Ordinanza 
 
nel giudizio per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorto a seguito della deliberazione del Senato della  Repubblica  del
19 febbraio 2009 (Doc. IV-ter, n.7),  relativa  all'insindacabilita',
ai  sensi  dell'art.  68,  primo  comma,  della  Costituzione,  delle
opinioni espresse dal senatore Raffaele Lino Iannuzzi  nei  confronti
del dott. Antonio Ingroia, promosso dal Tribunale ordinario di Monza,
sezione distaccata di Desio, con ricorso depositato in cancelleria il
16 dicembre 2009 ed iscritto al registro conflitti tra  poteri  dello
Stato n. 13 del 2009, fase di ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del 14  aprile  2010  il  Giudice
relatore Maria Rita Saulle. 
    Ritenuto che il Tribunale ordinario di Monza, sezione  distaccata
di Desio, in funzione di giudice unico, con ricorso depositato il  21
ottobre 2009, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri  dello
Stato in relazione alla delibera del 19 febbraio 2009  (Doc.  IV-ter,
n.7), con la quale il Senato della  Repubblica  ha  affermato  che  i
fatti per i quali e' in corso il  procedimento  penale  a  carico  di
Raffaele Iannuzzi, per il reato di  diffamazione  aggravata  a  mezzo
stampa, concernono opinioni espresse  da  un  membro  del  Parlamento
nell'esercizio delle sue funzioni e sono  pertanto  insindacabili  ai
sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione; 
        che, espone il ricorrente,  il  parlamentare  e'  chiamato  a
rispondere del reato di cui all'art.  595,  commi  primo,  secondo  e
terzo del codice penale, perche'  quale  autore  dell'articolo  «Covo
Riina, il processo risorge da Santoro», pubblicato sul quotidiano «Il
Giornale» l'8 ottobre 2006, offendeva l'onore e  la  reputazione  del
dott. Antonio Ingroia; 
        che, in particolare,  nel  corso  del  citato  articolo  egli
affermava «che il procedimento penale nei  confronti  degli  imputati
Mori e De  Caprio  e'  stato  condotto  dal  Pubblico  Ministero  con
l'intento    di    "chiacchierare",    "insozzare",     "sputtanare",
"perseguitare" gli imputati mediante "indagini a  vuoto,  basate  sul
nulla e finte richieste di archiviazione fatte apposta  per  riaprire
le indagini il  giorno  dopo.  All'infinito";  che  con  il  medesimo
intento, l'iscrizione dei  nominativi  degli  imputati  nel  registro
delle notizie  di  reato  fu  eseguita  "solo  per  farne  parlare  i
giornali, per insozzare e per sputtanare, per  "mascariare",  tingere
di carbone Mori e De Caprio"; che dopo l'assoluzione  degli  indagati
il PM Ingroia e' andato  di  persona  ad  accusarli  di  nuovo  e  ad
infamarli  dinnanzi  alla  "Cassazione  di  Michele  Santoro",  dove,
partecipando in prima persona alla trasmissione di quest'ultimo,  "ha
discettato sul suo stesso processo", spiegando che "in sostanza  Mori
e De Caprio, benche' assolti, sono sempre colpevoli"»; 
        che il Tribunale ordinario di Monza,  sezione  distaccata  di
Desio,  dopo  aver  richiamato   la   giurisprudenza   costituzionale
riguardante le prerogative di insindacabilita' parlamentare,  nonche'
la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo,  ritiene
che, nel caso di specie, vi sarebbe una  carenza  assoluta  di  nesso
funzionale tra le dichiarazioni rese dall'imputato e la sua attivita'
parlamentare; 
        che,  infatti,  a   sostegno   della   applicabilita'   della
guarentigia al caso di specie,  sempre  secondo  il  ricorrente,  non
sarebbero sufficienti  le  argomentazioni  sostenute  nell'intervento
effettuato dinanzi all'Assemblea il 16 dicembre 2008 dall'interessato
secondo le quali quanto pubblicato in data  8  ottobre  2006  sarebbe
stato da considerare necessariamente connesso alla propria  attivita'
di parlamentare, «atteso che la ragione stessa della sua  elezione  a
senatore riposava esclusivamente nella sua attivita' giornalistica»; 
        che  parimenti  non  condivisibile,  ancora  ad  avviso   del
ricorrente, sarebbe quanto affermato nella relazione  di  maggioranza
secondo cui non sarebbe possibile scindere l'attivita' di giornalista
da quella di senatore, «stante l'intervenuto mutamento  della  figura
del  giornalista  politico»,  che  renderebbe  impossibile  qualunque
scissione fra l'attivita' svolta in qualita' di giornalista e  quella
strettamente politica coperta dalla immunita' prevista  dall'art.  68
Cost.; 
        che,  pertanto,  il  ricorrente  chiede  a  questa  Corte  di
dichiarare  «che  non  spettava  al  Senato   della   Repubblica   la
valutazione  circa  la  condotta  attribuita  al  senatore   Raffaele
Iannuzzi [...] in quanto estranea alla sfera di previsione  dell'art.
68, primo comma, Cost.», nonche' di annullare la delibera del  Senato
della Repubblica in data 19 febbraio 2009. 
    Considerato che, in questa fase del giudizio, a  norma  dell'art.
37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo  1953,  n.  87  (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale),
questa Corte e' chiamata  a  deliberare,  senza  contraddittorio,  in
ordine all'esistenza o meno della «materia di  un  conflitto  la  cui
risoluzione spetti alla sua competenza», restando impregiudicata ogni
ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilita'; 
        che,  nella  fattispecie,  sussistono  tanto   il   requisito
soggettivo quanto quello oggettivo del conflitto; 
        che,  infatti,  quanto  al   requisito   soggettivo,   devono
ritenersi legittimati ad essere parte del presente conflitto  sia  il
Tribunale  ordinario  di  Monza,   sezione   distaccata   di   Desio,
trattandosi di organo giurisdizionale in  posizione  di  indipendenza
costituzionalmente     garantita,     competente     a     dichiarare
definitivamente, per il  procedimento  del  quale  e'  investito,  la
volonta' del potere cui appartiene, sia il Senato  della  Repubblica,
quale organo  competente  a  dichiarare  definitivamente  la  propria
volonta' in ordine  all'applicabilita'  dell'art.  68,  primo  comma,
della Costituzione; 
        che, quanto al profilo oggettivo,  sussiste  la  materia  del
conflitto, dal momento che il ricorrente  lamenta  la  lesione  della
propria sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita  da  parte
della impugnata deliberazione del Senato della Repubblica; 
        che, pertanto, esiste la materia  di  un  conflitto,  la  cui
risoluzione spetta alla competenza di questa Corte.