afflittiva
dell'eventuale sanzione sostitutiva della espulsione  dal  territorio
dello Stato per un periodo non inferiore  a  cinque  anni,  con  cio'
determinando l'unico caso di  misura  sostitutiva  piu'  grave  della
sanzione principale sostituita. 
    Il  contrasto  con  l'art.  3  Cost.  sotto  il   profilo   della
ragionevolezza e' ancora piu' evidente se solo  si  riflette  su  una
circostanza. 
    Sino all'intervento della novella, l'espulsione  dello  straniero
come sanzione sostitutiva era applicabile soltanto per pene detentive
fino a due anni di reclusione irrogate  anche  in  conseguenza  delle
diminuenti di rito (patteggiamento, abbreviato, ecc.) e salva in ogni
caso l'applicabilita' della sospensione della pena ex art. 163 c.p. 
    Esemplificando:  prima  dell'intervento   del   legislatore,   un
clandestino condannato a tre anni di reclusione, poi  ridotti  a  due
per la scelta del rito abbreviato o del patteggiamento, poteva essere
destinatario della sanzione sostitutiva dell'espulsione solamente  se
non ricorressero le condizioni per la sospensione condizionale  della
pena. 
    Accanto a  questa  ipotesi,  tuttora  praticabile,  la  legge  n.
94/2009 consente ora di procedere alla  stessa  sanzione  sostitutiva
dell'espulsione  per  un  reato  contravvenzionale  punito  con   una
sanzione pecuniaria di modesta entita'. 
    L'irragionevolezza manifesta  contrastante  con  l'art.  3  Cost.
risiede, allora,  nel  fatto  di  rendere  applicabile  una  medesima
sanzione sostitutiva (espulsione dello straniero  irregolare  per  un
periodo non inferiore a cinque anni) al ricorrere di fattispecie  fra
loro  qualitativamente  e  quantitativamente  incommensurabili:   una
condanna  in  concreto  fino  a   due   anni   nella   ipotesi   gia'
precedentemente  prevista  ex  lege  o,   dalla   novella   in   poi,
nell'ipotesi di condanna alla pena della sola multa per il  reato  di
cui all'art. 10-bis T.U. immigrazione. 
    L'irragionevolezza della scelta operata dal legislatore e' a  tal
punto evidente da rappresentare uno dei pochi  «casi  di  scuola»  al
ricorrere dei quali, per stesso riconoscimento della  Consulta,  alla
tessa  e'  consentito  intervenire  in   funzione   di   riequilibrio
sull'impianto sanzionatorio. 
    Per concludere con i profili di irragionevolezza censurabili  per
contrasto con l'art. 3 Cost, si consideri, infine, un ultimo rilievo:
l'impianto penalistico delle norme contenute nel d.lgs.  n.  286/1998
(id  est,  l'art.  10-bis  da  un  lato  e  l'art.  14,  comma  5-ter
dall'altro) configura  come  fattispecie  piu'  lieve  e  sussidiaria
proprio quella rappresentata dal nuovo c. d. reato di clandestinita'. 
    Tuttavia, pur trattandosi  di  reato  meno  grave  e  sussidiario
rispetto alla fattispecie ex art.  14,  comma  5-ter,  l'attribuzione
della nuova fattispecie alla cognizione  del  giudice  di  pace  (che
preclude la sospensione condizionale della pena) nonche' la possibile
applicazione della sanzione sostitutiva dell'espulsione ex  art.  16,
primo comma, ultimo periodo, T.U.  Immigrazione,  fanno  si'  che  il
trattamento sanzionatorio sia in concreto piu' grave e piu' affittivo
per la fattispecie piu' lieve e sussidiaria.  E  cio'  con  manifesta
violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    5. - I profili di incompatibilita' costituzionale che si sono sin
qui tratteggiati con riferimento alla fattispecie  incriminatrice  di
base  sono  suscettibili  peraltro  di  generare  prassi  decisamente
inconciliabili con il principio di solidarieta' di cui agli artt. 2 e
3, primo e  secondo  comma,  Cost.  allorquando  venga  ravvisato  un
eventuale concorso di persone nel reato ex art. 110 c.p. 
    Ed  infatti,  il  combinato  disposto  degli  artt.  10-bis  T.U.
immigrazione e 110  c.p.  finirebbe  per  intercettare  tutte  quelle
condotte  che,  seppur  animate  esclusivamente   da   finalita'   di
solidarieta' politica, economica e sociale, si  pongano  in  funzione
quantomeno agevolatrice dell'ingresso ovvero dell'intrattenimento nei
territorio dello Stato del c.d. clandestino, senza  peraltro  che  il
legislatore  all'uopo  distingua  -  come   in   altre   ipotesi   di
favoreggiamento altrove tipizzate - fra persone legate da vincolo  di
parentela  con  il  soggetto  irregolare  ovvero  in   posizione   di
terzieta'. Gli esiti di una tale combinazione normativa sono peraltro
sicuramente incostituzionali per un duplice ordine di ragioni: da  un
lato  ci  si  troverebbe  al  cospetto  di  una  norma   che   vieta,
criminalizzandolo, un dovere di solidarieta'  sociale  imposto  dagli
artt. 2 e 3 della Costituzione a favore di categorie di individui  in
condizioni di  obiettiva  subalternita',  difficolta'  ed  indigenza;
dall'altro, per  quel  che  concerne  il  trattamento  sanzionatorio,
l'incostituzionalita'  deriverebbe  dall'applicabilita'  della   sola
sanzione dell'ammenda per il concorrente che pure fosse a  conoscenza
dello  stato  di   clandestinita'   dell'immigrato,   residuando   la
praticabilita' della sanzione sostitutiva  dell'espulsione  solamente
per il soggetto intraneus. 
    6. - Residua un ultimo profilo di  illegittimita'  costituzionale
della norma censurata stavolta per contrasto  con  l'art.  117  Cost,
primo comma, a mente del quale «la potesta' legislativa e' esercitata
dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione,  nonche'
dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e  dagli  obblighi
internazionali»,  nonche'  con  gli  stessi   principi   di   diritto
internazionale  generalmente  riconosciuti  ai  quali   l'ordinamento
italiano si conforma giusto dispositivo dell'art.  10,  primo  comma,
Cost. 
    Con riferimento al primo dei due profili occorre fare riferimento
alle sentenze gemelle della Corte costituzionale n.  348  e  349  del
2007 le quali hanno concluso sostenendo come  l'attuale  primo  comma
dell'art. 117 della Costituzione, cosi' come risulta  dalla  modifica
riguardante il Titolo V della Costituzione intervenuta ad opera della
legge   costituzionale   n.   3/2001,    consenta    di    dichiarare
l'incostituzionalita' di una norma interna in contrasto, inter  alia,
con i vincoli derivanti da obblighi internazionali di fonte  pattizia
assurgendo  quest'ultimi  a  norme   interposte   del   giudizio   di
costituzionalita'. Il giudice che si trovi  ad  applicare  una  norma
interna in apparente contrasto con  la  normativa  internazionale  in
vigore per l'Italia e' dapprima tenuto,  qualora  tale  soluzione  si
riveli  percorribile,  ad  interpretare  la  norma  interna  in  modo
conforme  alla  disposizione  internazionale,  residuando,  in   caso
contrario,  l'unica  possibilita'  di  sollevare  una  questione   di
legittimita'  costituzionale  per  violazione  dell'art.  117,  primo
comma, Cost. 
    Al riguardo occorre dare atto che il nostro Paese ha sottoscritto
nel corso della conferenza di Palermo  del  12-15  dicembre  2000  il
«Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite  contro
la criminalita' organizzata transnazionale per combattere il traffico
di migranti»; nel relativo documento, all'art. 6,  e'  stabilito  che
«ogni Stato Parte adotta misure legislative [...]  per  conferire  il
carattere di reato ai sensi del suo diritto interno [...]» ad  alcune
condotte (traffico di migranti, fabbricazione di falsi  documenti  di
viaggio, fatto di permettere ad una persona che non  e'  cittadina  o
residente  permanente  di  rimanere  nello  Stato  interessato  senza
soddisfare i  requisiti  necessari  per  permanere  legalmente  nello
Stato, ecc.), all'art. 5,  invece,  statuisce  che  «i  migranti  non
diventano  assoggettati  all'azione  penale  fondata   sul   presente
Protocollo per il fatto di essere stati oggetto delle condotte di cui
all'art. 6», all'art. 16, inoltre, obbliga  gli  Stati  contraenti  a
prendere «misure adeguate, comprese quelle di  carattere  legislativo
se necessario, per preservare e tutelare i diritti delle persone  che
sono state oggetto delle condotte  di  cui  all'art.  6»,  nonche'  a
fornire  «un'assistenza  adeguata  ai  migranti  la   cui   vita,   o
incolumita', e' in pericolo dal fatto di essere stati  oggetto  delle
condotte di cui all'art. 6». 
    L'insanabile contrasto delle norme  pattizie  richiamate  con  la
disciplina interna  ex  art.  10-bis  T.U.  immigrazione  emerge  per
tabulas ed e' insuscettibile  di  ricomposizione  mediante  l'ausilio
dell'interpretazione  adeguatrice  conforme  alla  norma   di   fonte
sovranazionale ed impone pertanto, sulla scorta  delle  due  pronunce
richiamate,  il  sollevamento   della   questione   di   legittimita'
costituzionale da parte del giudice che sia chiamato ad applicarle. 
    Con   riferimento   ai   principi   di   diritto   internazionale
generalmente  riconosciuti  ex  art.  10  Cost.,   la   Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo  approvata  dall'Assemblea  Generale
delle Nazioni Unite il 10 dicembre  1948  rappresenta  senz'altro  un
osservatorio privilegiato dal quale estrapolare  principi  vincolanti
per il nostro ordinamento  ex  art.  10  Cost.,  e  quindi  senza  la
necessita' di una ratifica formale da parte dello Stato. 
    L'art. 13 della Dichiarazione Universale afferma «Ogni  individuo
ha diritto alla liberta' di movimento e di residenza entro i  confini
di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese,
incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese». Parimenti,  il
seguente art. 14 chiarisce come «Ogni  individuo  ha  il  diritto  di
cercare e di godere in altri paesi asilo dalla persecuzioni [...]  ed
il successivo art. 23 proclama il  diritto  di  ogni  individuo  alla
possibilita' di assicurare a se' e alla propria famiglia un'esistenza
conforme alla dignita' umana. 
    Si tratta di disposizioni, assieme ad altre  parimenti  di  fonte
internazionalistica, che impediscono al legislatore di ricollegare in
ragione della sola condizione di migrante - sia pure  non  regolare -
disciplina  e  trattamenti  deteriori  rispetto  a  quel  minimum  di
garanzie rintracciabili nei cc.dd. principi fondamentali inalienabili
e garantiti indifferentemente a ciascuno per il solo fatto di  essere
«persona». 
    Trattandosi peraltro di disposizioni internazionali  generalmente
riconosciute  la  relativa   inosservanza   andra'   sollevata   piu'
propriamente con riferimento all'art. 10 della Costituzione. 
    Dai rilievi che precedono consegue con chiarezza la non manifesta
infondatezza   della   questione   di   legittimita'   costituzionale
sollevata. 
    Quanto alla rilevanza della questione ai  fini  del  decidere  si
evidenzia come i procedimenti penali in epigrafe  riguardano  in  via
immediata   ed    esclusiva    l'applicazione    della    fattispecie
contravvenzionale introdotta all'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998  con
possibile applicazione della sanzione sostitutiva dell'espulsione  ex
art. 16, comma 1, d.lgs. n. 286/1998 e che, nel caso di  declaratoria
di incostituzionalita', gli imputati andrebbero  assolti  peri  fatti
loro ascritti.