IL TRIBUNALE PER I MINORENNI 
 
    Nell'udienza preliminare del 29 aprile  2010  ha  pronunciato  la
seguente ordinanza nel procedimento sopra numerato nei confronti di: 
        1) C.M., nato in Afghanistan il 1º  gennaio  1995;  libero  -
Presente; 
        2) M.R., nato in Afghanistan il 1º  gennaio  1995;  libero  -
Contumace; 
        3) M.M., nato in Afghanistan il 1º  gennaio  1992;  libero  -
Contumace 
imputati per il delitto p. e p.  dall'art.  10-bis,  d.l.  15  luglio
2009, n. 94, per aver  fatto  ingresso  nel  territorio  dello  Stato
Italiano in condizioni di clandestinita'. 
    In Castrignano del Capo il 5 settembre 2009. 
    Premesso che l'art. 10-bis, comma l, del d.lgs. n. 286/1998  come
introdotto dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, la cui applicazione  e'
oggetto del  presente  procedimento  penale,  sanziona  con  la  pena
dell'ammenda  da  5.000  a  10.000   euro,   salvo   che   il   fatto
costituisca piu' grave reato, «...lo straniero che fa ingresso ovvero
si  trattiene  nel  territorio  dello  Stato,  in  violazione   delle
disposizioni del presente  testo  unico  nonche'  di  quelle  di  cui
all'art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68 ...»; 
    che la norma in questione, come  gia'  evidenziato  con  numerose
eccezioni di legittimita' costituzionale, appare in palese  contrasto
con  taluni  principi  fondamentali  contenuti  nella  nostra   Carta
fondamentale ed in particolare: 
        1) con l'art. 3 Cost. sotto il profilo della irragionevolezza
della scelta legislativa di sanzionare  penalmente  una  condotta  in
tutto e per tutto coincidente, sotto il profilo  soggettivo  e  sotto
quello oggettivo, con quella per la  quale  l'art.  13  del  suddetto
d.lgs.  n.  286/1998  commina   la   mera   sanzione   amministrativa
dell'espulsione. 
    Ed infatti scopo  evidente  della  norma  incriminatrice  di  che
trattasi e' quello di consentire  nel  piu'  breve  tempo  possibile,
l'allontanamento dell'immigrato  clandestino  sorpreso  a  varcare  i
confini dello Stato. 
    Tanto si ritrae da talune  previsioni  che  accedono  alla  norma
incriminatrice «de quo agitar» come ad esempio quella che faculta  il
giudice a  sostituire  d'ufficio  la  sanzione  dell'espulsione  alla
sanzione  pecuniaria  prevista  dall'art. 10-bis  (art.   16   citato
d.lgs.n. 286), ovvero la norma (art 10-bis,  comma  2)  che  sancisce
espressamente l'inapplicabilita' della  previsione  sanzionatoria  di
cui al comma 1  allo  straniero  destinatario  del  provvedimento  di
respingimento ai sensi dell'art. 10,  comma  1  d.lgs.  cit.,  o,  da
ultimo (art. 10-bis, comma 5) quella che fa obbligo per il Giudice di
pronunciare sentenza di non luogo a procedere una volta avuta notizia
dell'avvenuto respingimento o dell'espulsione dello straniero  tratto
a giudizio per rispondere del reato p. e.p. dall'art. 10-bis. 
    Se questo e' vero, ne deriva che la preesistenza all'art.  10-bis
del d.lgs. n. 286/1998, di una norma (appunto l'art. 13 d.lgs.n. 286)
che gia' predisponeva un  valido  strumento,  molto  meno  afflittivo
perche'   di   carattere   amministrativo,   comunque    idoneo    al
raggiungimento di quella finalita' - che, si e' detto, rappresenta la
vera «ratio» della disposizione della cui legittimita' costituzionale
si discute - rende di tutta evidenza  l'assoluta  inutilita'  di  una
duplicazione  di  quel  sistema  sanzionatorio  ancor   piu'   grave,
sperequato  e  percio'   contrastante   con   i   basilari   principi
costituzionali di uguaglianza  e  ragionevolezza,  in  considerazione
anche del  fatto  che  a  fianco  di  tale  disposizione  continua  a
coesistere l'art. 13 del medesimo corpo che - a parita' di condotta -
prevede un sistema decisamente meno afflittivo non foss'altro perche'
esso prescinde da qualsivoglia verifica di carattere penale. 
        2) Con 1'art. 27 della Costituzione che esprime il  principio
della  personalita'  della  responsabilita'  penale.  L'art.   10-bis
d.lgs.n. 286/1998 fa  discendere  l'esercizio  dell'azione  penale  a
carico  di  un  soggetto  a  seguito  di  una  condotta   che   resta
obiettivamente neutra a fini  penalistici  ovverosia  l'ingresso  nel
territorio dello Stato  «  ...in violazione  delle  disposizioni  del
presente testo unico nonche' di quelle di cui all'art. 1 della  legge
28 maggio 2007, n. 68...», una condotta che, va aggiunto, di per  se'
non appare neppure indicativa di  particolare  pericolosita'  sociale
dell'agente (in tal senso si era espressa la Corte costituzionale con
le sentenze n. 22/2007 e n. 78/2007 nello scrutinare la  legittimita'
degli  artt.  14,  comma  5-ter  e  nel  valutare  la  questione   di
costituzionalita',  sollevata  dal  Tribunale  di   sorveglianza   di
Cagliari in riferimento all'art. 27, terzo comma Cost.,  degli  artt.
47,  48  e  50,  legge  n.  354/1975  in   materia   di   ordinamento
penitenziario e .di esecuzione penale nonche' degli artt.  5,  5-bis,
9,  13  e   22   d.lgs.n.   286/1998   in   materia   di   disciplina
dell'immigrazione  e  di  condizione  dello  straniero),  ancor  piu'
perche'   trattasi   evidentemente   di   una   fatto   difficilmente
riconducibile a volonta' illecita  dell'agente  straniero  il  quale,
legittimamente ed in maniera scusabile,  nella  quasi  totalita'  dei
casi non e' a conoscenza della  normativa  extrapenale  e  di  natura
amministrativa   che   regolamenta   l'ingresso    dello    straniero
extracomunitario nei confini  del  nostro  Stato,  cui  espressamente
rinvia la previsione della norma «de qua». 
    Con la disposizione in oggetto, in definitiva, si finisce  quindi
per procedere d'ufficio a carico dello  straniero  immigrato  per  il
solo  fatto  del  suo  «status»  di  «straniero  migrante»,  salvo  a
prevedere,  ma  in  via  derogatoria   e   comunque   successivamente
all'esercizio dell'azione penale,  la  sospensione  del  procedimento
penale percio' originatosi  «...Nel  caso  di  presentazione  di  una
domanda di protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19
febbraio  2007,  n.  251...»  (art.  10-bis,  comma  6)   sino   alla
definizione dell'iter  relativo  all'istruttoria  della  domanda  «de
qua», il tutto in chiara  violazione  del  valore  costituzionalmente
tutelato dall'art. 27 della Costituzione. 
        3)  Con  il  dovere  di  solidarieta'  (art.  2  Cost.),  con
l'obbligo costituzionalmente imposto allo Stato di  conformarsi  alle
norme del diritto  internazionale  generalmente  riconosciute  e  del
dovere  di  regolare  la  condizione  giuridica  dello  straniero  in
conformita' delle norme e dei trattati internazionali. 
    Non v'e' chi non veda infatti,  come  l'art.  10-bis  del  citato
d.lgs., prevedendo un generico ed indistinto sistema repressivo  che,
prescindendo  da   qualsivoglia   valutazione   ed   indagine   sulle
motivazioni che  hanno  spinto  ii'  migrante  a  fare  ingresso  nel
territorio dello Stato, lascia questi di fronte alla poco confortante
alternativa di soggiacere  al  procedimento  penale  o  accettare  di
allontanarsi dai confini del nostro Paese, contrasta con il principio
per il quale la nostra Repubblica comunque riconosce e  garantisce  i
diritti inviolabili dell'uomo (tra questi anche quello,  inalienabile
ed incoercibile, di migliorare le proprie condizioni di vita  venendo
cosi' per l'effetto. meno  a  quel  dovere  di  solidarieta'  cui  fa
riferimento   l'art.   2   della   Costituzione   e    contravvenendo
contestualmente meno all'adempimento di quegli accordi internazionali
sottoscritti  (tra  tutte  quelle   contenute   nella   Dichiarazione
Universale dei diritti Umani approvata dall'Assemblea  delle  Nazioni
Unite il 10 dicembre  1948,  la  convenzione  O.I.L.  sui  lavoratori
migranti del 1975) che ratificate dal nostro Paese riconoscono  tutte
il diritto di ogni individuo di lasciare qualsiasi paese - incluso il
proprio  -  e  non  solo  per  fuggire  a   persecuzioni   politiche,
ideologiche o razziali ma anche per garantirsi appunto  una  migliore
condizione esistenziale, attraverso il reperimento di un  lavoro  che
e' anch'esso un valore  fondante  della  nostra  Repubblica  (art.  1
Cost.) espressamente tutelato in tutte le sue forme  ed  applicazioni
(art. 35 Cost.) e nello specifico con i principi ispiratori  e  guida
contenuti nella Convenzione ONU sui diritti  dell'Infanzia  approvata
dall'Assemblea Generale delle Nazioni  Unite  il  20  novembre  1989,
entrata in vigore il 2 settembre 1990, ratificata  dal  nostro  Paese
con legge n. 176 del 27 maggio 1991.