Ricorso della Regione Campania, in persona del Presidente  della
Giunta regionale pro tempore, On. Antonio Bassolino, rappresentato  e
difeso, in virtu' della delibera di Giunta n.  136  del  19  febbraio
2010 e giusta mandato a margine del presente  atto,  dall'avv.  prof.
Vincenzo Cocozza unitamente  all'avv.  Maria  d'Elia  dell'Avvocatura
regionale, insieme con  i  quali  elettivamente  domicilia  in  Roma,
presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione  Campania  alla  Via
Poli n. 29, contro il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  pro
tempore; per la dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  dei
commi 186, lett. e) e 187 dell'art. 2  della  legge  n.  191  del  23
dicembre 2009 recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (Legge   Finanziaria   2010)»,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del  30  dicembre  2009  -
supplemento ordinario n. 243/2009, per violazione degli articoli  3 -
97 - 114 - 117 - 118 - 119 e 123 della Costituzione, del principio di
leale cooperazione, degli artt. 136 e 137 della Costituzione, nonche'
del criterio di ragionevolezza. 
 
                              F a t t o 
 
    A. - In data 30 dicembre 2009, nella Gazzetta Ufficiale n. 302  -
supplemento ordinario n. 243/2009, e' stata pubblicata  la  legge  n.
191 del 23 dicembre 2009 recante «Disposizioni per la formazione  del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge Finanziaria  2010)»
che si mostra in alcune disposizioni  costituzionalmente  illegittima
per contrasto con l'assetto delle competenze  fissato  dal  Titolo  V
parte seconda della Costituzione. 
    A.1 - Con il comma 187  dell'art.  2, legge  n. 191/2009,  si  e'
disposto che «a decorrere dalla  data  di  entrata  in  vigore  della
presente legge, lo Stato cessa di concorrere al  finanziamento  delle
comunita' montane previsto dall'art. 34 del  decreto  legislativo  30
dicembre 1992, n. 504, e dalle altre disposizioni di  legge  relative
alle comunita' montane. Nelle  more  dell'attuazione  della  legge  5
maggio 2009, n. 42, il 30 per cento delle risorse finanziarie di  cui
al citato art. 34 del decreto legislativo n.  504  del  1992  e  alle
citate disposizioni di  legge  relative  alle  comunita'  montane  e'
assegnato ai comuni montani e ripartito tra gli  stessi  con  decreto
del Ministero dell'interno. Ai fini di cui al  secondo  periodo  sono
considerati comuni montani i comuni in cui almeno il 75 per cento del
territorio si trovi al di sopra dei 600 metri sopra  il  livello  del
mare». 
    Per  inquadrare  l'ambito  di   intervento   della   disposizione
normativa, occorre ricordare che, con la precedente legge 24 dicembre
2007, n. 244, art. 2, commi da 17 a 22, lo Stato aveva stabilito  che
le Regioni, al fine di concorrere all'obiettivo di contenimento della
spesa pubblica, procedessero con  proprie  leggi  al  riordino  della
disciplina delle Comunita' montane, tenendo conto di alcuni  principi
fondamentali. 
    La  disciplina  statale,  poi,  prevedeva  che,  nell'ipotesi  di
mancata  attuazione  di  tali  disposizioni  statali,  si   sarebbero
verificate una serie di conseguenze sino,  anche,  alla  soppressione
delle Comunita' montane. 
    Nell'ambito della disciplina statale era  anche  previsto  quanto
necessario per le risorse umane, finanziarie e strumentali. 
    La Regione Campania, con la legge 30 settembre 2008,  n.  12,  in
puntuale adempimento della appena ricordata prescrizione statale, ha,
dunque,  proceduto  ad  un  nuovo  ordinamento  e  disciplina   delle
Comunita' montane,  al  fine,  evidenziato  nella  legge  stessa,  di
elevare il livello di qualita' delle prestazioni e ridurre gli  oneri
organizzativi, procedimentali e finanziari e  in  diretta  attuazione
dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza  che,
come e' noto, ricevono una dignita' di livello costituzionale. 
    E' anche da aggiungere, perche' sara' elemento da considerare per
la formulazione dei vizi dei quali e' affetta la impugnata disciplina
statale, che lo Statuto regionale  della  Campania,  approvato  nello
stesso anno 2008 (il 12 giugno 2008 in prima deliberazione  e  il  20
febbraio   2009   in   seconda   deliberazione),    ha    strutturato
l'organizzazione della regione riconoscendo un ruolo  specifico  alle
Comunita' montane, cosi' che le previsioni legislative in materia  si
propongono come significativamente attuative di precetti statutari e,
in uno con esso Statuto, di discipline costituzionali. 
    I riferimenti statutari alle Comunita'  montane  sono  molteplici
(artt.  13,  19,  20,  22)  e,   con   tutta   probabilita',   appare
particolarmente significativo l'art. 22 dello Statuto che  disciplina
un organo di rilievo costituzionale nell'organizzazione locale, ossia
il  Consiglio  delle  autonomie  locali   (organismo   regionale   di
partecipazione e consultazione  dei  comuni,  delle  province,  delle
citta' metropolitane e delle Comunita' montane). 
    Con l'intervento contemplato  nella  disposizione  oggetto  della
presente  impugnativa,  lo  Stato,  in  palese  contrasto  con  tutto
l'impianto che si e' sinteticamente ricordato -  e  costituito  dalla
stessa legge statale che ha originato un  processo  organizzativo  di
rilevanza costituzionale per il livello delle competenze legislativa,
finanziaria, statutaria coinvolte, e che si e' mosso nella  direzione
di dare risposte organizzative a principi di rilevanza costituzionale
quali quelli di differenziazione e adeguatezza - ha azzerato i  fondi
di finanziamento alle Comunita' montane, in  tal  modo  determinando,
automaticamente, l'impossibilita' per  le  stesse  di  continuare  ad
operare e la conseguente indiretta soppressione. 
    I profili di  illegittimita'  nei  confronti  della  disposizione
legislativa impugnata, anche alla luce di quanto sopra esposto,  sono
molteplici,  perche'  con  l'intervento  contenuto  nel   comma   187
dell'art. 2, lo Stato viola la potesta' legislativa delle regioni  e,
nel contempo, l'autonomia  finanziaria  finendo  per  riflettersi  il
vizio anche sull'autonomia statutaria. 
    A.2 - Per cio' che concerne, poi, il  comma  186,  art.  2  della
legge impugnata va preliminarmente ricordato che  il  comma  183  del
medesimo articolo prevede  una  riduzione  del  contributo  ordinario
spettante agli enti locali a valere sul fondo  di  cui  all'art.  34,
comma 1, lett. a), del decreto legislativo n. 504/1992. 
    In relazione a tale riduzione, il comma 186 prescrive  l'adozione
di  alcune  misure,  fra  le  quali,  la  lettera   e)   prevede   la
«soppressione dei consorzi di funzioni fra gli enti  locali,  facendo
salvi i rapporti di  lavoro  a  tempo  indeterminato  esistenti,  con
assunzione delle funzioni gia' esercitate dai  consorzi  soppressi  e
delle relative risorse e con  successione  ai  medesimi  consorzi  in
tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro effetto». 
    Lo Stato, dunque, incide su  modalita'  di  organizzazione  delle
funzioni svolte dagli enti locali, senza, pero', che  lo  stesso  sia
titolare di una  potesta'  legislativa  in  tal  senso.  E  viola  la
competenza regionale e l'autonomia costituzionalmente garantita degli
enti locali. 
    Le disposizioni impugnate sono costituzionalmente illegittime per
i seguenti motivi di 
 
                            D i r i t t o 
 
Sul comma 187 
Violazione degli articoli 3, 97,  114,  117,  118,  119 e  123  della
Costituzione.     Violazione del principio di leale     cooperazione.
Violazione del criterio di ragionevolezza. Violazione degli  articoli
136 e 137 della Costituzione. 
    Per poter procedere con ordine, e' necessario, seppure  in  linea
generale, ricostruire il contesto nel quale  si  va  ad  inserire  la
disciplina impugnata, soprattutto con l'ausilio dell'insegnamento che
proviene da recenti sentenze di codesta Ecc.ma  Corte  costituzionale
che hanno tracciato e definito il quadro  relativo  alla  materia  de
qua. 
    1. - Come e' noto, e come si e' anticipato, la legge 24  dicembre
2007, n. 244, ha imposto alle regioni  di  intervenire  nel  riordino
delle Comunita' montane  e  lo  ha  fatto  chiamando  le  medesime  a
concorrere agli obiettivi di contenimento della spesa pubblica. 
    Su tale vicenda si registra uno specifico intervento del  Giudice
delle leggi che, pertanto, e' un punto di riferimento  ineliminabile.
E' assai significativo ripercorrere,  cosi',  alcuni  passaggi  della
giurisprudenza costituzionale perche' dalla stessa si traggono  quali
sono  gli  spazi  legittimamente  percorribili  dallo  Stato  e,  nel
contempo, i limiti che da esso devono essere rispettati. 
    Come e' noto, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 237 del
2009, richiamando la propria decisione n. 244 del 2005, ha confermato
per  le  Comunita'  montane  la  natura  di  «ente  autonomo»  ed  ha
confermato, richiamando le sentenze n. 244 e 456 del 2005  e  n.  397
del 2006, che la disciplina delle  Comunita'  montane  rientra  nella
competenza legislativa residuale della  Regione  ai  sensi  dell'art.
117, comma 4, Cost. 
    Ha chiarito, peraltro, che, nell'ipotesi  in  cui  una  normativa
interferisca con piu' materie che siano attribuite dalla Costituzione
alla potesta' legislativa statale e a quella concorrente o  residuale
delle regioni, in assenza di un  ambito  materiale  prevalente,  deve
trovare applicazione il principio di leale cooperazione. 
    Proprio per tale motivo,  la  disciplina  statale  di  principio,
posta in essere nell'esercizio della potesta' legislativa in  materia
di coordinamento della finanza pubblica, intanto puo' delimitare  una
competenza  anche   residuale   della   Regione,   purche'   rispetti
determinate condizioni. 
    La Corte costituzionale ha, cosi', chiarito che la  normativa  di
principio  deve  prevedere  esclusivamente  criteri   ed   obiettivi,
appartenendo alla disciplina legislativa regionale la  individuazione
degli strumenti concreti per raggiungere quegli obiettivi. 
    Ecco,  allora,  emergere  un  dato  ricostruttivo,   quanto   mai
significativo - anche perche' l'intervento che si e' ricordato e'  in
subiecta materia - secondo il  quale  le  finalita'  di  contenimento
della  spesa   pubblica   sono   espressioni   delle   finalita'   di
coordinamento finanziario, purche' pongano dei vincoli alle politiche
di bilancio fissando un  percorso  per  pervenire  al  risultato  del
contenimento. 
    E cosi', in specifico nel punto 22 del «considerato  in  diritto»
della richiamata decisione del  2009,  n.  237,  si  precisa  che  un
obiettivo  di  natura  finanziaria  per  le   regioni   puo'   essere
legittimamente imposto dallo Stato indicando il percorso del riordino
delle Comunita' montane. Con la precisazione ulteriore, nel punto  23
(considerato in diritto),  che  rientra  nella  potesta'  legislativa
delle regioni, delle sole regioni, anche l'eventuale soppressione  di
tali enti. 
    Per la verita', la Corte  ha  modo  di  precisare  che  le  norme
statali possono introdurre  principi  fondamentali  di  coordinamento
finanziario che incrocino una competenza residuale regionale, purche'
rispettino questa loro ben definita connotazione. 
    Si tratta della duplice condizione indicata nel punto 23.6  della
sentenza, e cioe' che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio e
che non prevedano in modo esaustivo  strumenti  o  modalita'  per  il
perseguimento dei suddetti obiettivi. 
    2. - Raffrontando  questo  insegnamento  cosi'  strutturato  alla
fattispecie in esame, non sembra, in verita', dubitabile che venga in
evidenza una prima vistosa illegittimita'  per  violazione  dell'art.
117  Cost., comma  quarto,  in  uno  con  il   principio   di   leale
cooperazione e, naturalmente, di ragionevolezza e di  sussidiarieta',
differenziazione ed adeguatezza. 
    Come si vedra' anche meglio in prosieguo, la norma impugnata  non
presenta  in  alcun  modo  i  tratti   caratterizzanti   i   principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, dal momento che
sono  assenti  le  appena  ricordate  connotazioni  che  il   Giudice
costituzionale ha con forza sottolineato. 
    La disposizione statale oggetto di impugnativa determina il venir
meno - attraverso la  contemplata  cessazione,  in  particolare,  del
concorso statale al fondo consolidato (1egge n.  285/77  e  in  part.
730/86) e al fondo  per  lo  sviluppo  degli  investimenti  (d.l.  28
novembre 1988, n. 511 conv. nella legge n. 20/89) -  dei  presupposti
perche' continuino ad esistere le Comunita' montane. 
    Si tratta, infatti, di fondi  collegati  a  leggi  speciali,  che
hanno  consentito  l'assunzione  di  personale  che   permettono   il
funzionamento delle Comunita' montane e gli  impegni  finanziari  con
responsabilita' presso la Cassa depositi e prestiti,  che  verrebbero
completamente vanificati. 
    L'effetto  immediato  ed  inevitabile  di  quanto  la  disciplina
statale ha previsto e'  la  concreta  impossibilita'  di  pagare  gli
stipendi e, quindi, di consentire il prosieguo del rapporto di lavoro
con i dipendenti, peraltro assunti sulla base di normative statali, e
che costituiscono allo stato la quasi totalita' del  personale  delle
Comunita' montane. 
    Da qui, l'ulteriore conseguenza oggettiva (indirettamente imposta
alla  Regione)  della  soppressione  delle   Comunita',   stante   la
impossibilita'  di  consentirne  il  funzionamento,   sostanzialmente
attraverso una legge statale che  vanifica  la  potesta'  legislativa
residuale della Regione. 
    Ma un intervento statale di tal genere e' gia'  stato  sanzionato
dall'Ecc.ma Corte. 
    La  sentenza  237/2009,  infatti,  ha  accolto  la  questione  di
legittimita' costituzionale nei  confronti  del  comma  20  dell'art.
2, legge n. 244/2007, che disciplinava  gli  effetti  conseguenti  al
mancato tempestivo riordino delle Comunita'  montane,  chiarendo  che
«tali effetti si  concretizzano  nella  cessazione  dell'appartenenza
alle  comunita'  montane  di  determinati   comuni,   nonche'   nella
soppressione automatica delle comunita' che vengono a trovarsi  nelle
condizioni indicate  dal  medesimo  comma  20.  Quest'ultimo,  pero',
contiene una disciplina di dettaglio ed autoapplicativa che non  puo'
essere ricondotta all'alveo dei principi fondamentali  della  materia
del coordinamento della finanza pubblica, in quanto non  lascia  alle
regioni  alcuno  spazio  di  autonoma  scelta  e  dispone,   in   via
principale, direttamente la conseguenza, anche molto incisiva,  della
soppressione delle  comunita'  che  si  trovino  nelle  specifiche  e
puntuali condizioni ivi previste» (sent. 237/2009, p. 26.3) 
    3. - Nel caso di specie, la  dedotta  violazione  della  potesta'
legislativa   residuale   si   colora   di   ulteriori   aspetti   di
illegittimita' costituzionale nel momento in cui, come si  e'  detto,
la Regione Campania ha esercitato tale  potesta',  e  cio'  ha  fatto
rispettando quanto lo stesso Stato aveva  richiesto  con  il  proprio
precedente intervento legislativo (legge n. 244/2007). 
    E, come si e' visto, la Regione  Campania,  facendo  affidamento,
del tutto legittimamente,  su  principi  fondamentali  stabiliti  dal
legislatore statale, e dando attuazione ai precetti costituzionali in
cui  sono  consacrati  e  sanciti  i  principi   di   sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza, ha strutturato un modello  (condiviso
dallo Stato perche' contenuto in una legge regionale  non  impugnata)
nel quale le Comunita' montane  sono  chiamate  a  svolgere  funzioni
molto  importanti  per  l'assetto  del  territorio  e,   quindi,   si
propongono come snodo della competenza  organizzativa  amministrativa
regionale. 
    Evidente, quindi, l'invasione della competenza  regionale.  Cosi'
operando, infatti, la legge statale vanifica la scelta  politica  che
una legge regionale ha compiuto, per di  piu',  tenendo  conto  delle
indicazioni dello Stato. Si mostra, pertanto, con tutta  evidenza  la
violazione del  principio  di  leale  cooperazione  perche'  con  una
disciplina «secca», in termini  cioe'  di  eliminazione  completa  ed
assoluta di un essenziale sistema di  finanziamento,  contraddice  la
precedente scelta espressa in termini di  principi  di  coordinamento
della finanza pubblica e sacrifica l'autonomia regionale con ovvia ed
inevitabile ricaduta sull'autonomia amministrativa come  delineata  e
garantita dall'art.  118  Cost.  ed  implementata  attraverso  scelte
politiche riferite alla concretizzazione dei principi  costituzionali
di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. 
    Al riguardo, l'Ecc.ma Corte ha sanzionato con la dichiarazione di
illegittimita' proprio la mancata previsione del pieno coinvolgimento
delle regioni nella individuazione dei  criteri  anche  per  la  sola
riduzione del fondo da  destinare  alle  Comunita'  montane,  perche'
esiste - sia consentito riportare l'espressione della  Corte  -  «una
connessione indissolubile tra  i  problemi  del  finanziamento  ed  i
problemi della stessa  esistenza  ed  articolazione  delle  Comunita'
montane» (sent. 27/2010, p. 4). 
    Nel caso di  specie,  la  illegittimita'  e'  ancora  piu'  grave
trattandosi  non  di  misure  di  progressivo  contenimento,  ma   di
eliminazione totale delle risorse. 
    4. - Ancora si osserva che la norma in oggetto  non  utilizza  le
risorse tolte alla Regione per il contenimento della spesa, ma  opera
uno spostamento da un fondo a un altro. 
    In tale direzione, viene ancora piu' in evidenza l'assenza  della
natura di principio della previsione, laddove non si  compie  neanche
un intervento di riequilibrio finanziario,  ma  una  vera  e  propria
scelta di politica territoriale. 
    Inoltre, una parte di tale trasferimento dei fondi (il 30%  delle
risorse finanziarie  eliminate  per  le  Comunita'  Montane)  avviene
direttamente a favore dei comuni montani e ripartiti fra  questi  con
decreto del Ministero dell'interno. 
    Sotto questo punto di vista, si manifesta un ulteriore aspetto di
illegittimita'  per  violazione  delle   norme   costituzionali   che
garantiscono  l'autonomia  regionale  soprattutto   in   materia   di
organizzazione degli enti locali e dell'autonomia degli  stessi  enti
locali. 
    E cio' a maggior ragione  nel  momento  in  cui  in  una  materia
legislativa residuale  il  riparto  e'  effettuato  con  decreto  del
Ministero dell'Interno, cioe' con l'ingresso  di  una  fonte  statale
subordinata in un ambito che la Costituzione non consente  neanche  a
quella primaria statale. 
    5. - La norma, inoltre, precisa che i destinatari di tali risorse
residue  possono  essere  solo  i  Comuni  montani  con  il  75%  del
territorio al di sopra dei 600 metri sul livello del mare. 
    La illegittimita' di una previsione di tal genere, e' gia'  stata
evidenziata dall'Ecc.ma Corte Costituzionale che  nella  sentenza  n.
27/2010 ha sancito che un criterio altimetrico  «rigido»  (quale  era
quello individuato dall'art. 76, comma  6-bis,  legge n.  112/08)  e'
illegittimo dal momento che in subiecta materia e' al piu'  possibile
individuare degli indicatori in maniera generica e non vincolante. 
    Sotto questo punto di vista, si deduce anche  la  violazione  del
giudicato costituzionale,  giacche'  si  tratta  di  una  fattispecie
assolutamente identica a quella decisa dalla Corte,  riferibile  alla
stessa materia,  all'identico  criterio  utilizzato  dal  legislatore
statale, allo stesso ambito di intervento statale. 
    Come si e' detto nel punto che precede, la  impugnata  disciplina
statale non presenta i caratteri di principi di  coordinamento  della
finanza pubblica e la scelta statale di procedere  alla  soppressione
del concorso nei fondi prima ricordati determina una  non  dubitabile
violazione dell'autonomia finanziaria regionale. 
    Si e' ben consapevoli che, nella recente sentenza n. 27 del 2010,
la Corte costituzionale ha affermato che le regioni in base  all'art.
119 Cost. devono provvedere al finanziamento delle Comunita' montane,
ma l'affermazione e' inserita in un piu' complesso  ragionamento  nel
quale rileva la progressiva riduzione del finanziamento statale  che,
in quanto tale, non concretizza di per se' una  violazione  dell'art.
119.  Ben  diversa,  invero,  e'   la   completa   eliminazione   del
finanziamento. E cio' anche tenendo conto che si tratta, come  detto,
del fondo consolidato e di quello per lo sviluppo degli investimenti. 
    Il vizio eccepito di violazione  dell'autonomia  finanziaria  e',
dunque, in linea con il  complessivo  percorso  della  giurisprudenza
costituzionale, perche', come si diceva in precedenza, pur  essendovi
la possibilita' per il legislatore statale di  fissare  vincoli  alle
politiche di bilancio, lo stesso deve garantire agli enti  locali  la
liberta' di  allocazione  delle  risorse  tra  i  diversi  ambiti  ed
obiettivi (sentt. n. 237/2009; n.  417/2005;  n.  36/2004),  per  cui
«qualora la legge statale invece vincolasse le regioni e le  province
autonome all'adozione di  misure  analitiche  e  di  dettaglio,  essa
verrebbe a comprimere illegittimamente la loro autonomia finanziaria»
(sent. n. 237/2009 che richiama la precedente n. 159/08). 
    E' abbastanza evidente che, nell'ipotesi  di  specie,  manca  del
tutto  questo  tratto  caratterizzante  il  contenuto,   perche'   la
disciplina e', appunto, di dettaglio,  prevedendosi  la  eliminazione
totale dei fondi che consentono il  finanziamento  per  le  Comunita'
montane. 
    Chiarissima la violazione dell'autonomia finanziaria regionale. 
    Importanti elementi per sostenere le  illegittimita'  denunciate,
si traggono, poi e ancora una  volta,  dalle  argomentazioni  che  il
Giudice costituzionale ha prospettato nella sentenza n. 237 del 2009.
Valutando, infatti, la riduzione del  fondo  ordinario,  dopo  averne
ricordato  la  funzione,  la  Corte   ha   riconosciuto   il   tratto
caratterizzante di principi fondamentali della materia  coordinamento
della finanza pubblica nella «proporzionalita'» rispetto al fine  che
si intende perseguire. 
    Connotato,  per  di  piu',  riferito  al  fondo  ordinario,  piu'
direttamente nella disponibilita' dello Stato. 
    Nel caso in esame, come  detto,  vengono  in  evidenza  il  fondo
consolidato e il fondo per lo sviluppo degli investimenti per i quali
la soppressione, determinando le conseguenze che si sono ricordate, e
cioe' l'azzeramento delle Comunita' montane, denuncia sicuramente  la
non proporzionalita' rispetto al  fine  e,  comunque,  la  violazione
dell'art. 119 Cost. 
    Anche per questo profilo di illegittimita',  rileva  comunque  la
violazione del principio di leale  cooperazione,  soprattutto  se  si
tien conto che in altre occasioni la Corte costituzionale ha concluso
per la legittimita' dell'intervento statale, nel momento in cui vi e'
stato un coinvolgimento degli enti locali, prevedendosi, per ottenere
l'obiettivo  del  contenimento  della   spesa   nell'attuazione   del
riordino, che siano sentiti i Consigli delle Autonomie locali  (sent.
n. 237/2009 che richiama la precedente n. 370/06). 
    Naturalmente, l'impossibilita' per la Regione di sostituirsi allo
Stato  per  sostenere  spese  che  non  sono  state  contemplate  nel
finanziamento alla stessa spettante (anche per i caratteri dei  fondi
di cui si e' detto) costituisce ulteriore  violazione  dell'art.  119
Cost. 
    Ancora  una  volta  si  ricorda  che  vi  e'   «una   connessione
indissolubile tra i problemi del finanziamento ed  i  problemi  della
stessa esistenza ed articolazione  delle  Comunita'  montane»  (Corte
cost. sent. 27/2010, p. 4). 
    L'ultimo profilo di illegittimita' costituzionale  che  viene  in
evidenza e' l'inevitabile ricaduta  della  previsione  statale  sulla
stessa autonomia regionale statutaria. 
    L'impossibilita' per  la  Regione,  per  l'assenza  del  relativo
finanziamento, di assicurare l'esistenza delle Comunita' montane,  di
fatto, determina, come la Corte stessa ha detto, il loro venir  meno.
Eppure la Regione Campania ha legittimamente scelto, nella sua  legge
statutaria e confidando in un assetto che le  derivava  dagli  stessi
principi fondamentali contenuti nella legge statale  prima  ricordata
(lo Statuto e' stato approvato in prima deliberazione subito dopo  la
legge statale che ha  imposto  la  riorganizzazione  delle  Comunita'
montante), di riconoscere alle Comunita' montane un ruolo  importante
nella struttura politica-organizzativa. 
    Cosi': 
        la possibilita' della  richiesta  da  parte  delle  Comunita'
montane (3 Consigli) di referendum abrogativo (art. 13); 
        la partecipazione delle Comunita' montane alla determinazione
della  politica  regionale  e   alla   programmazione   economica   e
territoriale (art. 19, comma 1); 
        lo svolgimento di funzioni amministrative in  attuazione  dei
principi di autonomia, sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione
(art. 19, comma 3); 
        il ruolo importante per la collaborazione fondata  su  ambiti
territoriali omogenei (art. 19, comma 4); 
        l'attuazione del principio di sussidiarieta' (art. 20). 
    A tutto quanto precede, gia' molto significativo  perche',  oltre
al rango dell'atto fonte che tali disposizioni contiene,  vengono  in
rilievo principi tutti di  livello  costituzionale,  si  aggiunga  il
collegamento (art. 22) fra le Comunita' montane e il Consiglio  delle
Autonomie Locali, organo previsto espressamente in Costituzione,  con
cio' sottolineandosi ancora una  volta  quanto  la  Regione  Campania
abbia coerentemente ed in maniera organica dato rilevanza a tali enti
per lo sviluppo ed attuazione di principi costituzionali. 
Sul comma 186, lett. e) 
Violazione degli artt. 3, 97, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione.
Violazione  del  principio  di  leale  cooperazione.  Violazione  del
principio di ragionevolezza. 
    1. - Come detto, il comma 186 dell'art. 2 Finanziaria 2010,  alla
lett. e) prevede la «soppressione dei consorzi di  funzioni  fra  gli
enti locali, facendo salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato
esistenti, con assunzione delle funzioni gia' esercitate dai consorzi
soppressi e delle relative risorse  e  con  successione  ai  medesimi
consorzi in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro effetto». 
    La violazione della competenza legislativa regionale e' evidente,
cosi' come dell'autonomia  costituzionalmente  garantita  degli  enti
locali. Con riferimento agli  Enti  locali,  infatti,  la  competenza
statale rinvenibile nel testo  costituzionale  di  cui  all'art.  117
comma 2 e' quella  relativa  alla  lettera  p),  ossia  «legislazione
elettorale, organi di governo  e  funzioni  fondamentali  di  comuni,
province e citta' metropolitane». 
    L'intervento in oggetto, pero', non puo' farsi rientrare in  tale
ambito, ne' sul piano soggettivo, ne' su quello oggettivo. 
    Con riferimento al primo aspetto,  I'Ecc.ma  Corte  ha,  infatti,
gia' avuto modo di chiarire che la competenza statale richiamata  «fa
espresso  riferimento  ai  comuni,  alle  province  e   alle   citta'
metropolitane e  l'indicazione  deve  ritenersi  tassativa»,  con  la
conseguenza  che   qualsiasi   altro   soggetto   pubblico   operante
territorialmente, appartiene alla competenza residuale della  Regione
(sent. Corte cost., 23 dicembre 2005, n.  456;  24  giugno  2005,  n.
244). 
    Ma anche sul piano oggettivo, i  consorzi  previsti  dalla  norma
impugnata costituiscono modalita' organizzative dell'Ente e,  dunque,
vengono attratti nell'ambito della «materia di "organizzazione  degli
uffici regionali e degli enti  locali"»  (sentenza  Corte  cost.,  1°
agosto 2008, n. 326, relativa ad una Regione a  Statuto  speciale  ma
che ritiene che  l'art.  117  Cost.,  nella  nuova  formulazione,  ha
assicurato un'autonomia piu' ampia di quella prevista  dagli  statuti
speciali delle Regioni ricorrenti). 
    In definitiva, dunque, non vi e' alcuna norma costituzionale  che
attribuisca allo Stato una competenza generale  in  materia  di  enti
locali, in quanto l'unica norma (art. 117, comma 2 lett. p) limita la
potesta' legislativa statale in relazione al  tipo  di  ente  locale,
nonche' a determinati  aspetti  del  loro  ordinamento  (legislazione
elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali). 
    Alla stregua di quanto sopra, proprio con riferimento a «forme di
svolgimento  dell'attivita'  amministrativa»,   l'Ecc.ma   Corte   ha
affermato che, rientrando la fattispecie nella materia organizzazione
amministrativa, deve riconoscersi la competenza legislativa regionale
(sentenza Corte cost. n. 326/2008 cit.). 
    2. - Ne' alcun rilievo puo' avere  il  richiamo  alla  competenza
statale nell'ambito della funzione  di  coordinamento  della  finanza
pubblica rispetto alla riconosciuta competenza regionale in materia e
all'autonomia costituzionalmente garantita degli enti locali. 
    Al riguardo, infatti, l'Ecc.ma  Corte  ha  sempre  chiarito,  con
riferimento alle  esigenze  di  contenimento  della  spesa,  che  gli
interventi legislativi nazionali intanto possono superare  il  vaglio
di costituzionalita', in quanto le  disposizioni  denunciate  pongano
esclusivamente «un obiettivo di riequilibrio della finanza  pubblica,
inteso nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se
non generale, della spesa corrente, senza prevedere in modo esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento di detto obiettivo» (Corte
cost., 2 aprile 2009, n. 94). 
    Ne'  il  carattere  «finalistico»  dell'azione  di  coordinamento
riesce, nel  caso  di  specie,  a  giustificare  la  incidenza  della
disposizione statale sulla autonomia regionale e degli enti locali in
materia. 
    La Corte, infatti,  ha  gia'  sanzionato  previsioni  legislative
statali che,  fra  le  misure  «finanziarie»,  avevano  stabilito  la
soppressione ex  abrupto  di  enti  (nel  caso  esaminato,  Comunita'
montane) che costituivano una delle  forme  di  organizzazione  delle
funzioni  amministrative  locali,  in  quanto  ha  ritenuto  che   un
intervento di tal tipo «non puo' ritenersi espressione del potere  di
coordinamento della finanza pubblica riconosciuto dalla  Costituzione
allo  Stato,  e  pertanto  non  rientra  nella  potesta'  legislativa
concorrente dello stesso, ma deve  per  converso  essere  qualificata
come attinente in via precipua all'ordinamento dei predetti organismi
e, come tale, rientrante nella competenza  residuale  delle  Regioni»
(Corte cost., 24 luglio 2009, n. 237). 
    3. - Infine, la misura si mostra anche  irragionevole  nella  sua
applicazione indifferenziata, rispetto alle esigenze  necessariamente
variegate del territorio e, proprio per tal motivo, illegittima anche
per violazione del principio di  leale  cooperazione,  laddove  nella
scelta  relativa  non  viene  prevista  alcuna  partecipazione  delle
Regioni e degli enti locali. 
Istanza ai sensi degli articoli 35 e 40 della legge n. 87/1953. 
    Si produce istanza a Codesta Ecc.ma  Corte  affinche'  valuti  il
ricorrere dei presupposti per la sospensione  delle  norme  impugnate
alla luce degli artt. 35 e 40 della legge n. 87/53,  come  modificati
dalla legge 5 giugno 2003, n. 131. 
    Per cio' che concerne in particolare il comma  187,  come  si  e'
segnalato, il fondo che lo Stato intende azzerare ex abrupto riguarda
le risorse  finalizzate  al  pagamento  degli  stipendi  della  quasi
totalita' del personale delle Comunita' montane. Con  la  conseguenza
che, gia' dai prossimi mesi, non  potranno  essere  piu'  pagati  gli
stipendi, con quanto ne consegue sulla possibilita' che continuino ad
esistere le Comunita' montane, non in grado di  funzionare  senza  le
risorse umane ed economiche necessarie. 
    Analoghe considerazioni vanno riferite al comma 186, lett. e), in
considerazione  degli  effetti  immediati  e   non   graduali   della
soppressione imposta dallo Stato.