Sentenza 
 
nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  23-bis  del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel
testo originario ed in quello modificato dall'art. 15, comma  1,  del
decreto-legge 25 settembre 2009, n.  135  (Disposizioni  urgenti  per
l'attuazione di obblighi comunitari e per  l'esecuzione  di  sentenze
della Corte di giustizia delle Comunita'  europee),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n.  166;  dell'art.  15,
comma 1-ter, dello stesso decreto-legge n. 135 del 2009,  convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009; dell'art. 4, commi 1,
4, 5, 6 e 14 della legge della Regione Liguria 28 ottobre 2008, n. 39
(Istituzione delle Autorita' d'Ambito per l'esercizio delle  funzioni
degli enti locali in materia di risorse idriche e gestione rifiuti ai
sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Norme in materia
ambientale); dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Campania
21 gennaio 2010, n. 2 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale della regione Campania - Legge finanziaria anno
2010); promossi dalle Regioni Emilia-Romagna (mediante due  ricorsi),
Liguria (mediante due  ricorsi),  Piemonte  (mediante  due  ricorsi),
Puglia, Toscana, Umbria e Marche e dal Presidente del  Consiglio  dei
ministri (mediante due ricorsi), notificati il 20 ottobre 2008, il 21
gennaio 2010, il 20 ottobre 2008, il 22 gennaio 2010, il  20  ottobre
2008, il 29 gennaio, il 9 gennaio, il 22 gennaio, il 21 gennaio ed il
22 gennaio 2010, il 30 dicembre 2008 e il 20 marzo  2010,  depositati
in cancelleria il 22 ottobre 2008, il 28 gennaio 2010, il 22  ottobre
2008, il 27 gennaio, il 27 ottobre, il 29 gennaio, il 18 gennaio,  il
27 gennaio, il 28 gennaio ed il 29 gennaio 2010, il 2 gennaio 2009  e
il 30 marzo 2010, ed iscritti ai nn. 69 del registro ricorsi 2008, 13
del registro ricorsi 2010, 72  del  registro  ricorsi  2008,  12  del
registro ricorsi 2010, 77 del registro ricorsi 2008, 16, 6, 10, 14  e
15 del registro ricorsi 2010, 2 del registro  ricorsi  2009,  51  del
registro ricorsi 2010. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri e delle Regioni Liguria e Campania; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  5  ottobre  2010  il  giudice
relatore Franco Gallo; 
    Uditi gli avvocati Giandomenico Falcon,  Franco  Mastragostino  e
Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna, Giandomenico Falcon, Luigi
Manzi e Luigi Piscitelli per la Regione  Liguria,  Alberto  Romano  e
Roberto Cavallo Perin per la Regione  Piemonte,  Nicola  Colaianni  e
Adriana Shiroka per la Regione Puglia,  Lucia  Bora  per  la  Regione
Toscana, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi  per  la  Regione  Umbria,
Stefano Grassi per la Regione Marche, Vincenzo Cocozza per la Regione
Campania  e  gli  avvocati  dello  Stato  Chiarina  Aiello,  Giuseppe
Albenzio  e  Paolo  Gentili  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il 22
ottobre  successivo  (r.  ric.  n.   69   del   2008),   la   Regione
Emilia-Romagna ha impugnato, tra l'altro, i commi 7  e  10  dell'art.
23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita',  la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione  tributaria)
- articolo aggiunto dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133,
ed entrato in vigore, in forza dell'art. 1, comma 4, di detta  legge,
in data 22 agosto 2008 - in riferimento all'articolo  117,  quarto  e
sesto comma, nonche' all'articolo 118, primo e secondo  comma,  della
Costituzione. 
    1.1. - La ricorrente premette  che,  secondo  la  sentenza  della
Corte costituzionale n. 272 del  2004,  la  legge  dello  Stato  puo'
intervenire nella materia dei servizi pubblici  a  titolo  di  tutela
della concorrenza solo con norme  che  «che  garantiscono,  in  forme
adeguate e proporzionate,  la  piu'  ampia  liberta'  di  concorrenza
nell'ambito di rapporti - come quelli relativi al regime delle gare o
delle modalita' di gestione e conferimento dei servizi - i quali  per
la loro diretta incidenza sul mercato  appaiono  piu'  meritevoli  di
essere preservati da pratiche anticoncorrenziali». 
    1.1.1. - La Regione impugna, in primo luogo, il comma 7 dell'art.
23-bis,  il  quale  prevede  che  «Le  regioni  e  gli  enti  locali,
nell'ambito delle rispettive competenze e d'intesa con la  Conferenza
unificata di cui all'articolo 8 del  decreto  legislativo  28  agosto
1997, n. 281,  e  successive  modificazioni,  possono  definire,  nel
rispetto delle normative settoriali, i bacini di gara per  i  diversi
servizi, in maniera da consentire lo sfruttamento delle  economie  di
scala e di scopo e favorire  una  maggiore  efficienza  ed  efficacia
nell'espletamento dei servizi, nonche' l'integrazione  di  servizi  a
domanda debole nel quadro di servizi piu'  redditizi,  garantendo  il
raggiungimento  della  dimensione  minima  efficiente  a  livello  di
impianto per piu' soggetti gestori e la copertura degli  obblighi  di
servizio universale». 
    Per  la  ricorrente,  tale  disposizione,  «sotto  una  apparenza
meramente facoltizzante», vincola le Regioni e  gli  enti  locali  ad
assumere  le  proprie  decisioni  relative  ai  bacini  di   gara   -
corrispondenti  ai  bacini  di  esercizio  dei  servizi  pubblici   -
«d'intesa con la Conferenza unificata»,  in  violazione  degli  artt.
117, quarto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost. 
    Lamenta  la  Regione  che  la  disciplina  della  dimensione   di
esercizio dei servizi pubblici rientra nella sua potesta' legislativa
e che il condizionare l'esercizio di tale  potesta'  e  delle  scelte
amministrative che essa esprime lede sia la potesta' stessa,  sia  il
principio di  sussidiarieta',  non  sussistendo  «alcuna  ragione  di
centralizzazione di tali scelte». Tale lesione non viene meno per  il
fatto che la Conferenza unificata sia un organismo  espressivo  delle
autonomie,   perche'   l'intesa   con    la    Conferenza    richiede
necessariamente anche l'intesa con lo Stato, il quale e' esso  stesso
parte della Conferenza e perche' si tratterebbe in ogni  caso  di  un
condizionamento delle scelte della Regione da parte di altre  Regioni
ed enti locali, che non hanno alcun potere da esercitare in relazione
al territorio di una specifica Regione. 
    1.1.2. - E' censurato, in secondo luogo, il  comma  10  dell'art.
23-bis, il quale prevede che «ll Governo, su  proposta  del  Ministro
per i rapporti con le regioni ed entro centottanta giorni dalla  data
di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto,
sentita la Conferenza unificata di cui  all'articolo  8  del  decreto
legislativo 28 agosto  1997,  n.  281,  e  successive  modificazioni,
nonche' le competenti Commissioni parlamentari,  adotta  uno  o  piu'
regolamenti, ai sensi dell'articolo  17,  comma  2,  della  legge  23
agosto 1988, n. 400, al fine di: a) prevedere  l'assoggettamento  dei
soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali  al  patto  di
stabilita' interno e l'osservanza da parte delle societa' in house  e
delle societa' a partecipazione mista pubblica e privata di procedure
ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni e servizi e  l'assunzione
di  personale;  b)  prevedere,  in   attuazione   dei   principi   di
proporzionalita' e di  adeguatezza  di  cui  all'articolo  118  della
Costituzione, che i  comuni  con  un  limitato  numero  di  residenti
possano svolgere le  funzioni  relative  alla  gestione  dei  servizi
pubblici  locali  in  forma  associata;  c)   prevedere   una   netta
distinzione tra le funzioni di regolazione e le funzioni di  gestione
dei servizi pubblici locali,  anche  attraverso  la  revisione  della
disciplina sulle incompatibilita'; d) armonizzare la nuova disciplina
e quella di settore applicabile ai diversi servizi  pubblici  locali,
individuando le norme applicabili in via generale  per  l'affidamento
di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in  materia
di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonche' in materia di
acqua; e) disciplinare, per i settori diversi da quello idrico, fermo
restando il limite  massimo  stabilito  dall'ordinamento  di  ciascun
settore per la cessazione degli affidamenti effettuati con  procedure
diverse dall'evidenza pubblica o da quella di cui al comma 3, la fase
transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle  gestioni  in
essere alle disposizioni di  cui  al  presente  articolo,  prevedendo
tempi differenziati e che gli affidamenti di retti in essere  debbano
cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o  rinnovo;  f)
prevedere  l'applicazione  del  principio  di  reciprocita'  ai  fini
dell'ammissione alle gare di imprese  estere;  g)  limitare,  secondo
criteri   di   proporzionalita',   sussidiarieta'    orizzontale    e
razionalita' economica, i casi di gestione in regime d'esclusiva  dei
servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attivita' economiche
di prestazione di servizi di  interesse  generale  in  ambito  locale
compatibili con le garanzie di universalita'  ed  accessibilita'  del
servizio  pubblico  locale;  h)  prevedere  nella  disciplina   degli
affidamenti idonee forme di ammortamento  degli  investimenti  e  una
durata degli affidamenti strettamente proporzionale e  mai  superiore
ai tempi di recupero degli investimenti;  i)  disciplinare,  in  ogni
caso di subentro, la cessione dei beni, di proprieta' del  precedente
gestore, necessari per la prosecuzione  del  servizio;  l)  prevedere
adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche  con  riguardo
agli utenti  dei  servizi;  m)  individuare  espressamente  le  norme
abrogate ai sensi del presente articolo». 
    Tale disposizione violerebbe  l'art.  117,  sesto  comma,  Cost.,
perche' la materia che forma oggetto della  competenza  regolamentare
statale da essa prevista presenterebbe  un  «inestricabile  intreccio
con le materie oggetto di potesta' concorrente (come il coordinamento
della finanza pubblica, fondamento della lettera a) o esclusiva delle
regioni (come nel caso della gestione associata dei  servizi  locali,
oggetto della lettera c)». Secondo la ricorrente, in presenza  di  un
tale intreccio di materie, il solo modo di contemperare le competenze
rispettive  dello  Stato  e  delle  Regioni  sarebbe  consistito  nel
sottoporre il regolamento all'intesa della Conferenza Stato-Regioni o
della Conferenza unificata, in luogo  del  semplice  parere  previsto
dalla disposizione impugnata. 
    In particolare, con riferimento alla  lettera  b)  del  comma  10
dell'art. 23-bis, la ricorrente lamenta che l'oggetto della  potesta'
regolamentare da esso assegnata allo Stato - e cioe' prevedere che «i
comuni con un  limitato  numero  di  residenti  possano  svolgere  le
funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in  forma
associata» - e' del tutto estraneo alla tutela della concorrenza e  a
ogni altro titolo di competenza normativa statale. 
    1.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni   proposte   siano   dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate. 
    Rileva la difesa  dello  Stato  che:  a)  il  censurato  comma  7
dell'art. 23-bis reca una disciplina che rientra nella materia  della
tutela della concorrenza, di competenza legislativa  esclusiva  dello
Stato, perche', attraverso l'individuazione dei bacini di gara e  dei
criteri relativi a tale attivita', individua in concreto il  «mercato
rilevante», allo scopo di evitare le  distorsioni  della  concorrenza
derivanti dalla parcellizzazione  delle  gestioni;  b)  il  censurato
comma 10 dell'art. 23-bis prevede una potesta' regolamentare  statale
che ha la finalita' di procedere all'armonizzazione della  disciplina
di  alcuni  settori  di  pubblici  servizi  nei  quali  sussiste  una
regolazione settoriale contrastante con i principi stabiliti da detto
articolo e tale finalita' giustifica la previsione del  parere  della
Conferenza Stato-Regioni anziche' del meccanismo  dell'intesa  forte;
c) in particolare, la lettera b) del  censurato  comma  10  dell'art.
23-bis ha anch'essa una finalita' di armonizzazione, perche'  prevede
che «il "controllo analogo" possa  sussistere  anche  allorche'  piu'
comuni e/o  enti  pubblici  non  detengano  individualmente  l'intera
partecipazione del soggetto affidatario in house». 
    1.3. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  la
Regione  Emilia-Romagna  ha  sostanzialmente  ribadito  quanto   gia'
sostenuto nel ricorso, aggiungendo che: a) quanto  all'individuazione
dei bacini di gara di cui  al  censurato  comma  7,  l'illegittimita'
della  previsione  dell'intesa  con  la   Conferenza   unificata   e'
confermata  dalla  stessa  legislazione  statale,  che  affida   alle
Regioni, senza intese di alcun tipo, il  potere  di  individuare  gli
ambiti di esercizio dei servizi pubblici, come ad esempio in  materia
di servizio idrico integrato (art. 147 del d.lgs. 3 aprile  2006,  n.
152, recante «Norme in materia ambientale»); b) quanto al regolamento
di delegificazione previsto dal censurato  comma  10,  lo  schema  di
regolamento adottato il 22 luglio del 2010 dal Consiglio dei ministri
e non ancora emanato contiene una  previsione  tanto  dettagliata  da
rendere  oltremodo  necessaria  la  previsione  dell'intesa  con   la
Conferenza unificata in luogo del semplice parere. 
    2. - Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il 22
ottobre successivo (r. ric. n. 72 del 2008), la  Regione  Liguria  ha
impugnato, tra l'altro, i commi 2, 3, 4, 7 e 10 dell'art. 23-bis  del
decreto-legge n. 112 del 2008 -  articolo  aggiunto  dalla  legge  di
conversione 6 agosto 2008, n. 133, - in riferimento agli  artt.  117,
quarto e sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost. 
    2.1. - La ricorrente premette  che  la  legge  dello  Stato  puo'
intervenire nella materia dei  servizi  pubblici  solo  a  titolo  di
tutela della concorrenza e sostiene che le disposizioni censurate non
sono riferibili a tale titolo competenziale. 
    2.1.1. - La Regione impugna, in primo luogo, i commi  2,  3  e  4
dell'art. 23-bis, i  quali  prevedono  rispettivamente  che:  a)  «Il
conferimento della gestione dei servizi pubblici locali  avviene,  in
via ordinaria, a favore di imprenditori o di  societa'  in  qualunque
forma  costituite  individuati  mediante  procedure  competitive   ad
evidenza  pubblica,  nel  rispetto  dei  principi  del  Trattato  che
istituisce la Comunita' europea e dei principi generali  relativi  ai
contratti pubblici e, in particolare, dei principi  di  economicita',
efficacia,  imparzialita',  trasparenza,  adeguata  pubblicita',  non
discriminazione,  parita'  di  trattamento,   mutuo   riconoscimento,
proporzionalita'»  (comma  2);  b)  «In  deroga  alle  modalita'   di
affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a  causa
di  peculiari  caratteristiche  economiche,  sociali,  ambientali   e
geomorfologiche  del  contesto  territoriale  di   riferimento,   non
permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento puo'
avvenire nel rispetto  dei  principi  della  disciplina  comunitaria»
(comma 3); c) «Nei casi di cui al comma 3, l'ente affidante deve dare
adeguata pubblicita' alla scelta, motivandola in base  ad  un'analisi
del mercato e contestualmente trasmettere  una  relazione  contenente
gli  esiti  della  predetta  verifica  all'Autorita'  garante   della
concorrenza e  del  mercato  e  alle  autorita'  di  regolazione  del
settore, ove costituite, per l'espressione di un parere  sui  profili
di competenza da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione  della
predetta relazione» (comma 4). 
    Osserva la  ricorrente  che  il  diritto  dell'ente  territoriale
responsabile di erogare in proprio  il  servizio  pubblico  a  favore
della propria comunita' «non solo non e'  precluso  dalle  regole  di
tutela della concorrenza,  ma  e'  espressamente  riconosciuto  dalla
giurisprudenza della Corte di  giustizia  delle  Comunita'  europee»,
secondo  cui  «un'autorita'  pubblica,  che  sia   un'amministrazione
aggiudicatrice,  ha  la  possibilita'  di  adempiere  ai  compiti  di
interesse pubblico ad  essa  incombenti  mediante  propri  strumenti,
amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far
ricorso ad entita' esterne non appartenenti ai propri servizi», e «in
tal caso, non si puo' parlare di contratto a titolo oneroso  concluso
con   un'entita'   giuridicamente    distinta    dall'amministrazione
aggiudicatrice», con la conseguenza  che  «non  sussistono  dunque  i
presupposti per applicare le norme comunitarie in materia di  appalti
pubblici». La stessa giurisprudenza avrebbe,  inoltre,  costantemente
precisato che, «non e' escluso che possano esistere altre circostanze
nelle quali l'appello alla concorrenza non e' obbligatorio  ancorche'
la controparte contrattuale sia  un'entita'  giuridicamente  distinta
dall'amministrazione aggiudicatrice», e che  «cio'  si  verifica  nel
caso  in  cui  l'autorita'  pubblica,  che   sia   un'amministrazione
aggiudicatrice,  eserciti  sull'entita'  distinta  in  questione   un
controllo analogo a quello che essa esercita  sui  propri  servizi  e
tale  entita'  realizzi  la  parte  piu'  importante  della   propria
attivita'  con  l'autorita'  o  le   autorita'   pubbliche   che   la
controllano». 
    Ad avviso della ricorrente, le disposizioni censurate si  pongono
in contrasto con  tali  principi,  perche'  limitano,  in  violazione
dell'art. 117, quarto comma, Cost., la potesta' legislativa regionale
di disciplinare il normale svolgimento del servizio pubblico da parte
dell'ente, sottoponendo tale scelta a  vincoli  sia  sostanziali  (le
«peculiari  caratteristiche   economiche,   sociali,   ambientali   e
geomorfologiche  del  contesto  territoriale  di   riferimento,   non
permettono un efficace e utile ricorso al mercato»)  che  procedurali
(l'onere di «trasmettere una relazione  contenente  gli  esiti  della
predetta verifica  all'Autorita'  garante  della  concorrenza  e  del
mercato e alle autorita' di regolazione del settore, ove  costituite,
per l'espressione di un parere sui profili di competenza»). 
    2.1.2. - La Regione impugna, in secondo luogo,  il  comma  7  del
citato art. 23-bis, in riferimento agli artt. 117,  quarto  comma,  e
118, primo e secondo comma, Cost., proponendo  questioni  analoghe  a
quelle proposte dalla Regione Emilia-Romagna nel ricorso  n.  69  del
2008 (supra: punto 1.1.1.). 
    2.1.3. - La stessa Regione impugna, infine, il comma 10 dell'art.
23-bis, in riferimento all'artt. 117, sesto comma, Cost.,  proponendo
questioni analoghe a quelle proposte dalla Regione Emilia-Romagna nel
ricorso n. 69 del 2008 (supra: punto 1.1.2.). 
    2.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni   proposte   siano   dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate. 
    Rileva  la  difesa  dello  Stato  che:  a)  nella  giurisprudenza
comunitaria e interna, la possibilita'  dell'in  house  providing  e'
costruita come deroga alla regolamentazione generale e deve, percio',
essere  interpretata  in  via  restrittiva;  b)  nell'attuazione  del
diritto comunitario  in  materia  di  tutela  della  concorrenza,  il
legislatore  statale  ha  un  margine  di  discrezionalita'  e  puo',
percio',  utilizzare  gli  strumenti  che  ritiene  piu'  congrui  in
relazione alla situazione nazionale; c)  non  vi  e'  alcuna  lesione
dell'autonomia  degli  enti  locali,  perche'  le   norme   censurate
consentono che essi - qualora ne sussistano i presupposti  -  possano
fare ricorso all'affidamento dei servizi in house;  d)  il  censurato
comma 7 dell'art.  23-bis  reca  una  disciplina  che  rientra  nella
materia  della  tutela   della   concorrenza,   perche',   attraverso
l'individuazione dei bacini di gara e dei  criteri  relativi  a  tale
attivita', individua  in  concreto  il  «mercato  rilevante»;  e)  il
censurato  comma   10   dell'art.   23-bis   prevede   una   potesta'
regolamentare  statale  che  ha  la  finalita'  di   procedere   alla
armonizzazione della disciplina di alcuni settori di pubblici servizi
nei quali sussiste  una  disciplina  settoriale  contrastante  con  i
principi stabiliti da detto articolo. 
    2.3. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  la
Regione Liguria ha sostanzialmente ribadito quanto gia' sostenuto nel
ricorso, svolgendo considerazioni  analoghe  a  quelle  svolte  nella
memoria per l'udienza nel giudizio r. ric.  n.  69  del  2008 (supra:
punto  1.3.)  e  precisando,  inoltre,  che  il  diritto  comunitario
consente agli enti locali di gestire in proprio i servizi pubblici  e
non prevede che la gestione in house sia limitata a casi eccezionali. 
    3. - Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il 27
ottobre successivo (r. ric. n. 77 del 2008), la Regione  Piemonte  ha
impugnato  i  commi  1,  2,  3,  4,  8  e  10  dell'art.  23-bis  del
decreto-legge n. 112 del 2008 -  articolo  aggiunto  dalla  legge  di
conversione 6 agosto 2008, n. 133, ed entrato  in  vigore,  in  forza
dell'art. 1, comma 4, di detta legge, in data 22  agosto  2008  -  in
riferimento agli artt. 3, 5, 97, 114,  117,  primo,  secondo,  terzo,
quarto e sesto comma, 118, primo e secondo comma, e 120 Cost. 
    3.1. - La Regione premette che il  censurato  comma  1  dell'art.
23-bis  prevede  che   «Le   disposizioni   del   presente   articolo
disciplinano l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici  locali
di rilevanza economica, in applicazione della disciplina  comunitaria
e al fine di favorire  la  piu'  ampia  diffusione  dei  principi  di
concorrenza, di liberta' di stabilimento e di libera prestazione  dei
servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di
servizi di interesse generale in ambito locale, nonche' di  garantire
il diritto di tutti gli utenti alla universalita'  ed  accessibilita'
dei  servizi  pubblici  locali  ed  al   livello   essenziale   delle
prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e)  e
m), della Costituzione, assicurando un  adeguato  livello  di  tutela
degli utenti, secondo i principi di sussidiarieta',  proporzionalita'
e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo
si applicano a tutti i servizi pubblici  locali  e  prevalgono  sulle
relative discipline di settore con esse incompatibili». 
    Il successivo comma 8 pone una disciplina transitoria per il solo
servizio idrico integrato, prevedendo che: «Salvo quanto previsto dal
comma 10, lettera e), le  concessioni  relative  al  servizio  idrico
integrato rilasciate con  procedure  diverse  dall'evidenza  pubblica
cessano comunque entro e non oltre la  data  del  31  dicembre  2010,
senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante.  Sono
escluse dalla cessazione le concessioni affidate ai sensi  del  comma
3». 
    La preesistente disciplina generale del servizio pubblico  locale
- prosegue la Regione - non e' tuttavia integralmente  sottoposta  ad
abrogazione dal nuovo art. 23-bis, perche' quest'ultimo espressamente
prevede che cessino di avere effetto le norme preesistenti nelle sole
«parti incompatibili» con le sue nuove disposizioni (comma 11). 
    3.1.1. - La ricorrente lamenta, in primo luogo, che  i  censurati
commi 1, 2 e 3 violano l'art. 117, primo e quarto comma,  Cost.  Sono
richiamati, ma non propriamente evocati, anche gli artt. 5, 97,  114,
secondo comma, 117, secondo e sesto comma, e 118 Cost. 
    3.1.1.1. - Quanto  al  parametro  dell'art.  117,  quarto  comma,
Cost., esso sarebbe violato perche' le  norme  impugnate  recano  una
disciplina che non e' riconducibile alla materia della  tutela  della
concorrenza, ma alla potesta' legislativa  residuale  delle  Regioni.
Con tali disposizioni, infatti, il legislatore statale riconosce  che
entrambe le forme di gestione ed  affidamento  dei  servizi  pubblici
(soggetto scelto con gara, organizzazione  in  house)  sono  conformi
all'ordinamento  europeo  e  in  particolare  alla  disciplina  sulla
concorrenza, ma giunge sino ad individuare come  forma  preferenziale
"ordinaria" l'affidamento  del  servizio  ad  imprese  terze,  mentre
relega la possibilita' dell'affidamento in house  ai  soli  casi  ivi
espressi in via d'eccezione, superando con cio' la stessa  disciplina
comunitaria  in  materia  di  concorrenza.  E  non  potrebbe   essere
richiamato, a sostegno della legittimita' di tali norme, il principio
secondo  cui  la  «legislazione  nazionale  in  materia   di   tutela
dell'ambiente ha potuto individuare misure piu'  rigorose  di  quelle
previste dal diritto comunitario», perche' «cio' e'  stato  possibile
nei soli limiti di un rispetto del principio di proporzionalita'  con
altre disposizioni del Trattato [...] tra le quali assume particolare
importanza la disciplina a tutela della concorrenza». 
    Quanto alla sussistenza di altri eventuali titoli  di  competenza
legislativa  statale,  la  Regione  rileva,  innanzi  tutto,  che  la
disciplina del  censurato  art.  23-bis  «e'  in  tutto  o  in  parte
sostitutiva dell'art. 113, d.lgs. n. 267 del 2000» e ha  percio'  per
oggetto unicamente le  forme  di  gestione  dei  servizi  pubblici  a
rilevanza economica, e non le prestazioni da assicurare agli  utenti,
con la conseguenza che non puo'  essere  richiamata  la  materia  dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti  civili  e
sociali;  rileva,  inoltre,  che  la  disciplina  censurata  non   e'
riconducibile alla potesta' esclusiva statale in materia di  funzioni
fondamentali di Comuni, Province e Citta'  metropolitane  (art.  117,
secondo comma, lettera p, Cost.), «giacche' la gestione dei  predetti
servizi non puo' certo  considerarsi  esplicazione  di  una  funzione
propria ed indefettibile dell'ente locale». 
    In conclusione - sempre secondo la ricorrente - l'opzione tra  le
diverse modalita' di gestione del servizio pubblico  «e'  una  tipica
scelta  d'organizzazione,  in  particolare  di  buon  andamento   del
servizio pubblico (art. 97,  primo  comma,  Cost.),  che  proprio  in
quanto organizzazione locale e  non  nazionale  dei  servizi  oggetto
della disciplina dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del  2008,
non puo' riconoscersi  alla  legislazione  statale,  ma  spetta  alla
legislazione regionale ai sensi dell'art. 117,  quarto  comma,  Cost.
seppure nel rispetto di una eventuale specifica disciplina degli enti
territoriali minori (art. 117, sesto  comma,  Cost.)».  Alle  Regioni
spetta, inoltre «la legittimazione ad impugnare le leggi  statali  in
via diretta non solo a tutela della propria legislazione ma anche con
il  riferimento  alla  prospettata  lesione  da  parte  della   legge
nazionale della  potesta'  normativa  degli  enti  territoriali,  con
affermazione della regione come ente  di  tutela  avanti  alla  Corte
costituzionale del "sistema regionale delle  autonomie  territoriali"
(art. 114, secondo comma, Cost.)». 
    3.1.1.2. - Quanto al parametro dell'art. 117, primo comma, Cost.,
la ricorrente rileva che esso  sarebbe  violato  perche'  il  diritto
comunitario non consente  che  il  legislatore  nazionale  spinga  la
tutela della concorrenza fino comprimere il  «principio  di  liberta'
degli individui o di autonomia - del pari costituzionale - degli enti
territoriali (artt. 5, 117, 118, Cost.) di mantenere la capacita'  di
operare ogni qualvolta fanno la scelta che ritengono piu'  opportuna:
cioe' se fruire  dei  vantaggi  economici  offerti  dal  mercato  dei
produttori oppure se procedere  a  modellare  una  propria  struttura
capace di diversamente configurare  l'offerta  delle  prestazioni  di
servizio pubblico». In  tal  senso  si  e'  espresso  -  prosegue  la
ricorrente -  l'ordinamento  comunitario,  laddove  «ha  ritenuto  in
contrasto con  la  disciplina  europea  sulla  concorrenza  la  legge
nazionale sui lavori pubblici (allora legge 11 febbraio 1994, n. 109,
art. 21) che aveva limitato la  scelta  tra  i  due  criteri  europei
d'aggiudicazione  degli  appalti  -   offerta   economicamente   piu'
vantaggiosa e prezzo piu' basso − imponendo  il  vincolo  legislativo
alle  amministrazioni  aggiudicatrici  di  ricorrere  unicamente   al
criterio del prezzo piu' basso». L'attuazione del diritto comunitario
non consentirebbe al legislatore interno  di  esprimere  un  autonomo
indirizzo politico, perche' essa puo' comportare solo «l'adozione  di
norme esecutive (secundum legem)», con l'impossibilita' di  spingersi
sino a norme «integrative (praeter legem), tali  cioe'  da  ampliare,
senza  derogarli,  i  contenuti  normativi  espressi  attraverso   la
legislazione»  da  attuare.  Nel  caso  di  specie,  «nessuna   delle
disposizioni  comunitarie  vigenti  infatti  impone  −  come   invece
pretende l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit.  ai  suoi
commi secondo e terzo − agli Stati membri l'attribuzione  ad  imprese
terze come forma ordinaria o preferenziale di affidamento dei servizi
pubblici locali, relegando ai soli casi d'eccezione il  ricorso  alla
diversa ed alternativa forma dell'in house providing. Al contrario si
puo' affermare che la legislazione comunitaria lasci gli Stati membri
liberi   di   decidere   se   fornire   i   servizi   pubblici    con
un'organizzazione propria [...] o affidarne la fornitura  ad  imprese
terze». 
    3.1.2. - La ricorrente lamenta, in secondo luogo, che i censurati
commi 2, 3 e 4 violano gli artt. 3, 97,  114,  117,  primo,  secondo,
terzo, quarto e sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost. 
    3.1.2.1. - Quanto ai parametri degli  artt.  3  e  97  Cost.,  la
ricorrente rileva che essi sarebbero violati  perche'  la  disciplina
dell'affidamento   del   servizio   pubblico   locale   nella   forma
organizzativa dell'in house providing, contenuta  nelle  disposizioni
censurate, risulta lesiva della «competenza  delle  regioni  e  degli
enti locali ove le s'intenda come  disciplina  ulteriore  rispetto  a
quella generale sul procedimento amministrativo che da tempo  prevede
il dovere di motivazione degli atti amministrativi (art. 3,  legge  7
agosto 1990, n. 241), secondo molti posto in attuazione del principio
costituzionale di  motivazione  delle  scelte  della  amministrazioni
pubbliche  quanto  meno  nella  cura  di  pubblici  interessi».  Tale
ulteriore disciplina, da  intendersi  come  «deroga  alla  disciplina
generale   sul   procedimento   e   la   motivazione    degli    atti
amministrativi»,  si  porrebbe  in  violazione   del   principio   di
ragionevolezza «(arg. ex art. 3, secondo comma Cost.), poiche' non e'
ravvisabile nel caso in esame  alcun  interesse  pubblico  prevalente
capace di fondare sia l'esenzione dal generale dovere di  motivazione
per l'affidamento ad imprese terze (art. 23-bis, secondo comma),  sia
viceversa la limitazione dei casi sui quali puo'  essere  portata  la
motivazione  a  fondamento  di  altre  soluzioni  organizzative».  La
denunciata invasione nella sfera di competenza regionale e degli enti
territoriali minori e' addirittura enfatizzata - prosegue la  Regione
- dalla precisazione che le disposizioni  impugnate  «prevalgono»  su
tutte le  «discipline  di  settore  con  esse  incompatibili»  e,  in
particolare, su quelle della Regione Piemonte  relative  al  servizio
idrico integrato (legge regionale 13  dicembre  1997,  n.  13)  e  al
sistema integrato di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani
(legge regionale 24 ottobre 2002, n. 24), che non limitano la  scelta
tra le forme di gestione  dei  servizi  compatibili  con  il  diritto
comunitario. 
    La ricorrente non esclude, peraltro, che dell'art. 23-bis,  commi
1 e 4,  si  possa  dare  «un'interpretazione  adeguatrice  capace  di
sorreggere una sentenza interpretativa di rigetto della questione  di
costituzionalita' proposta ove s'intenda che  tali  disposizioni  non
deroghino alla disciplina generale sul  procedimento  amministrativo,
dovendo l'amministrazione motivare qualunque scelta  della  forma  di
gestione del servizio pubblico locale,  attraverso  una  comparazione
tra  tutte  quelle  compatibili  con  l'ordinamento  comunitario   ed
offrendo infine la giustificazione in concreto della forma prescelta,
secondo  un'interpretazione  che  espunge   dalle   norme   qualsiasi
preferenza  o  prevalenza  in  astratto  di  una  forma  di  gestione
sull'altra». 
    Anche seguendo tale percorso interpretativo, permarrebbe comunque
- ad avviso della Regione - l'illegittimita' costituzionale  parziale
dell'art. 23-bis, commi 3 e 4, del citato decreto-legge  n.  112  del
2008, «per avere il legislatore statale invaso la sfera di competenza
normativa della Regione Piemonte e degli enti territoriali piemontesi
nella definizione dello svolgimento delle  funzioni  loro  attribuite
(art. 117, commi quarto e sesto, Cost.) poiche' una parte della norma
prevede una disciplina particolare del  procedimento  di  affidamento
della gestione a soggetti diversi dagli operatori di mercato, tra cui
l'in house providing». 
    A tali considerazioni, la difesa regionale aggiunge che  i  commi
censurati contengono «norme  di  dettaglio  cosi'  puntuali  che  non
sarebbero neppure compatibili  con  una  competenza  esclusiva  dello
Stato [...] e in violazione del principio di ragionevolezza (ex  art.
3, secondo  comma,  Cost.)  poiche'  della  legge  impugnata  non  si
comprendono le ragioni di una disciplina differenziata  per  l'ambito
locale dei pubblici servizi rispetto a quella  generalmente  prevista
per l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato ed in  genere
per le autorita' di regolazione». 
    3.1.2.2. - Quanto  ai  parametri  «dell'art.  117,  commi  primo,
secondo, terzo, quarto, Cost. con riferimento agli articoli 114, 117,
sesto comma, e 118, commi primo  e  secondo,  Cost.»,  la  ricorrente
rileva che essi sarebbero violati perche' i  commi  censurati  ledono
«l'autonomia costituzionale propria dell'intero  sistema  degli  enti
locali», limitando  la  «capacita'  d'organizzazione  e  di  autonoma
definizione normativa dello svolgimento delle funzioni di affidamento
dei servizi pubblici locali». Secondo la Regione, in particolare,  la
scelta delle forme di gestione ed affidamento del  servizio  pubblico
deve  informarsi  a   valutazioni   di   efficienza,   efficacia   ed
economicita' «che  ciascuna  organizzazione  pubblica  non  puo'  che
esprimere con  riferimento  ai  proposti  standard  di  qualita'  che
intende offrire agli utenti, involgendo  percio'  questioni  di  pura
autorganizzazione  degli  enti  territoriali».  In  particolare,   la
legislazione statale  puo'  legittimamente  imporre  una  determinata
forma di gestione di un servizio  pubblico  solo  procedendo  in  via
preliminare ad avocare allo Stato la  competenza  sull'organizzazione
della gestione dei servizi  sinora  considerati  locali  (es.  idrico
integrato, raccolta dei rifiuti solidi urbani)  sul  presupposto  che
l'esercizio unitario di tali servizi sia  divenuto  ottimale  solo  a
livello d'ambito statale (art. 118, primo comma, Cost.)». Ne consegue
che  la  disciplina  in  esame  e'  da  ritenersi  costituzionalmente
illegittima «per difetto di tale qualificazione nazionale dei servizi
che restano locali per sua espressa qualificazione». 
    3.1.2.3. - Quanto al parametro  «dell'art.  117,  secondo  comma,
Cost. con riferimento all'art. 3 Cost.», la ricorrente  sostiene  che
la disciplina contenuta nelle disposizioni censurate, anche ove fosse
ritenuta   di   tutela    della    concorrenza,    difetterebbe    di
proporzionalita' e adeguatezza. 
    In  particolare,  la  difesa  regionale  afferma  che  la   Corte
costituzionale ha riconosciuto che  solo  le  disposizioni  di  legge
statale a  «carattere  generale  che  disciplinano  le  modalita'  di
gestione e l'affidamento dei servizi  pubblici  locali  di  rilevanza
economica» trovano il proprio «titolo  di  legittimazione»  nell'art.
117, secondo comma, lettera e), Cost. («tutela della concorrenza»)  e
«solo le predette disposizioni non possono essere derogate  da  norme
regionali». A tale proposito,  il  criterio  di  proporzionalita'  ed
adeguatezza sarebbe «essenziale per definire l'ambito di operativita'
della competenza legislativa statale attinente  alla  ''tutela  della
concorrenza"  e  conseguentemente  la   legittimita'   dei   relativi
interventi statali» poiche' tale materia «trasversale» «si  intreccia
inestricabilmente con una pluralita' di altri interessi - alcuni  dei
quali rientranti nella sfera di competenza  concorrente  o  residuale
delle regioni  -  connessi  allo  sviluppo  economico-produttivo  del
Paese». Tali considerazioni varrebbero, a  maggior  ragione,  per  le
disposizioni in esame,  perche'  esse  stabiliscono  «una  disciplina
immediatamente autoapplicativa ove senz'altro pongono un  criterio  o
principio  di  preferenza  nell'attribuzione  ad  imprese  terze  dei
servizi pubblici locali». 
    3.1.3. - La ricorrente  censura,  in  terzo  luogo,  il  comma  8
dell'art. 23-bis, il quale prevede - come visto -  che,  in  generale
«le concessioni relative al servizio idrico integrato rilasciate  con
procedure diverse dall'evidenza pubblica cessano comunque entro e non
oltre la data del 31 dicembre 2010». 
    3.1.3.1. - Ad avviso della ricorrente, la disposizione viola  gli
artt. 41, 114 e 117, secondo comma, Cost., «con riferimento  all'art.
3 Cost.», ponendosi in contrasto con «il principio di  ragionevolezza
e  di  concorrenza  comunitaria  che  la  stessa  proclama  di  voler
affermare ed addirittura di voler  superare,  poiche'  la  stessa  si
configura come ennesima [...] norma di sanatoria degli affidamenti al
mercato dei produttori seppur disposti ancora una volta in difetto di
evidenza pubblica, con proroga di cui le  imprese  terze  si  possono
giovare ex lege sino alla data indicata dal  31  dicembre  2010».  Si
tratterebbe cioe' di una norma che contraddice i  primi  commi  dello
stesso  art.  23-bis,  i  quali  realizzano  «un  indirizzo  politico
ispirato  alla  "ultra  concorrenzialita'"»,  perche'  favorisce  gli
affidamenti disposti  in  violazione  della  disciplina  italiana  ed
europea sulla concorrenza. 
    3.1.3.2. - Per la difesa regionale, la stessa disposizione  viola
altresi' gli artt. 5, 114, 117, sesto comma, e 118,  Cost.,  i  quali
garantiscono l'autonomia  costituzionale  della  Regione  Piemonte  e
degli enti locali (artt. 5,  114,  117,  sesto  comma,  118,  Cost.),
perche' - stabilendo che cessano al 31 dicembre 2010 gli  affidamenti
rilasciati con procedure diverse dall'evidenza pubblica, salvo quelli
conformi ai vincoli ulteriori di istruttoria e  motivazione  previsti
dalla nuova disciplina  -  determina  la  cessazione  «di  tutti  gli
affidamenti attribuiti secondo la disciplina  previgente  (d.lgs.  n.
267 del 2000, cit., art. 113, comma 5, lettera c), ponendo  in  forse
l'attuazione dei  piani  gestionali  e  di  investimento,  nonche'  i
relativi piani tariffari, travolgendo rapporti giuridici perfezionati
ed in via di  esecuzione  che  le  parti  vogliono  vedere  procedere
secondo  la  loro  scadenza  naturale,  al  pari  delle   concessioni
rilasciate  ad  imprese  terze  secondo  le  procedure  ad   evidenza
pubblica». 
    3.1.4. - La ricorrente lamenta, in quarto luogo, che il censurato
comma 10 dell'art. 23-bis, il quale autorizza il Governo all'adozione
di regolamenti di delegificazione, viola l'art. 117, secondo,  quarto
e sesto comma, Cost., nonche' «il principio di ragionevolezza e leale
collaborazione» (artt. 3 e 120 Cost.), perche' lo Stato,  non  avendo
potesta'  legislativa   in   materia,   non   ha   neanche   potesta'
regolamentare. 
    Aggiunge la difesa regionale che la  clausola  di  autorizzazione
contenuta in detto comma «prefigura una disciplina  regolamentare  di
particolare  dettaglio»  che  viola  i  principi  di  adeguatezza   e
proporzionalita', perche' «non pare  possibile  ritenere  adeguato  e
proporzionale un intervento statale (per  legge  e  regolamento)  che
rechi l'intera disciplina  sugli  affidamenti  dei  servizi  pubblici
locali di rilevanza  economica,  ad  esclusione  di  ogni  spazio  di
regolazione per le regioni». 
    Inoltre - prosegue la ricorrente  -  la  previsione  secondo  cui
l'indicato  regolamento  sara'  approvato  dal  Governo  «sentita  la
Conferenza unificata di cui all'art. 8  del  decreto  legislativo  28
agosto 1997, n. 281», anziche' previa  intesa  con  tale  Conferenza,
viola il principio costituzionale di leale collaborazione  (art.  120
Cost.), perche'  «non  pare  comunque  sufficiente  un  parere  della
Conferenza unificata sul regolamento di delegificazione  destinato  a
completare l'intera disciplina sugli affidamenti dei servizi pubblici
locali ove sarebbe stata invece necessaria una previa intesa  con  la
Conferenza». Sarebbe, infatti, indubbio, nel caso in esame, «il forte
intreccio con le competenze regionali», che costituisce ragione utile
a limitare la discrezionalita' del legislatore statale sulle forme di
coinvolgimento delle Regioni. 
    In  particolare,  il  comma  censurato  rinvia   al   regolamento
governativo la disciplina transitoria  dei  servizi  pubblici  locali
diversi da  quello  idrico,  «con  una  irragionevole  differenza  di
trattamento  che  non  appare  giustificata  in  particolare  per  il
servizio idrico integrato  per  il  quale  la  legge  statale  indica
senz'altro in via generale ed astratta la data di scadenza fissa  del
31 dicembre 2010, mentre per gli altri servizi pubblici  consente  al
regolamento  la  previsione  di  adeguati  "tempi  differenziati"  in
ragione di eterogeneita' dei servizi presi in considerazione». 
    3.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni   proposte   siano   dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate. 
    La difesa dello Stato svolge  argomentazioni  analoghe  a  quelle
svolte nei giudizi r. ric. n. 69 e n. 72 del 2008 (supra: punti  1.2.
e 2.2.) e  rileva,  inoltre,  che:  a)  la  doglianza  relativa  alla
disciplina delle decadenze e proroghe delle  gestioni  in  essere  e'
infondata,   perche'   la   scelta   del   legislatore   statale   e'
sufficientemente chiara e razionale: un termine  piu'  breve  per  le
gestioni nelle quali sono coinvolti direttamente soggetti e interessi
pubblici;  un  termine  piu'  lungo  per  «quegli   affidamenti   che
presuppongono investimenti privati in corso di ammortamento»;  b)  il
censurato comma 10 dell'art.  23-bis  prevede,  nella  materia  della
tutela della concorrenza, una potesta' regolamentare statale  che  ha
la finalita' di  procedere  all'armonizzazione  della  disciplina  di
alcuni settori di pubblici servizi nei quali sussiste una  disciplina
contrastante con i principi stabiliti da detto articolo. 
    3.3. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  la
Regione Piemonte ha sostanzialmente ribadito  quanto  gia'  sostenuto
nel ricorso, aggiungendo che, poiche' la definizione della  questione
di  costituzionalita'  dipende   dall'interpretazione   del   diritto
dell'Unione  europea,  appare  possibile  «ritenere  che   la   Corte
costituzionale - ove non accolga i motivi di ricorso  [...]  -  debba
proporre la seguente  questione  pregiudiziale  avanti  la  Corte  di
giustizia [...]: "se sia conforme al diritto europeo -  al  principio
di concorrenza ed al principio d'autonomia  degli  enti  territoriali
(art. 5  Trattato)  -  la  norma  dello  Stato  italiano  che  impone
l'attribuzione  a  terzi  come  forma   ordinaria   e   preferenziale
d'affidamento dei servizi pubblici locali, e la norma che  relega  la
rilevanza giuridica dell'in house providing ai soli casi  d'eccezione
tassativamente individuati dal legislatore  statale  stesso  con  una
conseguente  limitazione  dei  casi  ammessi   dalla   giurisprudenza
comunitaria"». 
    3.4. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  il
Presidente del Consiglio dei ministri ha  chiesto  che  le  questioni
proposte  siano  dichiarate  manifestamente  infondate  nel   merito.
Precisa, in particolare, la difesa  dello  Stato  che  la  disciplina
censurata, la quale e' riconducibile alla materia della tutela  della
concorrenza, e' legittima, perche' la  giurisprudenza  comunitaria  e
quella nazionale hanno sempre affermato che l'istituto dell'in  house
providing costituisce un'eccezione  al  principio  di  concorrenza  e
all'ordinaria  osservanza  delle  procedure  di  evidenza   pubblica:
rappresenta, cioe', «una soluzione  residuale  alla  quale  ricorrere
solo in caso di impossibilita' di trovare una  soluzione  alternativa
efficiente». 
    4. - Con ricorso notificato il 30 dicembre 2008 e depositato il 2
gennaio 2009 (r. ric. n. 2 del 2009), il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha impugnato i commi 1, 4, 5, 6 e 14 dell'art. 4  della  legge
della Regione Liguria 28  ottobre  2008,  n.  39  (Istituzione  delle
Autorita' d'Ambito per l'esercizio delle funzioni degli  enti  locali
in materia di risorse idriche e gestione rifiuti ai sensi del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 - Norme in materia ambientale). 
    Detti commi prevedono,  rispettivamente,  che:  a)  «Nei  novanta
giorni successivi alla costituzione dell'AATO,  la  Giunta  regionale
approva lo schema tipo di contratto di servizio e di  convenzione  di
cui agli articoli 151 e 203 del d.lgs. n. 152/2006,  in  applicazione
alla direttiva 93/36/CEE del Consiglio delle Comunita' Europee del 14
giugno 1993 (Coordinamento delle procedure  di  aggiudicazione  degli
appalti pubblici di forniture)» (comma 1);  b)  «L'AATO  assicura  la
gestione  del  servizio  idrico  in  forma   integrata,   provvedendo
all'affidamento dello stesso ad un soggetto gestore unitario, ove non
ancora individuato, in conformita' alle disposizioni  comunitarie  ed
alla normativa  nazionale  vigente  in  materia  di  affidamento  dei
servizi pubblici locali ed, in particolare, nel rispetto dei  criteri
di cui all'articolo 113, comma 7, del  d.lgs.  n.  267/2000  e  delle
modalita' di cui agli articoli 150 e  172  del  d.lgs.  n.  152/2006»
(comma 4); c) «Resta ferma la previsione  di  cui  all'articolo  113,
comma 15-bis, del d.lgs. n. 267/2000; a tal fine l'AATO determina  la
data di cessazione delle concessioni esistenti, avuto  riguardo  alla
durata media delle concessioni aggiudicate  nello  stesso  settore  a
seguito di procedure ad evidenza pubblica, salva la  possibilita'  di
determinare caso per caso  la  cessazione  in  una  data  successiva,
qualora la medesima risulti proporzionata ai  tempi  di  recupero  di
particolari  investimenti  effettuati  dal  gestore,  fermi  restando
l'aggiornamento e la  rinegoziazione  delle  convenzioni  in  essere»
(comma  5);  d)  «L'AATO  individua   forme   e   modalita'   dirette
all'integrazione del servizio di gestione dei rifiuti e del  servizio
idrico, avuto riguardo agli affidamenti esistenti che  non  risultano
cessati nei termini di cui all'articolo 113, comma 15-bis, del d.lgs.
n. 267/2000, al fine di pervenire al superamento della frammentazione
del servizio  nel  territorio  dell'ambito»  (comma  6);  e)  «L'AATO
definisce i contratti di  servizio,  gli  obiettivi  qualitativi  dei
servizi erogati,  il  monitoraggio  delle  prestazioni,  gli  aspetti
tariffari, la partecipazione dei cittadini e delle  associazioni  dei
consumatori di cui alla legge regionale 2 luglio 2002, n.  26  (Norme
per la tutela dei consumatori e degli utenti)» (comma 14). 
    4.1. - La difesa dello Stato premette che  il  censurato  art.  4
contiene disposizioni che contrastano con quanto previsto dalla legge
statale in materia di tutela dell'ambiente e tutela della concorrenza
e formula tre questioni. 
    4.1.1. - E' impugnato, in primo luogo, il comma 1 dell'art. 4, in
riferimento all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  sul
rilievo che esso  affida  alla  Giunta  regionale  la  competenza  ad
approvare lo schema-tipo di contratto di servizio e  di  convenzione,
richiamando l'art. 151 del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    Sostiene il ricorrente che il suddetto art.  151  deve  ritenersi
tacitamente abrogato dal d.lgs. correttivo 16 gennaio 2008, n. 4, che
ha sostituito l'art. 161 del d.lgs. n. 152/2006, disponendo  che  sia
il Comitato per la  vigilanza  sull'uso  delle  risorse  idriche  (in
seguito  «Comitato»)  a  redigere  il  contenuto  di   una   o   piu'
convenzioni-tipo da adottare con decreto del Ministero dell'ambiente.
Lo stesso, cosi' novellato, art. 161 - prosegue la difesa dello Stato
- attribuisce, inoltre, al predetto Comitato la competenza  anche  in
tema di contratti di  servizio,  obiettivi  qualitativi  dei  servizi
erogati, monitoraggio delle prestazioni e aspetti tariffari. 
    Ne deriva, per lo Stato, che «L'art. 4,  comma  14,  della  legge
regionale n. 39/2008 impugnata appare, pertanto, in contrasto con  la
normativa statale, nella parte in cui affida invece  tali  competenze
all'AATO». 
    In conclusione,  i  commi  censurati  violerebbero  il  parametro
costituzionale evocato,  per  il  tramite  dell'art.  161,  comma  4,
lettera c), del  decreto  legislativo  n.  152  del  2006,  il  quale
dispone, tra l'altro, che sia il Comitato per la  vigilanza  sull'uso
delle risorse idriche  e  non  la  Giunta  regionale  a  redigere  il
contenuto di una o piu' convenzioni-tipo da adottare con decreto  del
Ministro per l'ambiente e per la tutela del territorio e del mare. 
    4.1.2. - E' impugnato, in secondo luogo - in riferimento all'art.
117, secondo comma, lettera  e),  Cost.,  per  il  tramite  dell'art.
23-bis, commi 2, 3 e 11, del d.l. n.  112  del  2008  -  il  comma  4
dell'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, il  quale  stabilisce  -
come visto - che l'AATO provvede all'affidamento del servizio  idrico
integrato,  «in  particolare,  nel  rispetto  dei  criteri   di   cui
all'articolo 113, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000 e  delle  modalita'
di cui agli articoli 150 e 172 del d.lgs. n. 152/2006». 
    Evidenzia la difesa dello Stato che il richiamato  art.  150  del
d.lgs. n. 152 del 2006, al comma 1, consente la scelta della forma di
gestione degli AATO tra quelle elencate nell'art. 113, comma  5,  del
d.lgs.  18  agosto  2000,   n.   267   (Testo   unico   delle   leggi
sull'ordinamento degli enti locali), ma l'art. 23-bis, comma 11,  del
d.l. n. 112 del 2008, prevede che le parti dell'art. 113  citato  che
siano incompatibili con le prescrizioni in esso  contenute  siano  da
considerare abrogate. Ad avviso della stessa difesa, quindi, la norma
regionale risulta in contrasto con l'art. 23-bis del d.l. n. 112  del
2008, perche' quest'ultimo prevede come regola per l'affidamento  dei
servizi  pubblici  locali  le  procedure  competitive   ad   evidenza
pubblica, ferma restando la possibilita' di ricorrere all'affidamento
diretto solo in presenza  di  circoscritte  e  motivate  circostanze,
contemplate al comma 3 del medesimo  articolo.  La  norma  regionale,
invece,  prevede  l'affidamento  del  servizio  a  un   soggetto   da
individuare   genericamente   in   conformita'   alle    disposizioni
comunitarie e alla normativa nazionale vigente in materia e,  quindi,
indifferentemente in una delle tre forme previste dal menzionato art.
113, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, anche senza  che  ricorrano
le suddette peculiari circostanze. 
    4.1.3. - Il Presidente del Consiglio  dei  ministri  censura,  in
terzo luogo - in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., per il tramite dell'art. 23-bis, commi 8 e 9, del d.l. n.  112
del 2008 - i commi 5 e 6 dell'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008,
i quali disciplinano la cessazione delle concessioni esistenti  e  il
relativo regime transitorio degli  affidamenti  del  servizio  idrico
integrato effettuati senza gara, rinviando alle disposizioni  di  cui
all'art. 113, comma 15-bis, del d.lgs. n. 267 del 2000. 
    La difesa dello Stato sostiene che le norme impugnate contrastano
con gli evocati parametri, perche' la materia e' attualmente regolata
in maniera difforme dall'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, che ha
abrogato - come visto - l'art. 113 citato nelle  parti  incompatibili
con le sue disposizioni, e che fissa, ai commi 8 e 9, comunque, al 31
dicembre 2010 la data per la cessazione delle  concessioni  esistenti
rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica. 
    4.2. - Si e' costituita in giudizio la Regione Liguria, chiedendo
che  la  Corte  costituzionale   dichiari   «l'inammissibilita'   e/o
l'infondatezza del ricorso». 
    4.2.1. - Quanto alle censure riguardanti i commi 1 e 14 dell'art.
4 della legge reg. n. 39 del 2008, la resistente  osserva  che  dette
disposizioni non sono riconducibili a competenze legislative statali,
perche' attengono  alla  materia  dei  pubblici  servizi  locali,  di
competenza legislativa regionale. 
    In  particolare,  in  relazione  all'impugnazione  del  comma   1
dell'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la  resistente  sostiene
che la previsione per cui la «Giunta regionale approva lo schema tipo
di contratto di servizio e di convenzione di cui agli articoli 151  e
203 del  d.lgs.  n.  152/2006»  non  contrasta  con  la  legislazione
statale. Infatti, il richiamato art. 151 del d.lgs. n. 152  del  2006
dispone  che  l'Autorita'  d'ambito  predispone  le  convenzioni  che
regolano i rapporti con i gestori del servizio  e,  a  tal  fine,  le
Regioni adottano  convenzioni  tipo  con  relativi  disciplinari.  Ad
avviso della Regione, tale ultima disposizione e' tuttora in vigore e
non e'  stata  tacitamente  abrogata  dalla  nuova  formulazione  del
successivo art. 161 introdotta dal decreto legislativo correttivo  16
gennaio 2008, n. 4, il quale assegna al  Comitato  per  la  vigilanza
sull'uso delle risorse idriche la competenza a redigere  una  o  piu'
convenzioni tipo, da adottare con decreto ministeriale. In ogni caso,
i compiti del  Comitato  per  la  vigilanza  sull'uso  delle  risorse
idriche devono essere interpretati  -  anche  alla  luce  dei  lavori
preparatori - conformemente agli artt. 5 e 117 Cost., nel  senso  che
essi  si  aggiungono  e  non   si   sostituiscono   alle   competenze
disciplinate dalla legge regionale. 
    Quanto poi all'impugnazione del comma 14 dell'art. 4 della  legge
reg.  n.  39  del  2008,  la  resistente   premette   che   essa   e'
inammissibile, perche'  generica,  non  specificando  quali  siano  i
profili che determinano  il  contrasto  con  la  norma  statale.  Nel
merito, sostiene che non vi e' incompatibilita' fra i poteri  che  il
comma 14 assegna all'Autorita' d'ambito e quelli assegnati  dall'art.
161 del d.lgs. n. 152 del 2006 al Comitato per la vigilanza  sull'uso
delle risorse idriche. 
    4.2.2. -  In  relazione  alla  censura  riguardante  il  comma  4
dell'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la Regione sostiene  che
essa e' inammissibile e infondata,  anche  perche'  non  riguarda  la
parte in cui il comma impugnato richiama l'art.  113,  comma  7,  del
d.lgs. n. 267 del 2000, con  riferimento  ai  criteri  di  gara,  ne'
quella in cui richiama l'art. 172 del d.lgs. n.  152  del  2006,  che
disciplina le gestioni esistenti. 
    La Regione contesta quanto affermato dal ricorrente, secondo  cui
la norma censurata richiama una disposizione, l'art. 150  del  citato
d.lgs. n. 152 del 2006, che al comma 1 consente la scelta della forma
di gestione del servizio tra quelle elencate nell'art. 113, comma  5,
del d.lgs. n. 267 del 2000, disposizione da considerare abrogata  per
incompatibilita' con l'art. 23-bis, comma 11, del d. l.  n.  112  del
2008. Per la difesa  regionale,  infatti,  tale  abrogazione  non  si
sarebbe verificata e,  in  ogni  caso,  la  norma  censurata  sarebbe
conforme all'art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, a sua volta  ancora
vigente, perche' fatto salvo sia dal divieto di abrogazione implicita
previsto in via generale dall'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 152  del
2006, sia dalla stessa formulazione dell'art. 23-bis citato, che,  al
comma 10, lettera d), prevede la necessita' di una armonizzazione con
le discipline di settore, da farsi tramite regolamento. 
    Se ne concluderebbe che la disposizione censurata non  viola,  in
ogni caso, la disciplina settoriale applicabile al  servizio  idrico,
ponendosi al piu' in  contrasto  con  l'art.  23-bis,  norma  il  cui
scrutinio di costituzionalita' appare pregiudiziale. 
    4.2.3. - Quanto alla terza delle questioni  proposte  -  con  cui
sono censurati i commi 5 e 6 dell'art. 4 della legge reg. n.  39  del
2008,  sul  rilievo  che  essi  disciplinano  la   cessazione   delle
concessioni esistenti e il relativo regime transitorio rinviando alle
disposizioni di cui all'art. 113, comma 15-bis, del d.lgs. n. 267 del
2000, da ritenersi abrogato dal citato art. 23-bis del  d.l.  n.  112
del 2008, il quale ha regolato la materia in maniera  difforme  -  la
resistente sostiene che il richiamato art.  113,  comma  15-bis,  del
d.lgs. n. 267 del 2000 non puo' ritenersi abrogato,  perche':  a)  le
sue  disposizioni  non  sono  tutte  incompatibili  con  quelle   del
successivo art. 23-bis, con le quali possono essere  armonizzate,  ad
esempio quanto alla  data  della  cessazione  delle  concessioni;  b)
l'articolo e' coperto dal divieto generale di  abrogazione  implicita
contenuto nell'art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 267  del  2000;  c)  lo
stesso art. 23-bis  non  opera  un'abrogazione  per  nuova  integrale
disciplina  della  materia,   perche'   dispone   espressamente   che
l'abrogazione sia limitata alle parti incompatibili.  Ne  consegue  -
per la Regione -  che  non  sussiste  alcun  contrasto  tra  i  commi
censurati e la disciplina statale vigente; disciplina  che  comunque,
almeno per quanto riguarda il comma 8 del menzionato art. 23-bis,  e'
da ritenere incostituzionale. Quanto, in  particolare,  all'impugnato
comma 6 dell'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la questione  e'
da ritenersi inammissibile, perche' - contrariamente a quanto assunto
dallo Stato - la disposizione non ha per oggetto  ne'  la  cessazione
delle  concessioni,  ne'  il   regime   transitorio,   ma   solamente
l'integrazione  dei  servizi  esistenti  che  non  sono  oggetto   di
cessazione. 
    4.2.4. - La ricorrente conclude rilevando di avere gia' proposto,
con  il  ricorso  n.  72  del   2008,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del  2008  e
chiede pertanto, per il caso in cui la Corte ritenesse  pregiudiziali
tali questioni, la riunione dei procedimenti. 
    4.3. - Con successiva memoria, la  Regione  Liguria  ha  ribadito
quanto  gia'  argomentato  nell'atto  di   costituzione,   rilevando,
inoltre, che  le  modifiche  legislative  intervenute  nel  frattempo
fondano ulteriori ragioni di inammissibilita'  o  infondatezza  delle
questioni proposte. 
    4.3.1. - Quanto alle censure riguardanti i commi 1 e 14 dell'art.
4 della legge reg. n. 39 del 2008, la resistente osserva  che  l'art.
9-bis, comma 6, del decreto-legge 28 aprile 2009, n.  39  (Interventi
urgenti in favore delle  popolazioni  colpite  dagli  eventi  sismici
nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori  interventi
urgenti di protezione civile), convertito, con  modificazioni,  dalla
legge 24 giugno  2009,  n.  77,  ha  soppresso  il  Comitato  per  la
vigilanza  sull'uso  delle  risorse  idriche,  sostituendolo  con  la
Commissione  nazionale  per  la  vigilanza  sull'uso  delle   risorse
idriche. 
    Per la Regione, tale modifica legislativa ha  reso  improcedibile
il ricorso o, comunque, non ne ha fatto venire meno la gia'  rilevata
infondatezza, anche perche' la Commissione di nuova  istituzione  non
ha le stesse competenze  del  soppresso  Comitato.  Essa,  infatti  -
secondo l'art. 9-bis, comma 6, del decreto-legge n.  39  del  2009  -
subentra «nelle competenze gia' attribuite all'Autorita' di vigilanza
sulle risorse idriche e sui rifiuti ai sensi degli articoli 99,  101,
146, 148, 149, 152, 154, 172 e 174 del decreto legislativo  3  aprile
2006, n.  152,  e  successivamente  attribuite  al  Comitato  per  la
vigilanza sull'uso delle risorse idriche», con evidente omissione  da
parte del legislatore di ogni riferimento all'art. 151 del d.lgs.  n.
152 del 2006. 
    4.3.2. -  Quanto  alla  seconda  e  alla  terza  delle  questioni
sollevate, in relazione alle quali lo Stato ha evocato come parametro
interposto l'art. 23-bis  del  d.l.  n.  112  del  2008,  la  Regione
«ritiene che l'impugnazione si dimostri oggi inattuale ed il  ricorso
sia carente di interesse e dunque  improcedibile»,  a  seguito  delle
modifiche sostanziali subite dallo stesso art. 23-bis. 
    Precisa comunque la Regione che,  prima  di  tali  modifiche  del
parametro interposto, i censurati commi 4 e 5 dell'art. 4 della legge
reg. n. 39 del 2008 non hanno avuto in concreto alcuna  applicazione,
perche'  regolano  le  competenze  delle  Autorita'   d'ambito,   che
all'entrata in vigore del d.l. n. 135 del 2009 non erano state ancora
istituite. 
    4.4. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  da
intendersi  come  sostitutiva  dell'ultima  memoria  depositata,   la
Regione Liguria ha sostanzialmente ribadito quanto gia' sostenuto  in
tale ultimo atto. 
    4.5. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  il
Presidente del Consiglio dei ministri ha rilevato  -  allo  scopo  di
puntualizzare la permanenza dell'interesse al ricorso  nonostante  le
modifiche normative intervenute nella materia -  che  il  legislatore
del 2009 ha sostituito il vecchio Comitato per la vigilanza  sull'uso
delle risorse idriche con  la  nuova  Commissione  nazionale  per  la
vigilanza  sulle  risorse  idriche,  prevedendone  una   composizione
maggiormente   orientata   a   consentire   la   partecipazione   dei
rappresentanti delle autonomie  locali.  Inoltre,  dal  nuovo  quadro
normativo  verrebbe  rafforzato  il  fondamento  delle   censure   di
costituzionalita' sollevate avverso la legge Regionale, perche'  essa
richiama una norma statale abrogata e non piu' operativa: l'art.  151
del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    Quanto alla censura relativa ai commi 1 e 14  dell'art.  4  della
legge reg. n. 39 del 2008, la difesa dello  Stato  rileva  che  detti
commi attribuiscono alla Giunta regionale il potere di predisporre lo
schema tipo di contratti di servizio e  di  convenzioni  regolanti  i
rapporti tra le Autorita' d'ambito e i gestori  del  servizio  idrico
integrato, secondo quanto previsto dall'art. 151 del  d.lgs.  n.  152
del 2006, disposizione implicitamente abrogata  dall'art.  161  dello
stesso d.lgs., come sostituito dal d.lgs. n. 4 del 2008.  La  Regione
contesta la suesposta ricostruzione, asserendo  che  l'art.  151  del
d.lgs. n. 152 del 2006 non sarebbe stato abrogato dalla modifica  del
successivo art. 161, sul rilievo che l'art. 3 del d.lgs. n.  152  del
2006 richiede una "dichiarazione espressa" per l'abrogazione  di  una
norma del codice  dell'ambiente  ed  essa  mancherebbe  nel  caso  di
abrogazione  tacita  per  incompatibilita'  di  norma   temporalmente
successiva rispetto a quella precedente che resta caducata  ex  nunc.
L'Avvocatura generale dello Stato sostiene che tale  assunto  non  e'
condivisibile, perche', «secondo la dogmatica del diritto  "espressa"
non significa "esplicita": il primo  termine  impone  una  previsione
legale;  il  secondo  esprime  la  necessita'  che  la   disposizione
abrogatrice  menzioni expressis  verbis  la  norma  di  cui  sancisce
l'abrogazione. L'abrogazione espressa puo', dunque, essere  esplicita
ovvero implicita (per incompatibilita') e  nella  seconda  delle  due
ipotesi da ultimo citate ricade il  caso  di  cui  si  discorre  che,
pertanto, non confligge con l'art. 3 invocato da Controparte». 
    Quanto, poi, al contratto di  servizio  e  alla  convenzione  cui
fanno riferimento le disposizioni censurate, la  difesa  dello  Stato
rileva che  essi  sono  sostanzialmente  la  medesima  cosa,  essendo
entrambi atti negoziali  conclusi  dalle  Autorita'  d'ambito  con  i
gestori  del  servizio  pubblico  onde  regolare  i  loro   rapporti.
Confermerebbe «tale conclusione una analisi del  dato  normativo  che
pare   usare   alternativamente   l'una   piuttosto    che    l'altra
nomenclatura». 
    Quanto alla censura relativa all'art. 4,  comma  4,  della  legge
reg. n. 39 del  2008,  la  difesa  dello  Stato  sostiene  che  detta
disposizione,  trattando  dell'affidamento   del   servizio   idrico,
richiama  l'art.  150  del  d.lgs.  n.  152  del  2006  secondo   cui
l'Autorita' d'ambito delibera la forma  di  gestione  scegliendo  tra
quelle di cui all'art. 113, comma 5, del  d.lgs.  n.  267  del  2000,
norma,  quest'ultima,   abrogata   dal   citato   art.   23-bis   del
decreto-legge n. 112  del  2008  nelle  parti  incompatibili  con  le
disposizioni dello stesso art. 23-bis. La Regione valorizza  il  dato
letterale dell'art. 4, comma  4,  nella  parte  in  cui  richiama  la
«normativa nazionale vigente», sostenendo che  la  previsione  lascia
intendere di rinviare alle norme vigenti e, dunque,  non  anche  alle
parti dell'art. 113 abrogate dal citato art. 23-bis. 
    Per la difesa dello Stato, tali argomenti  risultano  superabili,
se si tiene conto del fatto che l'art. 150  del  d.lgs.  n.  152  del
2006, in ogni suo comma (ad eccezione dell'ultimo),  rinvia  a  commi
del citato art. 113, T.U. enti locali, con la conseguenza  che  «pare
quantomeno opinabile la scelta di  tecnica  legislativa  operata  dal
legislatore regionale di rinviare (con l'art. 4, comma 4,  censurato)
ad una norma (l'art. 150 codice dell'ambiente) la quale a  sua  volta
rinvia ad altra norma (l'art. 113  T.U.  enti  locali),  quest'ultima
abrogata  per  incompatibilita'  da  un'altra  norma  ancora  (l'art.
23-bis, d.l. 112). Da cio' pare di potersi inferire piuttosto che  il
legislatore  regionale  ha   trascurato   l'intervenuta   abrogazione
parziale dell'art. 113». 
    Quanto alle censure aventi ad oggetto l'art.  4,  commi  5  e  6,
della  legge  reg.  n.  39   del   2008,   il   ricorrente   contesta
l'affermazione  della  controparte  secondo  cui  il   comma   15-bis
dell'art. 113 e  i  commi  8  e  9  dell'art.  23-bis  non  sarebbero
incompatibili e, dunque,  il  primo  non  risulterebbe  abrogato  dal
secondo. Rileva sul punto la difesa dello Stato  che  «l'art.  23-bis
fissa la cessazione delle concessioni attribuite senza gara alla data
del 31/12/2010 escludendo, pero',  dalla  perdita  di  efficacia  gli
affidamenti diretti effettuati nelle ipotesi in cui  il  terzo  comma
dello stesso art. 23-bis ancora li consente (al  ricorrere  cioe'  di
"peculiari   caratteristiche   economiche,    sociali,    ambientali,
geomorfologiche del contesto territoriale  di  riferimento"  che  non
consentono l'espletamento  della  pubblica  gara);  mentre  il  comma
15-bis dell'art. 113 T.U. enti locali contempla [...] quali eccezioni
alla cessazione delle concessioni i  casi  in  cui  l'affidamento  e'
effettuato con una delle modalita' di cui al  comma  5  dello  stesso
articolo». 
    5. - Con ricorso notificato il 9 gennaio 2010 e depositato il  18
gennaio successivo (r. ric. n. 6 del  2010),  la  Regione  Puglia  ha
impugnato, in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost.,  i  commi
2, 3, 4 e 8 dell'art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
- aggiunto dalla legge di conversione  6  agosto  2008,  n.  133,  ed
entrato in vigore, in forza dell'art. 1, comma 4, di detta legge,  in
data 22 agosto 2008 -, nel testo modificato dall'art.  15,  comma  1,
del  decreto-legge  25  settembre  2009,  n.  135,  convertito,   con
modificazioni, dalla legge 20 novembre  2009,  n.  166,  disposizione
entrata in vigore (in forza dell'art. 21 del medesimo  decreto-legge)
in data 26 settembre 2009 e modificata, in forza dell'art.  1,  comma
2, della legge di conversione, a far  data  dal  giorno  25  novembre
2009. 
    5.1. - La Regione premette che l'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009
reca «Adeguamento alla disciplina  dei  servizi  pubblici  locali  di
rilevanza economica», modificando in modo significativo l'art. 23-bis
del  decreto-legge  n.  112  del  2008,  con  la  previsione  di   un
ampliamento dei settori esclusi dall'applicabilita' della normativa. 
    In particolare, il nuovo testo del citato art. 23-bis del d.l. n.
112 del 2008, come modificato dall'art. 15 del d.l. n. 135 del  2009,
prevede che: «1. Le disposizioni del presente  articolo  disciplinano
l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di  rilevanza
economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine  di
favorire la piu' ampia diffusione dei  principi  di  concorrenza,  di
liberta' di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti
gli operatori economici  interessati  alla  gestione  di  servizi  di
interesse generale in ambito locale, nonche' di garantire il  diritto
di tutti gli utenti alla universalita' ed accessibilita' dei  servizi
pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai  sensi
dell'articolo  117,  secondo  comma,   lettere   e)   e   m),   della
Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti,
secondo  i  principi  di  sussidiarieta',  proporzionalita'  e  leale
cooperazione. Le disposizioni  contenute  nel  presente  articolo  si
applicano a tutti  i  servizi  pubblici  locali  e  prevalgono  sulle
relative discipline di settore con  esse  incompatibili.  Sono  fatte
salve le disposizioni del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164,
e dell'articolo 46-bis del decreto-legge 1º  ottobre  2007,  n.  159,
convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n.  222,
in materia di distribuzione di  gas  naturale,  le  disposizioni  del
decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e  della  legge  23  agosto
2004, n. 239, in materia di distribuzione di  energia  elettrica,  le
disposizioni della legge 2 aprile 1968, n.  475,  relativamente  alla
gestione  delle  farmacie  comunali,  nonche'  quelle   del   decreto
legislativo 19 novembre 1997, n. 422, relativamente  alla  disciplina
del trasporto ferroviario regionale. Gli ambiti  territoriali  minimi
di cui al comma 2 del citato articolo 46-bis sono determinati,  entro
il 31 dicembre  2012,  dal  Ministro  dello  sviluppo  economico,  di
concerto con il Ministro per i rapporti con le  regioni,  sentite  la
Conferenza unificata di cui all' articolo 8 del  decreto  legislativo
28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, e l'Autorita' per
l'energia  elettrica  e   il   gas,   tenendo   anche   conto   delle
interconnessioni degli impianti di distribuzione  e  con  riferimento
alle specificita' territoriali e al numero  dei  clienti  finali.  In
ogni caso l'ambito non puo' essere inferiore al territorio comunale. 
    2. Il conferimento della gestione  dei  servizi  pubblici  locali
avviene, in via ordinaria: 
        a) a favore di imprenditori o di societa' in qualunque  forma
costituite individuati mediante  procedure  competitive  ad  evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato  che  istituisce  la
Comunita' europea e  dei  principi  generali  relativi  ai  contratti
pubblici e, in particolare, dei principi di economicita',  efficacia,
imparzialita',     trasparenza,     adeguata     pubblicita',     non
discriminazione,  parita'  di  trattamento,  mutuo  riconoscimento  e
proporzionalita'; 
        b) a societa' a partecipazione mista pubblica  e  privata,  a
condizione che la selezione  del  socio  avvenga  mediante  procedure
competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei  principi  di  cui
alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto,  al  tempo  stesso,  la
qualita' di socio e l'attribuzione  di  specifici  compiti  operativi
connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una
partecipazione non inferiore al 40 per cento. 
    3. In deroga alle modalita' di affidamento ordinario  di  cui  al
comma 2,  per  situazioni  eccezionali  che,  a  causa  di  peculiari
caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del
contesto territoriale di riferimento, non permettono  un  efficace  e
utile ricorso al mercato, l'affidamento puo'  avvenire  a  favore  di
societa'  a  capitale  interamente  pubblico,  partecipata  dall'ente
locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento  comunitario
per la gestione cosiddetta "in house" e, comunque, nel  rispetto  dei
principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo
sulla societa' e di prevalenza dell'attivita' svolta dalla stessa con
l'ente o gli enti pubblici che la controllano. 
    4. Nei casi di  cui  al  comma  3,  l'ente  affidante  deve  dare
adeguata pubblicita' alla scelta, motivandola in base  ad  un'analisi
del mercato e contestualmente trasmettere  una  relazione  contenente
gli  esiti  della  predetta  verifica  all'Autorita'  garante   della
concorrenza e del mercato per l'espressione di un parere  preventivo,
da rendere entro  sessanta  giorni  dalla  ricezione  della  predetta
relazione. Decorso il termine, il parere, se  non  reso,  si  intende
espresso in senso favorevole. 
    4-bis. I regolamenti di cui al comma  10  definiscono  le  soglie
oltre le quali gli affidamenti di servizi  pubblici  locali  assumono
rilevanza ai fini dell'espressione del parere di cui al comma 4. 
    5. Ferma restando la proprieta'  pubblica  delle  reti,  la  loro
gestione puo' essere affidata a soggetti privati. 
    6.  E'  consentito  l'affidamento  simultaneo  con  gara  di  una
pluralita' di servizi pubblici locali nei casi in  cui  possa  essere
dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa. In  questo
caso la durata dell'affidamento, unica per tutti i servizi, non  puo'
essere superiore alla media calcolata sulla base della  durata  degli
affidamenti indicata dalle discipline di settore. 
    7. Le regioni e gli enti  locali,  nell'ambito  delle  rispettive
competenze e d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo
8 del decreto legislativo  28  agosto  1997,  n.  281,  e  successive
modificazioni,  possono  definire,  nel  rispetto   delle   normative
settoriali, i bacini di gara per i diversi  servizi,  in  maniera  da
consentire lo sfruttamento delle economie  di  scala  e  di  scopo  e
favorire una maggiore efficienza ed efficacia  nell'espletamento  dei
servizi, nonche' l'integrazione  di  servizi  a  domanda  debole  nel
quadro di servizi piu' redditizi, garantendo il raggiungimento  della
dimensione minima efficiente a livello di impianto per piu'  soggetti
gestori e la copertura degli obblighi di servizio universale. 
    8. Il regime transitorio degli affidamenti non conformi a  quanto
stabilito ai commi 2 e 3 e' il seguente: 
        a) le gestioni  in  essere  alla  data  del  22  agosto  2008
affidate  conformemente  ai  principi  comunitari   in   materia   di
cosiddetta "in house" cessano, improrogabilmente e  senza  necessita'
di deliberazione da parte  dell'ente  affidante,  alla  data  del  31
dicembre 2011. Esse cessano alla scadenza prevista dal  contratto  di
servizio  a  condizione  che   entro   il   31   dicembre   2011   le
amministrazioni cedano almeno il 40 per cento del capitale attraverso
le modalita' di cui alla lettera b) del comma 2; 
        b)  le  gestioni   affidate   direttamente   a   societa'   a
partecipazione mista pubblica e privata,  qualora  la  selezione  del
socio  sia  avvenuta  mediante  procedure  competitive  ad   evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del  comma
2, le quali non  abbiano  avuto  ad  oggetto,  al  tempo  stesso,  la
qualita' di socio e l'attribuzione  dei  compiti  operativi  connessi
alla  gestione  del  servizio,  cessano,  improrogabilmente  e  senza
necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante,  alla  data
del 31 dicembre 2011; 
        c)  le  gestioni   affidate   direttamente   a   societa'   a
partecipazione mista pubblica e privata,  qualora  la  selezione  del
socio  sia  avvenuta  mediante  procedure  competitive  ad   evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del  comma
2, le quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di
socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi  alla  gestione
del  servizio,  cessano  alla  scadenza  prevista  nel  contratto  di
servizio; 
        d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre
2003 a societa' a partecipazione pubblica gia'  quotate  in  borsa  a
tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell' articolo 2359
del codice civile, cessano alla scadenza prevista  nel  contratto  di
servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche
progressivamente, attraverso procedure ad  evidenza  pubblica  ovvero
forme  di  collocamento  privato  presso  investitori  qualificati  e
operatori industriali, ad una quota non superiore  al  40  per  cento
entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per cento entro  il  31
dicembre 2015;  ove  siffatte  condizioni  non  si  verifichino,  gli
affidamenti cessano improrogabilmente e senza necessita' di  apposita
deliberazione dell'ente affidante, rispettivamente, alla data del  30
giugno 2013 o del 31 dicembre 2015; 
        e) le gestioni affidate che non rientrano  nei  casi  di  cui
alle lettere da a) a d) cessano comunque entro e non  oltre  la  data
del 31 dicembre 2010,  senza  necessita'  di  apposita  deliberazione
dell'ente affidante. 
    9. Le societa', le loro controllate, controllanti  e  controllate
da una medesima controllante, anche non appartenenti a  Stati  membri
dell'Unione europea, che, in Italia o all'estero, gestiscono di fatto
o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o  per  contratto
servizi pubblici locali in virtu'  di  affidamento  diretto,  di  una
procedura non ad evidenza pubblica  ovvero  ai  sensi  del  comma  2,
lettera b), nonche' i soggetti cui  e'  affidata  la  gestione  delle
reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli  enti
locali, qualora separata dall'attivita' di  erogazione  dei  servizi,
non possono acquisire la gestione  di  servizi  ulteriori  ovvero  in
ambiti territoriali diversi, ne' svolgere  servizi  o  attivita'  per
altri enti pubblici o privati, ne'  direttamente,  ne'  tramite  loro
controllanti o  altre  societa'  che  siano  da  essi  controllate  o
partecipate, ne' partecipando a gare. Il  divieto  di  cui  al  primo
periodo opera per tutta la durata della gestione  e  non  si  applica
alle societa' quotate in mercati regolamentati e al socio selezionato
ai sensi della lettera b) del comma 2. I soggetti affidatari  diretti
di servizi pubblici locali possono comunque concorrere  su  tutto  il
territorio nazionale alla prima gara successiva alla  cessazione  del
servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica,
avente ad oggetto i servizi da essi forniti. 
    10. Il Governo, su proposta del Ministro per i  rapporti  con  le
regioni ed entro il 31 dicembre 2009, sentita la Conferenza unificata
di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
e  successive  modificazioni,  nonche'  le   competenti   Commissioni
parlamentari, adotta uno o piu' regolamenti, ai  sensi  dell'articolo
17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di: 
        a)  prevedere  l'assoggettamento  dei   soggetti   affidatari
cosiddetti in house di servizi pubblici locali al patto di stabilita'
interno,  tenendo  conto  delle  scadenze  fissate  al  comma  8,   e
l'osservanza da parte delle societa' in  house  e  delle  societa'  a
partecipazione mista pubblica e  privata  di  procedure  ad  evidenza
pubblica  per  l'acquisto  di  beni  e  servizi  e  l'assunzione   di
personale; 
        b) prevedere, in attuazione dei principi di  proporzionalita'
e di adeguatezza di cui all' articolo 118 della Costituzione,  che  i
comuni con un  limitato  numero  di  residenti  possano  svolgere  le
funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in  forma
associata; 
        c)  prevedere  una  netta  distinzione  tra  le  funzioni  di
regolazione e le funzioni di gestione dei  servizi  pubblici  locali,
anche   attraverso    la    revisione    della    disciplina    sulle
incompatibilita'; 
        d) armonizzare  la  nuova  disciplina  e  quella  di  settore
applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme
applicabili in via generale per  l'affidamento  di  tutti  i  servizi
pubblici  locali  di  rilevanza  economica  in  materia  di  rifiuti,
trasporti, energia elettrica e gas, nonche' in materia di acqua; 
        e) (abrogato) 
        f) prevedere l'applicazione del principio di reciprocita'  ai
fini dell'ammissione alle gare di imprese estere; 
        g)   limitare,   secondo   criteri    di    proporzionalita',
sussidiarieta'  orizzontale  e  razionalita'  economica,  i  casi  di
gestione  in  regime  d'esclusiva  dei   servizi   pubblici   locali,
liberalizzando  le  altre  attivita'  economiche  di  prestazione  di
servizi di interesse generale in ambito  locale  compatibili  con  le
garanzie di universalita' ed  accessibilita'  del  servizio  pubblico
locale; 
        h) prevedere nella disciplina degli affidamenti idonee  forme
di ammortamento degli investimenti e  una  durata  degli  affidamenti
strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli
investimenti; 
        i) disciplinare, in ogni caso di subentro,  la  cessione  dei
beni,  di  proprieta'  del  precedente  gestore,  necessari  per   la
prosecuzione del servizio; 
        l) prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale
anche con riguardo agli utenti dei servizi; 
        m) individuare espressamente le norme abrogate ai  sensi  del
presente articolo. 
    11. L'articolo 113 del testo unico delle  leggi  sull'ordinamento
degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto  2000,  n.
267,  e   successive   modificazioni,   e'   abrogato   nelle   parti
incompatibili con le disposizioni di cui al presente articolo. 
    12. Restano salve le procedure di affidamento gia'  avviate  alla
data di entrata in vigore della legge  di  conversione  del  presente
decreto». 
    La ricorrente afferma che il legislatore  statale  riconosce  che
sia  l'affidamento  del  servizio  pubblico  ad  imprese  terze,  sia
l'affidamento in house sono conformi  all'ordinamento  europeo  e  in
particolare alla disciplina della concorrenza, ma con la norma di cui
si  tratta  giunge  sino  ad  individuare  come  forma  preferenziale
ordinaria l'affidamento del servizio ad imprese terze, mentre  relega
la possibilita' dell'affidamento in house ai soli casi  ivi  espressi
in via d'eccezione, superando la  stessa  disciplina  comunitaria  in
materia di concorrenza. 
    5.1.1. - Ad avviso della Regione, i commi 2, 3 e 4 del menzionato
art. 23-bis violano l'evocato  art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  «in
quanto limitano la potesta' legislativa regionale di disciplinare  il
normale svolgimento del servizio pubblico da  parte  dell'ente  e  di
gestire in proprio i servizi pubblici». Dette disposizioni - prosegue
la Regione - sottopongono  la  scelta  del  regime  di  gestione  del
servizio a vincoli sia sostanziali che procedurali, impedendo, in tal
modo,    una    previa    valutazione    comparativa     da     parte
dell'amministrazione fra tutte le possibili opzioni di  scelta  della
forma di gestione, «cioe' se fruire dei  vantaggi  economici  offerti
dal mercato dei  produttori  oppure  se  procedere  a  modellare  una
propria struttura capace di diversamente configurare l'offerta  delle
prestazioni di servizio pubblico». 
    Si tratterebbe, peraltro, di innovazioni non imposte dal  diritto
comunitario, sia sotto il profilo dell'esternalizzazione dei  servizi
pubblici locali con  rilevanza  economica,  sia  sotto  quello  della
riattribuzione con la messa in gara delle attuali  concessioni  prima
della scadenza originariamente prevista. 
    Ad avviso della Regione Puglia, tale limitazione della  capacita'
delle amministrazioni regionali e locali  di  gestire  in  proprio  i
servizi pubblici  risulta  costituzionalmente  illegittima  e  lesiva
della  potesta'  legislativa  regionale  in  materia,  poiche'   nega
illegittimamente l'autonomia costituzionale di tali  enti  (art.  114
Cost.),  riconosciuta  anche  dall'Unione  europea,  nel  suo  nucleo
imprescindibile della capacita' di darsi un'organizzazione  idonea  a
soddisfare  i  bisogni  sociali  nel  suo  territorio,  cioe'   della
popolazione residente che ne e' l'elemento  costitutivo.  L'invasione
della sfera di competenza regionale e degli enti territoriali  minori
sarebbe,  poi,  enfatizzata  dalla  precisazione  che   le   indicate
disposizioni - i commi 2, 3, 4 dell'art. 23-bis, modificato dall'art.
15 cit. - «prevalgono su tutte le  discipline  di  settore  con  esse
incompatibili», ivi comprese le discipline di settore regionali. 
    In conclusione, le disposizioni denunciate, non si  limiterebbero
a stabilire principi fondamentali della materia, ma detterebbero «una
disciplina  articolata  e  specifica,   invasiva   delle   competenze
regionali  anche  in  materia  di  regolazione  del  servizio  idrico
integrato».  Tali  competenze  legislative  sarebbero  ascrivibili  -
sempre secondo la Regione - all'evocato parametro. Infatti, a  fronte
di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.  246
del 2009, secondo cui l'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  «il  quale
contiene   l'elenco   delle   materie   di   competenza   legislativa
concorrente, non contempla la materia» del servizio idrico integrato,
la ricorrente ritiene che tale «osservazione  di  carattere  generale
non toglie [...] che implicitamente  essa  vi  rientri  almeno  nella
misura in cui quel servizio sia funzionalizzato e utilizzato  a  fini
di alimentazione e di  tutela  della  salute:  materie  espressamente
indicate come soggette alla legislazione concorrente  dall'art.  117,
comma 3, Cost.». 
    Sotto questo profilo - prosegue la difesa regionale - il servizio
idrico integrato e' da considerare «servizio pubblico locale privo di
rilevanza economica, la cui disciplina non e' riconducibile al titolo
di legittimazione trasversale "tutela  della  concorrenza"».  E  cio'
perche', «con riferimento alla funzione di tutela della salute  e  di
alimentazione   propria   dell'acqua,   non   esiste    un    mercato
concorrenziale ed il ruolo riservato dal titolo V della  Costituzione
al legislatore regionale si riespande in tutte le sue potenzialita'».
In altri termini, il servizio deve essere realizzato secondo forme  e
modalita'  di  gestione  «che  garantiscano   un   governo   pubblico
partecipato e un finanziamento attraverso meccanismi perequativi e di
equita' sociale: senza finalita' lucrativa e nel rispetto dei diritti
delle generazioni future e degli equilibri ecologici». 
    5.1.2. - E' del  pari  censurato,  con  riferimento  allo  stesso
parametro costituzionale dell'art.  117,  terzo  comma,  il  comma  8
dell'art. 23-bis, il quale stabilisce - come visto - che  cessano  al
31 dicembre 2010 gli affidamenti  rilasciati  con  procedure  diverse
dall'evidenza pubblica, salvo quelli conformi ai vincoli ulteriori di
istruttoria e motivazione previsti dalla nuova disciplina. 
    La Regione lamenta che tale  disposizione  «parrebbe  determinare
per l'effetto la  cessazione  di  tutti  gli  affidamenti  attribuiti
secondo la disciplina previgente (d.lgs. n. 267 del 2000,  art.  113,
comma 5, lettera c), ponendo nell'incertezza l'attuazione  dei  piani
gestionali e di investimento, nonche'  i  relativi  piani  tariffari,
travolgendo rapporti giuridici perfezionati ed in via  di  esecuzione
che le parti vogliono  vedere  procedere  secondo  la  loro  scadenza
naturale». 
    5.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni   proposte   siano   dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate. 
    La difesa dello  Stato  rileva  che:  a)  «la  Regione  non  puo'
lamentare  genericamente  l'illegittimita'  costituzionale  di  leggi
statali,  ovvero  la  contrarieta'   delle   stesse   all'ordinamento
comunitario  senza  indicare  specificamente  la   lesione   di   una
competenza  ad  essa  attribuita»;  b)  le   disposizioni   censurate
rientrano nella  materia  della  tutela  della  concorrenza,  perche'
perseguono, in modo adeguato e proporzionato, il fine  di  assicurare
una disciplina nazionale uniforme e, nella parte in cui  regolano  le
partecipazioni pubbliche a societa' miste, sono  riconducibili  anche
alla materia dell'ordinamento civile, in forza degli artt.  2458-2460
del codice civile;  c)  «in  riferimento  alle  questioni ex  adverso
sollevate  sulla  mancata  e/o  inesatta  applicazione  dei  principi
comunitari in materia di servizi pubblici locali, si ritiene  che  la
doglianza sia mal posta in termini di  incostituzionalita'»,  perche'
«qualora codesta Corte dovesse ravvisare l'esigenza di assicurare una
uniforme interpretazione del diritto comunitario,  la  questione,  ai
sensi dell'art. 234 del Trattato CE, dovrebbe essere  preventivamente
oggetto di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE». 
    5.3. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  il
Presidente del Consiglio dei ministri ha  ribadito  quanto  affermato
nell'atto di costituzione,  in  particolare  sostenendo  che:  a)  il
ricorso e' inammissibile, perche' la  Regione  non  ha  impugnato  la
previgente formulazione dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008, ma solo quella  successivamente  introdotta  dall'art.  15  del
decreto-legge n. 135 del 2009, la quale e' meramente confermativa del
principio di  eccezionalita'  della  gestione  in  house  gia'  posto
precedentemente;  b)   la   disciplina   censurata,   la   quale   e'
riconducibile  alla  materia  della  tutela  della  concorrenza,   e'
legittima, perche' la giurisprudenza comunitaria e  quella  nazionale
hanno  sempre  affermato  che  l'istituto  dell'in  house   providing
costituisce un'eccezione al principio di concorrenza e  all'ordinaria
osservanza delle procedure di evidenza pubblica: rappresenta,  cioe',
«una soluzione  residuale  alla  quale  ricorrere  solo  in  caso  di
impossibilita' di trovare una soluzione alternativa efficiente». 
    6. - Con ricorso notificato il 22 gennaio 2010 e depositato il 27
gennaio successivo (r. ric. n. 10 del 2010), la  Regione  Toscana  ha
impugnato - in riferimento all'art.  117,  primo,  secondo  e  quarto
comma, Cost. - i commi 2, 3, 4 e 8 dell'art. 23-bis del decreto-legge
n. 112 del 2008 - aggiunto dalla legge di conversione n. 133 del 2008
− nel testo modificato dall'art. 15, comma 1,  del  decreto-legge  n.
135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  166  del
2009. 
    6.1. - La Regione premette che le  modifiche  apportate  all'art.
23- bis del d.l. n. 112 del 2008 «dettano nuove regole in ordine alle
modalita' di conferimento dei servizi pubblici  locali  di  rilevanza
economica,  realizzando  un  sistema  in  cui  emerge  con  forza  la
centralita' e la prevalenza dell'affidamento del servizio  attraverso
le procedure di evidenza pubblica ed  il  disfavore  del  legislatore
statale per le modalita' di gestione  in  house,  con  il  dichiarato
scopo di procedere ad una liberalizzazione del  settore  dei  servizi
pubblici». Premette altresi' che  la  materia  dei  servizi  pubblici
locali rientra nell'ambito della potesta' legislativa esclusiva delle
Regioni, ai  sensi  dell'art.  117,  quarto  comma,  Cost.  Premette,
infine, che la Corte costituzionale ha rilevato  che  l'esercizio  da
parte dello Stato della potesta' legislativa  in  materia  di  tutela
della  concorrenza,  con  riferimento  alla  disciplina  dei  servizi
pubblici, coinvolge profili aventi un'incidenza su una pluralita'  di
interessi  e  di  oggetti,  che  non  ricadono  solo   nell'esclusiva
competenza  statale,  ma  involgono  anche   molteplici   ambiti   di
competenza delle Regioni, con la conseguenza che  l'intervento  dello
Stato «deve limitarsi alla disciplina di quegli aspetti  strettamente
connessi alla tutela ed alla  promozione  della  concorrenza  e  deve
uniformarsi  ai  principi  di  adeguatezza  e   di   proporzionalita'
dell'intervento  normativo  rispetto   al   fine   pro-concorrenziale
perseguito, con cio' escludendo  la  legittimita'  di  una  normativa
troppo dettagliata e puntuale o irragionevole». 
    6.1.1. - Sono censurati, in primo luogo, i commi 2,  3  e  4  del
novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, i quali  stabiliscono
che di regola la gestione dei servizi pubblici  locali  debba  essere
affidata ad una societa' privata o mista tramite gara e ammettono  la
modalita'  di  affidamento  del  servizio  in  house  solo   in   via
eccezionale. 
    La  ricorrente  osserva  che  tali  disposizioni  esprimono   con
evidenza il disfavore manifestato  dal  legislatore  statale  per  la
modalita' di gestione del servizio pubblico attraverso una societa' a
totale partecipazione  pubblica,  ancorche'  sussistano  i  requisiti
indicati dall'ordinamento comunitario,  ossia  l'esercizio  da  parte
dell'ente pubblico di un controllo analogo a  quello  esercitato  sui
propri servizi e la prevalenza dell'attivita' della societa' in house
a favore dell'ente controllante. 
    Tale regime - prosegue la Regione -  «non  risponde  ad  esigenze
connesse alla regolazione del mercato e di tutela della concorrenza e
stabilisce una disciplina particolareggiata e puntuale, incidendo  in
maniera  rilevante  sulle  prerogative  regionali  costituzionalmente
garantite». 
    In particolare, poiche' l'ente in house non puo' ritenersi  terzo
rispetto all'amministrazione controllante ma deve  considerarsi  come
uno   dei   servizi   propri   dell'amministrazione   stessa,   tutta
l'organizzazione  in  house  e'  sottratta  alla   disciplina   della
concorrenza nella scelta del  gestore,  in  quanto  questi  e'  parte
dell'organizzazione della controllante, per la quale svolge attivita'
in via prevalente: non puo' pertanto essere considerata un'impresa di
terzi,  ne'  incide  sul  mercato.  Conseguentemente,  non   potrebbe
invocarsi  il  principio   di   concorrenza   -   che   invece   deve
necessariamente conformare l'operato delle amministrazioni una  volta
che le stesse abbiano deciso di rivolgersi al mercato delle imprese -
nella ipotesi della  scelta  dell'in  house,  che  involge  piuttosto
profili di auto-organizzazione dell'ente pubblico. 
    Per la difesa regionale, tale ricostruzione trova conferma  nella
giurisprudenza costituzionale, secondo cui  l'intervento  legislativo
statale  a  tutela  della  concorrenza  con  riferimento  ai  servizi
pubblici locali di rilevanza economica viene in  considerazione  solo
per quei profili di disciplina strettamente  collegati  e  funzionali
all'esigenza di definire condizioni concorrenziali uniformi nei  vari
settori economici. Invece, quando le Amministrazioni,  nell'esercizio
delle valutazioni discrezionali di competenza, decidono di gestire il
servizio attraverso una propria longa manus (la  societa'  in  house)
non ricorrono le esigenze di tutela della concorrenza e  quindi,  per
tale  profilo,  non  esiste  un  titolo  legittimante  la  competenza
statale. In altri termini, la scelta  in  ordine  alle  modalita'  di
gestione del servizio pubblico locale e' da  considerare  una  tipica
scelta di organizzazione, «che in quanto organizzazione locale e  non
nazionale dei servizi non rientra nella  competenza  statale,  ma  in
quella regionale ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost.». 
    6.1.1.1.  -  Ne  deriva,  per  la  ricorrente,   l'illegittimita'
costituzionale dei commi  censurati,  in  riferimento  all'art.  117,
secondo e quarto comma, Cost.,  perche'  detti  commi  esprimono  una
prevalenza della gestione esternalizzata dei servizi pubblici locali,
in  quanto  intervengono  nella  materia  dell'organizzazione   della
gestione di detti servizi, con una normativa di  dettaglio,  che  non
lascia  margini  all'autonomia   del   legislatore   regionale,   pur
perseguendo finalita' che esulano da  profili  strettamente  connessi
alla tutela della concorrenza. 
    6.1.1.2. - Sempre per la ricorrente, i commi impugnati si pongono
in  contrasto  anche  con  il  diritto  comunitario,  in   violazione
dell'art. 117, primo, secondo e quarto comma, Cost. 
    Infatti,  nessuna  disposizione  comunitaria  vigente  limita  il
ricorso all'in house a casi  eccezionali,  in  presenza  di  rigorose
condizioni previste dalla legge e  previo  assolvimento  di  puntuali
regole procedimentali, cosi' come invece previsto dalle  disposizioni
censurate. Al contrario -  sostiene  la  ricorrente  -  l'ordinamento
comunitario  ammette  espressamente  la  possibilita'  di  fornire  i
servizi  pubblici  con  un'organizzazione  propria,  in   alternativa
all'affidamento  ad  imprese  terze,  con  la  conseguenza   che   le
disposizioni censurate  non  trovano  fondamento  ne'  nella  riserva
costituzionale alla  legislazione  statale  esclusiva  della  materia
tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.),
ne' nella disciplina comunitaria. 
    A tali conclusioni  non  potrebbe  opporsi  che  le  disposizioni
impugnate  rientrano  nella  materia  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo
comma, lett. m, Cost.), in quanto  hanno  ad  oggetto  unicamente  le
forme di gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica e non le
prestazioni che dette gestioni debbono assicurare  agli  utenti.  Ne'
del pari potrebbe opporsi che  esse  rientrano  nella  materia  delle
funzioni fondamentali di comuni, province e citta' metropolitane,  ai
sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., in quanto  «la
gestione  dei  predetti   servizi   non   puo'   certo   considerarsi
esplicazione di  una  funzione  propria  ed  indefettibile  dell'ente
locale». 
    6.1.2. - E' censurato, in secondo luogo - sempre  in  riferimento
all'art. 117, primo, secondo e quarto comma Cost. - il  comma  8  del
novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il quale introduce un
nuovo regime transitorio, valido per tutti i servizi, compreso quello
idrico, con riferimento alle gestioni in essere. 
    La Regione sostiene che anche detta disposizione non si limita  a
disciplinare, con norma  di  carattere  generale,  la  materia  della
gestione dei servizi pubblici sotto lo specifico profilo della tutela
della concorrenza e,  in  ogni  caso,  non  rispetta  i  principi  di
adeguatezza e di proporzionalita' dell'intervento normativo da  parte
dello  Stato  in  ragione  delle  finalita'  pro-concorrenziali.  Non
appare,  infatti,   ragionevole   l'aver   stabilito   una   puntuale
articolazione  temporale   della   disciplina   transitoria,   valida
indifferentemente per  tutti  le  tipologie  di  servizi  pubblici  e
riferita genericamente a tutte le  diverse  situazioni  presenti  sul
territorio nazionale. Inoltre, anche  attraverso  la  disciplina  del
periodo transitorio, viene  ribadito  il  disfavore  del  legislatore
statale  per  le  gestioni  in  house,   le   quali,   pur   affidate
conformemente  ai   principi   dell'ordinamento   comunitario,   sono
destinate a cessare improrogabilmente alla data del 31 dicembre 2011. 
    In conclusione, ad avviso della Regione, il  comma  censurato  si
pone  in  contrasto  con  gli  evocati  parametri,  perche':  a)   il
legislatore statale, con la disciplina in esame, non ha  limitato  il
proprio intervento  agli  aspetti  piu'  strettamente  connessi  alla
tutela della concorrenza ed  alla  regolazione  del  mercato,  ma  e'
intervenuto, con una norma di dettaglio, sottraendo alle  Regioni  la
libera determinazione se ricorrere o meno al mercato  ai  fini  della
gestione  del   servizio   pubblico;   determinazione   che   rientra
nell'ambito  del  buon  andamento  dell'organizzazione  dei   servizi
pubblici, che spetta alle Regioni  ai  sensi  dell'art.  117,  quarto
comma, Cost.; b) la disposizione, nella parte in  cui  impone  al  31
dicembre 2011 la cessazione di tutte  le  gestioni  in  house,  viola
l'art.  117  primo  comma,  Cost.;  per  il   tramite   del   diritto
comunitario, che invece consente la prosecuzione di tali gestioni; c)
neppure con  riferimento  alla  disciplina  del  periodo  transitorio
possono venire  in  rilievo  le  competenze  legislative  statali  in
materia  di  livelli  essenziali  delle  prestazioni  o  di  funzioni
fondamentali di Comuni,  Province  e  Citta'  metropolitane,  per  le
stesse ragioni gia' esposte in relazione  alla  questione  avente  ad
oggetto i commi 2, 3 e 4 del menzionato art. 23-bis. 
    6.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni   proposte   siano   dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate, sulla  base  di  argomentazioni
analoghe a quelle svolte in  relazione  al  ricorso  n.  6  del  2010
(supra: punto 5.2.). 
    6.3. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  il
Presidente del Consiglio dei ministri ha  ribadito  quanto  affermato
nell'atto di costituzione,  in  particolare  sostenendo  che:  a)  il
ricorso e' inammissibile, perche' la  Regione  non  ha  impugnato  la
previgente formulazione dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008, ma solo quella  successivamente  introdotta  dall'art.  15  del
decreto-legge n. 135 del 2009, la quale e' meramente confermativa del
principio di  eccezionalita'  della  gestione  in  house  gia'  posto
precedentemente;  b)   la   disciplina   censurata,   la   quale   e'
riconducibile  alla  materia  della  tutela  della  concorrenza,   e'
legittima, perche'  la  giurisprudenza  comunitaria  e  nazionale  ha
sempre affermato che l'istituto dell'in house  providing  costituisce
un'eccezione al principio di concorrenza e  all'ordinaria  osservanza
delle procedure di evidenza pubblica. 
    7. - Con ricorso notificato il 22 gennaio 2010 e depositato il 27
gennaio successivo (r. ric. n. 12 del 2010), la  Regione  Liguria  ha
impugnato, in riferimento agli artt. 117,  primo,  secondo  e  quarto
comma, 118, primo e secondo comma, e 119 Cost., i commi 2, 3, 4  e  8
dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 -  aggiunto  dalla
legge di  conversione  n.  133  del  2008  -,  nel  testo  modificato
dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009. 
    7.1. - La Regione premette che l'art. 4 della legge  reg.  n.  39
del 2008 - i cui commi 1, 4, 5, 6 e 14 sono oggetto  di  impugnazione
da parte dello Stato con il ricorso n. 2 del  2009  -  ammette  senza
limitazioni la gestione in house dei servizi pubblici. 
    Premette altresi' che l'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, che  ha
introdotto  le  disposizioni  censurate,   pur   essendo   intitolato
«Adeguamento  alla  disciplina  comunitaria  in  materia  di  servizi
pubblici  locali  di  rilevanza  economica»,  non   cita   mai   atti
comunitari, perche' non  e',  in  realta',  imposto  da  esigenze  di
adeguamento alla normativa comunitaria, ma e' frutto  di  una  scelta
«meramente statale volta  ad  imporre  la  procedura  competitiva  di
affidamento del servizio come procedura ordinaria e l'affidamento  in
house come  procedura  eccezionale».  Al  contrario,  -  prosegue  la
ricorrente - il diritto  comunitario,  pur  incentrato  sulla  tutela
della concorrenza come metodo per garantire la pari  opportunita'  di
accesso al mercato delle commesse pubbliche per tutti  gli  operatori
europei, ammette pienamente il diritto  di  ogni  amministrazione  di
erogare   direttamente   i    servizi    pubblici    autoproducendoli
corrispondentemente alla propria missione. 
    Premette, infine, che l'art. 15 del  d.l.  n.  135  del  2009  e'
impugnabile anche nelle parti in cui e' confermativo dell'art. 23-bis
del d.l. n. 112 del 2008, in  base  alla  consolidata  giurisprudenza
costituzionale secondo la quale  gli  atti  legislativi  sono  sempre
impugnabili anche se apparentemente  «confermativi»,  perche'  dotati
sempre, per propria natura intrinseca, del carattere della novita'. 
    7.1.1. - Sono censurati, in primo luogo, i commi 2,  3  e  4  del
novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, i quali  stabiliscono
che di regola la gestione dei servizi pubblici  locali  debba  essere
affidata ad una societa' privata o mista tramite gara e ammettono  la
modalita'  di  affidamento  del  servizio  in  house  solo   in   via
eccezionale. 
    7.1.1.1. - La ricorrente osserva che tali disposizioni  esprimono
il disfavore del legislatore statale per la modalita' di gestione del
servizio pubblico attraverso una  societa'  a  totale  partecipazione
pubblica, ponendo pesanti  limiti  sostanziali  e  procedurali.  Esse
operano  una   drastica   compressione   dell'autonomia   legislativa
regionale in materia di servizi  pubblici  locali  ed  organizzazione
degli enti locali (art.  117,  quarto  comma,  Cost.),  dato  che  le
possibili scelte della Regione sulla forma di gestione  del  servizio
vengono limitate a due possibilita', mentre la gestione diretta viene
esclusa  e  quella  tramite  societa'  in  house  limitata   a   casi
eccezionali. 
    Ad avviso della difesa regionale, le disposizioni  censurate  non
rientrano nella competenza legislativa statale in materia  di  tutela
della concorrenza, ma si limitano  a  negare  «il  diritto  dell'ente
territoriale responsabile di erogare in proprio il servizio  pubblico
a favore della propria comunita'»; diritto espressamente riconosciuto
dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE,  la  quale  afferma
che un'autorita' pubblica, che sia un'amministrazione aggiudicatrice,
ha la possibilita' di adempiere ai compiti di interesse  pubblico  ad
essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici  e
di altro tipo, senza  essere  obbligata  a  far  ricorso  ad  entita'
esterne non appartenenti ai propri servizi. 
    Ad avviso della  Regione  Liguria,  le  limitazioni  poste  dalle
disposizioni censurate alla capacita' delle amministrazioni regionali
e  locali  di  gestire  in  proprio  i  servizi  pubblici   risultano
costituzionalmente illegittime e lesive  della  potesta'  legislativa
regionale nella materia. E cio', perche' «un problema di tutela della
concorrenza puo' iniziare solo dopo che e' stata presa  la  decisione
di gestire il servizio attraverso il mercato, anziche' in proprio. Al
contrario, la decisione di mantenere il  servizio  nell'ambito  della
propria organizzazione diretta, o  della  propria  organizzazione  in
house, non restringe e non altera in alcun modo la concorrenza». 
    In relazione ad altri eventuali titoli di competenza statale,  la
ricorrente osserva, innanzitutto, che «la  disciplina  in  esame  non
appare riferibile alla competenza  legislativa  statale  in  tema  di
"determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni  concernenti
i diritti civili e sociali" perche' riguarda precipuamente servizi di
rilevanza economica e comunque non  attiene  alla  determinazione  di
livelli essenziali». Rileva, poi, che, in  base  alla  giurisprudenza
costituzionale, l'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. non puo'
essere invocato  in  relazione  alle  modalita'  di  affidamento  dei
servizi locali. In particolare, il fatto  che  nella  sentenza  della
Corte costituzionale n. 307 del 2009, si  legga  che  «le  competenze
comunali   in   ordine   al   servizio   idrico   sia   per   ragioni
storico-normative sia per l'evidente  essenzialita'  di  questo  alla
vita associata  delle  comunita'  stabilite  nei  territori  comunali
devono essere considerate  quali  funzioni  fondamentali  degli  enti
locali» confermerebbe che, data l'importanza del servizio idrico,  lo
Stato  non  puo'  vietare   all'ente   di   svolgerlo   direttamente,
costringendolo ad affidarlo a terzi. 
    Con riferimento al censurato comma 4, la ricorrente aggiunge  che
la sua illegittimita' costituzionale consegue  logicamente  a  quella
dei precedenti commi 2  e  3.  Detto  comma,  infatti,  richiede  uno
speciale parere per l'adozione della gestione  diretta  del  servizio
mediante la propria organizzazione o in house; parere  che  «si  puo'
giustificare soltanto come forma di garanzia  della  "eccezionalita'"
della gestione in house e della fondatezza delle  specifiche  ragioni
della scelta, ma che [...] non ha piu' senso ne'  ragionevolezza  una
volta che si riconosca il diritto dell'amministrazione di gestire  in
proprio il Servizio». 
    In conclusione, le disposizioni dei commi  2,  3  e  4  impugnati
sono,  per  la  ricorrente,  illegittime,  perche',   in   violazione
dell'art. 117, quarto comma, Cost., limitano la potesta'  legislativa
regionale  di  disciplinare  il  normale  svolgimento  del   servizio
pubblico da parte dell'ente, sottoponendo tale scelta a  vincoli  sia
sostanziali  (le  «peculiari  caratteristiche  economiche,   sociali,
ambientali   e   geomorfologiche   del   contesto   territoriale   di
riferimento») che procedurali (l'onere di trasmettere  una  relazione
contenente gli esiti della predetta  verifica  all'Autorita'  garante
della concorrenza e del mercato e alle autorita' di  regolazione  del
settore). 
    7.1.1.2. - La ricorrente lamenta anche che le stesse disposizioni
violano l'art. 118, primo e secondo comma, Cost., perche' -  vietando
lo svolgimento diretto del servizio idrico - vanificano «la norma che
assegna, preferibilmente, le funzioni amministrative  ai  comuni  (il
servizio idrico virtualmente rimane di spettanza  dei  comuni  ma  in
concreto  viene  assegnato  ad  altri  soggetti;  inoltre,  la  norma
impugnata toglie ai comuni una parte essenziale della funzione, cioe'
la possibilita' di scegliere la forma di  gestione  piu'  adeguata)».
Inoltre, svuotano il principio di sussidiarieta', perche' si  pongono
in contrasto con il principio secondo cui «i comuni "sono titolari di
funzioni amministrative proprie" (il  servizio  idrico,  essendo  una
funzione fondamentale, rientra  tra  le  funzioni  "proprie"  di  cui
all'art. 118, comma 2)». 
    La ricorrente sostiene di essere  legittimata  a  far  valere  la
lesione delle  competenze  amministrative  degli  enti  locali  anche
indipendentemente  dalla  prospettazione   della   violazione   della
competenza legislativa regionale, perche' le competenze comunali sono
strettamente connesse con  la  competenza  legislativa  regionale  in
materia di servizi pubblici e di organizzazione degli enti locali. 
    7.1.1.3. - La difesa regionale  lamenta,  poi,  che  i  censurati
commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis  violano  l'art.  117,  primo  comma,
Cost., in quanto contrastano  con  la  Carta  europea  dell'autonomia
locale di cui alla legge  30  dicembre  1989,  n.  439  (Ratifica  ed
esecuzione della convenzione  europea  relativa  alla  Carta  europea
dell'autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985). 
    Sarebbero, in particolare, violate le seguenti disposizioni della
Carta: a) l'art. 3, comma  1,  secondo  cui  «per  autonomia  locale,
s'intende il diritto e la capacita' effettiva, per  le  collettivita'
locali, di regolamentare ed  amministrare  nell'ambito  della  legge,
sotto la loro responsabilita', e  a  favore  delle  popolazioni,  una
parte importante di affari pubblici»; b) l'art. 4, comma  2,  secondo
cui «le collettivita' locali hanno,  nell'ambito  della  legge,  ogni
piu' ampia facolta' di  prendere  iniziative  proprie  per  qualsiasi
questione che non esuli dalla loro  competenza  o  sia  assegnata  ad
un'altra autorita'»; c) l'art. 4, comma 4, secondo cui «le competenze
affidate alle collettivita' locali devono di regola  essere  complete
ed integrali». 
    Ad avviso della ricorrente, una volta che  si  riconosca  che  il
servizio idrico e' parte  delle  funzioni  fondamentali  dei  Comuni,
«sembra evidente che solo ad essi spetta la  decisione  sul  migliore
modo di organizzarlo. La loro autonomia potra'  essere  limitata  sul
versante  del  dimensionamento  del  servizio  per   assicurare   una
distribuzione efficiente, e dunque sulla eventuale necessita' di  una
gestione associativa della risorsa idrica, ma non si vede come  possa
risultare legittimo privarli o comunque configurare come  eccezionale
e soggetta a specifici aggravi procedimentali la scelta  di  assumere
essi stessi la responsabilita' della gestione diretta del servizio». 
    Ne' a tale assunto potrebbe opporsi - per la stessa ricorrente  -
che le norme impugnate non incidono sulla spettanza delle funzioni ma
solo sulle forme di gestione. Infatti, «quando  la  disciplina  delle
forme di gestione arriva ad impedire la gestione diretta del servizio
idrico, non si puo'  negare  un'incidenza  sulla  spettanza  concreta
della funzione». 
    La ricorrente sostiene di essere  legittimata  a  far  valere  la
violazione della Carta europea  dell'autonomia  locale,  «perche'  la
lesione delle  competenze  comunali  e'  strettamente  connessa  alla
violazione della  competenza  legislativa  regionale  in  materia  di
servizi pubblici e di organizzazione degli enti locali». 
    7.1.1.4. - In subordine, per  il  caso  in  cui  «fosse  ritenuta
legittima l'imposizione di un regime "ordinario" di  affidamento  del
servizio all'esterno e la limitazione a casi eccezionali di forme  di
gestione non concorrenziali», la Regione  censura  -  in  riferimento
all'art. 117, secondo comma, lettera e), e quarto comma, Cost.  -  il
comma 2, lettera b), del nuovo  art.  23-bis,  «nella  parte  in  cui
regola in dettaglio l'affidamento del servizio alla  societa'  mista,
imponendo una partecipazione minima  del  40%  del  socio  privato  e
l'attribuzione al socio di specifici compiti operativi connessi  alla
gestione del servizio». 
    Lamenta la ricorrente che tale disposizione viola il criterio  di
proporzionalita'  che  deve  guidare  la  tutela  della  concorrenza,
invadendo il campo riservato alla potesta' legislativa  regionale  in
materia di servizi pubblici. E cio', perche' detta disposizione  pone
ulteriori vincoli alla potesta' legislativa regionale, senza che essi
risultino funzionali ad una maggiore  promozione  della  concorrenza,
della  quale  potrebbero  persino  risultare  limitativi.  Infatti  -
prosegue  la  difesa  regionale  -  «sono  gli  stessi  privati   che
potrebbero non avere interesse ad acquistare, un pacchetto di  azioni
significativo (almeno il 40%) e presumibilmente di  notevole  impegno
economico (e che tuttavia non garantisce affatto il  controllo  sulla
societa'), per avere in cambio [...] solo singoli e specifici compiti
operativi e non l'intera gestione  (a  volte,  unica  condizione  per
poter rientrare degli investimenti fatti per "comprare" la  qualifica
di socio). E per altro verso, in senso contrario, in alcuni  casi  la
situazione  gestionale  concretamente  esistente   potrebbe   rendere
preferibile in termini di efficienza una  privatizzazione  attraverso
la selezione di un socio privato  mero  finanziatore,  al  quale  non
affidare alcun compito operativo». 
    7.1.1.5. - Sempre in via  subordinata,  «qualora  fosse  ritenuta
legittima l'imposizione di un regime "ordinario" di  affidamento  del
servizio all'esterno e la limitazione a casi eccezionali di forme  di
gestione non concorrenziali», la  Regione  censura  -  con  implicito
riferimento all'art. 117, quarto comma, Cost. - il comma 3  dell'art.
23-bis, nella parte  in  cui  regola  le  forme  di  affidamento  non
competitive, perche' esso «invece di rinviare alle forme di  gestione
diretta previste dalla legislazione regionale o, in mancanza,  scelte
dagli enti locali, regola direttamente anche tale caso, imponendo  la
gestione in house ed escludendo  la  gestione  in  proprio  da  parte
dell'ente locale o la  gestione  tramite  azienda  speciale».  Appare
infatti evidente - per la ricorrente - che, nel momento in cui non si
attiva la procedura  competitiva,  e'  escluso  che  lo  Stato  possa
invocare la propria competenza in materia di tutela della concorrenza
per disciplinare le forme di gestione non competitive, che  ricadono,
invece, nella  competenza  regionale  piena  in  materia  di  servizi
pubblici e di organizzazione degli enti locali. 
    7.1.2. - E' censurato, in secondo luogo  -  in  riferimento  agli
artt. 117, primo e quarto comma, Cost. - il  comma  8  del  novellato
art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008,  il  quale  regola  il  «regime
transitorio degli affidamenti non  conformi  a  quanto  stabilito  ai
commi 2 e  3,  prevedendo,  in  particolare:  nella  lettera  a),  le
modalita' di cessazione delle gestioni  in  house  in  essere;  nelle
lettere b) e  c),  il  regime  transitorio  delle  gestioni  affidate
direttamente a societa' miste; nella  lettera  d),  le  modalita'  di
cessazione degli affidamenti  diretti  a  societa'  a  partecipazione
pubblica. 
    7.1.2.1. - La Regione lamenta, innanzitutto, che la  disposizione
viola l'art. 117, quarto comma, Cost., per ragioni analoghe a  quelle
fatte valere sub 7.1.1.1. 
    Aggiunge la ricorrente  che  la  privatizzazione  prevista  dalla
norma censurata non e' riconducibile alla materia della tutela  della
concorrenza  e  «non  ricade  in  specifiche  competenze  ne'   della
Comunita' europea, ne' dello Stato:  ne',  d'altronde,  e'  una  vera
materia, trattandosi invece di una modalita' di gestione di un  bene,
servizio o attivita'. Inoltre, trattandosi  di  un  trasferimento  ai
privati di risorse costituite a  spese  della  collettivita',  e'  un
processo che va attentamente  valutato  in  termini  di  benefici  di
ritorno  alla  collettivita'  stessa.  Essa,  dunque,  si  giustifica
soltanto la' dove l'ingresso del privato sia una garanzia di maggiore
efficienza della gestione del bene privatizzato».  Infatti  -  sempre
secondo la difesa regionale - lo Stato puo' legiferare solo: «a)  per
assicurare la concorrenza la' dove l'ente competente decida di aprire
il servizio ai privati; b) per assicurare i livelli essenziali  delle
prestazioni;  c)  ponendo  norme  di  principio   sul   coordinamento
finanziario, la' dove si tratti di  limitare  il  costo  dei  servizi
rispetto al bilancio pubblico». 
    A fronte  di  cio',  le  norme  sul  superamento  della  gestione
pubblica dei  servizi  sarebbero,  in  chiave  meramente  ideologica,
«orientate a favorire  un  ingiustificabile  processo  di  "svendita"
(trattandosi di vendita obbligatoria e quindi fuori dalle  condizioni
di mercato) del patrimonio pubblico capitalizzato  nel  valore  delle
societa' pubbliche che hanno avuto in affidamento  i  servizi,  senza
alcuna valutazione delle  conseguenze  che  questo  processo  avrebbe
sulla qualita' dei servizi». 
    7.1.2.2. - La ricorrente lamenta, infine, che il censurato  comma
8 dell'art. 23-bis viola, per le ragioni gia' esposte in relazione ai
precedenti commi 2, 3 e 4: a) l'art. 117, primo  comma,  Cost.,  «per
contrasto con la Carta europea dell'autonomia locale»; b) l'art. 117,
secondo comma, Cost., «per erronea interpretazione  dei  confini  dei
poteri statali ivi previsti»; c) l'art.  117,  quarto  comma,  Cost.,
«per violazione della potesta' legislativa regionale piena in materia
di servizi locali e organizzazione degli enti locali»; d) l'art. 118,
primo e secondo  comma,  Cost.,  «per  violazione  del  principio  di
sussidiarieta' e della titolarita' comunale di funzioni proprie»;  e)
l'art. 119 Cost., sotto il profilo dell'autonomia  finanziaria  degli
enti locali, perche' «impone ad essi di cedere rilevanti quote  delle
societa' da essi controllate»; f) in subordine, per il  caso  in  cui
«fosse ritenuta legittima l'imposizione di un regime  "ordinario"  di
affidamento  del  servizio  all'esterno  e  la  limitazione  a   casi
eccezionali di forme di gestione  non  concorrenziali»,  l'art.  117,
secondo comma, lettera e), e quarto comma, Cost., perche' regola  nel
dettaglio le quantita', le modalita' e i tempi delle cessioni, per le
ragioni gia' esposte sub 7.1.1.4. 
    7.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni   proposte   siano   dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate, sulla  base  di  argomentazioni
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6  e  n.  10  del
2010 (supra: punti 5.2. e 6.2.). 
    7.3. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  la
Regione Liguria ha sostanzialmente ribadito quanto gia' sostenuto nel
ricorso, aggiungendo che,  contrariamente  a  quanto  eccepito  dalla
difesa dello Stato:  a)  il  ricorso  non  e'  generico,  perche'  la
ricorrente ha chiaramente individuato le competenze  legislative  che
assume violate; b) il fatto che  l'intervento  legislativo  censurato
abbia carattere macroeconomico non rileva nel caso di specie, perche'
rileverebbe solo se si trattasse di una legge di sostegno economico a
determinati  settori  produttivi;  c)  il  richiamo  degli   articoli
2458-2460  cod.  civ.  non  e'  pertinente,  perche'  tali  norme  si
riferiscono a profili specifici  del  diritto  societario  che  nulla
hanno a che vedere con le disposizioni censurate. 
    7.4. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  il
Presidente del Consiglio dei ministri ha  ribadito  quanto  affermato
nell'atto  di  costituzione,   svolgendo,   inoltre,   considerazioni
analoghe a quelle svolte in relazione  al  ricorso  n.  10  del  2010
(supra: punto 6.3.). 
    8. - Con ricorso notificato il 21 gennaio 2010 e depositato il 28
gennaio  successivo  (r.  ric.  n.   13   del   2010),   la   Regione
Emilia-Romagna ha impugnato - in riferimento  agli  artt.  114,  117,
primo, secondo, quarto e sesto comma, 118 e 119 Cost. -  i  commi  3,
4-bis, 8, 9 e 10 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 -
aggiunto dalla legge di conversione n. 133  del  2008  -,  nel  testo
modificato  dall'art.  15  del  decreto-legge  n.   135   del   2009,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009. 
    8.1. - La ricorrente premette  che  la  privatizzazione  prevista
dalle disposizioni censurate non e' riconducibile alla materia  della
tutela della concorrenza e «non ricade in specifiche  competenze  ne'
della Comunita' europea, ne' dello Stato». Si tratta  invece  di  una
modalita' di gestione di un bene, servizio o attivita', attraverso un
trasferimento  ai  privati  di  risorse  costituite  a  spese   della
collettivita', da valutarsi in termini di benefici  di  ritorno  alla
collettivita' stessa. Essa, dunque, si giustifica soltanto  la'  dove
l'ingresso del privato sia una garanzia di maggiore efficienza  della
gestione del bene privatizzato. Infatti - sempre  secondo  la  difesa
regionale - lo Stato puo' legiferare  solo:  «a)  per  assicurare  la
concorrenza la' dove l'ente competente decida di aprire  il  servizio
ai privati; b) per assicurare i livelli essenziali delle prestazioni;
c) ponendo norme di principio sul coordinamento finanziario, la' dove
si tratti di limitare il  costo  dei  servizi  rispetto  al  bilancio
pubblico». A fronte di cio', le norme sul superamento della  gestione
pubblica dei  servizi  sarebbero  meramente  ideologiche,  in  quanto
«orientate a favorire  un  ingiustificabile  processo  di  "svendita"
(trattandosi di vendita obbligatoria e quindi fuori dalle  condizioni
di mercato) del patrimonio pubblico capitalizzato  nel  valore  delle
societa' pubbliche che hanno avuto in affidamento  i  servizi,  senza
alcuna valutazione delle  conseguenze  che  questo  processo  avrebbe
sulla qualita' dei servizi». 
    Ad avviso della ricorrente,  e'  evidente  il  suo  interesse  ad
impugnare tali disposizioni: «a) su un piano generale onde opporre ad
una visione ideologica, priva di qualsiasi riscontro  oggettivo,  una
diversa interpretazione degli interessi della propria  comunita';  b)
sul piano piu' direttamente giuridico, al fine di poter esplicare  la
propria competenza legislativa in materia di servizi pubblici, che e'
lo strumento con cui la  Costituzione  garantisce  la  sua  autonomia
politica». 
    La  ricorrente   procede   poi   ad   analizzare   i   precedenti
giurisprudenziali costituzionali in tema di servizi pubblici  locali,
traendone i seguenti principi: a) l'intervento legislativo statale in
una  materia  come  quella   dei   servizi   pubblici   locali,   non
espressamente prevista nell'art. 117 Cost., si giustifica  solo  alla
luce della competenza esclusiva che lo Stato ha in materia di «tutela
della concorrenza», la quale,  stante  la  sua  trasversalita',  puo'
abbracciare qualsiasi attivita' economica (sentenza n. 272 del 2004);
b) tuttavia, l'ambito di operativita' della competenza in materia  di
«tutela della concorrenza» e' definito anche attraverso  il  rispetto
del principio  di  proporzionalita'  e  adeguatezza,  nel  senso  che
l'intervento legislativo statale non puo' essere talmente dettagliato
da escludere qualsiasi possibilita' di  regolazione  da  parte  della
Regione (sentenza  n.  272  del  2004);  c)  sono  costituzionalmente
illegittime sia le disposizioni  statali  dirette  a  disciplinare  i
servizi  pubblici  locali  privi  di  rilevanza  economica,  sia   le
disposizioni dirette a  disciplinare  aspetti  dei  servizi  pubblici
locali di rilievo economico, ma con esasperato taglio  applicativo  e
di dettaglio (sentenza n. 272 del 2004);  d)  la  disciplina  statale
sulle modalita' di  affidamento  dei  servizi  pubblici  a  rilevanza
economica e' costituzionalmente legittima,  in  quanto  riconducibile
alla materia della tutela della  concorrenza  (sentenza  n.  307  del
2009); e) le competenze comunali in ordine al  servizio  idrico,  sia
per ragioni storico-normative, sia per  l'evidente  essenzialita'  di
questo per la vita associata delle comunita' stabilite nei  territori
comunali, devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli
enti locali, la cui disciplina  e'  stata  affidata  alla  competenza
esclusiva dello Stato dal novellato art. 117 Cost.; cio' non  toglie,
ovviamente, che la competenza in materia di servizi  pubblici  locali
resti una competenza regionale, la quale risulta in  un  certo  senso
limitata dalla competenza statale suddetta,  ma  puo'  continuare  ad
essere esercitata negli altri settori, nonche' in quello dei  servizi
fondamentali, purche' non sia in contrasto con quanto stabilito dalle
leggi statali (sentenza n. 307 del 2009). 
    8.1.1. - E' censurato, in primo luogo - in riferimento agli artt.
114, 117, primo, secondo e quarto comma, e 118 Cost. - il comma 3 del
novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il quale  ammette  la
modalita' di affidamento del  servizio  direttamente  a  societa'  in
house solo in via eccezionale. 
    La ricorrente prospetta questioni analoghe a  quelle  prospettate
dalla Regione Liguria nel ricorso n. 13 del 2010  in  relazione  alla
stessa disposizione (supra: punti 7.1.1.1. e 7.1.1.2). 
    Con particolare riferimento al parametro dell'art. 114 Cost.,  la
ricorrente  precisa  che  la  norma   impugnata   viola   l'autonomia
organizzativa degli enti locali, quanto  al  miglior  soddisfacimento
dei servizi di propria titolarita'. 
    8.1.2. - E' censurato, in secondo luogo - in riferimento all'art.
117, sesto comma, Cost. - il comma 4-bis del  novellato  art.  23-bis
del d.l. n. 112 del 2008, il quale affida al regolamento  governativo
di cui al successivo comma 10 il compito di  individuare  una  soglia
oltre la quale l'affidamento di un servizio pubblico locale in  forma
derogatoria (ossia a societa' in house), per assenza in  concreto  di
un mercato di riferimento, deve  essere  assoggettato  alla  funzione
consultiva  e  di  verifica  svolta  dall'Autorita'   garante   della
concorrenza e del mercato. 
    La Regione ritiene che le determinazioni relative a  tale  soglia
non possano che  essere  assunte  in  sede  regionale,  entro  limiti
fissati direttamente dalla legge statale, trattandosi di  determinare
un livello di efficienza del servizio, che solo a  livello  regionale
puo'  essere  concretamente  e  correttamente  apprezzato.   Lamenta,
percio', che e' illegittimo spostare sulla fonte regolamentare  parte
di tale disciplina, in violazione dell'evocato art. 117, sesto comma,
Cost., che consente al Governo di intervenire  con  fonti  secondarie
solo in materie di esclusiva competenza statale. Tale non sarebbe  la
fissazione della soglia in questione, perche' «non risponde ad alcuna
logica affermare che la rilevanza o meno dell'affidamento dipenda  da
un valore economico». 
    Osserva la stessa Regione che la soglia in  questione  «e'  stata
fissata, stando allo schema di regolamento  approvato  dal  Consiglio
dei Ministri in data 17  dicembre  2009,  nel  valore  economico  del
servizio oggetto dell'affidamento superiore a 200.000,00  €,  (mentre
e' comunque richiesto il parere a prescindere  dal  valore  economico
del servizio qualora  la  popolazione  interessata  sia  superiore  a
50.000 abitanti)». Si tratta - prosegue la difesa regionale -  di  un
limite che e' espressione di  un  apprezzamento  ex  ante  del  tutto
forfettario che non e' collegato ad alcun livello di  efficienza  del
servizio,  «ne'  appare  uno  strumento  in  grado  di   fissare   la
appropriatezza, la qualita', il controllo e il rispetto dei parametri
della concorrenza e, quindi, il grado di  concorrenzialita'».  Sempre
secondo la ricorrente, la conseguenza  negativa  di  tale  disciplina
consiste nel fatto  che  «gli  enti  locali,  accertata  in  concreto
l'assenza di un mercato di riferimento, se  riusciranno  a  contenere
l'affidamento  al  di  sotto  della  soglia  regolamentare,  potranno
tranquillamente evitare la gara e gestire in house il servizio, senza
che nessuna autorita'  tecnica  possa  valutare  la  sussistenza  dei
requisiti legittimanti la deroga». 
    8.1.3. - Sono censurati, in terzo luogo - «per  violazione  degli
artt. 114, 118, 117, commi 1,  2  e  4,  e  119  Cost.,  nonche'  del
principio di tutela dell'affidamento  connesso  alla  responsabilita'
regionale» - i commi 8 e 9 del novellato art. 23-bis del d.l. n.  112
del  2008,  i  quali  disciplinano  il  regime  transitorio  per  gli
affidamenti in atto dei servizi pubblici locali di rilievo economico. 
    8.1.3.1.  -  In  particolare,  la  ricorrente  sostiene  che   il
censurato comma 8 e' solo apparentemente una  norma  a  favore  della
concorrenza, perche' «in realta'  essa  introduce  disposizioni  piu'
rigide della normativa comunitaria di cui si  afferma  l'attuazione»,
incidendo pregiudizialmente nell'ambito degli investimenti,  rispetto
al quale la Regione ha sempre avuto un ruolo fondamentale. 
    Al di la' della violazione del  principio  di  uguaglianza  e  di
liberta' di iniziativa economica - che riguarda piu' propriamente gli
operatori economici che hanno fatto affidamento su una  certa  durata
della gestione del servizio affidato - cio' che rileva in questa sede
per la Regione ricorrente e' la  circostanza  che  tale  disposizione
incide sull'assetto del sistema regionale degli affidamenti,  ledendo
il ruolo della Regione, anche di tipo legislativo,  nel  definire  la
durata degli affidamenti medesimi. 
    Vi sarebbe, quindi,  una  lesione  della  disciplina  legislativa
legittimamente stabilita dalla Regione in base  ai  suoi  livelli  di
competenza (violazione dell'art. 117, quarto comma,  Cost.)  e  della
responsabilita' della Regione nei confronti  del  variegato  panorama
delle societa' pubbliche o semi  pubbliche  affidatarie  dei  servizi
pubblici, che a tale assetto si sono correttamente attenute. 
    8.1.3.2. - Per  la  ricorrente,  la  disposizione  viola  inoltre
l'art.117, primo comma, Cost., perche' «nel  diritto  comunitario  il
modello  organizzativo  dell'autoproduzione  dei  servizi  attraverso
affidamenti in house e' stato ritenuto in linea con  i  principi  del
Trattato, tra cui, come noto, vi e' quello della tutela e  promozione
della  concorrenza».  La  Regione  svolge  sul  punto  argomentazioni
analoghe a quelle svolte nel ricorso n. 12 del 2010 e sopra riportate
ai punti: 7.1.1.4., 7.1.1.5. e 7.1.2.1. 
    8.1.3.3. - La Regione lamenta, poi,  che  il  comma  8  impugnato
contrasta con «il principio di pluralismo paritario istituzionale, in
violazione degli artt. 114 e 118 Cost».  e  cio',  perche'  la  nuova
disciplina sarebbe cosi'  rigida  da  annullare  qualsiasi  autonomia
esercitabile in materia. 
    Sarebbe   percio'   violato   il   principio   fondamentale    di
sussidiarieta', «che richiede [...] una valutazione in concreto della
situazione locale (che puo' enormemente variare da un ambito ottimale
all'altro), anche per verificare le specifiche condizioni di  mercato
in cui si svolge il servizio e in cui si "privatizza"  il  patrimonio
pubblico». 
    8.1.3.4. - Si lamenta, ancora, che il censurato comma 8 contrasta
con l'art. 119,  sesto  comma,  Cost.,  secondo  cui  «i  Comuni,  le
Province le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i
principi generali determinati dalla legge dello Stato». 
    Per la ricorrente, le ragioni del dedotto  contrasto  stanno  nel
fatto che le disposizioni censurate impongono  «alle  Amministrazioni
pubbliche di liberarsi di una quota del proprio patrimonio societario
a prescindere dalla convenienza economica dell'operazione,  e  quindi
dalla considerazione in concreto del tempo,  delle  modalita',  della
quantita', valutazioni indispensabili ad evitare che si  produca  una
svendita coatta di capitali pubblici». Per  come  e'  strutturata  la
norma - prosegue la difesa regionale - «non c'e' alcuna  possibilita'
di realizzare un ritorno economico che equilibri  il  depauperamento,
obbligato  per  legge,  del  patrimonio  della  collettivita',  e  si
determina un  indebolimento  finanziario  della  governance  pubblica
senza adeguata giustificazione e idonee  contromisure,  con  evidente
violazione della norma costituzionale sull'autonomia  finanziaria  di
Regioni  e  Comuni  che,  per   tali   finalita'   costituzionalmente
riconosciute,  ha  espressamente  ad  essi  attribuito   un   proprio
patrimonio,  il  quale  non  puo'   essere   inciso   per   finalita'
contrastanti con la sua stessa conservazione ed ottimale gestione». 
    8.1.3.5. -  Quanto  al  comma  9  dell'art.  23-bis  -  il  quale
stabilisce che le societa' che, in Italia  o  all'estero,  gestiscono
servizi pubblici locali in virtu'  di  affidamento  diretto,  di  una
procedura non ad evidenza pubblica  ovvero  ai  sensi  del  comma  2,
lettera b), nonche' i soggetti cui  e'  affidata  la  gestione  delle
reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli  enti
locali, qualora separata dall'attivita' di  erogazione  dei  servizi,
non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori -  la  Regione
sostiene che esso contrasta: a) con l'art. 117, primo  comma,  Cost.,
perche' il diritto comunitario prevede che le societa' in  house  sia
tenuta a svolgere a favore degli enti di riferimento solo l'attivita'
prevalente,  ben  potendo  destinare  l'attivita'  residua  anche  al
mercato, mentre «la norma  in  questione  trasforma  il  concetto  di
"prevalenza" dell'attivita' in "attivita' esclusiva"»; b) con  l'art.
117, quarto comma, Cost., perche' reca interventi irragionevoli e non
proporzionali agli scopi di tutela della concorrenza prefissati. 
    In particolare, quanto a quest'ultima  questione,  la  ricorrente
lamenta che e'  irragionevole  estendere  le  conseguenze  limitative
degli affidamenti diretti anche alle  societa'  miste  costituite  ai
sensi del comma 2, lettera b), dell'art. 23-bis, considerato che, per
volonta' dello stesso legislatore, tale modello di gestione e'  stato
equiparato a quello dell'esternalizzazione,  nella  comune  categoria
delle formule ordinarie di organizzazione dei servizi pubblici locali
di rilievo economico. Non vi sarebbe, poi, ragionevole motivo  «nella
scelta legislativa di escludere da tale regime limitativo, invece, le
societa'  quotate  e  di  prevedere  una  specie  di  moratoria   con
riferimento alla partecipazione alle cc.dd. prime gare». Un ulteriore
elemento di irragionevolezza starebbe nel fatto che  la  disposizione
non riguarda solo il gestore  del  servizio,  «ma  anche  i  soggetti
societari ad esso collegati e da esso controllati, i quali conservano
in ogni caso una loro autonomia soggettiva e ben  potrebbero  operare
in altri mercati». Conclude  la  ricorrente  che  «obiettivamente  la
portata  della  disposizione  appare   un   po'   eccessiva   e   non
proporzionata alla  tutela  della  concorrenza:  primo,  perche',  un
vincolo di azione ad una societa' non e' di per  se  stesso  elemento
atto a garantire la concorrenza; secondo, perche' vale  solo  per  le
imprese pubbliche o semi-pubbliche, ma non per  quelle  private,  ben
potendosi verificare in concreto affidamenti di servizi a privati non
preceduti da gara (come  dimostra  l'esperienza,  giustificabili  per
ragioni di emergenza, ad esempio, nel campo dei servizi ambientali)». 
    8.1.4. - La  Regione  censura,  in  quarto  luogo,  il  comma  10
dell'art 23-bis del d.l. n. 112 del 2008,  per  violazione  dell'art.
117, secondo e quarto comma, Cost., sotto il profilo  della  mancanza
in capo allo Stato di un titolo di competenza in materia, per  motivi
analoghi a quelli gia' espressi dalla stessa Regione nel  ricorso  n.
69 del 2008 avverso la previgente formulazione della disposizione. 
    8.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni   proposte   siano   dichiarate
inammissibili e, comunque, infondate, sulla  base  di  argomentazioni
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6, n. 10 e n.  12
del 2010 (supra: punti 5.2., 6.2., 7.2.). 
    8.3. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  la
Regione  Emilia-Romagna  ha  sostanzialmente  ribadito  quanto   gia'
sostenuto nel ricorso, insistendo nelle conclusioni gia' rassegnate. 
    8.4. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  il
Presidente del Consiglio dei ministri ha  ribadito  quanto  affermato
nell'atto  di  costituzione,   svolgendo,   inoltre,   considerazione
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 10 e  n.  12  del
2010 (supra: punti 6.3. e 7.4.). 
    9. - Con ricorso notificato il 21 gennaio 2010 e depositato il 28
gennaio successivo (r. ric. n. 14 del 2010),  la  Regione  Umbria  ha
impugnato, in riferimento agli artt. 117, primo,  secondo,  e  quarto
comma, 118, primo e secondo comma, e 119 Cost., i commi 2, 3, 4  e  8
dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 -  aggiunto  dalla
legge di  conversione  n.  133  del  2008  -,  nel  testo  modificato
dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009. 
    9.1. - La Regione − premesso che l' art. 8  della  legge  reg.  5
dicembre 1997, n. 43 (Norme in attuazione della legge 5 gennaio 1994,
n. 36, recante disposizioni in materia di risorse idriche)  consente,
contrariamente alla normativa censurata, la  gestione  in  house  dei
servizi pubblici − pone  questioni  analoghe  a  quelle  poste  dalla
Regione Liguria con il ricorso n. 12  del  2010 (supra:  punto  7.  e
seguenti). 
    9.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni   proposte   siano   dichiarate
inammissibili e, comunque, infondate, sulla  base  di  argomentazioni
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6, n. 10, n. 12 e
n. 13 del 2010 (supra: punti 5.2., 6.2., 7.2. e 8.2.). 
    9.3. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  la
Regione Umbria ha sostanzialmente ribadito quanto gia' sostenuto  nel
ricorso, aggiungendo considerazioni analoghe a  quelle  svolte  dalla
Regione Liguria nella memoria depositata in prossimita'  dell'udienza
nel giudizio r. ric. n. 12 del 2010 (supra: punto 7.3.). 
    9.4. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  il
Presidente del Consiglio dei ministri ha  ribadito  quanto  affermato
nell'atto  di  costituzione,   svolgendo,   inoltre,   considerazioni
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 10, n. 12 e n. 13
del 2010 (supra: punti 6.3., 7.4. e 8.4.). 
    10. - Con ricorso notificato il 22 gennaio 2010 e  depositato  il
29 gennaio successivo (r. ric. n. 15 del 2010), la Regione Marche  ha
impugnato, in riferimento agli  artt.  117,  primo,  quarto  e  sesto
comma, e 119, sesto comma, Cost., i commi  2,  3,  4  e  8  dell'art.
23-bis del decreto-legge  n.  112  del  2008,  nel  testo  modificato
dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 166  del  2009,  nonche'  il  comma
1-ter dell'art. 15 dello stesso d.l. n. 135 del 2009, nella parte  in
cui tali disposizioni si applicano al servizio idrico integrato. 
    10.1. - La Regione osserva preliminarmente che il servizio idrico
integrato e' disciplinato  sia  da  disposizioni  gia'  presenti  nel
previgente testo dell'art. 23-bis, sia da disposizioni introdotte  in
tale articolo dall'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009. 
    Quanto alle prime, fa riferimento: a) all'art. 23-bis, comma  10,
lettera d), ai sensi del quale il Governo era incaricato di  adottare
uno o piu' regolamenti di delegificazione al fine di «armonizzare  la
nuova disciplina e quella di settore applicabile ai  diversi  servizi
pubblici locali, individuando le norme applicabili  in  via  generale
per l'affidamento di tutti i servizi  pubblici  locali  di  rilevanza
economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e  gas,
nonche' in materia di acqua»; b) all'art. 23-bis, comma 10, lett.  e)
− disposizione, quest'ultima, non piu' vigente − in forza del  quale,
sempre  mediante  regolamento  governativo,  si  doveva  procedere  a
«disciplinare, per i settori diversi da quello idrico, fermo restando
il limite massimo stabilito dall'ordinamento di ciascun  settore  per
la cessazione degli  affidamenti  effettuati  con  procedure  diverse
dall'evidenza pubblica o da  quella  di  cui  al  comma  3,  la  fase
transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle  gestioni  in
essere alle disposizioni di  cui  al  presente  articolo,  prevedendo
tempi differenziati e che gli affidamenti diretti in  essere  debbano
cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo». 
    Quanto alle seconde, la ricorrente richiama, in  particolare,  il
censurato comma 1-ter dell'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, il quale
prevede che  «Tutte  le  forme  di  affidamento  della  gestione  del
servizio idrico integrato  di  cui  all'articolo  23-bis  del  citato
decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con  modificazioni,  dalla
legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei  principi  di
autonomia gestionale del soggetto gestore e  di  piena  ed  esclusiva
proprieta' pubblica delle risorse  idriche,  il  cui  governo  spetta
esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare  in  ordine
alla qualita' e prezzo del servizio, in conformita' a quanto previsto
dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il  diritto
alla universalita' ed accessibilita' del servizio». 
    10.1.1. - Sono censurati, in primo  luogo,  i  commi  2,  3  e  4
dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e l'art. 15,  comma  1-ter,
del d.l. n. 135 del 2009, per violazione dell'art. 117, sesto  comma,
Cost., il quale attribuisce agli enti locali territoriali la potesta'
regolamentare «in ordine alla disciplina dell'organizzazione e  dello
svolgimento delle funzioni loro attribuite». 
    La ricorrente - rilevato che, secondo la disciplina impugnata,  i
servizi pubblici  locali  che  abbiano  rilevanza  economica  possono
essere affidati in house solo in ipotesi eccezionali - lamenta che il
comma 1-ter  dell'art.  15  del  d.l.  n.  135  del  2009  stabilisce
obbligatoriamente che per la gestione del servizio  idrico  integrato
sia scelta una delle forme di affidamento di cui al nuovo art. 23-bis
del d.l. n. 112 del 2008. Secondo la ricorrente, la legge statale non
puo' imporre, in via generale  e  astratta,  ed  in  modo  del  tutto
inderogabile, la configurazione del servizio idrico  integrato  quale
«servizio  pubblico  locale  avente  rilevanza  economica»,  con   il
conseguente  obbligo  per  gli  enti  titolari  della   funzione   di
conformare scopi, obiettivi e missioni del servizio in  questione  al
perseguimento della rimunerativita' del capitale investito o comunque
della  redditivita'  per   il   soggetto   gestore,   escludendo   la
possibilita' di  qualificare  il  servizio  come  «servizio  pubblico
locale non avente rilevanza economica». 
    La  stessa  ricorrente  si  sofferma,  poi,  sul  problema  della
qualificazione di un servizio pubblico locale come «avente  rilevanza
economica», ovvero come «non avente rilevanza economica». 
    A tale proposito - sempre per la Regione - va premesso che,  come
hanno evidenziato con ampiezza di argomentazioni sia la dottrina  che
la giurisprudenza amministrativa, la nozione di «servizio a rilevanza
economica» non puo' essere intesa quale nozione volta a tracciare una
volta per tutte una linea discretiva tra diversi tipi  di  attivita',
alla luce di una supposta «natura ontologica» della medesima. E cio',
perche' la distinzione  e'  soltanto  una  «conseguenza  del  modello
gestionale scelto dall'amministrazione per la sua organizzazione». La
nozione di «attivita' economica»  dovrebbe  essere  ricostruita  alla
luce dell'art. 2082 cod. civ., ai sensi del  quale  «e'  imprenditore
chi esercita professionalmente un'attivita' economica organizzata  al
fine della produzione o dello scambio di  beni  o  servizi»,  con  la
conseguenza che il carattere dell'economicita' e' riferibile  solo  a
quelle attivita' in grado di essere  condotte  in  modo  da  produrre
degli utili e in ultima analisi l'autosufficienza nel mercato, mentre
la rilevanza economica andrebbe esclusa per quei servizi per i  quali
l'amministrazione  intende  assicurare   la   copertura   dei   costi
ricorrendo  alla  fiscalita'  generale   ovvero   applicando   prezzi
politici. Tale  sarebbe  anche  l'orientamento  della  giurisprudenza
amministrativa − secondo cui debbono considerarsi privi di  rilevanza
economica  i  servizi  caratterizzati  «dall'assenza  di  uno   scopo
precipuamente lucrativo, dalla mancanza  di  assunzione  del  rischio
economico connesso alla specifica attivita', nonche'  dalla  presenza
di  eventuali  finanziamenti  pubblici»  −  e  della   giurisprudenza
costituzionale, secondo cui i servizi pubblici locali sono dotati, o,
al contrario, privi di rilevanza economica, «in relazione al soggetto
erogatore, ai caratteri  ed  alle  modalita'  della  prestazione,  ai
destinatari» (sentenza n. 272 del 2004). 
    In conclusione, per la difesa regionale, la qualificazione di  un
servizio pubblico come servizio dotato  o  non  dotato  di  rilevanza
economica non deriva dai caratteri «naturali», intrinseci al  singolo
servizio;  si  tratta,  invece,  di  una   mera   conseguenza   della
valutazione schiettamente politica che l'organo o ente  titolare  del
servizio ha effettuato sulle modalita' con le quali esso debba essere
organizzato e gestito. 
    Alla rilevanza economica del servizio -  prosegue  la  Regione  -
consegue, nell'ambito dell'ordinamento  costituzionale  italiano,  la
soggezione alle regole poste dallo Stato in  funzione  della  «tutela
della concorrenza», ai sensi dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera
e), Cost., sempreche' esse siano state  legittimamente  dettate,  nel
rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalita' in  relazione
ai fini pro concorrenziali concretamente perseguiti. 
    In tale quadro, il censurato comma 1-ter dell'art. 15 del d.l. n.
135 del 2009 rende obbligatoria - come visto - la qualificazione  del
servizio idrico integrato come servizio «avente rilevanza  economica»
e, conseguentemente, il suo affidamento mediante  le  forme  previste
dal vigente testo dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e,  cosi'
facendo, viola l'evocato art. 117, sesto comma,  Cost.,  in  base  al
quale   tale   qualificazione   dovrebbe   spettare   alla   potesta'
regolamentare degli enti locali e  non  al  legislatore  statale.  Il
regime giuridico  di  tale  potesta'  sarebbe  stato  chiarito  dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 246 del 2006, secondo cui, «se
il  legislatore   regionale   nell'ambito   delle   proprie   materie
legislative dispone discrezionalmente delle attribuzioni di  funzioni
amministrative  agli  enti  locali,  ulteriori  rispetto  alle   loro
funzioni  fondamentali,  anche  in  considerazione  dei  principi  di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza di cui al primo comma
dell'art. 118 della Costituzione», tuttavia «non puo' contestualmente
pretendere di affidare ad un organo della Regione −  neppure  in  via
suppletiva − la potesta' regolamentare propria  dei  Comuni  o  delle
Province  in  riferimento  a  quanto  attribuito  loro  dalla   legge
regionale medesima». Secondo la ricorrente,  tale  orientamento  deve
essere inteso nel senso che il legislatore puo', nell'esercizio della
propria    discrezionalita'    legislativa,    determinarsi     circa
l'attribuzione o meno agli enti locali di  una  determinata  funzione
amministrativa; ma, una  volta  che  si  sia  determinato  nel  senso
dell'affidamento  ad  uno  di   questi   enti   della   funzione   in
considerazione,  sorge  a  beneficio  della  potesta'   regolamentare
dell'ente locale un ambito intangibile e incomprimibile - concernente
la disciplina  degli  aspetti  organizzativi  e  delle  modalita'  di
svolgimento della funzione  -  opponibile  anche  alla  stessa  fonte
legislativa. Nel caso di specie, la normativa vigente affida la  cura
del servizio idrico integrato a quella particolare «struttura  dotata
di personalita' giuridica costituita in ciascun  ambito  territoriale
ottimale delimitato dalla  competente  regione»  che  e'  l'Autorita'
d'ambito, «alla quale gli enti locali  partecipano  obbligatoriamente
ed alla quale e' trasferito  l'esercizio  delle  competenze  ad  essi
spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi  compresa
la programmazione delle infrastrutture idriche» (art. 148,  comma  1,
del d.lgs. n. 152 del 2006). Ne consegue, per  la  difesa  regionale,
che   «quell'area   incomprimibile   di   formazione    regolamentare
concernente  il  servizio  idrico  integrato  non  possa  che  essere
ricondotta  alla  titolarita'  congiunta  degli   enti   locali   che
obbligatoriamente fanno  parte  dell'Autorita'  d'ambito  e  come  la
suddetta  area  incomprimibile  di  potesta'  normativa   ricomprenda
precisamente la decisione circa la conformazione del  servizio  quale
dotato ovvero non dotato di rilevanza economica». 
    Tale essendo il quadro complessivo delle competenze,  la  materia
dei servizi pubblici locali rientrerebbe nell'ambito  della  potesta'
legislativa residuale affidata alle  Regioni  dall'art.  117,  quarto
comma, Cost., con due limiti: il primo, rappresentato dalla  potesta'
legislativa statale nell'ambito della materia di competenza esclusiva
della   tutela   della   concorrenza;   il   secondo,   rappresentato
dall'impossibilita' di violare la  riserva  che  questa  disposizione
pone a beneficio della potesta' regolamentare degli enti locali,  cui
e' congiuntamente affidato il servizio per il tramite  dell'Autorita'
d'ambito,  in   riferimento   al   suo   svolgimento   e   alla   sua
organizzazione. 
    Ad avviso  della  ricorrente,  si  deve,  inoltre,  escludere  la
possibilita'  che  le  disposizioni   legislative   impugnate   siano
riconducibili  alla  competenza  statale  concernente  le   «funzioni
fondamentali» di Comuni, Province e Citta'  metropolitane,  ai  sensi
dell'art. 117, secondo comma,  lettera  p),  Cost.  E  cio',  per  le
seguenti  ragioni:  a)  le  funzioni  fondamentali  non  sono  quelle
amministrativo-gestionali  in  senso   proprio,   consistenti   nella
concreta cura di interessi, ma solo quelle in  cui  si  esprimono  la
potesta'  statutaria,  la  potesta'  regolamentare  e   la   potesta'
amministrativa a carattere  ordinamentale,  concernente  le  funzioni
essenziali che attengono alla vita stessa e al governo dell'ente;  b)
secondo il principio di differenziazione, di cui all'art. 118  Cost.,
la  valutazione  di  adeguatezza  rispetto  allo  svolgimento   della
funzione che sorregge il principio di sussidiarieta' deve tener conto
delle differenze concrete che  sussistono  tra  enti  della  medesima
categoria, con la conseguenza che, nella allocazione  delle  funzioni
amministrative,  «la  legge  regionale  o  statale,  competente   per
materia,     dovrebbe      compiere      una      valutazione      di
adeguatezza-inadeguatezza differente  per  enti  con  caratteristiche
differenti pur se del medesimo tipo, ad esempio,  ritenendo  adeguati
allo svolgimento della funzione i Comuni con piu' di x  abitanti,  ed
inadeguati i Comuni con x o meno di x abitanti»; c) il  principio  di
differenziazione altro non e' che una  particolare  declinazione  del
principio di uguaglianza;  d)  lo  Stato  e'  comunque  dotato  della
competenza ad individuare i «livelli essenziali delle prestazioni», e
inoltre avrebbe a disposizione, in ogni caso, lo strumento del potere
sostitutivo straordinario ex art.  120,  secondo  comma,  Cost.,  per
garantire l'effettivita' di questi ultimi; e) la sentenza della Corte
costituzionale n. 307 del  2009  -  nella  quale  si  legge  che  «le
competenze comunali in ordine al servizio idrico [...] devono  essere
considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali» -  precisa
che l'evocazione del parametro di cui all'art.  117,  secondo  comma,
lettera p), Cost., deve essere  ritenuta  «inconferente»  rispetto  a
norme concernenti «le modalita' di affidamento dei  servizi  pubblici
locali a rilevanza economica», le quali trovano il  loro  fondamento,
invece, nell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.,  e  cio'  in
quanto «la regolamentazione di tali modalita' non  riguarda  un  dato
strutturale del servizio ne' profili funzionali degli enti locali  ad
esso interessati (come, invece, la precedente questione relativa alla
separabilita' tra gestione della  rete  ed  erogazione  del  servizio
idrico), bensi' concerne l'assetto competitivo da dare al mercato  di
riferimento». 
    La ricorrente prosegue osservando che gli  aspetti  del  servizio
idrico  integrato  rilevanti  ai  fini  del  riparto  di   competenze
normative sono almeno tre: a) quello - di competenza dello  Stato  ex
art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.  -  connesso  all'«assetto
competitivo da dare al  mercato  di  riferimento»,  ove  il  servizio
idrico sia strutturato in modo tale da avere rilevanza economica;  b)
quello - nel sistema accolto dalla  sentenza  n.  307  del  2009,  di
competenza dello  Stato,  in  forza  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera p), Cost. - inerente ai «profili funzionali degli enti locali
ad esso interessati», tra i  quali  la  «separabilita'  tra  gestione
della rete ed erogazione del servizio idrico»; c) quello -  assegnato
dall'art. 117, sesto comma, Cost., alla potesta' regolamentare locale
- concernente la strutturazione del servizio come avente o non avente
rilevanza economica. 
    La ricorrente propone, poi, un'interpretazione adeguatrice  delle
disposizioni censurate, nel senso che, ove il comma  1-ter  dell'art.
15 del d.l. n. 135 del  2009  si  riferisce  a  «tutte  le  forme  di
affidamento della gestione  del  servizio  idrico  integrato  di  cui
all'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008»,  norma
che  a  sua  volta  si  riferisce  ai  servizi  dotati  di  rilevanza
economica, esso non impone affatto che il servizio  idrico  integrato
debba per definizione intendersi dotato di  rilevanza  economica.  Il
comma 1-ter potrebbe cioe' interpretarsi nel senso  che  il  servizio
idrico integrato e' sottoposto alla disciplina dell'art. 23-bis  solo
nei casi in cui «gli enti competenti abbiano scelto  di  organizzarlo
in modo da conferirvi rilevanza economica». 
    A  sostegno  della  percorribilita'   di   una   simile   opzione
interpretativa,   la   Regione   deduce    un    argomento    fondato
sull'evoluzione  storica  della  disciplina,  rilevando  che,   prima
dell'entrata in vigore dell'art. 23-bis, la materia  dell'affidamento
della gestione del servizio idrico integrato era  regolata  dall'art.
150 del d.lgs. n. 152 del 2006 mediante rinvii recettizi all'art. 113
del d.lgs. n. 267 del 2000. Da tali rinvii si poteva desumere che  il
legislatore  imponesse  alle  Autorita'   d'ambito   territorialmente
competenti   la   conformazione   del   servizio   idrico   integrato
necessariamente  come  «servizio  pubblico  a  rilevanza  economica»,
perche' il citato art. 113 regolava l'affidamento di  tale  categoria
di servizi. Proprio l'abrogazione del  suddetto  art.  113  ad  opera
dell'art. 23-bis citato avrebbe - a detta della  ricorrente  -  fatto
venire meno tale necessaria conformazione del servizio idrico. 
    La  ricorrente  conclude  l'illustrazione  del  primo  motivo  di
ricorso rilevando, sul piano processuale, che: a) nel giudizio in via
principale, sono ammissibili «questioni interpretative  del  tipo  di
quella qui proposta»; b) sono ammissibili censure «avverso una  legge
statale, che invochino quale parametro norme costituzionali  poste  a
presidio di  competenze  degli  enti  locali»,  per  la  strettissima
connessione tra competenze regionali e locali, che sussiste nel  caso
di  specie,  perche'  «il  riconoscimento  agli  enti  locali   della
competenza, ex art. 117, sesto comma,  Cost.,  a  decidere  circa  la
conformazione del servizio idrico integrato come  servizio  avente  o
non avente rilevanza economica determina rispettivamente il contrarsi
o il riespandersi dell'ambito di applicazione delle  norme  regionali
adottate in materia di servizi pubblici locali». 
    10.1.2. - Per il caso in cui la Corte costituzionale non  volesse
accogliere  la  ricostruzione  del  servizio  idrico  integrato  come
riconducibile alla potesta' regolamentare degli enti locali  ex  art.
117, sesto comma, Cost., la Regione sostiene che le norme  censurate,
«con  particolare  riferimento  alla  disciplina   dei   profili   di
configurazione strutturale del servizio  idrico  integrato»,  violano
l'art. 117, quarto comma, Cost., il quale attribuisce alle Regioni la
potesta' legislativa residuale nella  materia  dei  servizi  pubblici
locali. 
    La  ricorrente  richiama  la  giurisprudenza  costituzionale  che
riconduce la disciplina dei servizi pubblici locali  alla  competenza
legislativa  esclusiva  regionale  e  sottolinea  che  -  come   gia'
osservato - «la qualificazione di  un  servizio  come  avente  o  non
avente rilevanza  economica  dipende  dalle  caratteristiche  che  si
intendano conferire al modo in cui esso e'  organizzato  e  gestito»,
con la conseguenza di escludere titoli di competenza dello  Stato  in
materia.  In  particolare,  dalla   citata   sentenza   della   Corte
costituzionale  n.  307  del  2009,  si  desumerebbe  che  il   «dato
strutturale  del  servizio»  ricade  nella   competenza   legislativa
regionale. 
    10.1.3. - La  ricorrente  censura,  in  terzo  luogo,  le  stesse
disposizioni, per violazione dell'art. 117, quarto comma,  Cost.,  il
quale attribuisce alle  Regioni  la  potesta'  legislativa  residuale
nella materia dei servizi pubblici locali. 
    Sostiene la  Regione  che  la  disciplina  statale  non  potrebbe
trovare il suo titolo di legittimazione nell'art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost., perche' la potesta' legislativa statale in materia
di tutela della concorrenza «e' riferibile solo alle disposizioni  di
carattere generale  che  disciplinano  le  modalita'  di  gestione  e
l'affidamento dei servizi pubblici locali di "rilevanza economica"» e
«solo le predette disposizioni non possono essere derogate  da  norme
regionali»;  con  la  conseguenza  che  non  sono   censurabili,   in
riferimento ai servizi pubblici aventi rilevanza economica,  solo  ed
esclusivamente tutte quelle norme statali «che garantiscono, in forme
adeguate e proporzionate,  la  piu'  ampia  liberta'  di  concorrenza
nell'ambito di rapporti - come quelli relativi al regime delle gare o
delle modalita' di gestione e conferimento dei servizi - i quali  per
la loro diretta incidenza sul mercato  appaiono  piu'  meritevoli  di
essere preservati da pratiche anticoncorrenziali». 
    Secondo la difesa regionale, per valutare se la normativa statale
rispetti il principio di proporzionalita', e' necessario accertare se
esista la possibilita' di una regolazione diversa e meno invasiva per
l'autonomia regionale, la quale raggiunga i medesimi scopi di  tutela
della concorrenza perseguiti con la disciplina oggetto del giudizio. 
    Nel caso di specie - prosegue la ricorrente - e' agevole rendersi
conto che il parametro della proporzionalita' della disciplina non e'
rispettato, perche' lo standard di tutela garantito  dalla  normativa
censurata  sarebbe  ugualmente  assicurato  da  una  disciplina  meno
invasiva delle competenze regionali, che non contenga  una  specifica
indicazione delle condizioni che giustificano l'affidamento in house.
In particolare, la Regione osserva che la giurisprudenza  comunitaria
ha ritenuto non  contrastante  con  il  diritto  comunitario,  e  con
l'esigenza  di  tutelare  la  concorrenza,  la  disciplina  nazionale
italiana previgente rispetto a quella oggi in discussione,  la  quale
non  individuava  specificamente  le  ipotesi  in   cui   si   doveva
eccezionalmente ritenere ammissibile il  ricorso  all'affidamento  in
house. Ne consegue,  secondo  la  Regione,  che  le  norme  impugnate
violano  il  principio  di  proporzionalita'  quale  delineato  dalla
giurisprudenza costituzionale. Tale  conclusione  sarebbe  avvalorata
anche da un concorrente argomento, desumibile dal censurato  comma  8
dell'art. 23-bis del d.l. n.  112  del  2008,  il  quale  prevede  la
cessazione «automatica» delle «gestioni in essere alla  data  del  22
agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari in  materia
di cosiddetta "in house"». Tale previsione -  a  detta  della  difesa
regionale - mostrerebbe con chiarezza che il legislatore  statale  ha
inteso escludere la legittimita' della scelta dell'in house providing
in situazioni compatibili con la tutela della concorrenza, in  quanto
conformi al diritto comunitario. 
    Sempre secondo la ricorrente,  i  parametri  di  «generalita'»  e
«proporzionalita'» sopra illustrati sono anche  direttamente  violati
dal censurato comma 8 dell'art. 23-bis del d.lgs. n.  112  del  2008,
per  l'estremo  dettaglio  «nella  indicazione  dei  tempi  e   delle
modalita' di cessazione delle presenti gestioni  pure  conformi  alla
disciplina in house posta dal diritto  comunitario»  e  perche',  per
raggiungere  il  fine  di  garantire  effettivita'  e   tempestivita'
all'entrata a regime della nuova normativa introdotta non era affatto
necessario comprimere i poteri decisionali delle Regioni e degli enti
locali. Ad avviso  della  ricorrente,  «sarebbe  risultata  piu'  che
sufficiente, infatti, una normativa che  prevedesse  uno  spettro  di
date entro il quale le singole Regioni potessero compiere le  proprie
scelte, ovvero un meccanismo  di  adeguamento  progressivo  ai  nuovi
standard». 
    Tali considerazioni - ribadisce la Regione - varrebbero anche  se
la «Corte ritenesse di aderire all'interpretazione costituzionalmente
orientata delle disposizioni impugnate  (nel  senso  che  l'art.  15,
comma 1-ter, lascerebbe del tutto impregiudicata la  questione  della
conformazione del servizio idrico integrato quale servizio  avente  o
non avente  rilevanza  economica)».  Infatti,  nel  caso  in  cui  si
ritenesse di accogliere la suddetta interpretazione restrittiva della
normativa impugnata, «le norme oggetto della  presente  questione  di
legittimita' costituzionale disciplinerebbero comunque nel dettaglio,
e ben oltre i limiti che pone l'art. 117, secondo  comma,  lett.  e),
Cost., l'affidamento del servizio idrico integrato  che  fosse  stato
conformato  −  dalla  potesta'  regolamentare  locale,  ovvero  dalla
legislazione regionale − in modo tale da  far  assumere  al  medesimo
rilevanza economica». 
    10.1.4. - La ricorrente censura, in terzo luogo, il  comma  1-ter
dell'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, per violazione dell'art.  119,
sesto comma, Cost., il quale prevede che «i Comuni, le  Province,  le
Citta' metropolitane  e  le  Regioni  hanno  un  proprio  patrimonio,
attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge  dello
Stato». 
    Quanto all'evocato parametro, la  Regione  osserva:  «a)  che  la
proprieta' pubblica regionale e locale ha  uno  specifico  fondamento
costituzionale e, pertanto, partecipa a pieno titolo alla definizione
delle sfere di autonomia costituzionalmente garantita dei  rispettivi
enti,  risultando  "imposto"  al  legislatore  statale  l'obbligo  di
prevedere l'attribuzione a tali enti di un proprio patrimonio; b) che
una volta avvenuta  l'attribuzione  del  patrimonio  alla  proprieta'
delle Regioni e degli enti locali territoriali,  secondo  i  principi
generali fissati dalla legge dello Stato,  tale  proprieta'  pubblica
deve considerarsi naturalmente assoggettata al regime  giuridico  del
demanio e del patrimonio indisponibile o disponibile sulla base delle
ordinarie norme del codice civile (in specie, degli artt.  823,  824,
826, 828 e 829);  c)  che  al  legislatore  statale  la  Costituzione
riconosce  titoli  di  legittimazione  per  la  sola  disciplina  dei
"principi generali" per l'attribuzione di tali beni e per il relativo
regime giuridico, riconducibile alla  materia  "ordinamento  civile",
nel quale e' senza dubbio ricompresa  la  regolazione  dei  limiti  e
delle  modalita'  di  alienazione  dei  suddetti  beni  nelle   forme
negoziali, ma non certo il potere di disciplinare la sottrazione  dei
medesimi al patrimonio delle autonomie territoriali». 
    In tale quadro si inscrive il regime proprietario delle risorse e
delle infrastrutture idriche, disciplinato dagli artt. 143,  144  del
d.lgs. n. 152 del 2006. Secondo tali disposizioni, le risorse idriche
debbono considerarsi di proprieta' dello Stato e  facenti  parte  del
demanio statale necessario di cui al primo comma dell'art.  822  cod.
civ., mentre le infrastrutture idriche possono essere  di  proprieta'
pubblica di tutti gli  enti  territoriali  e,  qualora  lo  siano  in
concreto,  appartengono  al  demanio  eventuale  dello  Stato,  delle
Regioni o degli enti locali, ai sensi degli artt. 822, secondo comma,
e 824, primo comma, cod. civ.,  risultando  percio'  assoggettati  al
regime giuridico stabilito dall'art. 823 anche per quanto concerne la
loro tutela. La Regione osserva che a tali norme debbono  poi  essere
aggiunte anche quelle contenute nell'art. 153, comma 1,  e  nell'art.
151, comma 2, lettera m), dello stesso d.lgs. n.  152  del  2006,  le
quali stabiliscono, rispettivamente, che «le  infrastrutture  idriche
di proprieta' degli enti  locali  ai  sensi  dell'articolo  143  sono
affidate in concessione d'uso gratuita, per  tutta  la  durata  della
gestione, al gestore del  servizio  idrico  integrato,  il  quale  ne
assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e  dal
relativo disciplinare» (art.  153,  comma  1)  e  che  «l'obbligo  di
restituzione, alla  scadenza  dell'affidamento,  delle  opere,  degli
impianti e delle canalizzazioni  del  servizio  idrico  integrato  in
condizioni di efficienza ed in buono stato  di  conservazione»  (art.
151, comma 2, lettera m). 
    Lamenta  la  ricorrente  che  la  norma  censurata  si  limita  a
prevedere il  «rispetto»  del  «principio»  «di  piena  ed  esclusiva
proprieta' pubblica delle risorse idriche», senza assicurare in alcun
modo la salvaguardia, ne' sotto il  profilo  formale,  ne'  sotto  il
profilo sostanziale, della proprieta' pubblica delle  «infrastrutture
idriche», le quali ben possono essere di proprieta' delle  Regioni  e
degli enti locali ed essere, per cio' stesso, assoggettate al  regime
del demanio regionale o locale. Formula, percio',  «due  distinte  ed
autonome questioni di legittimita' costituzionale». 
    10.1.4.1. − Da un primo punto di vista - sostiene  la  Regione  -
«e' del tutto evidente che la  normativa  impugnata,  imponendo  agli
enti  locali  di  conformare  necessariamente  il   servizio   idrico
integrato come servizio a rilevanza  economica  e,  su  questa  base,
rendendone  obbligatorio  l'affidamento   della   relativa   gestione
(infrastrutture comprese) a soggetti privati,  ponendo  altresi'  una
clausola  di  salvaguardia  a  tutela  della  «piena   ed   esclusiva
proprieta' pubblica» a favore delle sole risorse idriche appartenenti
al demanio statale,  determina  il  sostanziale  "svuotamento"  della
proprieta' pubblica dei beni appartenenti al demanio idrico regionale
e locale; beni che risulteranno, per espresso disposto del richiamato
art. 153, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, necessariamente  e ope
legis "affidati in concessione d'uso gratuita" al gestore privato del
servizio  idrico  integrato».  Tale  lettura   del   dato   normativo
troverebbe conferma nella menzionata clausola di  salvaguardia  della
proprieta' pubblica delle risorse idriche che il legislatore  statale
ha  avvertito  la  necessita'  di  introdurre  e   che,   ovviamente,
risulterebbe del tutto inutile qualora la  disciplina  impugnata  non
implicasse la sostanziale espropriazione a  favore  dei  privati  dei
beni appartenenti al demanio idrico. 
    10.1.4.2. - La Regione sostiene, poi, che, anche a voler accedere
a quell'interpretazione costituzionalmente orientata secondo la quale
la disciplina in  esame  non  imporrebbe  affatto  di  conformare  il
servizio idrico integrato come servizio a rilevanza economica (con  i
relativi vincoli in ordine alle modalita' di gestione e al necessario
affidamento a soggetti privati), la violazione  della  evocata  norma
costituzionale - posta a garanzia  del  patrimonio  delle  Regioni  e
degli enti locali territoriali - risulterebbe evidente per la mancata
previsione di una specifica clausola di salvaguardia a  favore  della
proprieta' pubblica delle infrastrutture idriche di cui le Regioni  e
gli enti locali siano in concreto titolari; clausola che, per  essere
effettiva e corrispondere alla  norma  costituzionale,  non  potrebbe
limitarsi a fare salvo il solo profilo della titolarita' formale  del
bene, dovendo bensi' consistere nella previsione della necessita' del
consenso esplicito, da  parte  dell'ente  titolare  della  proprieta'
delle  infrastrutture  interessate  dal  servizio  idrico  integrato,
rispetto  alla  scelta  concernente  l'eventuale  conformazione   del
servizio come servizio a rilevanza economica  e  il  conseguente  suo
affidamento a soggetti privati. 
    10.1.5. - Sono  censurati,  in  quarto  luogo  -  in  riferimento
all'art. 117, primo comma, Cost. - i commi 2, 3 e 4 dell'art.  23-bis
del d.l. n. 112 del 2008 e l'art. 15, comma 1-ter, del  d.l.  n.  135
del 2009, nella parte  in  cui  si  riferiscono  al  servizio  idrico
integrato, perche' determinano «la  violazione  di  quelle  peculiari
norme poste dal  diritto  comunitario  in  relazione  ai  servizi  di
interesse generale». 
    La ricorrente evoca, quali parametri interposti, gli artt.  14  e
106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (gia' artt. 16
e 86 del Trattato CE). Secondo la prima di queste  due  disposizioni,
«fatti salvi l'articolo 4 del  trattato  sull'Unione  europea  e  gli
articoli 93, 106 e  107  del  presente  trattato,  in  considerazione
dell'importanza  dei  servizi   di   interesse   economico   generale
nell'ambito dei valori comuni dell'Unione,  nonche'  del  loro  ruolo
nella promozione della coesione sociale e  territoriale,  l'Unione  e
gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito  del
campo di applicazione dei trattati, provvedono affinche' tali servizi
funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche
e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti». La
seconda disposizione,  al  paragrafo  2,  prevede  che:  «Le  imprese
incaricate della gestione di servizi di interesse economico  generale
o aventi carattere di monopolio fiscale sono  sottoposte  alle  norme
dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti
in cui l'applicazione di tali  norme  non  osti  all'adempimento,  in
linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro  affidata.
Lo sviluppo degli  scambi  non  deve  essere  compromesso  in  misura
contraria agli interessi dell'Unione». 
    Ad avviso della Regione, da tali norme  comunitarie  risulterebbe
che,  «per  perseguire  gli  obiettivi  di  coesione  e  solidarieta'
sociali, fatti propri anche dall'Unione europea, il diritto di questo
ordinamento esclude che ai  servizi  di  interesse  generale  debbano
senz'altro applicarsi le norme del mercato interno». E,  anzi,  nella
materia considerata avrebbero predominanza gli obiettivi di  coesione
sociale sottostanti ai servizi di interesse generale: quali che siano
le cause che impediscono al  sistema  concorrenziale  di  mercato  di
raggiungere in modo soddisfacente e generalizzato  questi  obiettivi,
siano esse di diritto o di fatto,  non  devono  essere  applicate  le
norme del mercato interno  a  questi  servizi.  L'eccezionalita'  del
trattamento giuridico dei servizi di interesse generale e' confermata
- per la  ricorrente  -  dalla  Comunicazione  della  Commissione  al
Parlamento europeo al Consiglio,  al  Comitato  economico  e  sociale
europeo e al Comitato delle Regioni - Libro  bianco  sui  servizi  di
interesse generale - COM (2004) 374. In questo documento, infatti, si
evidenzia che «i servizi di interesse  economico  generale  non  sono
soggetti alla applicazione delle norme del Trattato nella  misura  in
cui cio' risulti necessario  per  consentire  di  adempiere  il  loro
compito di  interesse  generale»,  il  quale  dunque  «prevale  [...]
sull'applicazione delle norme del Trattato». 
    Tra i servizi di interesse generale - prosegue la  Regione  -  e'
annoverabile anche il servizio idrico integrato,  sia  in  base  alla
Risoluzione del Parlamento europeo del 15 marzo  2006,  che  dichiara
l'acqua «bene comune dell'umanita'», sia in base al gia' citato Libro
bianco della Commissione  sui  servizi  di  interesse  generale,  nel
quale, al paragrafo 3.4.,  si  menziona  esplicitamente  il  servizio
idrico tra i servizi di interesse generale. 
    Le ragioni  del  dedotto  contrasto  delle  norme  censurate  con
l'evocato parametro  risiederebbero,  dunque,  nel  fatto  che  esse,
«conformando il  servizio  idrico  come  servizio  necessariamente  a
rilevanza economica, abbiano imposto la applicazione delle regole del
mercato interno in via generale per tutto  il  territorio  nazionale,
prescindendo del tutto dalle diverse  condizioni  e  circostanze  che
nelle diverse realta' possono ravvisarsi». Cio' che risulta  precluso
dal diritto comunitario, in  definitiva,  non  e'  la  scelta  di  un
determinato modello per la conformazione  dei  servizi  di  interesse
generale, ma l'adozione di decisioni generalizzate che non  siano  in
grado di tenere conto delle peculiarita'  in  cui  i  servizi  devono
essere  svolti.  Tale  conclusione  emergerebbe   espressamente   dal
richiamato Libro bianco della  Commissione  europea  sui  servizi  di
interesse generale, ove, al par. 4.3, si afferma  che  «le  autorita'
pubbliche competenti degli Stati membri sono  sostanzialmente  libere
di decidere se fornire in prima  persona  un  servizio  di  interesse
generale o se affidare tale compito ad  un  altro  ente  (pubblico  o
privato)», e dalla citata Risoluzione del Parlamento europeo  del  15
marzo 2006, secondo  cui  la  gestione  delle  risorse  idriche  deve
basarsi «su un'impostazione partecipativa e integrata  che  coinvolga
gli utenti e  i  responsabili  decisionali  nella  definizione  delle
politiche  in  materia  di  acqua  a  livello  locale   e   in   modo
democratico». 
    La ricorrente osserva poi che la tendenza che matura nel contesto
delle  istituzioni  comunitarie  e'  esattamente   opposta   rispetto
all'indirizzo del legislatore italiano e richiama, a tale  scopo,  la
Risoluzione dell'1l marzo  2004  del  Parlamento  europeo,  la  quale
afferma  che  «essendo  l'acqua  un  bene  comune  dell'umanita',  la
gestione delle risorse idriche  non  deve  essere  assoggettata  alle
norme del mercato interno». 
    La questione di legittimita' costituzionale - conclude la  difesa
regionale - risulterebbe svuotata  del  suo  significato  ove  questa
Corte si risolvesse ad interpretare  le  disposizioni  impugnate  nel
senso di ritenerle applicabili soltanto nel caso  in  cui  sia  stata
compiuta l'opzione (affidata alla libera  determinazione  degli  enti
titolari dell'erogazione del  servizio  idrico  integrato)  a  favore
della conformazione del servizio come servizio a rilevanza economica,
senza pregiudicare dunque tale scelta. 
    10.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni   proposte   siano   dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate, sulla  base  di  argomentazioni
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6, n. 10, n.  12,
n. 13 e n. 14 del 2010 (supra: punti 5.2., 6.2., 7.2., 8.2. e 9.2.). 
    10.3. - Con memoria depositata in  prossimita'  dell'udienza,  la
Regione Marche ha sostanzialmente ribadito quanto  gia'  dedotto  nel
ricorso e ha replicato ai rilievi della controparte. 
    La  ricorrente  premette  che  la  difesa   statale   prende   in
considerazione, tra le censure proposte, soltanto quelle  concernenti
la violazione della competenza legislativa regionale di cui al quarto
comma dell'art. 117 Cost., in materia  di  servizi  pubblici  locali,
nonche' la violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., delle  quali
si limita a sostenere l'inammissibilita', rilevando  che  la  Regione
lamenterebbe «genericamente l'illegittimita' costituzionale di  leggi
statali»,  nonche'  «la  contrarieta'  delle  stesse  all'ordinamento
comunitario», senza «indicare  specificatamente  la  lesione  di  una
competenza ad essa attribuita». A tali rilievi, la Regione replica di
avere articolato dettagliati motivi di ricorso in relazione  a  tutte
le censure proposte. 
    Con riferimento alle singole  questioni  prospettate,  la  difesa
regionale precisa che: a) «solo ed esclusivamente  nei  casi  in  cui
l'attivita' di prestazione del servizio  sia  conformata  dai  poteri
pubblici competenti in modo tale da  creare  la  possibilita'  di  un
utile - intendendo questa espressione nel modo piu' ampio possibile -
si e' dinanzi ad un mercato concorrenziale», con la conseguenza  che,
«senza la possibilita' di una qualche remunerativita' o utilita'  per
chi si accolla lo svolgimento del servizio non e'  possibile  neanche
immaginare in astratto l'esistenza di un mercato concorrenziale»;  b)
in  relazione  al  servizio  idrico,  l'autorita'   competente   puo'
facilmente  individuare  le  motivazioni  che  giustifichino,   nelle
diverse situazioni di  fatto,  la  conformazione  del  servizio  come
servizio senza rilevanza economica, da un lato, perche' si tratta  di
garantire  un  diritto  fondamentale  dell'uomo  quale   il   diritto
all'acqua e dunque di garantire a tutti la disponibilita' di un  bene
che  non  deve  necessariamente  essere  assoggettato  al  regime  di
mercato,  dall'altro,  perche'  va  valutata,  con  riferimento  alle
specifiche situazioni territoriali e locali, l'eventuale  assenza  di
imprese disponibili a offrire i servizi o comunque la  necessita'  di
garantire  il  servizio  a  prezzi  non  in   grado   di   remunerare
un'attivita' svolta in forma imprenditoriale; c) deve essere  escluso
che la conformazione del servizio  idrico  integrato  quale  servizio
avente o  non  avente  rilevanza  economica  sia  riconducibile  alla
competenza esclusiva della legge statale  in  virtu'  dell'art.  117,
secondo comma, lettera p), Cost., perche' l'art. 14 del decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia  di  stabilizzazione
finanziaria e di competitivita' economica), convertito dalla legge 30
luglio 2010, n. 122, al comma  27,  dispone  che  siano  «considerate
funzioni fondamentali dei comuni le funzioni di cui all'articolo  21,
comma 3, della legge 5 maggio 2009, n. 42», il  quale  a  sua  volta,
alla  lettera  e),  esclude  da  tali  funzioni  il  servizio  idrico
integrato; d) nel diritto tedesco spetta alle municipalita' la scelta
- tra numerosi modelli organizzativi possibili - del modo in  cui  il
servizio idrico deve essere gestito; e) anche negli altri  principali
ordinamenti europei «la responsabilita'  del  servizio  idrico  -  in
particolar modo in relazione alla attivita'  di  distribuzione  -  e'
affidata  alle  istituzioni  esponenziali  delle   comunita'   locali
(Francia, Portogallo, Spagna, Svezia, Finlandia, Paesi Bassi, Belgio,
Danimarca)», le quali non sono tenute a conformare il servizio idrico
come un servizio a rilevanza economica. 
    10.4. - Con memoria depositata in  prossimita'  dell'udienza,  il
Presidente del Consiglio dei ministri ha  ribadito  quanto  affermato
nell'atto  di  costituzione,   svolgendo,   inoltre,   considerazione
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi nn. 10, 12, 13 e  14
del 2010 (supra: punti 6.3., 7.4., 8.4. e 9.4.). 
    11. - Con ricorso notificato il 29 gennaio 2010 e  depositato  lo
stesso giorno (r. ric. n.  16  del  2010),  la  Regione  Piemonte  ha
impugnato - in riferimento agli artt. 5, 114,  117,  primo,  secondo,
terzo, quarto e sesto comma, e 118, Cost., anche con riferimento agli
artt. 3 e 97, Cost. - i commi 2,  3,  4  e  8  dell'art.  23-bis  del
decreto-legge n. 112 del 2008 - nel testo  modificato  dall'art.  15,
comma  1,  del  decreto-legge  n.  135  del  2009,  convertito,   con
modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009 - nonche' il  comma  1-ter
del citato art. 15. 
    11.1. - La ricorrente, premessa una sintetica  ricostruzione  del
quadro normativo, formula diverse questioni. 
    11.1.1. - Sono censurati, in primo luogo -  in  riferimento  agli
artt. 3, 5, 97, 114, 117, primo, secondo, quarto e sesto comma, e 118
Cost. - i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis del  decreto-legge  n.  112
del 2008, nonche' il comma 1-ter dell'art. 15  del  decreto-legge  n.
135 del 2009. 
    11.1.1.1. - Quanto alla dedotta violazione dell'art.  117,  primo
comma,  Cost.,  la  Regione  premette  che   non   appare   possibile
«confondere  il  principio  di   concorrenza   posto   dal   Trattato
dell'Unione   europea,   che   disciplina   i   comportamenti   delle
amministrazioni pubbliche una volta che abbiano deciso di  rivolgersi
al mercato delle imprese, con l'idea di prevalenza o  preferenza  per
il mercato nell'organizzazione dei servizi  pubblici  indicata  dalla
disciplina statale in esame, nella  quale  l'in  house  providing  e'
configurata come un residuo negletto o un cattivo surrogato». 
    Il  parametro  evocato  sarebbe,  percio',  violato,  perche'  il
diritto comunitario non consente che il legislatore nazionale  spinga
la tutela della concorrenza fino comprimere il «principio di liberta'
degli individui o di autonomia - del pari costituzionale - degli enti
territoriali (artt. 5, 117, 118, Cost.) di mantenere la capacita'  di
operare ogni qualvolta la scelta che ritengono piu' opportuna:  cioe'
se fruire dei vantaggi economici offerti dal mercato  dei  produttori
oppure se procedere a  modellare  una  propria  struttura  capace  di
diversamente configurare  l'offerta  delle  prestazioni  di  servizio
pubblico». In tal senso si e' espresso -  prosegue  la  ricorrente  -
l'ordinamento comunitario, laddove «ha ritenuto in contrasto  con  la
disciplina europea sulla concorrenza la legge  nazionale  sui  lavori
pubblici (allora legge 11 febbraio 1994, n. 109, art. 21)  che  aveva
limitato la scelta tra i due criteri europei  d'aggiudicazione  degli
appalti». L'attuazione del diritto comunitario non  consentirebbe  al
legislatore interno di  esprimere  un  autonomo  indirizzo  politico,
perche'   essa   puo'   comportare   solo   «l'adozione   di    norme
esecutive (secundum legem)», con l'impossibilita' di spingersi sino a
norme «integrative (praeter legem), tali  cioe'  da  ampliare,  senza
derogarli,   i   contenuti   normativi   espressi    attraverso    la
legislazione».  Nel  caso  di  specie,  «nessuna  delle  disposizioni
comunitarie vigenti infatti impone  -  come  invece  pretende  l'art.
23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. ai suoi commi  secondo  e
terzo - agli Stati membri l'attribuzione ad imprese terze come  forma
ordinaria  o  preferenziale  di  affidamento  dei  servizi   pubblici
locali». 
    11.1.1.2. - Quanto al  parametro  dell'art.  117,  quarto  comma,
Cost., esso sarebbe violato, perche' le norme  impugnate  recano  una
disciplina che non e' riconducibile alla materia della  tutela  della
concorrenza, ma alla potesta' legislativa  residuale  delle  Regioni.
Con tali disposizioni, infatti, il legislatore statale «riconosce che
entrambe le forme di gestione ed  affidamento  dei  servizi  pubblici
(soggetto scelto con gara, organizzazione in  house  providing)  sono
conformi all'ordinamento europeo ed in  particolare  alla  disciplina
sulla  concorrenza,  ma  con  la  norma  nazionale  giunge  sino   ad
individuare come forma preferenziale  "ordinaria"  l'affidamento  del
servizio  ad   imprese   terze,   mentre   relega   la   possibilita'
dell'affidamento  in  house  ai  soli  casi  ivi  espressi   in   via
d'eccezione». 
    Quanto  ad  altri  eventuali  titoli  di  competenza  legislativa
statale, la Regione rileva, innanzi  tutto,  che  la  disciplina  del
censurato art. 23-bis, cit. «e'  in  tutto  o  in  parte  sostitutiva
dell'art. 113, d.lgs. n. 267 del  2000»  e  ha  percio'  per  oggetto
unicamente le forme di gestione  dei  servizi  pubblici  a  rilevanza
economica, e non le prestazioni da assicurare  agli  utenti,  con  la
conseguenza che non puo' essere richiamata  la  materia  dei  livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e  sociali;
rileva, inoltre, che la disciplina  censurata  non  e'  riconducibile
alla potesta' esclusiva statale in materia di  funzioni  fondamentali
di Comuni, Province e Citta' metropolitane (art. 117, secondo  comma,
lettera p, Cost.), «giacche' la gestione  dei  predetti  servizi  non
puo' certo considerarsi  esplicazione  di  una  funzione  propria  ed
indefettibile dell'ente locale». 
    In conclusione - sempre secondo la ricorrente - l'opzione tra  le
diverse modalita' di gestione del servizio pubblico  «e'  una  tipica
scelta  d'organizzazione,  in  particolare  di  buon  andamento   del
servizio pubblico (art. 97,  primo  comma,  Cost.),  che  proprio  in
quanto organizzazione locale e  non  nazionale  dei  servizi  oggetto
della disciplina dell'art. 23-bis, decreto-legge  n.  112  del  2008,
cit., non puo' riconoscersi alla legislazione statale, ma spetta alla
legislazione regionale ai sensi dell'art. 117,  quarto  comma,  Cost.
seppure nel rispetto di una eventuale specifica disciplina degli enti
territoriali minori (art. 117, sesto  comma,  Cost.)».  Alle  Regioni
spetta, inoltre «la legittimazione ad impugnare le leggi  statali  in
via diretta non solo a tutela della propria legislazione ma anche con
il  riferimento  alla  prospettata  lesione  da  parte  della   legge
nazionale della  potesta'  normativa  degli  enti  territoriali,  con
affermazione della regione come ente  di  tutela  avanti  alla  Corte
costituzionale del "sistema regionale delle  autonomie  territoriali"
(art. 114, secondo comma, Cost.)». 
    11.1.2. - Sono censurati, in secondo luogo - in riferimento  agli
artt. 3, 97, 117, primo, secondo, terzo e quarto comma, e 118 Cost. -
i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008. 
    11.1.2.1. - Quanto ai parametri degli artt.  3  e  97  Cost.,  la
ricorrente rileva che essi sarebbero violati  perche'  la  disciplina
dell'affidamento  del  servizio  pubblico  locale   contenuta   nelle
disposizioni censurate risulta lesiva della «competenza delle regioni
e degli enti  locali  ove  le  s'intenda  come  disciplina  ulteriore
rispetto a quella generale sul  procedimento  amministrativo  che  da
tempo prevede il dovere  di  motivazione  degli  atti  amministrativi
(art. 3, legge 7  agosto  1990,  n.  241),  secondo  molti  posto  in
attuazione del principio costituzionale di motivazione  delle  scelte
della amministrazioni pubbliche quanto meno nella  cura  di  pubblici
interessi». Tale ulteriore disciplina,  da  intendersi  come  «deroga
alla disciplina generale sul procedimento e la motivazione degli atti
amministrativi»  si  porrebbe  in   violazione   del   principio   di
ragionevolezza, poiche' non e' ravvisabile nel caso  in  esame  alcun
interesse pubblico prevalente capace di fondare sia  l'esenzione  dal
generale dovere di motivazione per l'affidamento  ad  imprese  terze,
sia la  limitazione  dei  casi  sui  quali  puo'  essere  portata  la
motivazione  a  fondamento  di  altre  soluzioni  organizzative.   La
denunciata invasione nella sfera di competenza regionale e degli enti
territoriali minori e' addirittura enfatizzata - prosegue la  Regione
- dalla precisazione che le disposizioni  impugnate  «prevalgono»  su
tutte le  «discipline  di  settore  con  esse  incompatibili»  e,  in
particolare, su quelle della Regione Piemonte  relative  al  servizio
idrico integrato (legge regionale 13  dicembre  1997,  n.  13)  e  al
sistema integrato di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani
(legge regionale 24 ottobre 2002, n. 24), che non limitano la  scelta
tra le forme di gestione  dei  servizi  compatibili  con  il  diritto
comunitario. 
    La ricorrente non esclude, peraltro, che dell'art. 23-bis,  commi
1 e 4,  si  possa  dare  «un'interpretazione  adeguatrice  capace  di
sorreggere una sentenza interpretativa di rigetto della questione  di
costituzionalita' proposta ove s'intenda che  tali  disposizioni  non
deroghino alla disciplina generale sul  procedimento  amministrativo,
dovendo l'amministrazione motivare qualunque scelta  della  forma  di
gestione    del    servizio    pubblico    locale    [...]    secondo
un'interpretazione che espunge dalle  norme  qualsiasi  preferenza  o
prevalenza in astratto di una forma di gestione sull'altra». 
    Anche seguendo tale percorso interpretativo, permarrebbe comunque
- ad avviso della Regione - l'illegittimita' costituzionale  parziale
dell'art. 23-bis, commi 3 e 4, decreto-legge n. 112  del  2008,  «per
avere il legislatore statale invaso la sfera di competenza  normativa
della Regione Piemonte e degli  enti  territoriali  piemontesi  nella
definizione dello svolgimento delle funzioni  loro  attribuite  (art.
117, commi quarto e sesto,  Cost.)  poiche'  una  parte  della  norma
prevede una disciplina particolare del  procedimento  di  affidamento
della gestione a soggetti diversi dagli operatori di mercato, tra cui
l'in house providing». 
    A tali considerazioni la difesa regionale aggiunge  che  i  commi
censurati contengono «norme  di  dettaglio  cosi'  puntuali  che  non
sarebbero neppure compatibili  con  una  competenza  esclusiva  dello
Stato [...] e in violazione del principio di ragionevolezza (ex  art.
3, secondo  comma,  Cost.)  poiche'  della  legge  impugnata  non  si
comprendono le ragioni di una disciplina differenziata  per  l'ambito
locale dei pubblici servizi». 
    11.1.2.2. - Quanto ai  parametri  «dell'art.  117,  commi  primo,
secondo, terzo, quarto, Cost. con riferimento agli articoli 114, 117,
sesto comma, e 118, commi primo  e  secondo,  Cost.»,  la  ricorrente
rileva che essi sarebbero violati perche' le  disposizioni  impugnate
ledono «l'autonomia costituzionale propria dell'intero sistema  degli
enti locali», limitando la «capacita' d'organizzazione e di  autonoma
definizione normativa dello svolgimento delle funzioni di affidamento
dei servizi pubblici locali». Secondo la Regione, in particolare,  la
scelta delle forme di gestione ed affidamento del  servizio  pubblico
deve  informarsi  a   valutazioni   di   efficienza,   efficacia   ed
economicita' «che  ciascuna  organizzazione  pubblica  non  puo'  che
esprimere con  riferimento  ai  proposti  standard  di  qualita'  che
intende offrire agli utenti, involgendo  percio'  questioni  di  pura
autorganizzazione  degli  enti  territoriali».  In  particolare,   la
legislazione statale  puo'  legittimamente  imporre  una  determinata
forma di gestione di un servizio  pubblico  solo  procedendo  in  via
preliminare ad avocare allo Stato la  competenza  sull'organizzazione
della gestione dei servizi sinora considerati locali. 
    11.1.2.3. - Quanto al parametro «dell'art.  117,  secondo  comma,
Cost. con riferimento all'art. 3, Cost.», la ricorrente sostiene  che
la disciplina contenuta nei censurati commi 2, 3 e 4, anche ove fosse
ritenuta   di   tutela    della    concorrenza,    difetterebbe    di
proporzionalita' e adeguatezza. 
    In  particolare,  la  difesa  regionale  afferma  che   solo   le
disposizioni di legge statale a «carattere generale che  disciplinano
le modalita' di gestione e l'affidamento dei servizi pubblici  locali
di rilevanza economica» trovano il proprio «titolo di legittimazione»
nell'art. 117,  secondo  comma,  lettera  e),  Cost.  («tutela  della
concorrenza») e «solo le predette  disposizioni  non  possono  essere
derogate da  norme  regionali».  Tali  considerazioni  varrebbero,  a
maggior  ragione,  per  le  disposizioni  in  esame,   perche'   esse
stabiliscono  «una  disciplina  immediatamente  autoapplicativa   ove
senz'altro  pongono   un   criterio   o   principio   di   preferenza
nell'attribuzione ad imprese terze dei servizi pubblici locali». 
    11.1.3. - La ricorrente censura,  in  terzo  luogo,  il  comma  8
dell'art. 23-bis, il  quale  intacca,  senza  indennizzo  alcuno,  il
patrimonio che gli enti  locali  hanno  legittimamente  realizzato  o
acquisito mediante l'affidamento in house della gestione  di  servizi
pubblici locali, in conformita' sia all'ordinamento comunitario sia a
quello interno. 
    11.1.3.1. - Lamenta la  stessa  ricorrente  che  la  disposizione
impugnata viola gli artt. 5, 114, 117, sesto comma, e 118, Cost., «in
ragione di una generalizzata cessazione  anticipata  al  31  dicembre
2011 disposta ex lege per tutti gli affidamenti in  house  providing,
anche di quelli effettuati dagli  enti  territoriali  in  conformita'
all'ordinamento comunitario e italiano, con  grave  svalutazione  dei
valori di mercato dei corrispettivi di cessione delle  partecipazioni
a causa della simultanea attuazione su tutto il territorio  nazionale
dell'alienazione del 40% di un numero rilevante di societa'  in  mano
agli enti locali, che − unitamente agli affidamenti illegittimi − per
il solo servizio idrico integrato ammontano a circa n.  60  complessi
aziendali, di cui alcuni con valorizzazioni patrimoniali di  notevole
consistenza (Torino, Milano, Bologna, le Regioni Puglia  e  Sardegna,
ecc.)». L'irragionevolezza della norma sarebbe  anche  nel  fatto  di
trattare in modo uguale fattispecie significativamente diverse  e  di
non aver scaglionato nel tempo il ricorso al mercato. Oltre  a  cio',
la disposizione irragionevolmente realizza una sanatoria ex  lege  di
affidamenti illegittimi, «lesivi  della  concorrenza  che  la  stessa
legge qui impugnata proclama di voler riaffermare,  anche  di  quelli
piu' eclatanti in difetto di ogni  evidenza  pubblica,  ivi  compresi
quelli gia' oggetto  di  una  sentenza  di  annullamento  non  ancora
passata  in  giudicato,  persino  ove   sia   stata   incidentalmente
contornata da una pronuncia in tal senso  della  Corte  di  Giustizia
delle Comunita' Europee». Si tratterebbe cioe' di una  norma  che  si
pone in contraddizione con i primi commi dello stesso art. 23-bis,  i
quali  realizzano  un  indirizzo  politico   ispirato   alla   "ultra
concorrenzialita'". 
    11.1.3.2. - Per la Regione, la stessa disposizione viola altresi'
gli artt. 5, 114, 117, secondo e sesto comma, 118, Cost., «anche  con
riferimento all'art. 3,  Cost.»,  i  quali  garantiscono  l'autonomia
costituzionale della Regione Piemonte e degli enti locali, perche'  -
stabilendo la cessazione degli affidamenti rilasciati  con  procedure
diverse dall'evidenza  pubblica  salvo  quelli  conformi  ai  vincoli
ulteriori  di  istruttoria  e  motivazione   previsti   dalla   nuova
disciplina - «cancella d'un tratto la legittimita' [...] di tutte  le
gestioni di servizio pubblico in capo a societa' mista  ove  la  gara
per la scelta  del  socio  privato  -  pure  avvenuta  con  procedura
conforme all'ordinamento europeo ed italiano - abbia avuto ad oggetto
unicamente la partecipazione finanziaria, con acquisto  di  quote  di
capitale, eventualmente accompagnate da patti parasociali allegati ai
bandi gara per l'individuazione di taluni amministratori  in  accordo
con il socio pubblico, non importa ora se minoritario o  prevalente».
Cio' determina una lesione della competenza degli  enti  territoriali
«sull'organizzazione degli  stessi  anche  con  riferimento  ad  enti
strumentali [...] o a partecipazioni di minoranza». 
    11.2. - Con separata istanza, la Regione Piemonte ha richiesto la
riunione del procedimento con quello introdotto con il ricorso n.  77
del 2008. 
    11.3. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni   proposte   siano   dichiarate
inammissibili e, comunque, infondate, sulla  base  di  argomentazioni
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6, n. 10, n.  12,
n. 13, n. 14 e n. 15 del 2010 (supra: punti 5.2., 6.2.,  7.2.,  8.2.,
9.2. e 10.2.). 
    11.4. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza  la
Regione Piemonte ha sostanzialmente ribadito  quanto  gia'  sostenuto
nel ricorso, aggiungendo che, poiche' la definizione della  questione
di  costituzionalita'  dipende   dall'interpretazione   del   diritto
dell'Unione  europea,  appare  possibile  «ritenere  che   la   Corte
costituzionale - ove non accolga i motivi di ricorso  [...]  -  debba
proporre la seguente  questione  pregiudiziale  avanti  la  Corte  di
giustizia [...]: "se sia conforme al diritto europeo -  al  principio
di concorrenza ed al principio d'autonomia  degli  enti  territoriali
(art. 5  Trattato)  -  la  norma  dello  Stato  italiano  che  impone
l'attribuzione  a  terzi  come  forma   ordinaria   e   preferenziale
d'affidamento dei servizi pubblici locali, e la norma che  relega  la
rilevanza giuridica dell'in house providing ai soli casi  d'eccezione
tassativamente individuati dal legislatore  statale  stesso  con  una
conseguente  limitazione  dei  casi  ammessi   dalla   giurisprudenza