Ordinanza 
 
sull'istanza di sospensione proposta  nel  giudizio  di  legittimita'
costituzionale degli articoli 1 e 2 del decreto-legge 5  marzo  2010,
n. 29 (Interpretazione autentica  di  disposizioni  del  procedimento
elettorale e relativa alla disciplina di attuazione)  promosso  dalla
Regione Lazio con ricorso notificato e depositato in cancelleria l'11
marzo 2010 ed iscritto al n. 43 del registro ricorsi 2010. 
    Visti l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri nonche' gli atti di intervento rispettivamente  di  Caravale
Mario ed altri, del Movimento difesa del cittadino (MDC) ed  altro  e
di Perugia Maria Cristina ed altro; 
    Udito nella Camera di consiglio del  18  marzo  2010  il  Giudice
relatore Ugo De Siervo; 
    Uditi gli avvocati Vincenzo Cerulli Irelli per Caravale Mario  ed
altri, Gianluigi Pellegrino per il  Movimento  difesa  del  cittadino
(MDC) ed altro, Luca Di Raimondo per Perugia Maria Cristina ed altro,
Federico Sorrentino per la Regione Lazio e gli avvocati  dello  Stato
Michele Dipace e Fabrizio Urbani Neri per il Presidente del Consiglio
dei ministri. 
    Ritenuto che, con ricorso depositato l'11 marzo 2010 (iscritto al
r.r. n. 43 del 2010), la Regione Lazio ha sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3, 24, 25, 48, 72, quarto comma, 77, 102, 104, 111 e  122,
primo  comma,   della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale degli articoli 1 e 2 del decreto-legge 5  marzo  2010,
n. 29 (Interpretazione autentica  di  disposizioni  del  procedimento
elettorale e relativa disciplina  di  attuazione),  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 54 del 6 marzo 2010; 
        che la stessa Regione Lazio ha presentato, con il ricorso  in
epigrafe,  istanza  cautelare  di  sospensione  dell'efficacia  delle
impugnate disposizioni, ai sensi dell'art.  35,  primo  comma,  della
legge 11 marzo 1953, n. 87; 
        che, al riguardo, la difesa regionale considera «evidente  il
grave  ed  irreparabile  pregiudizio  che  deriverebbe  all'interesse
pubblico al regolare svolgimento delle elezioni regionali nel caso in
cui le consultazioni del 28-29 marzo 2010 si svolgessero  sulla  base
di norme suscettibili di declaratoria d'incostituzionalita'»; 
        che la Regione Lazio ritiene di aver interesse a coltivare il
ricorso  non  solo  in  quanto  asseritamente  lesivo  della  propria
competenza a disciplinare, nel dettaglio, la materia  delle  elezioni
regionali ex art.  122,  primo  comma,  Cost.,  ma  anche  in  quanto
l'impugnato decreto-legge parrebbe concretamente volto ad interferire
con le gia' indette elezioni del Consiglio regionale e del Presidente
della Giunta regionale; 
        che con la sentenza n. 196 del  2003,  invero,  questa  Corte
avrebbe statuito che «la potesta' legislativa in tema di elezione dei
Consigli regionali spetta ormai alle Regioni» e che, in  ossequio  al
principio di continuita', le  disposizioni  legislative  dello  Stato
continuano  a  trovare  applicazione  nelle  materie  di   competenza
regionale sino a  quando  non  saranno  intervenute  le  disposizioni
dettate dai legislatori regionali; 
        che, pertanto, resterebbe ferma la preclusione al legislatore
statale di intervenire con disposizioni di dettaglio nelle materie di
competenza concorrente; 
        che le previsioni di dettaglio  poste  da  queste  leggi  non
potrebbero essere modificate, a causa del sopravvenuto  trasferimento
della competenza legislativa alle Regioni, e non  potrebbero  neppure
essere interpretate autenticamente, dal momento che tale  tecnica  e'
«un aspetto del potere di legiferare»; 
        che la Regione Lazio ha esercitato, con la legge  13  gennaio
2005, n. 2 (Disposizioni in materia di elezione del Presidente  della
Regione e del Consiglio e di ineleggibilita'  e  di  incompatibilita'
dei componenti della Giunta e del Consiglio regionale), la competenza
attribuitale  dall'art.  122,   primo   comma,   Cost.,   a   seguito
dell'adozione della legge 2 luglio  2004,  n.  165  (Disposizioni  di
attuazione dell'articolo 122, primo comma, della  Costituzione),  che
ha dettato i principi fondamentali in materia; 
        che l'art. 1 della citata  legge  regionale,  stabilendo  che
«per quanto non espressamente previsto, sono  recepite  la  legge  17
febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei  Consigli  regionali
delle Regioni a statuto normale) e la legge 23 febbraio 1995,  n.  43
(Nuove norme per la elezione dei consigli  delle  regioni  a  statuto
ordinario), e successive modificazioni e integrazioni», avrebbe posto
in essere un rinvio recettizio, tale  da  rendere  la  disciplina  in
oggetto immune da successivi mutamenti normativi in ambito statale; 
        che,  inoltre,  secondo  la  difesa  regionale,   l'impugnato
decreto-legge sarebbe privo della dichiarata portata  interpretativa,
essendo al contrario idoneo ad innovare le disposizioni di  cui  alla
legge n. 108 del 1968, con conseguente e ancor piu'  marcata  lesione
delle attribuzioni regionali vantate in materia; 
        che, secondo la Regione ricorrente, l'impugnato decreto-legge
violerebbe, altresi', gli artt. 3, 24, 25, 48, 102, 104 e 111  Cost.,
avendo il legislatore statale posto in essere  un  esercizio  abnorme
della  potesta'  di  interpretazione  autentica,  al  solo  fine   di
interferire con giudizi pendenti in vista della riammissione di liste
escluse dalla competizione elettorale, contravvenendo al principio di
ragionevolezza, vulnerando la funzione giurisdizionale e le  garanzie
del giusto processo, e ledendo l'eguaglianza del voto; 
        che, infine, per la ricorrente  il  denunciato  decreto-legge
avrebbe violato gli artt. 72, quarto  comma,  e  77,  secondo  comma,
Cost.,  dal  momento  che,  per  un  verso,  in  materia   elettorale
sussisterebbe una riserva  di  assemblea  tale  da  legittimare  solo
l'intervento di leggi formali e che, d'altro canto,  a  fronte  della
vigenza protratta da piu' di quarant'anni della  legge  asseritamente
interpretata,   difetterebbero   i   presupposti   di   straordinaria
necessita' e urgenza che soli legittimano il ricorso  allo  strumento
del decreto-legge; 
        che  si  e'  costituito  il  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che, «previo rigetto della domanda  di  sospensiva»,
il ricorso sia dichiarato «inammissibile o comunque infondato»; 
        che  l'Avvocatura  eccepisce,  anzitutto,   la   carenza   di
legittimazione della Giunta regionale a proporre il  ricorso,  atteso
che, ai sensi  dell'art.  45  della  legge  della  Regione  Lazio  11
novembre 2004, n. 1 (Nuovo statuto della Regione Lazio),  la  «Giunta
dimissionaria ai sensi dell'art. 19, comma 4, dell'articolo 43, comma
2, dell'art. 44, comma 1, resta in carica, presieduta dal  Presidente
della Regione  ovvero  dal  Vicepresidente  nei  casi  di  rimozione,
decadenza,   impedimento   permanente   e   morte   del   Presidente,
limitatamente all'ordinaria amministrazione, fino alla  proclamazione
del Presidente della Regione neoeletto»; 
        che, prosegue l'Avvocatura, «a seguito delle  dimissioni  del
Presidente della  Regione,  gli  organi  regionali  sono  entrati  in
prorogatio»; 
        che,  per  tale  motivo,   la   Giunta   dovrebbe   limitarsi
all'adozione  di  atti  dovuti,   ovvero   imposti   da   circostanze
straordinarie e  urgenti,  ma  non  potrebbe  decidere  di  impugnare
innanzi a questa Corte una  legge  ritenuta  invasiva  della  propria
competenza ai sensi dell'art. 127 Cost.; 
        che, nel merito, l'Avvocatura osserva che  l'art.  122  Cost.
attribuisce alle Regioni a  statuto  ordinario  potesta'  legislativa
concorrente «in materia elettorale», ma non  «per  tutta  la  materia
elettorale»; 
        che, in particolare, ferma la potesta' legislativa  regionale
sul «sistema di elezione», non avrebbe attinenza  a  tale  competenza
della  Regione  la  disciplina  del  «procedimento  elettorale»;  che
quest'ultima  riguarderebbe,   invece,   «l'esercizio   di   funzioni
amministrative  statali  chiaramente  riconducibili   all'ordinamento
civile (modalita' di sottoscrizione delle candidature, autenticazione
delle firme) ed  altre  che  riguardano  i  rimedi  amministrativi  e
giurisdizionali  delle  decisioni  di  esclusione  ed  ammissioni  di
candidati e liste», con riferimento anche alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato prevista dall'art. 117, secondo comma,  lettera
l), su giurisdizione e norme processuali; 
        che le funzioni previste dagli artt. 8, 9 e 10 della legge n.
108 del 1968 sono  assegnate  ad  «uffici  composti  da  magistrati»,
considerati «organi straordinari del Ministero dell'interno al  quale
viene imputata la responsabilita' per l'attivita' svolta,  anche  con
funzione di indipendenza»; 
        che da cio' si dovrebbe dedurre il difetto di  competenza  di
norme delle Regioni in materia; 
        che la disciplina del procedimento elettorale posta in essere
dalla  legislazione  nazionale   sarebbe   «correlata»   anche   alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato prevista dall'art.  117,
secondo comma, lettera  m),  Cost.,  ed  avrebbe  inoltre  valore  di
principio fondamentale ai sensi dell'art. 122 Cost.; 
        che, sempre a parere dell'Avvocatura, non vi sarebbero  dubbi
sul carattere interpretativo delle disposizioni  impugnate,  e  sulla
conseguente «efficacia retroattiva» delle stesse; 
        che, in particolare,  il  decreto-legge  oggetto  di  ricorso
avrebbe inteso superare dubbi maturati anche in giurisprudenza  sulle
modalita' di presentazione delle liste elettorali,  con  disposizioni
destinate a valere  non  solo  con  riguardo  alle  attuali  elezioni
regionali, ma anche per le successive competizioni elettorali; 
        che, inoltre, l'Avvocatura  rileva  l'inammissibilita'  delle
censure fondate sugli artt. 3, 24, 25, 48, 72, 77,  102,  104  e  111
Cost., in quanto estranee al riparto delle competenze  normative  tra
Stato e Regioni; 
        che,  con  specifico  riguardo  all'istanza  di  sospensione,
l'Avvocatura ne deduce l'inammissibilita', poiche' le ragioni che, ai
sensi dell'art. 35 della legge 11 marzo 1953, n.  87,  consentono  di
sospendere l'efficacia dell'atto avente forza di legge non concernono
le competenze regionali, sicche', «in via  di  principio,  una  legge
dello Stato potrebbe essere  anche  tacciata  di  incostituzionalita'
perche' invasiva di competenze legislative  regionali,  ma  non  puo'
arrecare  un  pregiudizio  irreparabile  a  tale  interesse  pubblico
generale  o  all'ordinamento  giuridico   della   Repubblica   o   un
pregiudizio grave per i diritti del cittadino»; 
        che, nel caso di specie, la Regione  ricorrente  non  avrebbe
neppure motivato in ordine alla sussistenza di un pericolo  di  danno
irreparabile; 
        che,  inoltre,  la  Regione  non  avrebbe  alcun   «interesse
qualificato» ad intromettersi nel procedimento di presentazione delle
liste elettorali; 
        che, infine, l'eventuale misura sospensiva avrebbe  carattere
«sproporzionato»,   poiche'   sortirebbe   l'effetto   di    incidere
sull'«ordinato svolgimento» non solo  delle  elezioni  nella  Regione
Lazio, ma «in tutto il Paese»; 
        che,  pertanto,  l'Avvocatura  conclude  chiedendo  che  tale
istanza sia dichiarata inammissibile, o infondata; 
        che hanno spiegato intervento nel presente giudizio  il  sig.
Mario Caravale e altri cittadini i quali hanno chiesto l'accoglimento
del ricorso proposto  dalla  Regione  Lazio,  previa  adozione  della
misura cautelare sospensiva; 
        che, in ordine alla ammissibilita'  del  proprio  intervento,
gli intervenienti rilevano come, a  differenza  delle  altre  ipotesi
esaminate in passato dalla Corte, nel caso  in  esame  si  tratti  di
cittadini elettori che chiedono di prendere parte ad un  giudizio  di
legittimita' costituzionale di una legge elettorale; 
        che la peculiarita' della posizione  del  cittadino  elettore
nell'ordinamento sarebbe dimostrata  dal  riconoscimento  dell'azione
popolare estesa a tutti gli elettori dell'ente della cui elezione  si
tratta e dalla deroga alle regole generali  in  tema  di  accesso  al
giudizio giustificata dal fatto che viene in considerazione «il  piu'
rilevante diritto politico»; 
        che sono altresi' intervenuti, con separati atti,  i  signori
Perugia Maria Cristina e Mastrorillo Riccardo, nonche'  il  Movimento
difesa del cittadino (MDC) e il sig. Antonio Longo, a  propria  volta
aderendo alle censure della Regione ricorrente; 
        che con ordinanza allegata, di cui  si  e'  data  lettura  in
occasione della camera di consiglio del 18 marzo  2010,  fissata  per
discutere l'istanza di sospensione, tutti tali interventi sono  stati
dichiarati inammissibili; 
        che le parti hanno discusso  l'istanza  di  sospensiva  nella
camera di consiglio sopra indicata. 
    Considerato che viene in esame l'istanza di sospensione  proposta
dalla Regione ricorrente ai sensi dell'art. 35 della legge  11  marzo
1987, n. 53, e dell'art. 21 delle norme  integrative  per  i  giudizi
davanti alla Corte costituzionale; 
        che,  in  via   preliminare,   va   rilevata   l'infondatezza
dell'eccezione di inammissibilita' proposta dall'Avvocatura  generale
dello Stato, secondo cui la Giunta della  Regione  Lazio,  in  quanto
dimissionaria,  ai  sensi  dell'art.  45,  comma  6,  dello   statuto
approvato con la legge  regionale  11  novembre  2004,  n.  1  (Nuovo
Statuto della Regione Lazio), non avrebbe il potere di promuovere  il
presente  giudizio,  in  quanto  tale  atto   eccede   dall'ordinaria
amministrazione cui  essa  dovrebbe  limitarsi  in  virtu'  di  detta
previsione statutaria; 
        che,  infatti,  il   potere   di   sollevare   questione   di
legittimita' costituzionale  in  via  principale  e'  assegnato  alla
Regione   direttamente   dall'art.   127,   secondo   comma,    della
Costituzione, entro un termine perentorio, la cui osservanza  implica
che la Regione stessa sia  nelle  condizioni  di  poterlo  rispettare
senza soluzione di continuita'; 
        che, in un caso analogo, concernente  i  poteri  del  Governo
della Repubblica dimissionario, questa Corte ha  gia'  affermato  che
«l'urgenza  determinata  dalla  perentorieta'  del   termine»   rende
incontrovertibile che la deliberazione  di  promuovere  questione  di
legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 127 Cost., adottata  a
tutela di un obiettivo  interesse  generale,  rientra  tra  gli  atti
assumibili dal Governo stesso (sentenza n. 119 del 1966); 
        che,  pertanto,  il  ricorso  risulta,  sotto  tale  profilo,
ammissibile; 
        che, contrariamente a quanto eccepito  dall'Avvocatura  dello
Stato, il testo stesso dell'art. 35 della legge n. 87 del 1953, nella
parte in cui rinvia all'art. 32 della medesima  legge,  rende  palese
che la Regione puo' proporre istanza cautelare, ove  ritenga  che  ne
sussistano i presupposti; 
        che, in conformita' ai principi generali che disciplinano  la
tutela in via d'urgenza, il provvedimento previsto  dall'art.  40  di
tale ultima legge puo' essere adottato se vi sia concomitanza di  due
requisiti, ovvero il fumus boni iuris ed il periculum in mora; 
        che il difetto di uno soltanto di essi  comporta  il  rigetto
dell'istanza; 
        che nella specie non ricorre il presupposto del periculum  in
mora nei termini di cui all'art. 35 della legge n. 87 del 1953; 
        che, infatti, anche in ragione  del  carattere  sommario  che
connota di regola il procedimento cautelare, l'eventuale  sospensione
dell'efficacia del decreto-legge impugnato non potrebbe rimuovere  in
via  definitiva  la  condizione  di  precarieta'   che   caratterizza
l'imminente competizione elettorale, in ragione della vigenza  di  un
decreto-legge non ancora convertito ed al  momento  gia'  oggetto  di
ulteriore ricorso in via principale dinanzi a questa Corte; 
        che, in particolare, tale condizione - in se' suscettibile di
generare   gravi   incertezze   che   si   potrebbero    ripercuotere
sull'esercizio di diritti politici fondamentali e  sull'esito  stesso
delle elezioni - permarrebbe con identica gravita', ove fosse accolta
la domanda cautelare; 
        che,  infatti,  ben  potrebbe  verificarsi  che  il  giudizio
costituzionale si concluda definitivamente con una pronuncia  di  non
fondatezza, ovvero di inammissibilita'; 
        che,  in  tal  caso,  la   sospensione   dell'efficacia   del
decreto-legge impugnato  potrebbe  produrre  un  danno  analogo,  per
qualita' ed intensita', ai diritti e agli interessi  implicati  dallo
svolgimento delle  elezioni,  che  deriverebbe,  in  senso  uguale  e
contrario, dall'applicazione delle disposizioni censurate; 
        che nella fattispecie non  e'  possibile  affermare  che  sia
prevalente  il  danno  derivante  dal  perdurare  dell'efficacia  del
decreto-legge censurato; 
        che la carenza di periculum in mora, per  le  ragioni  e  nei
sensi  appena  indicati,  comporta  il  rigetto  della   domanda   di
sospensione.