Sentenza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo originario ed in quello modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunita' europee), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166; dell'art. 15, comma 1-ter, dello stesso decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009; dell'art. 4, commi 1, 4, 5, 6 e 14 della legge della Regione Liguria 28 ottobre 2008, n. 39 (Istituzione delle Autorita' d'Ambito per l'esercizio delle funzioni degli enti locali in materia di risorse idriche e gestione rifiuti ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Norme in materia ambientale); dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della regione Campania - Legge finanziaria anno 2010); promossi dalle Regioni Emilia-Romagna (mediante due ricorsi), Liguria (mediante due ricorsi), Piemonte (mediante due ricorsi), Puglia, Toscana, Umbria e Marche e dal Presidente del Consiglio dei ministri (mediante due ricorsi), notificati il 20 ottobre 2008, il 21 gennaio 2010, il 20 ottobre 2008, il 22 gennaio 2010, il 20 ottobre 2008, il 29 gennaio, il 9 gennaio, il 22 gennaio, il 21 gennaio ed il 22 gennaio 2010, il 30 dicembre 2008 e il 20 marzo 2010, depositati in cancelleria il 22 ottobre 2008, il 28 gennaio 2010, il 22 ottobre 2008, il 27 gennaio, il 27 ottobre, il 29 gennaio, il 18 gennaio, il 27 gennaio, il 28 gennaio ed il 29 gennaio 2010, il 2 gennaio 2009 e il 30 marzo 2010, ed iscritti ai nn. 69 del registro ricorsi 2008, 13 del registro ricorsi 2010, 72 del registro ricorsi 2008, 12 del registro ricorsi 2010, 77 del registro ricorsi 2008, 16, 6, 10, 14 e 15 del registro ricorsi 2010, 2 del registro ricorsi 2009, 51 del registro ricorsi 2010. Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri e delle Regioni Liguria e Campania; Udito nell'udienza pubblica del 5 ottobre 2010 il giudice relatore Franco Gallo; Uditi gli avvocati Giandomenico Falcon, Franco Mastragostino e Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna, Giandomenico Falcon, Luigi Manzi e Luigi Piscitelli per la Regione Liguria, Alberto Romano e Roberto Cavallo Perin per la Regione Piemonte, Nicola Colaianni e Adriana Shiroka per la Regione Puglia, Lucia Bora per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Regione Umbria, Stefano Grassi per la Regione Marche, Vincenzo Cocozza per la Regione Campania e gli avvocati dello Stato Chiarina Aiello, Giuseppe Albenzio e Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il 22 ottobre successivo (r. ric. n. 69 del 2008), la Regione Emilia-Romagna ha impugnato, tra l'altro, i commi 7 e 10 dell'art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) - articolo aggiunto dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133, ed entrato in vigore, in forza dell'art. 1, comma 4, di detta legge, in data 22 agosto 2008 - in riferimento all'articolo 117, quarto e sesto comma, nonche' all'articolo 118, primo e secondo comma, della Costituzione. 1.1. - La ricorrente premette che, secondo la sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2004, la legge dello Stato puo' intervenire nella materia dei servizi pubblici a titolo di tutela della concorrenza solo con norme che «che garantiscono, in forme adeguate e proporzionate, la piu' ampia liberta' di concorrenza nell'ambito di rapporti - come quelli relativi al regime delle gare o delle modalita' di gestione e conferimento dei servizi - i quali per la loro diretta incidenza sul mercato appaiono piu' meritevoli di essere preservati da pratiche anticoncorrenziali». 1.1.1. - La Regione impugna, in primo luogo, il comma 7 dell'art. 23-bis, il quale prevede che «Le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze e d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, possono definire, nel rispetto delle normative settoriali, i bacini di gara per i diversi servizi, in maniera da consentire lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo e favorire una maggiore efficienza ed efficacia nell'espletamento dei servizi, nonche' l'integrazione di servizi a domanda debole nel quadro di servizi piu' redditizi, garantendo il raggiungimento della dimensione minima efficiente a livello di impianto per piu' soggetti gestori e la copertura degli obblighi di servizio universale». Per la ricorrente, tale disposizione, «sotto una apparenza meramente facoltizzante», vincola le Regioni e gli enti locali ad assumere le proprie decisioni relative ai bacini di gara - corrispondenti ai bacini di esercizio dei servizi pubblici - «d'intesa con la Conferenza unificata», in violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost. Lamenta la Regione che la disciplina della dimensione di esercizio dei servizi pubblici rientra nella sua potesta' legislativa e che il condizionare l'esercizio di tale potesta' e delle scelte amministrative che essa esprime lede sia la potesta' stessa, sia il principio di sussidiarieta', non sussistendo «alcuna ragione di centralizzazione di tali scelte». Tale lesione non viene meno per il fatto che la Conferenza unificata sia un organismo espressivo delle autonomie, perche' l'intesa con la Conferenza richiede necessariamente anche l'intesa con lo Stato, il quale e' esso stesso parte della Conferenza e perche' si tratterebbe in ogni caso di un condizionamento delle scelte della Regione da parte di altre Regioni ed enti locali, che non hanno alcun potere da esercitare in relazione al territorio di una specifica Regione. 1.1.2. - E' censurato, in secondo luogo, il comma 10 dell'art. 23-bis, il quale prevede che «ll Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni ed entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, nonche' le competenti Commissioni parlamentari, adotta uno o piu' regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di: a) prevedere l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilita' interno e l'osservanza da parte delle societa' in house e delle societa' a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni e servizi e l'assunzione di personale; b) prevedere, in attuazione dei principi di proporzionalita' e di adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione, che i comuni con un limitato numero di residenti possano svolgere le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata; c) prevedere una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e le funzioni di gestione dei servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilita'; d) armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonche' in materia di acqua; e) disciplinare, per i settori diversi da quello idrico, fermo restando il limite massimo stabilito dall'ordinamento di ciascun settore per la cessazione degli affidamenti effettuati con procedure diverse dall'evidenza pubblica o da quella di cui al comma 3, la fase transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle gestioni in essere alle disposizioni di cui al presente articolo, prevedendo tempi differenziati e che gli affidamenti di retti in essere debbano cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo; f) prevedere l'applicazione del principio di reciprocita' ai fini dell'ammissione alle gare di imprese estere; g) limitare, secondo criteri di proporzionalita', sussidiarieta' orizzontale e razionalita' economica, i casi di gestione in regime d'esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attivita' economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalita' ed accessibilita' del servizio pubblico locale; h) prevedere nella disciplina degli affidamenti idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli investimenti; i) disciplinare, in ogni caso di subentro, la cessione dei beni, di proprieta' del precedente gestore, necessari per la prosecuzione del servizio; l) prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche con riguardo agli utenti dei servizi; m) individuare espressamente le norme abrogate ai sensi del presente articolo». Tale disposizione violerebbe l'art. 117, sesto comma, Cost., perche' la materia che forma oggetto della competenza regolamentare statale da essa prevista presenterebbe un «inestricabile intreccio con le materie oggetto di potesta' concorrente (come il coordinamento della finanza pubblica, fondamento della lettera a) o esclusiva delle regioni (come nel caso della gestione associata dei servizi locali, oggetto della lettera c)». Secondo la ricorrente, in presenza di un tale intreccio di materie, il solo modo di contemperare le competenze rispettive dello Stato e delle Regioni sarebbe consistito nel sottoporre il regolamento all'intesa della Conferenza Stato-Regioni o della Conferenza unificata, in luogo del semplice parere previsto dalla disposizione impugnata. In particolare, con riferimento alla lettera b) del comma 10 dell'art. 23-bis, la ricorrente lamenta che l'oggetto della potesta' regolamentare da esso assegnata allo Stato - e cioe' prevedere che «i comuni con un limitato numero di residenti possano svolgere le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata» - e' del tutto estraneo alla tutela della concorrenza e a ogni altro titolo di competenza normativa statale. 1.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate. Rileva la difesa dello Stato che: a) il censurato comma 7 dell'art. 23-bis reca una disciplina che rientra nella materia della tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, perche', attraverso l'individuazione dei bacini di gara e dei criteri relativi a tale attivita', individua in concreto il «mercato rilevante», allo scopo di evitare le distorsioni della concorrenza derivanti dalla parcellizzazione delle gestioni; b) il censurato comma 10 dell'art. 23-bis prevede una potesta' regolamentare statale che ha la finalita' di procedere all'armonizzazione della disciplina di alcuni settori di pubblici servizi nei quali sussiste una regolazione settoriale contrastante con i principi stabiliti da detto articolo e tale finalita' giustifica la previsione del parere della Conferenza Stato-Regioni anziche' del meccanismo dell'intesa forte; c) in particolare, la lettera b) del censurato comma 10 dell'art. 23-bis ha anch'essa una finalita' di armonizzazione, perche' prevede che «il "controllo analogo" possa sussistere anche allorche' piu' comuni e/o enti pubblici non detengano individualmente l'intera partecipazione del soggetto affidatario in house». 1.3. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, la Regione Emilia-Romagna ha sostanzialmente ribadito quanto gia' sostenuto nel ricorso, aggiungendo che: a) quanto all'individuazione dei bacini di gara di cui al censurato comma 7, l'illegittimita' della previsione dell'intesa con la Conferenza unificata e' confermata dalla stessa legislazione statale, che affida alle Regioni, senza intese di alcun tipo, il potere di individuare gli ambiti di esercizio dei servizi pubblici, come ad esempio in materia di servizio idrico integrato (art. 147 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale»); b) quanto al regolamento di delegificazione previsto dal censurato comma 10, lo schema di regolamento adottato il 22 luglio del 2010 dal Consiglio dei ministri e non ancora emanato contiene una previsione tanto dettagliata da rendere oltremodo necessaria la previsione dell'intesa con la Conferenza unificata in luogo del semplice parere. 2. - Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il 22 ottobre successivo (r. ric. n. 72 del 2008), la Regione Liguria ha impugnato, tra l'altro, i commi 2, 3, 4, 7 e 10 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 - articolo aggiunto dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133, - in riferimento agli artt. 117, quarto e sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost. 2.1. - La ricorrente premette che la legge dello Stato puo' intervenire nella materia dei servizi pubblici solo a titolo di tutela della concorrenza e sostiene che le disposizioni censurate non sono riferibili a tale titolo competenziale. 2.1.1. - La Regione impugna, in primo luogo, i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis, i quali prevedono rispettivamente che: a) «Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di societa' in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunita' europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicita', efficacia, imparzialita', trasparenza, adeguata pubblicita', non discriminazione, parita' di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalita'» (comma 2); b) «In deroga alle modalita' di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento puo' avvenire nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria» (comma 3); c) «Nei casi di cui al comma 3, l'ente affidante deve dare adeguata pubblicita' alla scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato e alle autorita' di regolazione del settore, ove costituite, per l'espressione di un parere sui profili di competenza da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione» (comma 4). Osserva la ricorrente che il diritto dell'ente territoriale responsabile di erogare in proprio il servizio pubblico a favore della propria comunita' «non solo non e' precluso dalle regole di tutela della concorrenza, ma e' espressamente riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunita' europee», secondo cui «un'autorita' pubblica, che sia un'amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilita' di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entita' esterne non appartenenti ai propri servizi», e «in tal caso, non si puo' parlare di contratto a titolo oneroso concluso con un'entita' giuridicamente distinta dall'amministrazione aggiudicatrice», con la conseguenza che «non sussistono dunque i presupposti per applicare le norme comunitarie in materia di appalti pubblici». La stessa giurisprudenza avrebbe, inoltre, costantemente precisato che, «non e' escluso che possano esistere altre circostanze nelle quali l'appello alla concorrenza non e' obbligatorio ancorche' la controparte contrattuale sia un'entita' giuridicamente distinta dall'amministrazione aggiudicatrice», e che «cio' si verifica nel caso in cui l'autorita' pubblica, che sia un'amministrazione aggiudicatrice, eserciti sull'entita' distinta in questione un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi e tale entita' realizzi la parte piu' importante della propria attivita' con l'autorita' o le autorita' pubbliche che la controllano». Ad avviso della ricorrente, le disposizioni censurate si pongono in contrasto con tali principi, perche' limitano, in violazione dell'art. 117, quarto comma, Cost., la potesta' legislativa regionale di disciplinare il normale svolgimento del servizio pubblico da parte dell'ente, sottoponendo tale scelta a vincoli sia sostanziali (le «peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato») che procedurali (l'onere di «trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato e alle autorita' di regolazione del settore, ove costituite, per l'espressione di un parere sui profili di competenza»). 2.1.2. - La Regione impugna, in secondo luogo, il comma 7 del citato art. 23-bis, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost., proponendo questioni analoghe a quelle proposte dalla Regione Emilia-Romagna nel ricorso n. 69 del 2008 (supra: punto 1.1.1.). 2.1.3. - La stessa Regione impugna, infine, il comma 10 dell'art. 23-bis, in riferimento all'artt. 117, sesto comma, Cost., proponendo questioni analoghe a quelle proposte dalla Regione Emilia-Romagna nel ricorso n. 69 del 2008 (supra: punto 1.1.2.). 2.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate. Rileva la difesa dello Stato che: a) nella giurisprudenza comunitaria e interna, la possibilita' dell'in house providing e' costruita come deroga alla regolamentazione generale e deve, percio', essere interpretata in via restrittiva; b) nell'attuazione del diritto comunitario in materia di tutela della concorrenza, il legislatore statale ha un margine di discrezionalita' e puo', percio', utilizzare gli strumenti che ritiene piu' congrui in relazione alla situazione nazionale; c) non vi e' alcuna lesione dell'autonomia degli enti locali, perche' le norme censurate consentono che essi - qualora ne sussistano i presupposti - possano fare ricorso all'affidamento dei servizi in house; d) il censurato comma 7 dell'art. 23-bis reca una disciplina che rientra nella materia della tutela della concorrenza, perche', attraverso l'individuazione dei bacini di gara e dei criteri relativi a tale attivita', individua in concreto il «mercato rilevante»; e) il censurato comma 10 dell'art. 23-bis prevede una potesta' regolamentare statale che ha la finalita' di procedere alla armonizzazione della disciplina di alcuni settori di pubblici servizi nei quali sussiste una disciplina settoriale contrastante con i principi stabiliti da detto articolo. 2.3. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, la Regione Liguria ha sostanzialmente ribadito quanto gia' sostenuto nel ricorso, svolgendo considerazioni analoghe a quelle svolte nella memoria per l'udienza nel giudizio r. ric. n. 69 del 2008 (supra: punto 1.3.) e precisando, inoltre, che il diritto comunitario consente agli enti locali di gestire in proprio i servizi pubblici e non prevede che la gestione in house sia limitata a casi eccezionali. 3. - Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il 27 ottobre successivo (r. ric. n. 77 del 2008), la Regione Piemonte ha impugnato i commi 1, 2, 3, 4, 8 e 10 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 - articolo aggiunto dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133, ed entrato in vigore, in forza dell'art. 1, comma 4, di detta legge, in data 22 agosto 2008 - in riferimento agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, primo, secondo, terzo, quarto e sesto comma, 118, primo e secondo comma, e 120 Cost. 3.1. - La Regione premette che il censurato comma 1 dell'art. 23-bis prevede che «Le disposizioni del presente articolo disciplinano l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la piu' ampia diffusione dei principi di concorrenza, di liberta' di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonche' di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalita' ed accessibilita' dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarieta', proporzionalita' e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili». Il successivo comma 8 pone una disciplina transitoria per il solo servizio idrico integrato, prevedendo che: «Salvo quanto previsto dal comma 10, lettera e), le concessioni relative al servizio idrico integrato rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante. Sono escluse dalla cessazione le concessioni affidate ai sensi del comma 3». La preesistente disciplina generale del servizio pubblico locale - prosegue la Regione - non e' tuttavia integralmente sottoposta ad abrogazione dal nuovo art. 23-bis, perche' quest'ultimo espressamente prevede che cessino di avere effetto le norme preesistenti nelle sole «parti incompatibili» con le sue nuove disposizioni (comma 11). 3.1.1. - La ricorrente lamenta, in primo luogo, che i censurati commi 1, 2 e 3 violano l'art. 117, primo e quarto comma, Cost. Sono richiamati, ma non propriamente evocati, anche gli artt. 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo e sesto comma, e 118 Cost. 3.1.1.1. - Quanto al parametro dell'art. 117, quarto comma, Cost., esso sarebbe violato perche' le norme impugnate recano una disciplina che non e' riconducibile alla materia della tutela della concorrenza, ma alla potesta' legislativa residuale delle Regioni. Con tali disposizioni, infatti, il legislatore statale riconosce che entrambe le forme di gestione ed affidamento dei servizi pubblici (soggetto scelto con gara, organizzazione in house) sono conformi all'ordinamento europeo e in particolare alla disciplina sulla concorrenza, ma giunge sino ad individuare come forma preferenziale "ordinaria" l'affidamento del servizio ad imprese terze, mentre relega la possibilita' dell'affidamento in house ai soli casi ivi espressi in via d'eccezione, superando con cio' la stessa disciplina comunitaria in materia di concorrenza. E non potrebbe essere richiamato, a sostegno della legittimita' di tali norme, il principio secondo cui la «legislazione nazionale in materia di tutela dell'ambiente ha potuto individuare misure piu' rigorose di quelle previste dal diritto comunitario», perche' «cio' e' stato possibile nei soli limiti di un rispetto del principio di proporzionalita' con altre disposizioni del Trattato [...] tra le quali assume particolare importanza la disciplina a tutela della concorrenza». Quanto alla sussistenza di altri eventuali titoli di competenza legislativa statale, la Regione rileva, innanzi tutto, che la disciplina del censurato art. 23-bis «e' in tutto o in parte sostitutiva dell'art. 113, d.lgs. n. 267 del 2000» e ha percio' per oggetto unicamente le forme di gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica, e non le prestazioni da assicurare agli utenti, con la conseguenza che non puo' essere richiamata la materia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; rileva, inoltre, che la disciplina censurata non e' riconducibile alla potesta' esclusiva statale in materia di funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane (art. 117, secondo comma, lettera p, Cost.), «giacche' la gestione dei predetti servizi non puo' certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale». In conclusione - sempre secondo la ricorrente - l'opzione tra le diverse modalita' di gestione del servizio pubblico «e' una tipica scelta d'organizzazione, in particolare di buon andamento del servizio pubblico (art. 97, primo comma, Cost.), che proprio in quanto organizzazione locale e non nazionale dei servizi oggetto della disciplina dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, non puo' riconoscersi alla legislazione statale, ma spetta alla legislazione regionale ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. seppure nel rispetto di una eventuale specifica disciplina degli enti territoriali minori (art. 117, sesto comma, Cost.)». Alle Regioni spetta, inoltre «la legittimazione ad impugnare le leggi statali in via diretta non solo a tutela della propria legislazione ma anche con il riferimento alla prospettata lesione da parte della legge nazionale della potesta' normativa degli enti territoriali, con affermazione della regione come ente di tutela avanti alla Corte costituzionale del "sistema regionale delle autonomie territoriali" (art. 114, secondo comma, Cost.)». 3.1.1.2. - Quanto al parametro dell'art. 117, primo comma, Cost., la ricorrente rileva che esso sarebbe violato perche' il diritto comunitario non consente che il legislatore nazionale spinga la tutela della concorrenza fino comprimere il «principio di liberta' degli individui o di autonomia - del pari costituzionale - degli enti territoriali (artt. 5, 117, 118, Cost.) di mantenere la capacita' di operare ogni qualvolta fanno la scelta che ritengono piu' opportuna: cioe' se fruire dei vantaggi economici offerti dal mercato dei produttori oppure se procedere a modellare una propria struttura capace di diversamente configurare l'offerta delle prestazioni di servizio pubblico». In tal senso si e' espresso - prosegue la ricorrente - l'ordinamento comunitario, laddove «ha ritenuto in contrasto con la disciplina europea sulla concorrenza la legge nazionale sui lavori pubblici (allora legge 11 febbraio 1994, n. 109, art. 21) che aveva limitato la scelta tra i due criteri europei d'aggiudicazione degli appalti - offerta economicamente piu' vantaggiosa e prezzo piu' basso − imponendo il vincolo legislativo alle amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere unicamente al criterio del prezzo piu' basso». L'attuazione del diritto comunitario non consentirebbe al legislatore interno di esprimere un autonomo indirizzo politico, perche' essa puo' comportare solo «l'adozione di norme esecutive (secundum legem)», con l'impossibilita' di spingersi sino a norme «integrative (praeter legem), tali cioe' da ampliare, senza derogarli, i contenuti normativi espressi attraverso la legislazione» da attuare. Nel caso di specie, «nessuna delle disposizioni comunitarie vigenti infatti impone − come invece pretende l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. ai suoi commi secondo e terzo − agli Stati membri l'attribuzione ad imprese terze come forma ordinaria o preferenziale di affidamento dei servizi pubblici locali, relegando ai soli casi d'eccezione il ricorso alla diversa ed alternativa forma dell'in house providing. Al contrario si puo' affermare che la legislazione comunitaria lasci gli Stati membri liberi di decidere se fornire i servizi pubblici con un'organizzazione propria [...] o affidarne la fornitura ad imprese terze». 3.1.2. - La ricorrente lamenta, in secondo luogo, che i censurati commi 2, 3 e 4 violano gli artt. 3, 97, 114, 117, primo, secondo, terzo, quarto e sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost. 3.1.2.1. - Quanto ai parametri degli artt. 3 e 97 Cost., la ricorrente rileva che essi sarebbero violati perche' la disciplina dell'affidamento del servizio pubblico locale nella forma organizzativa dell'in house providing, contenuta nelle disposizioni censurate, risulta lesiva della «competenza delle regioni e degli enti locali ove le s'intenda come disciplina ulteriore rispetto a quella generale sul procedimento amministrativo che da tempo prevede il dovere di motivazione degli atti amministrativi (art. 3, legge 7 agosto 1990, n. 241), secondo molti posto in attuazione del principio costituzionale di motivazione delle scelte della amministrazioni pubbliche quanto meno nella cura di pubblici interessi». Tale ulteriore disciplina, da intendersi come «deroga alla disciplina generale sul procedimento e la motivazione degli atti amministrativi», si porrebbe in violazione del principio di ragionevolezza «(arg. ex art. 3, secondo comma Cost.), poiche' non e' ravvisabile nel caso in esame alcun interesse pubblico prevalente capace di fondare sia l'esenzione dal generale dovere di motivazione per l'affidamento ad imprese terze (art. 23-bis, secondo comma), sia viceversa la limitazione dei casi sui quali puo' essere portata la motivazione a fondamento di altre soluzioni organizzative». La denunciata invasione nella sfera di competenza regionale e degli enti territoriali minori e' addirittura enfatizzata - prosegue la Regione - dalla precisazione che le disposizioni impugnate «prevalgono» su tutte le «discipline di settore con esse incompatibili» e, in particolare, su quelle della Regione Piemonte relative al servizio idrico integrato (legge regionale 13 dicembre 1997, n. 13) e al sistema integrato di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani (legge regionale 24 ottobre 2002, n. 24), che non limitano la scelta tra le forme di gestione dei servizi compatibili con il diritto comunitario. La ricorrente non esclude, peraltro, che dell'art. 23-bis, commi 1 e 4, si possa dare «un'interpretazione adeguatrice capace di sorreggere una sentenza interpretativa di rigetto della questione di costituzionalita' proposta ove s'intenda che tali disposizioni non deroghino alla disciplina generale sul procedimento amministrativo, dovendo l'amministrazione motivare qualunque scelta della forma di gestione del servizio pubblico locale, attraverso una comparazione tra tutte quelle compatibili con l'ordinamento comunitario ed offrendo infine la giustificazione in concreto della forma prescelta, secondo un'interpretazione che espunge dalle norme qualsiasi preferenza o prevalenza in astratto di una forma di gestione sull'altra». Anche seguendo tale percorso interpretativo, permarrebbe comunque - ad avviso della Regione - l'illegittimita' costituzionale parziale dell'art. 23-bis, commi 3 e 4, del citato decreto-legge n. 112 del 2008, «per avere il legislatore statale invaso la sfera di competenza normativa della Regione Piemonte e degli enti territoriali piemontesi nella definizione dello svolgimento delle funzioni loro attribuite (art. 117, commi quarto e sesto, Cost.) poiche' una parte della norma prevede una disciplina particolare del procedimento di affidamento della gestione a soggetti diversi dagli operatori di mercato, tra cui l'in house providing». A tali considerazioni, la difesa regionale aggiunge che i commi censurati contengono «norme di dettaglio cosi' puntuali che non sarebbero neppure compatibili con una competenza esclusiva dello Stato [...] e in violazione del principio di ragionevolezza (ex art. 3, secondo comma, Cost.) poiche' della legge impugnata non si comprendono le ragioni di una disciplina differenziata per l'ambito locale dei pubblici servizi rispetto a quella generalmente prevista per l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato ed in genere per le autorita' di regolazione». 3.1.2.2. - Quanto ai parametri «dell'art. 117, commi primo, secondo, terzo, quarto, Cost. con riferimento agli articoli 114, 117, sesto comma, e 118, commi primo e secondo, Cost.», la ricorrente rileva che essi sarebbero violati perche' i commi censurati ledono «l'autonomia costituzionale propria dell'intero sistema degli enti locali», limitando la «capacita' d'organizzazione e di autonoma definizione normativa dello svolgimento delle funzioni di affidamento dei servizi pubblici locali». Secondo la Regione, in particolare, la scelta delle forme di gestione ed affidamento del servizio pubblico deve informarsi a valutazioni di efficienza, efficacia ed economicita' «che ciascuna organizzazione pubblica non puo' che esprimere con riferimento ai proposti standard di qualita' che intende offrire agli utenti, involgendo percio' questioni di pura autorganizzazione degli enti territoriali». In particolare, la legislazione statale puo' legittimamente imporre una determinata forma di gestione di un servizio pubblico solo procedendo in via preliminare ad avocare allo Stato la competenza sull'organizzazione della gestione dei servizi sinora considerati locali (es. idrico integrato, raccolta dei rifiuti solidi urbani) sul presupposto che l'esercizio unitario di tali servizi sia divenuto ottimale solo a livello d'ambito statale (art. 118, primo comma, Cost.)». Ne consegue che la disciplina in esame e' da ritenersi costituzionalmente illegittima «per difetto di tale qualificazione nazionale dei servizi che restano locali per sua espressa qualificazione». 3.1.2.3. - Quanto al parametro «dell'art. 117, secondo comma, Cost. con riferimento all'art. 3 Cost.», la ricorrente sostiene che la disciplina contenuta nelle disposizioni censurate, anche ove fosse ritenuta di tutela della concorrenza, difetterebbe di proporzionalita' e adeguatezza. In particolare, la difesa regionale afferma che la Corte costituzionale ha riconosciuto che solo le disposizioni di legge statale a «carattere generale che disciplinano le modalita' di gestione e l'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica» trovano il proprio «titolo di legittimazione» nell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. («tutela della concorrenza») e «solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali». A tale proposito, il criterio di proporzionalita' ed adeguatezza sarebbe «essenziale per definire l'ambito di operativita' della competenza legislativa statale attinente alla ''tutela della concorrenza" e conseguentemente la legittimita' dei relativi interventi statali» poiche' tale materia «trasversale» «si intreccia inestricabilmente con una pluralita' di altri interessi - alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o residuale delle regioni - connessi allo sviluppo economico-produttivo del Paese». Tali considerazioni varrebbero, a maggior ragione, per le disposizioni in esame, perche' esse stabiliscono «una disciplina immediatamente autoapplicativa ove senz'altro pongono un criterio o principio di preferenza nell'attribuzione ad imprese terze dei servizi pubblici locali». 3.1.3. - La ricorrente censura, in terzo luogo, il comma 8 dell'art. 23-bis, il quale prevede - come visto - che, in generale «le concessioni relative al servizio idrico integrato rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010». 3.1.3.1. - Ad avviso della ricorrente, la disposizione viola gli artt. 41, 114 e 117, secondo comma, Cost., «con riferimento all'art. 3 Cost.», ponendosi in contrasto con «il principio di ragionevolezza e di concorrenza comunitaria che la stessa proclama di voler affermare ed addirittura di voler superare, poiche' la stessa si configura come ennesima [...] norma di sanatoria degli affidamenti al mercato dei produttori seppur disposti ancora una volta in difetto di evidenza pubblica, con proroga di cui le imprese terze si possono giovare ex lege sino alla data indicata dal 31 dicembre 2010». Si tratterebbe cioe' di una norma che contraddice i primi commi dello stesso art. 23-bis, i quali realizzano «un indirizzo politico ispirato alla "ultra concorrenzialita'"», perche' favorisce gli affidamenti disposti in violazione della disciplina italiana ed europea sulla concorrenza. 3.1.3.2. - Per la difesa regionale, la stessa disposizione viola altresi' gli artt. 5, 114, 117, sesto comma, e 118, Cost., i quali garantiscono l'autonomia costituzionale della Regione Piemonte e degli enti locali (artt. 5, 114, 117, sesto comma, 118, Cost.), perche' - stabilendo che cessano al 31 dicembre 2010 gli affidamenti rilasciati con procedure diverse dall'evidenza pubblica, salvo quelli conformi ai vincoli ulteriori di istruttoria e motivazione previsti dalla nuova disciplina - determina la cessazione «di tutti gli affidamenti attribuiti secondo la disciplina previgente (d.lgs. n. 267 del 2000, cit., art. 113, comma 5, lettera c), ponendo in forse l'attuazione dei piani gestionali e di investimento, nonche' i relativi piani tariffari, travolgendo rapporti giuridici perfezionati ed in via di esecuzione che le parti vogliono vedere procedere secondo la loro scadenza naturale, al pari delle concessioni rilasciate ad imprese terze secondo le procedure ad evidenza pubblica». 3.1.4. - La ricorrente lamenta, in quarto luogo, che il censurato comma 10 dell'art. 23-bis, il quale autorizza il Governo all'adozione di regolamenti di delegificazione, viola l'art. 117, secondo, quarto e sesto comma, Cost., nonche' «il principio di ragionevolezza e leale collaborazione» (artt. 3 e 120 Cost.), perche' lo Stato, non avendo potesta' legislativa in materia, non ha neanche potesta' regolamentare. Aggiunge la difesa regionale che la clausola di autorizzazione contenuta in detto comma «prefigura una disciplina regolamentare di particolare dettaglio» che viola i principi di adeguatezza e proporzionalita', perche' «non pare possibile ritenere adeguato e proporzionale un intervento statale (per legge e regolamento) che rechi l'intera disciplina sugli affidamenti dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, ad esclusione di ogni spazio di regolazione per le regioni». Inoltre - prosegue la ricorrente - la previsione secondo cui l'indicato regolamento sara' approvato dal Governo «sentita la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281», anziche' previa intesa con tale Conferenza, viola il principio costituzionale di leale collaborazione (art. 120 Cost.), perche' «non pare comunque sufficiente un parere della Conferenza unificata sul regolamento di delegificazione destinato a completare l'intera disciplina sugli affidamenti dei servizi pubblici locali ove sarebbe stata invece necessaria una previa intesa con la Conferenza». Sarebbe, infatti, indubbio, nel caso in esame, «il forte intreccio con le competenze regionali», che costituisce ragione utile a limitare la discrezionalita' del legislatore statale sulle forme di coinvolgimento delle Regioni. In particolare, il comma censurato rinvia al regolamento governativo la disciplina transitoria dei servizi pubblici locali diversi da quello idrico, «con una irragionevole differenza di trattamento che non appare giustificata in particolare per il servizio idrico integrato per il quale la legge statale indica senz'altro in via generale ed astratta la data di scadenza fissa del 31 dicembre 2010, mentre per gli altri servizi pubblici consente al regolamento la previsione di adeguati "tempi differenziati" in ragione di eterogeneita' dei servizi presi in considerazione». 3.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate. La difesa dello Stato svolge argomentazioni analoghe a quelle svolte nei giudizi r. ric. n. 69 e n. 72 del 2008 (supra: punti 1.2. e 2.2.) e rileva, inoltre, che: a) la doglianza relativa alla disciplina delle decadenze e proroghe delle gestioni in essere e' infondata, perche' la scelta del legislatore statale e' sufficientemente chiara e razionale: un termine piu' breve per le gestioni nelle quali sono coinvolti direttamente soggetti e interessi pubblici; un termine piu' lungo per «quegli affidamenti che presuppongono investimenti privati in corso di ammortamento»; b) il censurato comma 10 dell'art. 23-bis prevede, nella materia della tutela della concorrenza, una potesta' regolamentare statale che ha la finalita' di procedere all'armonizzazione della disciplina di alcuni settori di pubblici servizi nei quali sussiste una disciplina contrastante con i principi stabiliti da detto articolo. 3.3. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, la Regione Piemonte ha sostanzialmente ribadito quanto gia' sostenuto nel ricorso, aggiungendo che, poiche' la definizione della questione di costituzionalita' dipende dall'interpretazione del diritto dell'Unione europea, appare possibile «ritenere che la Corte costituzionale - ove non accolga i motivi di ricorso [...] - debba proporre la seguente questione pregiudiziale avanti la Corte di giustizia [...]: "se sia conforme al diritto europeo - al principio di concorrenza ed al principio d'autonomia degli enti territoriali (art. 5 Trattato) - la norma dello Stato italiano che impone l'attribuzione a terzi come forma ordinaria e preferenziale d'affidamento dei servizi pubblici locali, e la norma che relega la rilevanza giuridica dell'in house providing ai soli casi d'eccezione tassativamente individuati dal legislatore statale stesso con una conseguente limitazione dei casi ammessi dalla giurisprudenza comunitaria"». 3.4. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto che le questioni proposte siano dichiarate manifestamente infondate nel merito. Precisa, in particolare, la difesa dello Stato che la disciplina censurata, la quale e' riconducibile alla materia della tutela della concorrenza, e' legittima, perche' la giurisprudenza comunitaria e quella nazionale hanno sempre affermato che l'istituto dell'in house providing costituisce un'eccezione al principio di concorrenza e all'ordinaria osservanza delle procedure di evidenza pubblica: rappresenta, cioe', «una soluzione residuale alla quale ricorrere solo in caso di impossibilita' di trovare una soluzione alternativa efficiente». 4. - Con ricorso notificato il 30 dicembre 2008 e depositato il 2 gennaio 2009 (r. ric. n. 2 del 2009), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato i commi 1, 4, 5, 6 e 14 dell'art. 4 della legge della Regione Liguria 28 ottobre 2008, n. 39 (Istituzione delle Autorita' d'Ambito per l'esercizio delle funzioni degli enti locali in materia di risorse idriche e gestione rifiuti ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 - Norme in materia ambientale). Detti commi prevedono, rispettivamente, che: a) «Nei novanta giorni successivi alla costituzione dell'AATO, la Giunta regionale approva lo schema tipo di contratto di servizio e di convenzione di cui agli articoli 151 e 203 del d.lgs. n. 152/2006, in applicazione alla direttiva 93/36/CEE del Consiglio delle Comunita' Europee del 14 giugno 1993 (Coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture)» (comma 1); b) «L'AATO assicura la gestione del servizio idrico in forma integrata, provvedendo all'affidamento dello stesso ad un soggetto gestore unitario, ove non ancora individuato, in conformita' alle disposizioni comunitarie ed alla normativa nazionale vigente in materia di affidamento dei servizi pubblici locali ed, in particolare, nel rispetto dei criteri di cui all'articolo 113, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000 e delle modalita' di cui agli articoli 150 e 172 del d.lgs. n. 152/2006» (comma 4); c) «Resta ferma la previsione di cui all'articolo 113, comma 15-bis, del d.lgs. n. 267/2000; a tal fine l'AATO determina la data di cessazione delle concessioni esistenti, avuto riguardo alla durata media delle concessioni aggiudicate nello stesso settore a seguito di procedure ad evidenza pubblica, salva la possibilita' di determinare caso per caso la cessazione in una data successiva, qualora la medesima risulti proporzionata ai tempi di recupero di particolari investimenti effettuati dal gestore, fermi restando l'aggiornamento e la rinegoziazione delle convenzioni in essere» (comma 5); d) «L'AATO individua forme e modalita' dirette all'integrazione del servizio di gestione dei rifiuti e del servizio idrico, avuto riguardo agli affidamenti esistenti che non risultano cessati nei termini di cui all'articolo 113, comma 15-bis, del d.lgs. n. 267/2000, al fine di pervenire al superamento della frammentazione del servizio nel territorio dell'ambito» (comma 6); e) «L'AATO definisce i contratti di servizio, gli obiettivi qualitativi dei servizi erogati, il monitoraggio delle prestazioni, gli aspetti tariffari, la partecipazione dei cittadini e delle associazioni dei consumatori di cui alla legge regionale 2 luglio 2002, n. 26 (Norme per la tutela dei consumatori e degli utenti)» (comma 14). 4.1. - La difesa dello Stato premette che il censurato art. 4 contiene disposizioni che contrastano con quanto previsto dalla legge statale in materia di tutela dell'ambiente e tutela della concorrenza e formula tre questioni. 4.1.1. - E' impugnato, in primo luogo, il comma 1 dell'art. 4, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sul rilievo che esso affida alla Giunta regionale la competenza ad approvare lo schema-tipo di contratto di servizio e di convenzione, richiamando l'art. 151 del d.lgs. n. 152 del 2006. Sostiene il ricorrente che il suddetto art. 151 deve ritenersi tacitamente abrogato dal d.lgs. correttivo 16 gennaio 2008, n. 4, che ha sostituito l'art. 161 del d.lgs. n. 152/2006, disponendo che sia il Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche (in seguito «Comitato») a redigere il contenuto di una o piu' convenzioni-tipo da adottare con decreto del Ministero dell'ambiente. Lo stesso, cosi' novellato, art. 161 - prosegue la difesa dello Stato - attribuisce, inoltre, al predetto Comitato la competenza anche in tema di contratti di servizio, obiettivi qualitativi dei servizi erogati, monitoraggio delle prestazioni e aspetti tariffari. Ne deriva, per lo Stato, che «L'art. 4, comma 14, della legge regionale n. 39/2008 impugnata appare, pertanto, in contrasto con la normativa statale, nella parte in cui affida invece tali competenze all'AATO». In conclusione, i commi censurati violerebbero il parametro costituzionale evocato, per il tramite dell'art. 161, comma 4, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006, il quale dispone, tra l'altro, che sia il Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche e non la Giunta regionale a redigere il contenuto di una o piu' convenzioni-tipo da adottare con decreto del Ministro per l'ambiente e per la tutela del territorio e del mare. 4.1.2. - E' impugnato, in secondo luogo - in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., per il tramite dell'art. 23-bis, commi 2, 3 e 11, del d.l. n. 112 del 2008 - il comma 4 dell'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, il quale stabilisce - come visto - che l'AATO provvede all'affidamento del servizio idrico integrato, «in particolare, nel rispetto dei criteri di cui all'articolo 113, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000 e delle modalita' di cui agli articoli 150 e 172 del d.lgs. n. 152/2006». Evidenzia la difesa dello Stato che il richiamato art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, al comma 1, consente la scelta della forma di gestione degli AATO tra quelle elencate nell'art. 113, comma 5, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), ma l'art. 23-bis, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008, prevede che le parti dell'art. 113 citato che siano incompatibili con le prescrizioni in esso contenute siano da considerare abrogate. Ad avviso della stessa difesa, quindi, la norma regionale risulta in contrasto con l'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, perche' quest'ultimo prevede come regola per l'affidamento dei servizi pubblici locali le procedure competitive ad evidenza pubblica, ferma restando la possibilita' di ricorrere all'affidamento diretto solo in presenza di circoscritte e motivate circostanze, contemplate al comma 3 del medesimo articolo. La norma regionale, invece, prevede l'affidamento del servizio a un soggetto da individuare genericamente in conformita' alle disposizioni comunitarie e alla normativa nazionale vigente in materia e, quindi, indifferentemente in una delle tre forme previste dal menzionato art. 113, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, anche senza che ricorrano le suddette peculiari circostanze. 4.1.3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, in terzo luogo - in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., per il tramite dell'art. 23-bis, commi 8 e 9, del d.l. n. 112 del 2008 - i commi 5 e 6 dell'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, i quali disciplinano la cessazione delle concessioni esistenti e il relativo regime transitorio degli affidamenti del servizio idrico integrato effettuati senza gara, rinviando alle disposizioni di cui all'art. 113, comma 15-bis, del d.lgs. n. 267 del 2000. La difesa dello Stato sostiene che le norme impugnate contrastano con gli evocati parametri, perche' la materia e' attualmente regolata in maniera difforme dall'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, che ha abrogato - come visto - l'art. 113 citato nelle parti incompatibili con le sue disposizioni, e che fissa, ai commi 8 e 9, comunque, al 31 dicembre 2010 la data per la cessazione delle concessioni esistenti rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica. 4.2. - Si e' costituita in giudizio la Regione Liguria, chiedendo che la Corte costituzionale dichiari «l'inammissibilita' e/o l'infondatezza del ricorso». 4.2.1. - Quanto alle censure riguardanti i commi 1 e 14 dell'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la resistente osserva che dette disposizioni non sono riconducibili a competenze legislative statali, perche' attengono alla materia dei pubblici servizi locali, di competenza legislativa regionale. In particolare, in relazione all'impugnazione del comma 1 dell'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la resistente sostiene che la previsione per cui la «Giunta regionale approva lo schema tipo di contratto di servizio e di convenzione di cui agli articoli 151 e 203 del d.lgs. n. 152/2006» non contrasta con la legislazione statale. Infatti, il richiamato art. 151 del d.lgs. n. 152 del 2006 dispone che l'Autorita' d'ambito predispone le convenzioni che regolano i rapporti con i gestori del servizio e, a tal fine, le Regioni adottano convenzioni tipo con relativi disciplinari. Ad avviso della Regione, tale ultima disposizione e' tuttora in vigore e non e' stata tacitamente abrogata dalla nuova formulazione del successivo art. 161 introdotta dal decreto legislativo correttivo 16 gennaio 2008, n. 4, il quale assegna al Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche la competenza a redigere una o piu' convenzioni tipo, da adottare con decreto ministeriale. In ogni caso, i compiti del Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche devono essere interpretati - anche alla luce dei lavori preparatori - conformemente agli artt. 5 e 117 Cost., nel senso che essi si aggiungono e non si sostituiscono alle competenze disciplinate dalla legge regionale. Quanto poi all'impugnazione del comma 14 dell'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la resistente premette che essa e' inammissibile, perche' generica, non specificando quali siano i profili che determinano il contrasto con la norma statale. Nel merito, sostiene che non vi e' incompatibilita' fra i poteri che il comma 14 assegna all'Autorita' d'ambito e quelli assegnati dall'art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006 al Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche. 4.2.2. - In relazione alla censura riguardante il comma 4 dell'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la Regione sostiene che essa e' inammissibile e infondata, anche perche' non riguarda la parte in cui il comma impugnato richiama l'art. 113, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000, con riferimento ai criteri di gara, ne' quella in cui richiama l'art. 172 del d.lgs. n. 152 del 2006, che disciplina le gestioni esistenti. La Regione contesta quanto affermato dal ricorrente, secondo cui la norma censurata richiama una disposizione, l'art. 150 del citato d.lgs. n. 152 del 2006, che al comma 1 consente la scelta della forma di gestione del servizio tra quelle elencate nell'art. 113, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, disposizione da considerare abrogata per incompatibilita' con l'art. 23-bis, comma 11, del d. l. n. 112 del 2008. Per la difesa regionale, infatti, tale abrogazione non si sarebbe verificata e, in ogni caso, la norma censurata sarebbe conforme all'art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, a sua volta ancora vigente, perche' fatto salvo sia dal divieto di abrogazione implicita previsto in via generale dall'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, sia dalla stessa formulazione dell'art. 23-bis citato, che, al comma 10, lettera d), prevede la necessita' di una armonizzazione con le discipline di settore, da farsi tramite regolamento. Se ne concluderebbe che la disposizione censurata non viola, in ogni caso, la disciplina settoriale applicabile al servizio idrico, ponendosi al piu' in contrasto con l'art. 23-bis, norma il cui scrutinio di costituzionalita' appare pregiudiziale. 4.2.3. - Quanto alla terza delle questioni proposte - con cui sono censurati i commi 5 e 6 dell'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, sul rilievo che essi disciplinano la cessazione delle concessioni esistenti e il relativo regime transitorio rinviando alle disposizioni di cui all'art. 113, comma 15-bis, del d.lgs. n. 267 del 2000, da ritenersi abrogato dal citato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il quale ha regolato la materia in maniera difforme - la resistente sostiene che il richiamato art. 113, comma 15-bis, del d.lgs. n. 267 del 2000 non puo' ritenersi abrogato, perche': a) le sue disposizioni non sono tutte incompatibili con quelle del successivo art. 23-bis, con le quali possono essere armonizzate, ad esempio quanto alla data della cessazione delle concessioni; b) l'articolo e' coperto dal divieto generale di abrogazione implicita contenuto nell'art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000; c) lo stesso art. 23-bis non opera un'abrogazione per nuova integrale disciplina della materia, perche' dispone espressamente che l'abrogazione sia limitata alle parti incompatibili. Ne consegue - per la Regione - che non sussiste alcun contrasto tra i commi censurati e la disciplina statale vigente; disciplina che comunque, almeno per quanto riguarda il comma 8 del menzionato art. 23-bis, e' da ritenere incostituzionale. Quanto, in particolare, all'impugnato comma 6 dell'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la questione e' da ritenersi inammissibile, perche' - contrariamente a quanto assunto dallo Stato - la disposizione non ha per oggetto ne' la cessazione delle concessioni, ne' il regime transitorio, ma solamente l'integrazione dei servizi esistenti che non sono oggetto di cessazione. 4.2.4. - La ricorrente conclude rilevando di avere gia' proposto, con il ricorso n. 72 del 2008, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 e chiede pertanto, per il caso in cui la Corte ritenesse pregiudiziali tali questioni, la riunione dei procedimenti. 4.3. - Con successiva memoria, la Regione Liguria ha ribadito quanto gia' argomentato nell'atto di costituzione, rilevando, inoltre, che le modifiche legislative intervenute nel frattempo fondano ulteriori ragioni di inammissibilita' o infondatezza delle questioni proposte. 4.3.1. - Quanto alle censure riguardanti i commi 1 e 14 dell'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la resistente osserva che l'art. 9-bis, comma 6, del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, ha soppresso il Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche, sostituendolo con la Commissione nazionale per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche. Per la Regione, tale modifica legislativa ha reso improcedibile il ricorso o, comunque, non ne ha fatto venire meno la gia' rilevata infondatezza, anche perche' la Commissione di nuova istituzione non ha le stesse competenze del soppresso Comitato. Essa, infatti - secondo l'art. 9-bis, comma 6, del decreto-legge n. 39 del 2009 - subentra «nelle competenze gia' attribuite all'Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti ai sensi degli articoli 99, 101, 146, 148, 149, 152, 154, 172 e 174 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successivamente attribuite al Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche», con evidente omissione da parte del legislatore di ogni riferimento all'art. 151 del d.lgs. n. 152 del 2006. 4.3.2. - Quanto alla seconda e alla terza delle questioni sollevate, in relazione alle quali lo Stato ha evocato come parametro interposto l'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, la Regione «ritiene che l'impugnazione si dimostri oggi inattuale ed il ricorso sia carente di interesse e dunque improcedibile», a seguito delle modifiche sostanziali subite dallo stesso art. 23-bis. Precisa comunque la Regione che, prima di tali modifiche del parametro interposto, i censurati commi 4 e 5 dell'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008 non hanno avuto in concreto alcuna applicazione, perche' regolano le competenze delle Autorita' d'ambito, che all'entrata in vigore del d.l. n. 135 del 2009 non erano state ancora istituite. 4.4. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, da intendersi come sostitutiva dell'ultima memoria depositata, la Regione Liguria ha sostanzialmente ribadito quanto gia' sostenuto in tale ultimo atto. 4.5. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha rilevato - allo scopo di puntualizzare la permanenza dell'interesse al ricorso nonostante le modifiche normative intervenute nella materia - che il legislatore del 2009 ha sostituito il vecchio Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche con la nuova Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche, prevedendone una composizione maggiormente orientata a consentire la partecipazione dei rappresentanti delle autonomie locali. Inoltre, dal nuovo quadro normativo verrebbe rafforzato il fondamento delle censure di costituzionalita' sollevate avverso la legge Regionale, perche' essa richiama una norma statale abrogata e non piu' operativa: l'art. 151 del d.lgs. n. 152 del 2006. Quanto alla censura relativa ai commi 1 e 14 dell'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la difesa dello Stato rileva che detti commi attribuiscono alla Giunta regionale il potere di predisporre lo schema tipo di contratti di servizio e di convenzioni regolanti i rapporti tra le Autorita' d'ambito e i gestori del servizio idrico integrato, secondo quanto previsto dall'art. 151 del d.lgs. n. 152 del 2006, disposizione implicitamente abrogata dall'art. 161 dello stesso d.lgs., come sostituito dal d.lgs. n. 4 del 2008. La Regione contesta la suesposta ricostruzione, asserendo che l'art. 151 del d.lgs. n. 152 del 2006 non sarebbe stato abrogato dalla modifica del successivo art. 161, sul rilievo che l'art. 3 del d.lgs. n. 152 del 2006 richiede una "dichiarazione espressa" per l'abrogazione di una norma del codice dell'ambiente ed essa mancherebbe nel caso di abrogazione tacita per incompatibilita' di norma temporalmente successiva rispetto a quella precedente che resta caducata ex nunc. L'Avvocatura generale dello Stato sostiene che tale assunto non e' condivisibile, perche', «secondo la dogmatica del diritto "espressa" non significa "esplicita": il primo termine impone una previsione legale; il secondo esprime la necessita' che la disposizione abrogatrice menzioni expressis verbis la norma di cui sancisce l'abrogazione. L'abrogazione espressa puo', dunque, essere esplicita ovvero implicita (per incompatibilita') e nella seconda delle due ipotesi da ultimo citate ricade il caso di cui si discorre che, pertanto, non confligge con l'art. 3 invocato da Controparte». Quanto, poi, al contratto di servizio e alla convenzione cui fanno riferimento le disposizioni censurate, la difesa dello Stato rileva che essi sono sostanzialmente la medesima cosa, essendo entrambi atti negoziali conclusi dalle Autorita' d'ambito con i gestori del servizio pubblico onde regolare i loro rapporti. Confermerebbe «tale conclusione una analisi del dato normativo che pare usare alternativamente l'una piuttosto che l'altra nomenclatura». Quanto alla censura relativa all'art. 4, comma 4, della legge reg. n. 39 del 2008, la difesa dello Stato sostiene che detta disposizione, trattando dell'affidamento del servizio idrico, richiama l'art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006 secondo cui l'Autorita' d'ambito delibera la forma di gestione scegliendo tra quelle di cui all'art. 113, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, norma, quest'ultima, abrogata dal citato art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 nelle parti incompatibili con le disposizioni dello stesso art. 23-bis. La Regione valorizza il dato letterale dell'art. 4, comma 4, nella parte in cui richiama la «normativa nazionale vigente», sostenendo che la previsione lascia intendere di rinviare alle norme vigenti e, dunque, non anche alle parti dell'art. 113 abrogate dal citato art. 23-bis. Per la difesa dello Stato, tali argomenti risultano superabili, se si tiene conto del fatto che l'art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, in ogni suo comma (ad eccezione dell'ultimo), rinvia a commi del citato art. 113, T.U. enti locali, con la conseguenza che «pare quantomeno opinabile la scelta di tecnica legislativa operata dal legislatore regionale di rinviare (con l'art. 4, comma 4, censurato) ad una norma (l'art. 150 codice dell'ambiente) la quale a sua volta rinvia ad altra norma (l'art. 113 T.U. enti locali), quest'ultima abrogata per incompatibilita' da un'altra norma ancora (l'art. 23-bis, d.l. 112). Da cio' pare di potersi inferire piuttosto che il legislatore regionale ha trascurato l'intervenuta abrogazione parziale dell'art. 113». Quanto alle censure aventi ad oggetto l'art. 4, commi 5 e 6, della legge reg. n. 39 del 2008, il ricorrente contesta l'affermazione della controparte secondo cui il comma 15-bis dell'art. 113 e i commi 8 e 9 dell'art. 23-bis non sarebbero incompatibili e, dunque, il primo non risulterebbe abrogato dal secondo. Rileva sul punto la difesa dello Stato che «l'art. 23-bis fissa la cessazione delle concessioni attribuite senza gara alla data del 31/12/2010 escludendo, pero', dalla perdita di efficacia gli affidamenti diretti effettuati nelle ipotesi in cui il terzo comma dello stesso art. 23-bis ancora li consente (al ricorrere cioe' di "peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali, geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento" che non consentono l'espletamento della pubblica gara); mentre il comma 15-bis dell'art. 113 T.U. enti locali contempla [...] quali eccezioni alla cessazione delle concessioni i casi in cui l'affidamento e' effettuato con una delle modalita' di cui al comma 5 dello stesso articolo». 5. - Con ricorso notificato il 9 gennaio 2010 e depositato il 18 gennaio successivo (r. ric. n. 6 del 2010), la Regione Puglia ha impugnato, in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost., i commi 2, 3, 4 e 8 dell'art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 - aggiunto dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133, ed entrato in vigore, in forza dell'art. 1, comma 4, di detta legge, in data 22 agosto 2008 -, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, disposizione entrata in vigore (in forza dell'art. 21 del medesimo decreto-legge) in data 26 settembre 2009 e modificata, in forza dell'art. 1, comma 2, della legge di conversione, a far data dal giorno 25 novembre 2009. 5.1. - La Regione premette che l'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009 reca «Adeguamento alla disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica», modificando in modo significativo l'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, con la previsione di un ampliamento dei settori esclusi dall'applicabilita' della normativa. In particolare, il nuovo testo del citato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, come modificato dall'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, prevede che: «1. Le disposizioni del presente articolo disciplinano l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la piu' ampia diffusione dei principi di concorrenza, di liberta' di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonche' di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalita' ed accessibilita' dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarieta', proporzionalita' e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili. Sono fatte salve le disposizioni del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, e dell'articolo 46-bis del decreto-legge 1º ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, in materia di distribuzione di gas naturale, le disposizioni del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e della legge 23 agosto 2004, n. 239, in materia di distribuzione di energia elettrica, le disposizioni della legge 2 aprile 1968, n. 475, relativamente alla gestione delle farmacie comunali, nonche' quelle del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, relativamente alla disciplina del trasporto ferroviario regionale. Gli ambiti territoriali minimi di cui al comma 2 del citato articolo 46-bis sono determinati, entro il 31 dicembre 2012, dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni, sentite la Conferenza unificata di cui all' articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, e l'Autorita' per l'energia elettrica e il gas, tenendo anche conto delle interconnessioni degli impianti di distribuzione e con riferimento alle specificita' territoriali e al numero dei clienti finali. In ogni caso l'ambito non puo' essere inferiore al territorio comunale. 2. Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria: a) a favore di imprenditori o di societa' in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunita' europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicita', efficacia, imparzialita', trasparenza, adeguata pubblicita', non discriminazione, parita' di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalita'; b) a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento. 3. In deroga alle modalita' di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento puo' avvenire a favore di societa' a capitale interamente pubblico, partecipata dall'ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta "in house" e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla societa' e di prevalenza dell'attivita' svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano. 4. Nei casi di cui al comma 3, l'ente affidante deve dare adeguata pubblicita' alla scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato per l'espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione. Decorso il termine, il parere, se non reso, si intende espresso in senso favorevole. 4-bis. I regolamenti di cui al comma 10 definiscono le soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell'espressione del parere di cui al comma 4. 5. Ferma restando la proprieta' pubblica delle reti, la loro gestione puo' essere affidata a soggetti privati. 6. E' consentito l'affidamento simultaneo con gara di una pluralita' di servizi pubblici locali nei casi in cui possa essere dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa. In questo caso la durata dell'affidamento, unica per tutti i servizi, non puo' essere superiore alla media calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di settore. 7. Le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze e d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, possono definire, nel rispetto delle normative settoriali, i bacini di gara per i diversi servizi, in maniera da consentire lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo e favorire una maggiore efficienza ed efficacia nell'espletamento dei servizi, nonche' l'integrazione di servizi a domanda debole nel quadro di servizi piu' redditizi, garantendo il raggiungimento della dimensione minima efficiente a livello di impianto per piu' soggetti gestori e la copertura degli obblighi di servizio universale. 8. Il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito ai commi 2 e 3 e' il seguente: a) le gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari in materia di cosiddetta "in house" cessano, improrogabilmente e senza necessita' di deliberazione da parte dell'ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011. Esse cessano alla scadenza prevista dal contratto di servizio a condizione che entro il 31 dicembre 2011 le amministrazioni cedano almeno il 40 per cento del capitale attraverso le modalita' di cui alla lettera b) del comma 2; b) le gestioni affidate direttamente a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011; c) le gestioni affidate direttamente a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio; d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a societa' a partecipazione pubblica gia' quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell' articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 40 per cento entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per cento entro il 31 dicembre 2015; ove siffatte condizioni non si verifichino, gli affidamenti cessano improrogabilmente e senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante, rispettivamente, alla data del 30 giugno 2013 o del 31 dicembre 2015; e) le gestioni affidate che non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d) cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante. 9. Le societa', le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri dell'Unione europea, che, in Italia o all'estero, gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtu' di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 2, lettera b), nonche' i soggetti cui e' affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall'attivita' di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, ne' svolgere servizi o attivita' per altri enti pubblici o privati, ne' direttamente, ne' tramite loro controllanti o altre societa' che siano da essi controllate o partecipate, ne' partecipando a gare. Il divieto di cui al primo periodo opera per tutta la durata della gestione e non si applica alle societa' quotate in mercati regolamentati e al socio selezionato ai sensi della lettera b) del comma 2. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi forniti. 10. Il Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni ed entro il 31 dicembre 2009, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, nonche' le competenti Commissioni parlamentari, adotta uno o piu' regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di: a) prevedere l'assoggettamento dei soggetti affidatari cosiddetti in house di servizi pubblici locali al patto di stabilita' interno, tenendo conto delle scadenze fissate al comma 8, e l'osservanza da parte delle societa' in house e delle societa' a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni e servizi e l'assunzione di personale; b) prevedere, in attuazione dei principi di proporzionalita' e di adeguatezza di cui all' articolo 118 della Costituzione, che i comuni con un limitato numero di residenti possano svolgere le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata; c) prevedere una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e le funzioni di gestione dei servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilita'; d) armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonche' in materia di acqua; e) (abrogato) f) prevedere l'applicazione del principio di reciprocita' ai fini dell'ammissione alle gare di imprese estere; g) limitare, secondo criteri di proporzionalita', sussidiarieta' orizzontale e razionalita' economica, i casi di gestione in regime d'esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attivita' economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalita' ed accessibilita' del servizio pubblico locale; h) prevedere nella disciplina degli affidamenti idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli investimenti; i) disciplinare, in ogni caso di subentro, la cessione dei beni, di proprieta' del precedente gestore, necessari per la prosecuzione del servizio; l) prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche con riguardo agli utenti dei servizi; m) individuare espressamente le norme abrogate ai sensi del presente articolo. 11. L'articolo 113 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, e' abrogato nelle parti incompatibili con le disposizioni di cui al presente articolo. 12. Restano salve le procedure di affidamento gia' avviate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». La ricorrente afferma che il legislatore statale riconosce che sia l'affidamento del servizio pubblico ad imprese terze, sia l'affidamento in house sono conformi all'ordinamento europeo e in particolare alla disciplina della concorrenza, ma con la norma di cui si tratta giunge sino ad individuare come forma preferenziale ordinaria l'affidamento del servizio ad imprese terze, mentre relega la possibilita' dell'affidamento in house ai soli casi ivi espressi in via d'eccezione, superando la stessa disciplina comunitaria in materia di concorrenza. 5.1.1. - Ad avviso della Regione, i commi 2, 3 e 4 del menzionato art. 23-bis violano l'evocato art. 117, terzo comma, Cost., «in quanto limitano la potesta' legislativa regionale di disciplinare il normale svolgimento del servizio pubblico da parte dell'ente e di gestire in proprio i servizi pubblici». Dette disposizioni - prosegue la Regione - sottopongono la scelta del regime di gestione del servizio a vincoli sia sostanziali che procedurali, impedendo, in tal modo, una previa valutazione comparativa da parte dell'amministrazione fra tutte le possibili opzioni di scelta della forma di gestione, «cioe' se fruire dei vantaggi economici offerti dal mercato dei produttori oppure se procedere a modellare una propria struttura capace di diversamente configurare l'offerta delle prestazioni di servizio pubblico». Si tratterebbe, peraltro, di innovazioni non imposte dal diritto comunitario, sia sotto il profilo dell'esternalizzazione dei servizi pubblici locali con rilevanza economica, sia sotto quello della riattribuzione con la messa in gara delle attuali concessioni prima della scadenza originariamente prevista. Ad avviso della Regione Puglia, tale limitazione della capacita' delle amministrazioni regionali e locali di gestire in proprio i servizi pubblici risulta costituzionalmente illegittima e lesiva della potesta' legislativa regionale in materia, poiche' nega illegittimamente l'autonomia costituzionale di tali enti (art. 114 Cost.), riconosciuta anche dall'Unione europea, nel suo nucleo imprescindibile della capacita' di darsi un'organizzazione idonea a soddisfare i bisogni sociali nel suo territorio, cioe' della popolazione residente che ne e' l'elemento costitutivo. L'invasione della sfera di competenza regionale e degli enti territoriali minori sarebbe, poi, enfatizzata dalla precisazione che le indicate disposizioni - i commi 2, 3, 4 dell'art. 23-bis, modificato dall'art. 15 cit. - «prevalgono su tutte le discipline di settore con esse incompatibili», ivi comprese le discipline di settore regionali. In conclusione, le disposizioni denunciate, non si limiterebbero a stabilire principi fondamentali della materia, ma detterebbero «una disciplina articolata e specifica, invasiva delle competenze regionali anche in materia di regolazione del servizio idrico integrato». Tali competenze legislative sarebbero ascrivibili - sempre secondo la Regione - all'evocato parametro. Infatti, a fronte di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 246 del 2009, secondo cui l'art. 117, terzo comma, Cost., «il quale contiene l'elenco delle materie di competenza legislativa concorrente, non contempla la materia» del servizio idrico integrato, la ricorrente ritiene che tale «osservazione di carattere generale non toglie [...] che implicitamente essa vi rientri almeno nella misura in cui quel servizio sia funzionalizzato e utilizzato a fini di alimentazione e di tutela della salute: materie espressamente indicate come soggette alla legislazione concorrente dall'art. 117, comma 3, Cost.». Sotto questo profilo - prosegue la difesa regionale - il servizio idrico integrato e' da considerare «servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, la cui disciplina non e' riconducibile al titolo di legittimazione trasversale "tutela della concorrenza"». E cio' perche', «con riferimento alla funzione di tutela della salute e di alimentazione propria dell'acqua, non esiste un mercato concorrenziale ed il ruolo riservato dal titolo V della Costituzione al legislatore regionale si riespande in tutte le sue potenzialita'». In altri termini, il servizio deve essere realizzato secondo forme e modalita' di gestione «che garantiscano un governo pubblico partecipato e un finanziamento attraverso meccanismi perequativi e di equita' sociale: senza finalita' lucrativa e nel rispetto dei diritti delle generazioni future e degli equilibri ecologici». 5.1.2. - E' del pari censurato, con riferimento allo stesso parametro costituzionale dell'art. 117, terzo comma, il comma 8 dell'art. 23-bis, il quale stabilisce - come visto - che cessano al 31 dicembre 2010 gli affidamenti rilasciati con procedure diverse dall'evidenza pubblica, salvo quelli conformi ai vincoli ulteriori di istruttoria e motivazione previsti dalla nuova disciplina. La Regione lamenta che tale disposizione «parrebbe determinare per l'effetto la cessazione di tutti gli affidamenti attribuiti secondo la disciplina previgente (d.lgs. n. 267 del 2000, art. 113, comma 5, lettera c), ponendo nell'incertezza l'attuazione dei piani gestionali e di investimento, nonche' i relativi piani tariffari, travolgendo rapporti giuridici perfezionati ed in via di esecuzione che le parti vogliono vedere procedere secondo la loro scadenza naturale». 5.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate. La difesa dello Stato rileva che: a) «la Regione non puo' lamentare genericamente l'illegittimita' costituzionale di leggi statali, ovvero la contrarieta' delle stesse all'ordinamento comunitario senza indicare specificamente la lesione di una competenza ad essa attribuita»; b) le disposizioni censurate rientrano nella materia della tutela della concorrenza, perche' perseguono, in modo adeguato e proporzionato, il fine di assicurare una disciplina nazionale uniforme e, nella parte in cui regolano le partecipazioni pubbliche a societa' miste, sono riconducibili anche alla materia dell'ordinamento civile, in forza degli artt. 2458-2460 del codice civile; c) «in riferimento alle questioni ex adverso sollevate sulla mancata e/o inesatta applicazione dei principi comunitari in materia di servizi pubblici locali, si ritiene che la doglianza sia mal posta in termini di incostituzionalita'», perche' «qualora codesta Corte dovesse ravvisare l'esigenza di assicurare una uniforme interpretazione del diritto comunitario, la questione, ai sensi dell'art. 234 del Trattato CE, dovrebbe essere preventivamente oggetto di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE». 5.3. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito quanto affermato nell'atto di costituzione, in particolare sostenendo che: a) il ricorso e' inammissibile, perche' la Regione non ha impugnato la previgente formulazione dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, ma solo quella successivamente introdotta dall'art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009, la quale e' meramente confermativa del principio di eccezionalita' della gestione in house gia' posto precedentemente; b) la disciplina censurata, la quale e' riconducibile alla materia della tutela della concorrenza, e' legittima, perche' la giurisprudenza comunitaria e quella nazionale hanno sempre affermato che l'istituto dell'in house providing costituisce un'eccezione al principio di concorrenza e all'ordinaria osservanza delle procedure di evidenza pubblica: rappresenta, cioe', «una soluzione residuale alla quale ricorrere solo in caso di impossibilita' di trovare una soluzione alternativa efficiente». 6. - Con ricorso notificato il 22 gennaio 2010 e depositato il 27 gennaio successivo (r. ric. n. 10 del 2010), la Regione Toscana ha impugnato - in riferimento all'art. 117, primo, secondo e quarto comma, Cost. - i commi 2, 3, 4 e 8 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 - aggiunto dalla legge di conversione n. 133 del 2008 − nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009. 6.1. - La Regione premette che le modifiche apportate all'art. 23- bis del d.l. n. 112 del 2008 «dettano nuove regole in ordine alle modalita' di conferimento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, realizzando un sistema in cui emerge con forza la centralita' e la prevalenza dell'affidamento del servizio attraverso le procedure di evidenza pubblica ed il disfavore del legislatore statale per le modalita' di gestione in house, con il dichiarato scopo di procedere ad una liberalizzazione del settore dei servizi pubblici». Premette altresi' che la materia dei servizi pubblici locali rientra nell'ambito della potesta' legislativa esclusiva delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. Premette, infine, che la Corte costituzionale ha rilevato che l'esercizio da parte dello Stato della potesta' legislativa in materia di tutela della concorrenza, con riferimento alla disciplina dei servizi pubblici, coinvolge profili aventi un'incidenza su una pluralita' di interessi e di oggetti, che non ricadono solo nell'esclusiva competenza statale, ma involgono anche molteplici ambiti di competenza delle Regioni, con la conseguenza che l'intervento dello Stato «deve limitarsi alla disciplina di quegli aspetti strettamente connessi alla tutela ed alla promozione della concorrenza e deve uniformarsi ai principi di adeguatezza e di proporzionalita' dell'intervento normativo rispetto al fine pro-concorrenziale perseguito, con cio' escludendo la legittimita' di una normativa troppo dettagliata e puntuale o irragionevole». 6.1.1. - Sono censurati, in primo luogo, i commi 2, 3 e 4 del novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, i quali stabiliscono che di regola la gestione dei servizi pubblici locali debba essere affidata ad una societa' privata o mista tramite gara e ammettono la modalita' di affidamento del servizio in house solo in via eccezionale. La ricorrente osserva che tali disposizioni esprimono con evidenza il disfavore manifestato dal legislatore statale per la modalita' di gestione del servizio pubblico attraverso una societa' a totale partecipazione pubblica, ancorche' sussistano i requisiti indicati dall'ordinamento comunitario, ossia l'esercizio da parte dell'ente pubblico di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e la prevalenza dell'attivita' della societa' in house a favore dell'ente controllante. Tale regime - prosegue la Regione - «non risponde ad esigenze connesse alla regolazione del mercato e di tutela della concorrenza e stabilisce una disciplina particolareggiata e puntuale, incidendo in maniera rilevante sulle prerogative regionali costituzionalmente garantite». In particolare, poiche' l'ente in house non puo' ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa, tutta l'organizzazione in house e' sottratta alla disciplina della concorrenza nella scelta del gestore, in quanto questi e' parte dell'organizzazione della controllante, per la quale svolge attivita' in via prevalente: non puo' pertanto essere considerata un'impresa di terzi, ne' incide sul mercato. Conseguentemente, non potrebbe invocarsi il principio di concorrenza - che invece deve necessariamente conformare l'operato delle amministrazioni una volta che le stesse abbiano deciso di rivolgersi al mercato delle imprese - nella ipotesi della scelta dell'in house, che involge piuttosto profili di auto-organizzazione dell'ente pubblico. Per la difesa regionale, tale ricostruzione trova conferma nella giurisprudenza costituzionale, secondo cui l'intervento legislativo statale a tutela della concorrenza con riferimento ai servizi pubblici locali di rilevanza economica viene in considerazione solo per quei profili di disciplina strettamente collegati e funzionali all'esigenza di definire condizioni concorrenziali uniformi nei vari settori economici. Invece, quando le Amministrazioni, nell'esercizio delle valutazioni discrezionali di competenza, decidono di gestire il servizio attraverso una propria longa manus (la societa' in house) non ricorrono le esigenze di tutela della concorrenza e quindi, per tale profilo, non esiste un titolo legittimante la competenza statale. In altri termini, la scelta in ordine alle modalita' di gestione del servizio pubblico locale e' da considerare una tipica scelta di organizzazione, «che in quanto organizzazione locale e non nazionale dei servizi non rientra nella competenza statale, ma in quella regionale ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost.». 6.1.1.1. - Ne deriva, per la ricorrente, l'illegittimita' costituzionale dei commi censurati, in riferimento all'art. 117, secondo e quarto comma, Cost., perche' detti commi esprimono una prevalenza della gestione esternalizzata dei servizi pubblici locali, in quanto intervengono nella materia dell'organizzazione della gestione di detti servizi, con una normativa di dettaglio, che non lascia margini all'autonomia del legislatore regionale, pur perseguendo finalita' che esulano da profili strettamente connessi alla tutela della concorrenza. 6.1.1.2. - Sempre per la ricorrente, i commi impugnati si pongono in contrasto anche con il diritto comunitario, in violazione dell'art. 117, primo, secondo e quarto comma, Cost. Infatti, nessuna disposizione comunitaria vigente limita il ricorso all'in house a casi eccezionali, in presenza di rigorose condizioni previste dalla legge e previo assolvimento di puntuali regole procedimentali, cosi' come invece previsto dalle disposizioni censurate. Al contrario - sostiene la ricorrente - l'ordinamento comunitario ammette espressamente la possibilita' di fornire i servizi pubblici con un'organizzazione propria, in alternativa all'affidamento ad imprese terze, con la conseguenza che le disposizioni censurate non trovano fondamento ne' nella riserva costituzionale alla legislazione statale esclusiva della materia tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), ne' nella disciplina comunitaria. A tali conclusioni non potrebbe opporsi che le disposizioni impugnate rientrano nella materia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lett. m, Cost.), in quanto hanno ad oggetto unicamente le forme di gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica e non le prestazioni che dette gestioni debbono assicurare agli utenti. Ne' del pari potrebbe opporsi che esse rientrano nella materia delle funzioni fondamentali di comuni, province e citta' metropolitane, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., in quanto «la gestione dei predetti servizi non puo' certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale». 6.1.2. - E' censurato, in secondo luogo - sempre in riferimento all'art. 117, primo, secondo e quarto comma Cost. - il comma 8 del novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il quale introduce un nuovo regime transitorio, valido per tutti i servizi, compreso quello idrico, con riferimento alle gestioni in essere. La Regione sostiene che anche detta disposizione non si limita a disciplinare, con norma di carattere generale, la materia della gestione dei servizi pubblici sotto lo specifico profilo della tutela della concorrenza e, in ogni caso, non rispetta i principi di adeguatezza e di proporzionalita' dell'intervento normativo da parte dello Stato in ragione delle finalita' pro-concorrenziali. Non appare, infatti, ragionevole l'aver stabilito una puntuale articolazione temporale della disciplina transitoria, valida indifferentemente per tutti le tipologie di servizi pubblici e riferita genericamente a tutte le diverse situazioni presenti sul territorio nazionale. Inoltre, anche attraverso la disciplina del periodo transitorio, viene ribadito il disfavore del legislatore statale per le gestioni in house, le quali, pur affidate conformemente ai principi dell'ordinamento comunitario, sono destinate a cessare improrogabilmente alla data del 31 dicembre 2011. In conclusione, ad avviso della Regione, il comma censurato si pone in contrasto con gli evocati parametri, perche': a) il legislatore statale, con la disciplina in esame, non ha limitato il proprio intervento agli aspetti piu' strettamente connessi alla tutela della concorrenza ed alla regolazione del mercato, ma e' intervenuto, con una norma di dettaglio, sottraendo alle Regioni la libera determinazione se ricorrere o meno al mercato ai fini della gestione del servizio pubblico; determinazione che rientra nell'ambito del buon andamento dell'organizzazione dei servizi pubblici, che spetta alle Regioni ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost.; b) la disposizione, nella parte in cui impone al 31 dicembre 2011 la cessazione di tutte le gestioni in house, viola l'art. 117 primo comma, Cost.; per il tramite del diritto comunitario, che invece consente la prosecuzione di tali gestioni; c) neppure con riferimento alla disciplina del periodo transitorio possono venire in rilievo le competenze legislative statali in materia di livelli essenziali delle prestazioni o di funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane, per le stesse ragioni gia' esposte in relazione alla questione avente ad oggetto i commi 2, 3 e 4 del menzionato art. 23-bis. 6.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni analoghe a quelle svolte in relazione al ricorso n. 6 del 2010 (supra: punto 5.2.). 6.3. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito quanto affermato nell'atto di costituzione, in particolare sostenendo che: a) il ricorso e' inammissibile, perche' la Regione non ha impugnato la previgente formulazione dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, ma solo quella successivamente introdotta dall'art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009, la quale e' meramente confermativa del principio di eccezionalita' della gestione in house gia' posto precedentemente; b) la disciplina censurata, la quale e' riconducibile alla materia della tutela della concorrenza, e' legittima, perche' la giurisprudenza comunitaria e nazionale ha sempre affermato che l'istituto dell'in house providing costituisce un'eccezione al principio di concorrenza e all'ordinaria osservanza delle procedure di evidenza pubblica. 7. - Con ricorso notificato il 22 gennaio 2010 e depositato il 27 gennaio successivo (r. ric. n. 12 del 2010), la Regione Liguria ha impugnato, in riferimento agli artt. 117, primo, secondo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119 Cost., i commi 2, 3, 4 e 8 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 - aggiunto dalla legge di conversione n. 133 del 2008 -, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009. 7.1. - La Regione premette che l'art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008 - i cui commi 1, 4, 5, 6 e 14 sono oggetto di impugnazione da parte dello Stato con il ricorso n. 2 del 2009 - ammette senza limitazioni la gestione in house dei servizi pubblici. Premette altresi' che l'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, che ha introdotto le disposizioni censurate, pur essendo intitolato «Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica», non cita mai atti comunitari, perche' non e', in realta', imposto da esigenze di adeguamento alla normativa comunitaria, ma e' frutto di una scelta «meramente statale volta ad imporre la procedura competitiva di affidamento del servizio come procedura ordinaria e l'affidamento in house come procedura eccezionale». Al contrario, - prosegue la ricorrente - il diritto comunitario, pur incentrato sulla tutela della concorrenza come metodo per garantire la pari opportunita' di accesso al mercato delle commesse pubbliche per tutti gli operatori europei, ammette pienamente il diritto di ogni amministrazione di erogare direttamente i servizi pubblici autoproducendoli corrispondentemente alla propria missione. Premette, infine, che l'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009 e' impugnabile anche nelle parti in cui e' confermativo dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, in base alla consolidata giurisprudenza costituzionale secondo la quale gli atti legislativi sono sempre impugnabili anche se apparentemente «confermativi», perche' dotati sempre, per propria natura intrinseca, del carattere della novita'. 7.1.1. - Sono censurati, in primo luogo, i commi 2, 3 e 4 del novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, i quali stabiliscono che di regola la gestione dei servizi pubblici locali debba essere affidata ad una societa' privata o mista tramite gara e ammettono la modalita' di affidamento del servizio in house solo in via eccezionale. 7.1.1.1. - La ricorrente osserva che tali disposizioni esprimono il disfavore del legislatore statale per la modalita' di gestione del servizio pubblico attraverso una societa' a totale partecipazione pubblica, ponendo pesanti limiti sostanziali e procedurali. Esse operano una drastica compressione dell'autonomia legislativa regionale in materia di servizi pubblici locali ed organizzazione degli enti locali (art. 117, quarto comma, Cost.), dato che le possibili scelte della Regione sulla forma di gestione del servizio vengono limitate a due possibilita', mentre la gestione diretta viene esclusa e quella tramite societa' in house limitata a casi eccezionali. Ad avviso della difesa regionale, le disposizioni censurate non rientrano nella competenza legislativa statale in materia di tutela della concorrenza, ma si limitano a negare «il diritto dell'ente territoriale responsabile di erogare in proprio il servizio pubblico a favore della propria comunita'»; diritto espressamente riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE, la quale afferma che un'autorita' pubblica, che sia un'amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilita' di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entita' esterne non appartenenti ai propri servizi. Ad avviso della Regione Liguria, le limitazioni poste dalle disposizioni censurate alla capacita' delle amministrazioni regionali e locali di gestire in proprio i servizi pubblici risultano costituzionalmente illegittime e lesive della potesta' legislativa regionale nella materia. E cio', perche' «un problema di tutela della concorrenza puo' iniziare solo dopo che e' stata presa la decisione di gestire il servizio attraverso il mercato, anziche' in proprio. Al contrario, la decisione di mantenere il servizio nell'ambito della propria organizzazione diretta, o della propria organizzazione in house, non restringe e non altera in alcun modo la concorrenza». In relazione ad altri eventuali titoli di competenza statale, la ricorrente osserva, innanzitutto, che «la disciplina in esame non appare riferibile alla competenza legislativa statale in tema di "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali" perche' riguarda precipuamente servizi di rilevanza economica e comunque non attiene alla determinazione di livelli essenziali». Rileva, poi, che, in base alla giurisprudenza costituzionale, l'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. non puo' essere invocato in relazione alle modalita' di affidamento dei servizi locali. In particolare, il fatto che nella sentenza della Corte costituzionale n. 307 del 2009, si legga che «le competenze comunali in ordine al servizio idrico sia per ragioni storico-normative sia per l'evidente essenzialita' di questo alla vita associata delle comunita' stabilite nei territori comunali devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali» confermerebbe che, data l'importanza del servizio idrico, lo Stato non puo' vietare all'ente di svolgerlo direttamente, costringendolo ad affidarlo a terzi. Con riferimento al censurato comma 4, la ricorrente aggiunge che la sua illegittimita' costituzionale consegue logicamente a quella dei precedenti commi 2 e 3. Detto comma, infatti, richiede uno speciale parere per l'adozione della gestione diretta del servizio mediante la propria organizzazione o in house; parere che «si puo' giustificare soltanto come forma di garanzia della "eccezionalita'" della gestione in house e della fondatezza delle specifiche ragioni della scelta, ma che [...] non ha piu' senso ne' ragionevolezza una volta che si riconosca il diritto dell'amministrazione di gestire in proprio il Servizio». In conclusione, le disposizioni dei commi 2, 3 e 4 impugnati sono, per la ricorrente, illegittime, perche', in violazione dell'art. 117, quarto comma, Cost., limitano la potesta' legislativa regionale di disciplinare il normale svolgimento del servizio pubblico da parte dell'ente, sottoponendo tale scelta a vincoli sia sostanziali (le «peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento») che procedurali (l'onere di trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato e alle autorita' di regolazione del settore). 7.1.1.2. - La ricorrente lamenta anche che le stesse disposizioni violano l'art. 118, primo e secondo comma, Cost., perche' - vietando lo svolgimento diretto del servizio idrico - vanificano «la norma che assegna, preferibilmente, le funzioni amministrative ai comuni (il servizio idrico virtualmente rimane di spettanza dei comuni ma in concreto viene assegnato ad altri soggetti; inoltre, la norma impugnata toglie ai comuni una parte essenziale della funzione, cioe' la possibilita' di scegliere la forma di gestione piu' adeguata)». Inoltre, svuotano il principio di sussidiarieta', perche' si pongono in contrasto con il principio secondo cui «i comuni "sono titolari di funzioni amministrative proprie" (il servizio idrico, essendo una funzione fondamentale, rientra tra le funzioni "proprie" di cui all'art. 118, comma 2)». La ricorrente sostiene di essere legittimata a far valere la lesione delle competenze amministrative degli enti locali anche indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale, perche' le competenze comunali sono strettamente connesse con la competenza legislativa regionale in materia di servizi pubblici e di organizzazione degli enti locali. 7.1.1.3. - La difesa regionale lamenta, poi, che i censurati commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis violano l'art. 117, primo comma, Cost., in quanto contrastano con la Carta europea dell'autonomia locale di cui alla legge 30 dicembre 1989, n. 439 (Ratifica ed esecuzione della convenzione europea relativa alla Carta europea dell'autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985). Sarebbero, in particolare, violate le seguenti disposizioni della Carta: a) l'art. 3, comma 1, secondo cui «per autonomia locale, s'intende il diritto e la capacita' effettiva, per le collettivita' locali, di regolamentare ed amministrare nell'ambito della legge, sotto la loro responsabilita', e a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici»; b) l'art. 4, comma 2, secondo cui «le collettivita' locali hanno, nell'ambito della legge, ogni piu' ampia facolta' di prendere iniziative proprie per qualsiasi questione che non esuli dalla loro competenza o sia assegnata ad un'altra autorita'»; c) l'art. 4, comma 4, secondo cui «le competenze affidate alle collettivita' locali devono di regola essere complete ed integrali». Ad avviso della ricorrente, una volta che si riconosca che il servizio idrico e' parte delle funzioni fondamentali dei Comuni, «sembra evidente che solo ad essi spetta la decisione sul migliore modo di organizzarlo. La loro autonomia potra' essere limitata sul versante del dimensionamento del servizio per assicurare una distribuzione efficiente, e dunque sulla eventuale necessita' di una gestione associativa della risorsa idrica, ma non si vede come possa risultare legittimo privarli o comunque configurare come eccezionale e soggetta a specifici aggravi procedimentali la scelta di assumere essi stessi la responsabilita' della gestione diretta del servizio». Ne' a tale assunto potrebbe opporsi - per la stessa ricorrente - che le norme impugnate non incidono sulla spettanza delle funzioni ma solo sulle forme di gestione. Infatti, «quando la disciplina delle forme di gestione arriva ad impedire la gestione diretta del servizio idrico, non si puo' negare un'incidenza sulla spettanza concreta della funzione». La ricorrente sostiene di essere legittimata a far valere la violazione della Carta europea dell'autonomia locale, «perche' la lesione delle competenze comunali e' strettamente connessa alla violazione della competenza legislativa regionale in materia di servizi pubblici e di organizzazione degli enti locali». 7.1.1.4. - In subordine, per il caso in cui «fosse ritenuta legittima l'imposizione di un regime "ordinario" di affidamento del servizio all'esterno e la limitazione a casi eccezionali di forme di gestione non concorrenziali», la Regione censura - in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera e), e quarto comma, Cost. - il comma 2, lettera b), del nuovo art. 23-bis, «nella parte in cui regola in dettaglio l'affidamento del servizio alla societa' mista, imponendo una partecipazione minima del 40% del socio privato e l'attribuzione al socio di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio». Lamenta la ricorrente che tale disposizione viola il criterio di proporzionalita' che deve guidare la tutela della concorrenza, invadendo il campo riservato alla potesta' legislativa regionale in materia di servizi pubblici. E cio', perche' detta disposizione pone ulteriori vincoli alla potesta' legislativa regionale, senza che essi risultino funzionali ad una maggiore promozione della concorrenza, della quale potrebbero persino risultare limitativi. Infatti - prosegue la difesa regionale - «sono gli stessi privati che potrebbero non avere interesse ad acquistare, un pacchetto di azioni significativo (almeno il 40%) e presumibilmente di notevole impegno economico (e che tuttavia non garantisce affatto il controllo sulla societa'), per avere in cambio [...] solo singoli e specifici compiti operativi e non l'intera gestione (a volte, unica condizione per poter rientrare degli investimenti fatti per "comprare" la qualifica di socio). E per altro verso, in senso contrario, in alcuni casi la situazione gestionale concretamente esistente potrebbe rendere preferibile in termini di efficienza una privatizzazione attraverso la selezione di un socio privato mero finanziatore, al quale non affidare alcun compito operativo». 7.1.1.5. - Sempre in via subordinata, «qualora fosse ritenuta legittima l'imposizione di un regime "ordinario" di affidamento del servizio all'esterno e la limitazione a casi eccezionali di forme di gestione non concorrenziali», la Regione censura - con implicito riferimento all'art. 117, quarto comma, Cost. - il comma 3 dell'art. 23-bis, nella parte in cui regola le forme di affidamento non competitive, perche' esso «invece di rinviare alle forme di gestione diretta previste dalla legislazione regionale o, in mancanza, scelte dagli enti locali, regola direttamente anche tale caso, imponendo la gestione in house ed escludendo la gestione in proprio da parte dell'ente locale o la gestione tramite azienda speciale». Appare infatti evidente - per la ricorrente - che, nel momento in cui non si attiva la procedura competitiva, e' escluso che lo Stato possa invocare la propria competenza in materia di tutela della concorrenza per disciplinare le forme di gestione non competitive, che ricadono, invece, nella competenza regionale piena in materia di servizi pubblici e di organizzazione degli enti locali. 7.1.2. - E' censurato, in secondo luogo - in riferimento agli artt. 117, primo e quarto comma, Cost. - il comma 8 del novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il quale regola il «regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito ai commi 2 e 3, prevedendo, in particolare: nella lettera a), le modalita' di cessazione delle gestioni in house in essere; nelle lettere b) e c), il regime transitorio delle gestioni affidate direttamente a societa' miste; nella lettera d), le modalita' di cessazione degli affidamenti diretti a societa' a partecipazione pubblica. 7.1.2.1. - La Regione lamenta, innanzitutto, che la disposizione viola l'art. 117, quarto comma, Cost., per ragioni analoghe a quelle fatte valere sub 7.1.1.1. Aggiunge la ricorrente che la privatizzazione prevista dalla norma censurata non e' riconducibile alla materia della tutela della concorrenza e «non ricade in specifiche competenze ne' della Comunita' europea, ne' dello Stato: ne', d'altronde, e' una vera materia, trattandosi invece di una modalita' di gestione di un bene, servizio o attivita'. Inoltre, trattandosi di un trasferimento ai privati di risorse costituite a spese della collettivita', e' un processo che va attentamente valutato in termini di benefici di ritorno alla collettivita' stessa. Essa, dunque, si giustifica soltanto la' dove l'ingresso del privato sia una garanzia di maggiore efficienza della gestione del bene privatizzato». Infatti - sempre secondo la difesa regionale - lo Stato puo' legiferare solo: «a) per assicurare la concorrenza la' dove l'ente competente decida di aprire il servizio ai privati; b) per assicurare i livelli essenziali delle prestazioni; c) ponendo norme di principio sul coordinamento finanziario, la' dove si tratti di limitare il costo dei servizi rispetto al bilancio pubblico». A fronte di cio', le norme sul superamento della gestione pubblica dei servizi sarebbero, in chiave meramente ideologica, «orientate a favorire un ingiustificabile processo di "svendita" (trattandosi di vendita obbligatoria e quindi fuori dalle condizioni di mercato) del patrimonio pubblico capitalizzato nel valore delle societa' pubbliche che hanno avuto in affidamento i servizi, senza alcuna valutazione delle conseguenze che questo processo avrebbe sulla qualita' dei servizi». 7.1.2.2. - La ricorrente lamenta, infine, che il censurato comma 8 dell'art. 23-bis viola, per le ragioni gia' esposte in relazione ai precedenti commi 2, 3 e 4: a) l'art. 117, primo comma, Cost., «per contrasto con la Carta europea dell'autonomia locale»; b) l'art. 117, secondo comma, Cost., «per erronea interpretazione dei confini dei poteri statali ivi previsti»; c) l'art. 117, quarto comma, Cost., «per violazione della potesta' legislativa regionale piena in materia di servizi locali e organizzazione degli enti locali»; d) l'art. 118, primo e secondo comma, Cost., «per violazione del principio di sussidiarieta' e della titolarita' comunale di funzioni proprie»; e) l'art. 119 Cost., sotto il profilo dell'autonomia finanziaria degli enti locali, perche' «impone ad essi di cedere rilevanti quote delle societa' da essi controllate»; f) in subordine, per il caso in cui «fosse ritenuta legittima l'imposizione di un regime "ordinario" di affidamento del servizio all'esterno e la limitazione a casi eccezionali di forme di gestione non concorrenziali», l'art. 117, secondo comma, lettera e), e quarto comma, Cost., perche' regola nel dettaglio le quantita', le modalita' e i tempi delle cessioni, per le ragioni gia' esposte sub 7.1.1.4. 7.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6 e n. 10 del 2010 (supra: punti 5.2. e 6.2.). 7.3. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, la Regione Liguria ha sostanzialmente ribadito quanto gia' sostenuto nel ricorso, aggiungendo che, contrariamente a quanto eccepito dalla difesa dello Stato: a) il ricorso non e' generico, perche' la ricorrente ha chiaramente individuato le competenze legislative che assume violate; b) il fatto che l'intervento legislativo censurato abbia carattere macroeconomico non rileva nel caso di specie, perche' rileverebbe solo se si trattasse di una legge di sostegno economico a determinati settori produttivi; c) il richiamo degli articoli 2458-2460 cod. civ. non e' pertinente, perche' tali norme si riferiscono a profili specifici del diritto societario che nulla hanno a che vedere con le disposizioni censurate. 7.4. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito quanto affermato nell'atto di costituzione, svolgendo, inoltre, considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione al ricorso n. 10 del 2010 (supra: punto 6.3.). 8. - Con ricorso notificato il 21 gennaio 2010 e depositato il 28 gennaio successivo (r. ric. n. 13 del 2010), la Regione Emilia-Romagna ha impugnato - in riferimento agli artt. 114, 117, primo, secondo, quarto e sesto comma, 118 e 119 Cost. - i commi 3, 4-bis, 8, 9 e 10 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 - aggiunto dalla legge di conversione n. 133 del 2008 -, nel testo modificato dall'art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009. 8.1. - La ricorrente premette che la privatizzazione prevista dalle disposizioni censurate non e' riconducibile alla materia della tutela della concorrenza e «non ricade in specifiche competenze ne' della Comunita' europea, ne' dello Stato». Si tratta invece di una modalita' di gestione di un bene, servizio o attivita', attraverso un trasferimento ai privati di risorse costituite a spese della collettivita', da valutarsi in termini di benefici di ritorno alla collettivita' stessa. Essa, dunque, si giustifica soltanto la' dove l'ingresso del privato sia una garanzia di maggiore efficienza della gestione del bene privatizzato. Infatti - sempre secondo la difesa regionale - lo Stato puo' legiferare solo: «a) per assicurare la concorrenza la' dove l'ente competente decida di aprire il servizio ai privati; b) per assicurare i livelli essenziali delle prestazioni; c) ponendo norme di principio sul coordinamento finanziario, la' dove si tratti di limitare il costo dei servizi rispetto al bilancio pubblico». A fronte di cio', le norme sul superamento della gestione pubblica dei servizi sarebbero meramente ideologiche, in quanto «orientate a favorire un ingiustificabile processo di "svendita" (trattandosi di vendita obbligatoria e quindi fuori dalle condizioni di mercato) del patrimonio pubblico capitalizzato nel valore delle societa' pubbliche che hanno avuto in affidamento i servizi, senza alcuna valutazione delle conseguenze che questo processo avrebbe sulla qualita' dei servizi». Ad avviso della ricorrente, e' evidente il suo interesse ad impugnare tali disposizioni: «a) su un piano generale onde opporre ad una visione ideologica, priva di qualsiasi riscontro oggettivo, una diversa interpretazione degli interessi della propria comunita'; b) sul piano piu' direttamente giuridico, al fine di poter esplicare la propria competenza legislativa in materia di servizi pubblici, che e' lo strumento con cui la Costituzione garantisce la sua autonomia politica». La ricorrente procede poi ad analizzare i precedenti giurisprudenziali costituzionali in tema di servizi pubblici locali, traendone i seguenti principi: a) l'intervento legislativo statale in una materia come quella dei servizi pubblici locali, non espressamente prevista nell'art. 117 Cost., si giustifica solo alla luce della competenza esclusiva che lo Stato ha in materia di «tutela della concorrenza», la quale, stante la sua trasversalita', puo' abbracciare qualsiasi attivita' economica (sentenza n. 272 del 2004); b) tuttavia, l'ambito di operativita' della competenza in materia di «tutela della concorrenza» e' definito anche attraverso il rispetto del principio di proporzionalita' e adeguatezza, nel senso che l'intervento legislativo statale non puo' essere talmente dettagliato da escludere qualsiasi possibilita' di regolazione da parte della Regione (sentenza n. 272 del 2004); c) sono costituzionalmente illegittime sia le disposizioni statali dirette a disciplinare i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, sia le disposizioni dirette a disciplinare aspetti dei servizi pubblici locali di rilievo economico, ma con esasperato taglio applicativo e di dettaglio (sentenza n. 272 del 2004); d) la disciplina statale sulle modalita' di affidamento dei servizi pubblici a rilevanza economica e' costituzionalmente legittima, in quanto riconducibile alla materia della tutela della concorrenza (sentenza n. 307 del 2009); e) le competenze comunali in ordine al servizio idrico, sia per ragioni storico-normative, sia per l'evidente essenzialita' di questo per la vita associata delle comunita' stabilite nei territori comunali, devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali, la cui disciplina e' stata affidata alla competenza esclusiva dello Stato dal novellato art. 117 Cost.; cio' non toglie, ovviamente, che la competenza in materia di servizi pubblici locali resti una competenza regionale, la quale risulta in un certo senso limitata dalla competenza statale suddetta, ma puo' continuare ad essere esercitata negli altri settori, nonche' in quello dei servizi fondamentali, purche' non sia in contrasto con quanto stabilito dalle leggi statali (sentenza n. 307 del 2009). 8.1.1. - E' censurato, in primo luogo - in riferimento agli artt. 114, 117, primo, secondo e quarto comma, e 118 Cost. - il comma 3 del novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il quale ammette la modalita' di affidamento del servizio direttamente a societa' in house solo in via eccezionale. La ricorrente prospetta questioni analoghe a quelle prospettate dalla Regione Liguria nel ricorso n. 13 del 2010 in relazione alla stessa disposizione (supra: punti 7.1.1.1. e 7.1.1.2). Con particolare riferimento al parametro dell'art. 114 Cost., la ricorrente precisa che la norma impugnata viola l'autonomia organizzativa degli enti locali, quanto al miglior soddisfacimento dei servizi di propria titolarita'. 8.1.2. - E' censurato, in secondo luogo - in riferimento all'art. 117, sesto comma, Cost. - il comma 4-bis del novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il quale affida al regolamento governativo di cui al successivo comma 10 il compito di individuare una soglia oltre la quale l'affidamento di un servizio pubblico locale in forma derogatoria (ossia a societa' in house), per assenza in concreto di un mercato di riferimento, deve essere assoggettato alla funzione consultiva e di verifica svolta dall'Autorita' garante della concorrenza e del mercato. La Regione ritiene che le determinazioni relative a tale soglia non possano che essere assunte in sede regionale, entro limiti fissati direttamente dalla legge statale, trattandosi di determinare un livello di efficienza del servizio, che solo a livello regionale puo' essere concretamente e correttamente apprezzato. Lamenta, percio', che e' illegittimo spostare sulla fonte regolamentare parte di tale disciplina, in violazione dell'evocato art. 117, sesto comma, Cost., che consente al Governo di intervenire con fonti secondarie solo in materie di esclusiva competenza statale. Tale non sarebbe la fissazione della soglia in questione, perche' «non risponde ad alcuna logica affermare che la rilevanza o meno dell'affidamento dipenda da un valore economico». Osserva la stessa Regione che la soglia in questione «e' stata fissata, stando allo schema di regolamento approvato dal Consiglio dei Ministri in data 17 dicembre 2009, nel valore economico del servizio oggetto dell'affidamento superiore a 200.000,00 €, (mentre e' comunque richiesto il parere a prescindere dal valore economico del servizio qualora la popolazione interessata sia superiore a 50.000 abitanti)». Si tratta - prosegue la difesa regionale - di un limite che e' espressione di un apprezzamento ex ante del tutto forfettario che non e' collegato ad alcun livello di efficienza del servizio, «ne' appare uno strumento in grado di fissare la appropriatezza, la qualita', il controllo e il rispetto dei parametri della concorrenza e, quindi, il grado di concorrenzialita'». Sempre secondo la ricorrente, la conseguenza negativa di tale disciplina consiste nel fatto che «gli enti locali, accertata in concreto l'assenza di un mercato di riferimento, se riusciranno a contenere l'affidamento al di sotto della soglia regolamentare, potranno tranquillamente evitare la gara e gestire in house il servizio, senza che nessuna autorita' tecnica possa valutare la sussistenza dei requisiti legittimanti la deroga». 8.1.3. - Sono censurati, in terzo luogo - «per violazione degli artt. 114, 118, 117, commi 1, 2 e 4, e 119 Cost., nonche' del principio di tutela dell'affidamento connesso alla responsabilita' regionale» - i commi 8 e 9 del novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, i quali disciplinano il regime transitorio per gli affidamenti in atto dei servizi pubblici locali di rilievo economico. 8.1.3.1. - In particolare, la ricorrente sostiene che il censurato comma 8 e' solo apparentemente una norma a favore della concorrenza, perche' «in realta' essa introduce disposizioni piu' rigide della normativa comunitaria di cui si afferma l'attuazione», incidendo pregiudizialmente nell'ambito degli investimenti, rispetto al quale la Regione ha sempre avuto un ruolo fondamentale. Al di la' della violazione del principio di uguaglianza e di liberta' di iniziativa economica - che riguarda piu' propriamente gli operatori economici che hanno fatto affidamento su una certa durata della gestione del servizio affidato - cio' che rileva in questa sede per la Regione ricorrente e' la circostanza che tale disposizione incide sull'assetto del sistema regionale degli affidamenti, ledendo il ruolo della Regione, anche di tipo legislativo, nel definire la durata degli affidamenti medesimi. Vi sarebbe, quindi, una lesione della disciplina legislativa legittimamente stabilita dalla Regione in base ai suoi livelli di competenza (violazione dell'art. 117, quarto comma, Cost.) e della responsabilita' della Regione nei confronti del variegato panorama delle societa' pubbliche o semi pubbliche affidatarie dei servizi pubblici, che a tale assetto si sono correttamente attenute. 8.1.3.2. - Per la ricorrente, la disposizione viola inoltre l'art.117, primo comma, Cost., perche' «nel diritto comunitario il modello organizzativo dell'autoproduzione dei servizi attraverso affidamenti in house e' stato ritenuto in linea con i principi del Trattato, tra cui, come noto, vi e' quello della tutela e promozione della concorrenza». La Regione svolge sul punto argomentazioni analoghe a quelle svolte nel ricorso n. 12 del 2010 e sopra riportate ai punti: 7.1.1.4., 7.1.1.5. e 7.1.2.1. 8.1.3.3. - La Regione lamenta, poi, che il comma 8 impugnato contrasta con «il principio di pluralismo paritario istituzionale, in violazione degli artt. 114 e 118 Cost». e cio', perche' la nuova disciplina sarebbe cosi' rigida da annullare qualsiasi autonomia esercitabile in materia. Sarebbe percio' violato il principio fondamentale di sussidiarieta', «che richiede [...] una valutazione in concreto della situazione locale (che puo' enormemente variare da un ambito ottimale all'altro), anche per verificare le specifiche condizioni di mercato in cui si svolge il servizio e in cui si "privatizza" il patrimonio pubblico». 8.1.3.4. - Si lamenta, ancora, che il censurato comma 8 contrasta con l'art. 119, sesto comma, Cost., secondo cui «i Comuni, le Province le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato». Per la ricorrente, le ragioni del dedotto contrasto stanno nel fatto che le disposizioni censurate impongono «alle Amministrazioni pubbliche di liberarsi di una quota del proprio patrimonio societario a prescindere dalla convenienza economica dell'operazione, e quindi dalla considerazione in concreto del tempo, delle modalita', della quantita', valutazioni indispensabili ad evitare che si produca una svendita coatta di capitali pubblici». Per come e' strutturata la norma - prosegue la difesa regionale - «non c'e' alcuna possibilita' di realizzare un ritorno economico che equilibri il depauperamento, obbligato per legge, del patrimonio della collettivita', e si determina un indebolimento finanziario della governance pubblica senza adeguata giustificazione e idonee contromisure, con evidente violazione della norma costituzionale sull'autonomia finanziaria di Regioni e Comuni che, per tali finalita' costituzionalmente riconosciute, ha espressamente ad essi attribuito un proprio patrimonio, il quale non puo' essere inciso per finalita' contrastanti con la sua stessa conservazione ed ottimale gestione». 8.1.3.5. - Quanto al comma 9 dell'art. 23-bis - il quale stabilisce che le societa' che, in Italia o all'estero, gestiscono servizi pubblici locali in virtu' di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 2, lettera b), nonche' i soggetti cui e' affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall'attivita' di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori - la Regione sostiene che esso contrasta: a) con l'art. 117, primo comma, Cost., perche' il diritto comunitario prevede che le societa' in house sia tenuta a svolgere a favore degli enti di riferimento solo l'attivita' prevalente, ben potendo destinare l'attivita' residua anche al mercato, mentre «la norma in questione trasforma il concetto di "prevalenza" dell'attivita' in "attivita' esclusiva"»; b) con l'art. 117, quarto comma, Cost., perche' reca interventi irragionevoli e non proporzionali agli scopi di tutela della concorrenza prefissati. In particolare, quanto a quest'ultima questione, la ricorrente lamenta che e' irragionevole estendere le conseguenze limitative degli affidamenti diretti anche alle societa' miste costituite ai sensi del comma 2, lettera b), dell'art. 23-bis, considerato che, per volonta' dello stesso legislatore, tale modello di gestione e' stato equiparato a quello dell'esternalizzazione, nella comune categoria delle formule ordinarie di organizzazione dei servizi pubblici locali di rilievo economico. Non vi sarebbe, poi, ragionevole motivo «nella scelta legislativa di escludere da tale regime limitativo, invece, le societa' quotate e di prevedere una specie di moratoria con riferimento alla partecipazione alle cc.dd. prime gare». Un ulteriore elemento di irragionevolezza starebbe nel fatto che la disposizione non riguarda solo il gestore del servizio, «ma anche i soggetti societari ad esso collegati e da esso controllati, i quali conservano in ogni caso una loro autonomia soggettiva e ben potrebbero operare in altri mercati». Conclude la ricorrente che «obiettivamente la portata della disposizione appare un po' eccessiva e non proporzionata alla tutela della concorrenza: primo, perche', un vincolo di azione ad una societa' non e' di per se stesso elemento atto a garantire la concorrenza; secondo, perche' vale solo per le imprese pubbliche o semi-pubbliche, ma non per quelle private, ben potendosi verificare in concreto affidamenti di servizi a privati non preceduti da gara (come dimostra l'esperienza, giustificabili per ragioni di emergenza, ad esempio, nel campo dei servizi ambientali)». 8.1.4. - La Regione censura, in quarto luogo, il comma 10 dell'art 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, per violazione dell'art. 117, secondo e quarto comma, Cost., sotto il profilo della mancanza in capo allo Stato di un titolo di competenza in materia, per motivi analoghi a quelli gia' espressi dalla stessa Regione nel ricorso n. 69 del 2008 avverso la previgente formulazione della disposizione. 8.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate inammissibili e, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6, n. 10 e n. 12 del 2010 (supra: punti 5.2., 6.2., 7.2.). 8.3. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, la Regione Emilia-Romagna ha sostanzialmente ribadito quanto gia' sostenuto nel ricorso, insistendo nelle conclusioni gia' rassegnate. 8.4. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito quanto affermato nell'atto di costituzione, svolgendo, inoltre, considerazione analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 10 e n. 12 del 2010 (supra: punti 6.3. e 7.4.). 9. - Con ricorso notificato il 21 gennaio 2010 e depositato il 28 gennaio successivo (r. ric. n. 14 del 2010), la Regione Umbria ha impugnato, in riferimento agli artt. 117, primo, secondo, e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119 Cost., i commi 2, 3, 4 e 8 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 - aggiunto dalla legge di conversione n. 133 del 2008 -, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009. 9.1. - La Regione − premesso che l' art. 8 della legge reg. 5 dicembre 1997, n. 43 (Norme in attuazione della legge 5 gennaio 1994, n. 36, recante disposizioni in materia di risorse idriche) consente, contrariamente alla normativa censurata, la gestione in house dei servizi pubblici − pone questioni analoghe a quelle poste dalla Regione Liguria con il ricorso n. 12 del 2010 (supra: punto 7. e seguenti). 9.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate inammissibili e, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6, n. 10, n. 12 e n. 13 del 2010 (supra: punti 5.2., 6.2., 7.2. e 8.2.). 9.3. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, la Regione Umbria ha sostanzialmente ribadito quanto gia' sostenuto nel ricorso, aggiungendo considerazioni analoghe a quelle svolte dalla Regione Liguria nella memoria depositata in prossimita' dell'udienza nel giudizio r. ric. n. 12 del 2010 (supra: punto 7.3.). 9.4. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito quanto affermato nell'atto di costituzione, svolgendo, inoltre, considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 10, n. 12 e n. 13 del 2010 (supra: punti 6.3., 7.4. e 8.4.). 10. - Con ricorso notificato il 22 gennaio 2010 e depositato il 29 gennaio successivo (r. ric. n. 15 del 2010), la Regione Marche ha impugnato, in riferimento agli artt. 117, primo, quarto e sesto comma, e 119, sesto comma, Cost., i commi 2, 3, 4 e 8 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009, nonche' il comma 1-ter dell'art. 15 dello stesso d.l. n. 135 del 2009, nella parte in cui tali disposizioni si applicano al servizio idrico integrato. 10.1. - La Regione osserva preliminarmente che il servizio idrico integrato e' disciplinato sia da disposizioni gia' presenti nel previgente testo dell'art. 23-bis, sia da disposizioni introdotte in tale articolo dall'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009. Quanto alle prime, fa riferimento: a) all'art. 23-bis, comma 10, lettera d), ai sensi del quale il Governo era incaricato di adottare uno o piu' regolamenti di delegificazione al fine di «armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonche' in materia di acqua»; b) all'art. 23-bis, comma 10, lett. e) − disposizione, quest'ultima, non piu' vigente − in forza del quale, sempre mediante regolamento governativo, si doveva procedere a «disciplinare, per i settori diversi da quello idrico, fermo restando il limite massimo stabilito dall'ordinamento di ciascun settore per la cessazione degli affidamenti effettuati con procedure diverse dall'evidenza pubblica o da quella di cui al comma 3, la fase transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle gestioni in essere alle disposizioni di cui al presente articolo, prevedendo tempi differenziati e che gli affidamenti diretti in essere debbano cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo». Quanto alle seconde, la ricorrente richiama, in particolare, il censurato comma 1-ter dell'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, il quale prevede che «Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui all'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualita' e prezzo del servizio, in conformita' a quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto alla universalita' ed accessibilita' del servizio». 10.1.1. - Sono censurati, in primo luogo, i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e l'art. 15, comma 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, per violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost., il quale attribuisce agli enti locali territoriali la potesta' regolamentare «in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite». La ricorrente - rilevato che, secondo la disciplina impugnata, i servizi pubblici locali che abbiano rilevanza economica possono essere affidati in house solo in ipotesi eccezionali - lamenta che il comma 1-ter dell'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009 stabilisce obbligatoriamente che per la gestione del servizio idrico integrato sia scelta una delle forme di affidamento di cui al nuovo art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008. Secondo la ricorrente, la legge statale non puo' imporre, in via generale e astratta, ed in modo del tutto inderogabile, la configurazione del servizio idrico integrato quale «servizio pubblico locale avente rilevanza economica», con il conseguente obbligo per gli enti titolari della funzione di conformare scopi, obiettivi e missioni del servizio in questione al perseguimento della rimunerativita' del capitale investito o comunque della redditivita' per il soggetto gestore, escludendo la possibilita' di qualificare il servizio come «servizio pubblico locale non avente rilevanza economica». La stessa ricorrente si sofferma, poi, sul problema della qualificazione di un servizio pubblico locale come «avente rilevanza economica», ovvero come «non avente rilevanza economica». A tale proposito - sempre per la Regione - va premesso che, come hanno evidenziato con ampiezza di argomentazioni sia la dottrina che la giurisprudenza amministrativa, la nozione di «servizio a rilevanza economica» non puo' essere intesa quale nozione volta a tracciare una volta per tutte una linea discretiva tra diversi tipi di attivita', alla luce di una supposta «natura ontologica» della medesima. E cio', perche' la distinzione e' soltanto una «conseguenza del modello gestionale scelto dall'amministrazione per la sua organizzazione». La nozione di «attivita' economica» dovrebbe essere ricostruita alla luce dell'art. 2082 cod. civ., ai sensi del quale «e' imprenditore chi esercita professionalmente un'attivita' economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi», con la conseguenza che il carattere dell'economicita' e' riferibile solo a quelle attivita' in grado di essere condotte in modo da produrre degli utili e in ultima analisi l'autosufficienza nel mercato, mentre la rilevanza economica andrebbe esclusa per quei servizi per i quali l'amministrazione intende assicurare la copertura dei costi ricorrendo alla fiscalita' generale ovvero applicando prezzi politici. Tale sarebbe anche l'orientamento della giurisprudenza amministrativa − secondo cui debbono considerarsi privi di rilevanza economica i servizi caratterizzati «dall'assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, dalla mancanza di assunzione del rischio economico connesso alla specifica attivita', nonche' dalla presenza di eventuali finanziamenti pubblici» − e della giurisprudenza costituzionale, secondo cui i servizi pubblici locali sono dotati, o, al contrario, privi di rilevanza economica, «in relazione al soggetto erogatore, ai caratteri ed alle modalita' della prestazione, ai destinatari» (sentenza n. 272 del 2004). In conclusione, per la difesa regionale, la qualificazione di un servizio pubblico come servizio dotato o non dotato di rilevanza economica non deriva dai caratteri «naturali», intrinseci al singolo servizio; si tratta, invece, di una mera conseguenza della valutazione schiettamente politica che l'organo o ente titolare del servizio ha effettuato sulle modalita' con le quali esso debba essere organizzato e gestito. Alla rilevanza economica del servizio - prosegue la Regione - consegue, nell'ambito dell'ordinamento costituzionale italiano, la soggezione alle regole poste dallo Stato in funzione della «tutela della concorrenza», ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., sempreche' esse siano state legittimamente dettate, nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalita' in relazione ai fini pro concorrenziali concretamente perseguiti. In tale quadro, il censurato comma 1-ter dell'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009 rende obbligatoria - come visto - la qualificazione del servizio idrico integrato come servizio «avente rilevanza economica» e, conseguentemente, il suo affidamento mediante le forme previste dal vigente testo dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e, cosi' facendo, viola l'evocato art. 117, sesto comma, Cost., in base al quale tale qualificazione dovrebbe spettare alla potesta' regolamentare degli enti locali e non al legislatore statale. Il regime giuridico di tale potesta' sarebbe stato chiarito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 246 del 2006, secondo cui, «se il legislatore regionale nell'ambito delle proprie materie legislative dispone discrezionalmente delle attribuzioni di funzioni amministrative agli enti locali, ulteriori rispetto alle loro funzioni fondamentali, anche in considerazione dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza di cui al primo comma dell'art. 118 della Costituzione», tuttavia «non puo' contestualmente pretendere di affidare ad un organo della Regione − neppure in via suppletiva − la potesta' regolamentare propria dei Comuni o delle Province in riferimento a quanto attribuito loro dalla legge regionale medesima». Secondo la ricorrente, tale orientamento deve essere inteso nel senso che il legislatore puo', nell'esercizio della propria discrezionalita' legislativa, determinarsi circa l'attribuzione o meno agli enti locali di una determinata funzione amministrativa; ma, una volta che si sia determinato nel senso dell'affidamento ad uno di questi enti della funzione in considerazione, sorge a beneficio della potesta' regolamentare dell'ente locale un ambito intangibile e incomprimibile - concernente la disciplina degli aspetti organizzativi e delle modalita' di svolgimento della funzione - opponibile anche alla stessa fonte legislativa. Nel caso di specie, la normativa vigente affida la cura del servizio idrico integrato a quella particolare «struttura dotata di personalita' giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione» che e' l'Autorita' d'ambito, «alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale e' trasferito l'esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche» (art. 148, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006). Ne consegue, per la difesa regionale, che «quell'area incomprimibile di formazione regolamentare concernente il servizio idrico integrato non possa che essere ricondotta alla titolarita' congiunta degli enti locali che obbligatoriamente fanno parte dell'Autorita' d'ambito e come la suddetta area incomprimibile di potesta' normativa ricomprenda precisamente la decisione circa la conformazione del servizio quale dotato ovvero non dotato di rilevanza economica». Tale essendo il quadro complessivo delle competenze, la materia dei servizi pubblici locali rientrerebbe nell'ambito della potesta' legislativa residuale affidata alle Regioni dall'art. 117, quarto comma, Cost., con due limiti: il primo, rappresentato dalla potesta' legislativa statale nell'ambito della materia di competenza esclusiva della tutela della concorrenza; il secondo, rappresentato dall'impossibilita' di violare la riserva che questa disposizione pone a beneficio della potesta' regolamentare degli enti locali, cui e' congiuntamente affidato il servizio per il tramite dell'Autorita' d'ambito, in riferimento al suo svolgimento e alla sua organizzazione. Ad avviso della ricorrente, si deve, inoltre, escludere la possibilita' che le disposizioni legislative impugnate siano riconducibili alla competenza statale concernente le «funzioni fondamentali» di Comuni, Province e Citta' metropolitane, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. E cio', per le seguenti ragioni: a) le funzioni fondamentali non sono quelle amministrativo-gestionali in senso proprio, consistenti nella concreta cura di interessi, ma solo quelle in cui si esprimono la potesta' statutaria, la potesta' regolamentare e la potesta' amministrativa a carattere ordinamentale, concernente le funzioni essenziali che attengono alla vita stessa e al governo dell'ente; b) secondo il principio di differenziazione, di cui all'art. 118 Cost., la valutazione di adeguatezza rispetto allo svolgimento della funzione che sorregge il principio di sussidiarieta' deve tener conto delle differenze concrete che sussistono tra enti della medesima categoria, con la conseguenza che, nella allocazione delle funzioni amministrative, «la legge regionale o statale, competente per materia, dovrebbe compiere una valutazione di adeguatezza-inadeguatezza differente per enti con caratteristiche differenti pur se del medesimo tipo, ad esempio, ritenendo adeguati allo svolgimento della funzione i Comuni con piu' di x abitanti, ed inadeguati i Comuni con x o meno di x abitanti»; c) il principio di differenziazione altro non e' che una particolare declinazione del principio di uguaglianza; d) lo Stato e' comunque dotato della competenza ad individuare i «livelli essenziali delle prestazioni», e inoltre avrebbe a disposizione, in ogni caso, lo strumento del potere sostitutivo straordinario ex art. 120, secondo comma, Cost., per garantire l'effettivita' di questi ultimi; e) la sentenza della Corte costituzionale n. 307 del 2009 - nella quale si legge che «le competenze comunali in ordine al servizio idrico [...] devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali» - precisa che l'evocazione del parametro di cui all'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., deve essere ritenuta «inconferente» rispetto a norme concernenti «le modalita' di affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica», le quali trovano il loro fondamento, invece, nell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e cio' in quanto «la regolamentazione di tali modalita' non riguarda un dato strutturale del servizio ne' profili funzionali degli enti locali ad esso interessati (come, invece, la precedente questione relativa alla separabilita' tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico), bensi' concerne l'assetto competitivo da dare al mercato di riferimento». La ricorrente prosegue osservando che gli aspetti del servizio idrico integrato rilevanti ai fini del riparto di competenze normative sono almeno tre: a) quello - di competenza dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. - connesso all'«assetto competitivo da dare al mercato di riferimento», ove il servizio idrico sia strutturato in modo tale da avere rilevanza economica; b) quello - nel sistema accolto dalla sentenza n. 307 del 2009, di competenza dello Stato, in forza dell'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. - inerente ai «profili funzionali degli enti locali ad esso interessati», tra i quali la «separabilita' tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico»; c) quello - assegnato dall'art. 117, sesto comma, Cost., alla potesta' regolamentare locale - concernente la strutturazione del servizio come avente o non avente rilevanza economica. La ricorrente propone, poi, un'interpretazione adeguatrice delle disposizioni censurate, nel senso che, ove il comma 1-ter dell'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009 si riferisce a «tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui all'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008», norma che a sua volta si riferisce ai servizi dotati di rilevanza economica, esso non impone affatto che il servizio idrico integrato debba per definizione intendersi dotato di rilevanza economica. Il comma 1-ter potrebbe cioe' interpretarsi nel senso che il servizio idrico integrato e' sottoposto alla disciplina dell'art. 23-bis solo nei casi in cui «gli enti competenti abbiano scelto di organizzarlo in modo da conferirvi rilevanza economica». A sostegno della percorribilita' di una simile opzione interpretativa, la Regione deduce un argomento fondato sull'evoluzione storica della disciplina, rilevando che, prima dell'entrata in vigore dell'art. 23-bis, la materia dell'affidamento della gestione del servizio idrico integrato era regolata dall'art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006 mediante rinvii recettizi all'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000. Da tali rinvii si poteva desumere che il legislatore imponesse alle Autorita' d'ambito territorialmente competenti la conformazione del servizio idrico integrato necessariamente come «servizio pubblico a rilevanza economica», perche' il citato art. 113 regolava l'affidamento di tale categoria di servizi. Proprio l'abrogazione del suddetto art. 113 ad opera dell'art. 23-bis citato avrebbe - a detta della ricorrente - fatto venire meno tale necessaria conformazione del servizio idrico. La ricorrente conclude l'illustrazione del primo motivo di ricorso rilevando, sul piano processuale, che: a) nel giudizio in via principale, sono ammissibili «questioni interpretative del tipo di quella qui proposta»; b) sono ammissibili censure «avverso una legge statale, che invochino quale parametro norme costituzionali poste a presidio di competenze degli enti locali», per la strettissima connessione tra competenze regionali e locali, che sussiste nel caso di specie, perche' «il riconoscimento agli enti locali della competenza, ex art. 117, sesto comma, Cost., a decidere circa la conformazione del servizio idrico integrato come servizio avente o non avente rilevanza economica determina rispettivamente il contrarsi o il riespandersi dell'ambito di applicazione delle norme regionali adottate in materia di servizi pubblici locali». 10.1.2. - Per il caso in cui la Corte costituzionale non volesse accogliere la ricostruzione del servizio idrico integrato come riconducibile alla potesta' regolamentare degli enti locali ex art. 117, sesto comma, Cost., la Regione sostiene che le norme censurate, «con particolare riferimento alla disciplina dei profili di configurazione strutturale del servizio idrico integrato», violano l'art. 117, quarto comma, Cost., il quale attribuisce alle Regioni la potesta' legislativa residuale nella materia dei servizi pubblici locali. La ricorrente richiama la giurisprudenza costituzionale che riconduce la disciplina dei servizi pubblici locali alla competenza legislativa esclusiva regionale e sottolinea che - come gia' osservato - «la qualificazione di un servizio come avente o non avente rilevanza economica dipende dalle caratteristiche che si intendano conferire al modo in cui esso e' organizzato e gestito», con la conseguenza di escludere titoli di competenza dello Stato in materia. In particolare, dalla citata sentenza della Corte costituzionale n. 307 del 2009, si desumerebbe che il «dato strutturale del servizio» ricade nella competenza legislativa regionale. 10.1.3. - La ricorrente censura, in terzo luogo, le stesse disposizioni, per violazione dell'art. 117, quarto comma, Cost., il quale attribuisce alle Regioni la potesta' legislativa residuale nella materia dei servizi pubblici locali. Sostiene la Regione che la disciplina statale non potrebbe trovare il suo titolo di legittimazione nell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., perche' la potesta' legislativa statale in materia di tutela della concorrenza «e' riferibile solo alle disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalita' di gestione e l'affidamento dei servizi pubblici locali di "rilevanza economica"» e «solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali»; con la conseguenza che non sono censurabili, in riferimento ai servizi pubblici aventi rilevanza economica, solo ed esclusivamente tutte quelle norme statali «che garantiscono, in forme adeguate e proporzionate, la piu' ampia liberta' di concorrenza nell'ambito di rapporti - come quelli relativi al regime delle gare o delle modalita' di gestione e conferimento dei servizi - i quali per la loro diretta incidenza sul mercato appaiono piu' meritevoli di essere preservati da pratiche anticoncorrenziali». Secondo la difesa regionale, per valutare se la normativa statale rispetti il principio di proporzionalita', e' necessario accertare se esista la possibilita' di una regolazione diversa e meno invasiva per l'autonomia regionale, la quale raggiunga i medesimi scopi di tutela della concorrenza perseguiti con la disciplina oggetto del giudizio. Nel caso di specie - prosegue la ricorrente - e' agevole rendersi conto che il parametro della proporzionalita' della disciplina non e' rispettato, perche' lo standard di tutela garantito dalla normativa censurata sarebbe ugualmente assicurato da una disciplina meno invasiva delle competenze regionali, che non contenga una specifica indicazione delle condizioni che giustificano l'affidamento in house. In particolare, la Regione osserva che la giurisprudenza comunitaria ha ritenuto non contrastante con il diritto comunitario, e con l'esigenza di tutelare la concorrenza, la disciplina nazionale italiana previgente rispetto a quella oggi in discussione, la quale non individuava specificamente le ipotesi in cui si doveva eccezionalmente ritenere ammissibile il ricorso all'affidamento in house. Ne consegue, secondo la Regione, che le norme impugnate violano il principio di proporzionalita' quale delineato dalla giurisprudenza costituzionale. Tale conclusione sarebbe avvalorata anche da un concorrente argomento, desumibile dal censurato comma 8 dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il quale prevede la cessazione «automatica» delle «gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari in materia di cosiddetta "in house"». Tale previsione - a detta della difesa regionale - mostrerebbe con chiarezza che il legislatore statale ha inteso escludere la legittimita' della scelta dell'in house providing in situazioni compatibili con la tutela della concorrenza, in quanto conformi al diritto comunitario. Sempre secondo la ricorrente, i parametri di «generalita'» e «proporzionalita'» sopra illustrati sono anche direttamente violati dal censurato comma 8 dell'art. 23-bis del d.lgs. n. 112 del 2008, per l'estremo dettaglio «nella indicazione dei tempi e delle modalita' di cessazione delle presenti gestioni pure conformi alla disciplina in house posta dal diritto comunitario» e perche', per raggiungere il fine di garantire effettivita' e tempestivita' all'entrata a regime della nuova normativa introdotta non era affatto necessario comprimere i poteri decisionali delle Regioni e degli enti locali. Ad avviso della ricorrente, «sarebbe risultata piu' che sufficiente, infatti, una normativa che prevedesse uno spettro di date entro il quale le singole Regioni potessero compiere le proprie scelte, ovvero un meccanismo di adeguamento progressivo ai nuovi standard». Tali considerazioni - ribadisce la Regione - varrebbero anche se la «Corte ritenesse di aderire all'interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni impugnate (nel senso che l'art. 15, comma 1-ter, lascerebbe del tutto impregiudicata la questione della conformazione del servizio idrico integrato quale servizio avente o non avente rilevanza economica)». Infatti, nel caso in cui si ritenesse di accogliere la suddetta interpretazione restrittiva della normativa impugnata, «le norme oggetto della presente questione di legittimita' costituzionale disciplinerebbero comunque nel dettaglio, e ben oltre i limiti che pone l'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., l'affidamento del servizio idrico integrato che fosse stato conformato − dalla potesta' regolamentare locale, ovvero dalla legislazione regionale − in modo tale da far assumere al medesimo rilevanza economica». 10.1.4. - La ricorrente censura, in terzo luogo, il comma 1-ter dell'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, per violazione dell'art. 119, sesto comma, Cost., il quale prevede che «i Comuni, le Province, le Citta' metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato». Quanto all'evocato parametro, la Regione osserva: «a) che la proprieta' pubblica regionale e locale ha uno specifico fondamento costituzionale e, pertanto, partecipa a pieno titolo alla definizione delle sfere di autonomia costituzionalmente garantita dei rispettivi enti, risultando "imposto" al legislatore statale l'obbligo di prevedere l'attribuzione a tali enti di un proprio patrimonio; b) che una volta avvenuta l'attribuzione del patrimonio alla proprieta' delle Regioni e degli enti locali territoriali, secondo i principi generali fissati dalla legge dello Stato, tale proprieta' pubblica deve considerarsi naturalmente assoggettata al regime giuridico del demanio e del patrimonio indisponibile o disponibile sulla base delle ordinarie norme del codice civile (in specie, degli artt. 823, 824, 826, 828 e 829); c) che al legislatore statale la Costituzione riconosce titoli di legittimazione per la sola disciplina dei "principi generali" per l'attribuzione di tali beni e per il relativo regime giuridico, riconducibile alla materia "ordinamento civile", nel quale e' senza dubbio ricompresa la regolazione dei limiti e delle modalita' di alienazione dei suddetti beni nelle forme negoziali, ma non certo il potere di disciplinare la sottrazione dei medesimi al patrimonio delle autonomie territoriali». In tale quadro si inscrive il regime proprietario delle risorse e delle infrastrutture idriche, disciplinato dagli artt. 143, 144 del d.lgs. n. 152 del 2006. Secondo tali disposizioni, le risorse idriche debbono considerarsi di proprieta' dello Stato e facenti parte del demanio statale necessario di cui al primo comma dell'art. 822 cod. civ., mentre le infrastrutture idriche possono essere di proprieta' pubblica di tutti gli enti territoriali e, qualora lo siano in concreto, appartengono al demanio eventuale dello Stato, delle Regioni o degli enti locali, ai sensi degli artt. 822, secondo comma, e 824, primo comma, cod. civ., risultando percio' assoggettati al regime giuridico stabilito dall'art. 823 anche per quanto concerne la loro tutela. La Regione osserva che a tali norme debbono poi essere aggiunte anche quelle contenute nell'art. 153, comma 1, e nell'art. 151, comma 2, lettera m), dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, le quali stabiliscono, rispettivamente, che «le infrastrutture idriche di proprieta' degli enti locali ai sensi dell'articolo 143 sono affidate in concessione d'uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare» (art. 153, comma 1) e che «l'obbligo di restituzione, alla scadenza dell'affidamento, delle opere, degli impianti e delle canalizzazioni del servizio idrico integrato in condizioni di efficienza ed in buono stato di conservazione» (art. 151, comma 2, lettera m). Lamenta la ricorrente che la norma censurata si limita a prevedere il «rispetto» del «principio» «di piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche», senza assicurare in alcun modo la salvaguardia, ne' sotto il profilo formale, ne' sotto il profilo sostanziale, della proprieta' pubblica delle «infrastrutture idriche», le quali ben possono essere di proprieta' delle Regioni e degli enti locali ed essere, per cio' stesso, assoggettate al regime del demanio regionale o locale. Formula, percio', «due distinte ed autonome questioni di legittimita' costituzionale». 10.1.4.1. − Da un primo punto di vista - sostiene la Regione - «e' del tutto evidente che la normativa impugnata, imponendo agli enti locali di conformare necessariamente il servizio idrico integrato come servizio a rilevanza economica e, su questa base, rendendone obbligatorio l'affidamento della relativa gestione (infrastrutture comprese) a soggetti privati, ponendo altresi' una clausola di salvaguardia a tutela della «piena ed esclusiva proprieta' pubblica» a favore delle sole risorse idriche appartenenti al demanio statale, determina il sostanziale "svuotamento" della proprieta' pubblica dei beni appartenenti al demanio idrico regionale e locale; beni che risulteranno, per espresso disposto del richiamato art. 153, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, necessariamente e ope legis "affidati in concessione d'uso gratuita" al gestore privato del servizio idrico integrato». Tale lettura del dato normativo troverebbe conferma nella menzionata clausola di salvaguardia della proprieta' pubblica delle risorse idriche che il legislatore statale ha avvertito la necessita' di introdurre e che, ovviamente, risulterebbe del tutto inutile qualora la disciplina impugnata non implicasse la sostanziale espropriazione a favore dei privati dei beni appartenenti al demanio idrico. 10.1.4.2. - La Regione sostiene, poi, che, anche a voler accedere a quell'interpretazione costituzionalmente orientata secondo la quale la disciplina in esame non imporrebbe affatto di conformare il servizio idrico integrato come servizio a rilevanza economica (con i relativi vincoli in ordine alle modalita' di gestione e al necessario affidamento a soggetti privati), la violazione della evocata norma costituzionale - posta a garanzia del patrimonio delle Regioni e degli enti locali territoriali - risulterebbe evidente per la mancata previsione di una specifica clausola di salvaguardia a favore della proprieta' pubblica delle infrastrutture idriche di cui le Regioni e gli enti locali siano in concreto titolari; clausola che, per essere effettiva e corrispondere alla norma costituzionale, non potrebbe limitarsi a fare salvo il solo profilo della titolarita' formale del bene, dovendo bensi' consistere nella previsione della necessita' del consenso esplicito, da parte dell'ente titolare della proprieta' delle infrastrutture interessate dal servizio idrico integrato, rispetto alla scelta concernente l'eventuale conformazione del servizio come servizio a rilevanza economica e il conseguente suo affidamento a soggetti privati. 10.1.5. - Sono censurati, in quarto luogo - in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost. - i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e l'art. 15, comma 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, nella parte in cui si riferiscono al servizio idrico integrato, perche' determinano «la violazione di quelle peculiari norme poste dal diritto comunitario in relazione ai servizi di interesse generale». La ricorrente evoca, quali parametri interposti, gli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (gia' artt. 16 e 86 del Trattato CE). Secondo la prima di queste due disposizioni, «fatti salvi l'articolo 4 del trattato sull'Unione europea e gli articoli 93, 106 e 107 del presente trattato, in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonche' del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l'Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono affinche' tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti». La seconda disposizione, al paragrafo 2, prevede che: «Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell'Unione». Ad avviso della Regione, da tali norme comunitarie risulterebbe che, «per perseguire gli obiettivi di coesione e solidarieta' sociali, fatti propri anche dall'Unione europea, il diritto di questo ordinamento esclude che ai servizi di interesse generale debbano senz'altro applicarsi le norme del mercato interno». E, anzi, nella materia considerata avrebbero predominanza gli obiettivi di coesione sociale sottostanti ai servizi di interesse generale: quali che siano le cause che impediscono al sistema concorrenziale di mercato di raggiungere in modo soddisfacente e generalizzato questi obiettivi, siano esse di diritto o di fatto, non devono essere applicate le norme del mercato interno a questi servizi. L'eccezionalita' del trattamento giuridico dei servizi di interesse generale e' confermata - per la ricorrente - dalla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni - Libro bianco sui servizi di interesse generale - COM (2004) 374. In questo documento, infatti, si evidenzia che «i servizi di interesse economico generale non sono soggetti alla applicazione delle norme del Trattato nella misura in cui cio' risulti necessario per consentire di adempiere il loro compito di interesse generale», il quale dunque «prevale [...] sull'applicazione delle norme del Trattato». Tra i servizi di interesse generale - prosegue la Regione - e' annoverabile anche il servizio idrico integrato, sia in base alla Risoluzione del Parlamento europeo del 15 marzo 2006, che dichiara l'acqua «bene comune dell'umanita'», sia in base al gia' citato Libro bianco della Commissione sui servizi di interesse generale, nel quale, al paragrafo 3.4., si menziona esplicitamente il servizio idrico tra i servizi di interesse generale. Le ragioni del dedotto contrasto delle norme censurate con l'evocato parametro risiederebbero, dunque, nel fatto che esse, «conformando il servizio idrico come servizio necessariamente a rilevanza economica, abbiano imposto la applicazione delle regole del mercato interno in via generale per tutto il territorio nazionale, prescindendo del tutto dalle diverse condizioni e circostanze che nelle diverse realta' possono ravvisarsi». Cio' che risulta precluso dal diritto comunitario, in definitiva, non e' la scelta di un determinato modello per la conformazione dei servizi di interesse generale, ma l'adozione di decisioni generalizzate che non siano in grado di tenere conto delle peculiarita' in cui i servizi devono essere svolti. Tale conclusione emergerebbe espressamente dal richiamato Libro bianco della Commissione europea sui servizi di interesse generale, ove, al par. 4.3, si afferma che «le autorita' pubbliche competenti degli Stati membri sono sostanzialmente libere di decidere se fornire in prima persona un servizio di interesse generale o se affidare tale compito ad un altro ente (pubblico o privato)», e dalla citata Risoluzione del Parlamento europeo del 15 marzo 2006, secondo cui la gestione delle risorse idriche deve basarsi «su un'impostazione partecipativa e integrata che coinvolga gli utenti e i responsabili decisionali nella definizione delle politiche in materia di acqua a livello locale e in modo democratico». La ricorrente osserva poi che la tendenza che matura nel contesto delle istituzioni comunitarie e' esattamente opposta rispetto all'indirizzo del legislatore italiano e richiama, a tale scopo, la Risoluzione dell'1l marzo 2004 del Parlamento europeo, la quale afferma che «essendo l'acqua un bene comune dell'umanita', la gestione delle risorse idriche non deve essere assoggettata alle norme del mercato interno». La questione di legittimita' costituzionale - conclude la difesa regionale - risulterebbe svuotata del suo significato ove questa Corte si risolvesse ad interpretare le disposizioni impugnate nel senso di ritenerle applicabili soltanto nel caso in cui sia stata compiuta l'opzione (affidata alla libera determinazione degli enti titolari dell'erogazione del servizio idrico integrato) a favore della conformazione del servizio come servizio a rilevanza economica, senza pregiudicare dunque tale scelta. 10.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6, n. 10, n. 12, n. 13 e n. 14 del 2010 (supra: punti 5.2., 6.2., 7.2., 8.2. e 9.2.). 10.3. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, la Regione Marche ha sostanzialmente ribadito quanto gia' dedotto nel ricorso e ha replicato ai rilievi della controparte. La ricorrente premette che la difesa statale prende in considerazione, tra le censure proposte, soltanto quelle concernenti la violazione della competenza legislativa regionale di cui al quarto comma dell'art. 117 Cost., in materia di servizi pubblici locali, nonche' la violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., delle quali si limita a sostenere l'inammissibilita', rilevando che la Regione lamenterebbe «genericamente l'illegittimita' costituzionale di leggi statali», nonche' «la contrarieta' delle stesse all'ordinamento comunitario», senza «indicare specificatamente la lesione di una competenza ad essa attribuita». A tali rilievi, la Regione replica di avere articolato dettagliati motivi di ricorso in relazione a tutte le censure proposte. Con riferimento alle singole questioni prospettate, la difesa regionale precisa che: a) «solo ed esclusivamente nei casi in cui l'attivita' di prestazione del servizio sia conformata dai poteri pubblici competenti in modo tale da creare la possibilita' di un utile - intendendo questa espressione nel modo piu' ampio possibile - si e' dinanzi ad un mercato concorrenziale», con la conseguenza che, «senza la possibilita' di una qualche remunerativita' o utilita' per chi si accolla lo svolgimento del servizio non e' possibile neanche immaginare in astratto l'esistenza di un mercato concorrenziale»; b) in relazione al servizio idrico, l'autorita' competente puo' facilmente individuare le motivazioni che giustifichino, nelle diverse situazioni di fatto, la conformazione del servizio come servizio senza rilevanza economica, da un lato, perche' si tratta di garantire un diritto fondamentale dell'uomo quale il diritto all'acqua e dunque di garantire a tutti la disponibilita' di un bene che non deve necessariamente essere assoggettato al regime di mercato, dall'altro, perche' va valutata, con riferimento alle specifiche situazioni territoriali e locali, l'eventuale assenza di imprese disponibili a offrire i servizi o comunque la necessita' di garantire il servizio a prezzi non in grado di remunerare un'attivita' svolta in forma imprenditoriale; c) deve essere escluso che la conformazione del servizio idrico integrato quale servizio avente o non avente rilevanza economica sia riconducibile alla competenza esclusiva della legge statale in virtu' dell'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., perche' l'art. 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica), convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al comma 27, dispone che siano «considerate funzioni fondamentali dei comuni le funzioni di cui all'articolo 21, comma 3, della legge 5 maggio 2009, n. 42», il quale a sua volta, alla lettera e), esclude da tali funzioni il servizio idrico integrato; d) nel diritto tedesco spetta alle municipalita' la scelta - tra numerosi modelli organizzativi possibili - del modo in cui il servizio idrico deve essere gestito; e) anche negli altri principali ordinamenti europei «la responsabilita' del servizio idrico - in particolar modo in relazione alla attivita' di distribuzione - e' affidata alle istituzioni esponenziali delle comunita' locali (Francia, Portogallo, Spagna, Svezia, Finlandia, Paesi Bassi, Belgio, Danimarca)», le quali non sono tenute a conformare il servizio idrico come un servizio a rilevanza economica. 10.4. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito quanto affermato nell'atto di costituzione, svolgendo, inoltre, considerazione analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi nn. 10, 12, 13 e 14 del 2010 (supra: punti 6.3., 7.4., 8.4. e 9.4.). 11. - Con ricorso notificato il 29 gennaio 2010 e depositato lo stesso giorno (r. ric. n. 16 del 2010), la Regione Piemonte ha impugnato - in riferimento agli artt. 5, 114, 117, primo, secondo, terzo, quarto e sesto comma, e 118, Cost., anche con riferimento agli artt. 3 e 97, Cost. - i commi 2, 3, 4 e 8 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 - nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009 - nonche' il comma 1-ter del citato art. 15. 11.1. - La ricorrente, premessa una sintetica ricostruzione del quadro normativo, formula diverse questioni. 11.1.1. - Sono censurati, in primo luogo - in riferimento agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, primo, secondo, quarto e sesto comma, e 118 Cost. - i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nonche' il comma 1-ter dell'art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009. 11.1.1.1. - Quanto alla dedotta violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., la Regione premette che non appare possibile «confondere il principio di concorrenza posto dal Trattato dell'Unione europea, che disciplina i comportamenti delle amministrazioni pubbliche una volta che abbiano deciso di rivolgersi al mercato delle imprese, con l'idea di prevalenza o preferenza per il mercato nell'organizzazione dei servizi pubblici indicata dalla disciplina statale in esame, nella quale l'in house providing e' configurata come un residuo negletto o un cattivo surrogato». Il parametro evocato sarebbe, percio', violato, perche' il diritto comunitario non consente che il legislatore nazionale spinga la tutela della concorrenza fino comprimere il «principio di liberta' degli individui o di autonomia - del pari costituzionale - degli enti territoriali (artt. 5, 117, 118, Cost.) di mantenere la capacita' di operare ogni qualvolta la scelta che ritengono piu' opportuna: cioe' se fruire dei vantaggi economici offerti dal mercato dei produttori oppure se procedere a modellare una propria struttura capace di diversamente configurare l'offerta delle prestazioni di servizio pubblico». In tal senso si e' espresso - prosegue la ricorrente - l'ordinamento comunitario, laddove «ha ritenuto in contrasto con la disciplina europea sulla concorrenza la legge nazionale sui lavori pubblici (allora legge 11 febbraio 1994, n. 109, art. 21) che aveva limitato la scelta tra i due criteri europei d'aggiudicazione degli appalti». L'attuazione del diritto comunitario non consentirebbe al legislatore interno di esprimere un autonomo indirizzo politico, perche' essa puo' comportare solo «l'adozione di norme esecutive (secundum legem)», con l'impossibilita' di spingersi sino a norme «integrative (praeter legem), tali cioe' da ampliare, senza derogarli, i contenuti normativi espressi attraverso la legislazione». Nel caso di specie, «nessuna delle disposizioni comunitarie vigenti infatti impone - come invece pretende l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. ai suoi commi secondo e terzo - agli Stati membri l'attribuzione ad imprese terze come forma ordinaria o preferenziale di affidamento dei servizi pubblici locali». 11.1.1.2. - Quanto al parametro dell'art. 117, quarto comma, Cost., esso sarebbe violato, perche' le norme impugnate recano una disciplina che non e' riconducibile alla materia della tutela della concorrenza, ma alla potesta' legislativa residuale delle Regioni. Con tali disposizioni, infatti, il legislatore statale «riconosce che entrambe le forme di gestione ed affidamento dei servizi pubblici (soggetto scelto con gara, organizzazione in house providing) sono conformi all'ordinamento europeo ed in particolare alla disciplina sulla concorrenza, ma con la norma nazionale giunge sino ad individuare come forma preferenziale "ordinaria" l'affidamento del servizio ad imprese terze, mentre relega la possibilita' dell'affidamento in house ai soli casi ivi espressi in via d'eccezione». Quanto ad altri eventuali titoli di competenza legislativa statale, la Regione rileva, innanzi tutto, che la disciplina del censurato art. 23-bis, cit. «e' in tutto o in parte sostitutiva dell'art. 113, d.lgs. n. 267 del 2000» e ha percio' per oggetto unicamente le forme di gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica, e non le prestazioni da assicurare agli utenti, con la conseguenza che non puo' essere richiamata la materia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; rileva, inoltre, che la disciplina censurata non e' riconducibile alla potesta' esclusiva statale in materia di funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane (art. 117, secondo comma, lettera p, Cost.), «giacche' la gestione dei predetti servizi non puo' certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale». In conclusione - sempre secondo la ricorrente - l'opzione tra le diverse modalita' di gestione del servizio pubblico «e' una tipica scelta d'organizzazione, in particolare di buon andamento del servizio pubblico (art. 97, primo comma, Cost.), che proprio in quanto organizzazione locale e non nazionale dei servizi oggetto della disciplina dell'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit., non puo' riconoscersi alla legislazione statale, ma spetta alla legislazione regionale ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. seppure nel rispetto di una eventuale specifica disciplina degli enti territoriali minori (art. 117, sesto comma, Cost.)». Alle Regioni spetta, inoltre «la legittimazione ad impugnare le leggi statali in via diretta non solo a tutela della propria legislazione ma anche con il riferimento alla prospettata lesione da parte della legge nazionale della potesta' normativa degli enti territoriali, con affermazione della regione come ente di tutela avanti alla Corte costituzionale del "sistema regionale delle autonomie territoriali" (art. 114, secondo comma, Cost.)». 11.1.2. - Sono censurati, in secondo luogo - in riferimento agli artt. 3, 97, 117, primo, secondo, terzo e quarto comma, e 118 Cost. - i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008. 11.1.2.1. - Quanto ai parametri degli artt. 3 e 97 Cost., la ricorrente rileva che essi sarebbero violati perche' la disciplina dell'affidamento del servizio pubblico locale contenuta nelle disposizioni censurate risulta lesiva della «competenza delle regioni e degli enti locali ove le s'intenda come disciplina ulteriore rispetto a quella generale sul procedimento amministrativo che da tempo prevede il dovere di motivazione degli atti amministrativi (art. 3, legge 7 agosto 1990, n. 241), secondo molti posto in attuazione del principio costituzionale di motivazione delle scelte della amministrazioni pubbliche quanto meno nella cura di pubblici interessi». Tale ulteriore disciplina, da intendersi come «deroga alla disciplina generale sul procedimento e la motivazione degli atti amministrativi» si porrebbe in violazione del principio di ragionevolezza, poiche' non e' ravvisabile nel caso in esame alcun interesse pubblico prevalente capace di fondare sia l'esenzione dal generale dovere di motivazione per l'affidamento ad imprese terze, sia la limitazione dei casi sui quali puo' essere portata la motivazione a fondamento di altre soluzioni organizzative. La denunciata invasione nella sfera di competenza regionale e degli enti territoriali minori e' addirittura enfatizzata - prosegue la Regione - dalla precisazione che le disposizioni impugnate «prevalgono» su tutte le «discipline di settore con esse incompatibili» e, in particolare, su quelle della Regione Piemonte relative al servizio idrico integrato (legge regionale 13 dicembre 1997, n. 13) e al sistema integrato di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani (legge regionale 24 ottobre 2002, n. 24), che non limitano la scelta tra le forme di gestione dei servizi compatibili con il diritto comunitario. La ricorrente non esclude, peraltro, che dell'art. 23-bis, commi 1 e 4, si possa dare «un'interpretazione adeguatrice capace di sorreggere una sentenza interpretativa di rigetto della questione di costituzionalita' proposta ove s'intenda che tali disposizioni non deroghino alla disciplina generale sul procedimento amministrativo, dovendo l'amministrazione motivare qualunque scelta della forma di gestione del servizio pubblico locale [...] secondo un'interpretazione che espunge dalle norme qualsiasi preferenza o prevalenza in astratto di una forma di gestione sull'altra». Anche seguendo tale percorso interpretativo, permarrebbe comunque - ad avviso della Regione - l'illegittimita' costituzionale parziale dell'art. 23-bis, commi 3 e 4, decreto-legge n. 112 del 2008, «per avere il legislatore statale invaso la sfera di competenza normativa della Regione Piemonte e degli enti territoriali piemontesi nella definizione dello svolgimento delle funzioni loro attribuite (art. 117, commi quarto e sesto, Cost.) poiche' una parte della norma prevede una disciplina particolare del procedimento di affidamento della gestione a soggetti diversi dagli operatori di mercato, tra cui l'in house providing». A tali considerazioni la difesa regionale aggiunge che i commi censurati contengono «norme di dettaglio cosi' puntuali che non sarebbero neppure compatibili con una competenza esclusiva dello Stato [...] e in violazione del principio di ragionevolezza (ex art. 3, secondo comma, Cost.) poiche' della legge impugnata non si comprendono le ragioni di una disciplina differenziata per l'ambito locale dei pubblici servizi». 11.1.2.2. - Quanto ai parametri «dell'art. 117, commi primo, secondo, terzo, quarto, Cost. con riferimento agli articoli 114, 117, sesto comma, e 118, commi primo e secondo, Cost.», la ricorrente rileva che essi sarebbero violati perche' le disposizioni impugnate ledono «l'autonomia costituzionale propria dell'intero sistema degli enti locali», limitando la «capacita' d'organizzazione e di autonoma definizione normativa dello svolgimento delle funzioni di affidamento dei servizi pubblici locali». Secondo la Regione, in particolare, la scelta delle forme di gestione ed affidamento del servizio pubblico deve informarsi a valutazioni di efficienza, efficacia ed economicita' «che ciascuna organizzazione pubblica non puo' che esprimere con riferimento ai proposti standard di qualita' che intende offrire agli utenti, involgendo percio' questioni di pura autorganizzazione degli enti territoriali». In particolare, la legislazione statale puo' legittimamente imporre una determinata forma di gestione di un servizio pubblico solo procedendo in via preliminare ad avocare allo Stato la competenza sull'organizzazione della gestione dei servizi sinora considerati locali. 11.1.2.3. - Quanto al parametro «dell'art. 117, secondo comma, Cost. con riferimento all'art. 3, Cost.», la ricorrente sostiene che la disciplina contenuta nei censurati commi 2, 3 e 4, anche ove fosse ritenuta di tutela della concorrenza, difetterebbe di proporzionalita' e adeguatezza. In particolare, la difesa regionale afferma che solo le disposizioni di legge statale a «carattere generale che disciplinano le modalita' di gestione e l'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica» trovano il proprio «titolo di legittimazione» nell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. («tutela della concorrenza») e «solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali». Tali considerazioni varrebbero, a maggior ragione, per le disposizioni in esame, perche' esse stabiliscono «una disciplina immediatamente autoapplicativa ove senz'altro pongono un criterio o principio di preferenza nell'attribuzione ad imprese terze dei servizi pubblici locali». 11.1.3. - La ricorrente censura, in terzo luogo, il comma 8 dell'art. 23-bis, il quale intacca, senza indennizzo alcuno, il patrimonio che gli enti locali hanno legittimamente realizzato o acquisito mediante l'affidamento in house della gestione di servizi pubblici locali, in conformita' sia all'ordinamento comunitario sia a quello interno. 11.1.3.1. - Lamenta la stessa ricorrente che la disposizione impugnata viola gli artt. 5, 114, 117, sesto comma, e 118, Cost., «in ragione di una generalizzata cessazione anticipata al 31 dicembre 2011 disposta ex lege per tutti gli affidamenti in house providing, anche di quelli effettuati dagli enti territoriali in conformita' all'ordinamento comunitario e italiano, con grave svalutazione dei valori di mercato dei corrispettivi di cessione delle partecipazioni a causa della simultanea attuazione su tutto il territorio nazionale dell'alienazione del 40% di un numero rilevante di societa' in mano agli enti locali, che − unitamente agli affidamenti illegittimi − per il solo servizio idrico integrato ammontano a circa n. 60 complessi aziendali, di cui alcuni con valorizzazioni patrimoniali di notevole consistenza (Torino, Milano, Bologna, le Regioni Puglia e Sardegna, ecc.)». L'irragionevolezza della norma sarebbe anche nel fatto di trattare in modo uguale fattispecie significativamente diverse e di non aver scaglionato nel tempo il ricorso al mercato. Oltre a cio', la disposizione irragionevolmente realizza una sanatoria ex lege di affidamenti illegittimi, «lesivi della concorrenza che la stessa legge qui impugnata proclama di voler riaffermare, anche di quelli piu' eclatanti in difetto di ogni evidenza pubblica, ivi compresi quelli gia' oggetto di una sentenza di annullamento non ancora passata in giudicato, persino ove sia stata incidentalmente contornata da una pronuncia in tal senso della Corte di Giustizia delle Comunita' Europee». Si tratterebbe cioe' di una norma che si pone in contraddizione con i primi commi dello stesso art. 23-bis, i quali realizzano un indirizzo politico ispirato alla "ultra concorrenzialita'". 11.1.3.2. - Per la Regione, la stessa disposizione viola altresi' gli artt. 5, 114, 117, secondo e sesto comma, 118, Cost., «anche con riferimento all'art. 3, Cost.», i quali garantiscono l'autonomia costituzionale della Regione Piemonte e degli enti locali, perche' - stabilendo la cessazione degli affidamenti rilasciati con procedure diverse dall'evidenza pubblica salvo quelli conformi ai vincoli ulteriori di istruttoria e motivazione previsti dalla nuova disciplina - «cancella d'un tratto la legittimita' [...] di tutte le gestioni di servizio pubblico in capo a societa' mista ove la gara per la scelta del socio privato - pure avvenuta con procedura conforme all'ordinamento europeo ed italiano - abbia avuto ad oggetto unicamente la partecipazione finanziaria, con acquisto di quote di capitale, eventualmente accompagnate da patti parasociali allegati ai bandi gara per l'individuazione di taluni amministratori in accordo con il socio pubblico, non importa ora se minoritario o prevalente». Cio' determina una lesione della competenza degli enti territoriali «sull'organizzazione degli stessi anche con riferimento ad enti strumentali [...] o a partecipazioni di minoranza». 11.2. - Con separata istanza, la Regione Piemonte ha richiesto la riunione del procedimento con quello introdotto con il ricorso n. 77 del 2008. 11.3. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate inammissibili e, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6, n. 10, n. 12, n. 13, n. 14 e n. 15 del 2010 (supra: punti 5.2., 6.2., 7.2., 8.2., 9.2. e 10.2.). 11.4. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza la Regione Piemonte ha sostanzialmente ribadito quanto gia' sostenuto nel ricorso, aggiungendo che, poiche' la definizione della questione di costituzionalita' dipende dall'interpretazione del diritto dell'Unione europea, appare possibile «ritenere che la Corte costituzionale - ove non accolga i motivi di ricorso [...] - debba proporre la seguente questione pregiudiziale avanti la Corte di giustizia [...]: "se sia conforme al diritto europeo - al principio di concorrenza ed al principio d'autonomia degli enti territoriali (art. 5 Trattato) - la norma dello Stato italiano che impone l'attribuzione a terzi come forma ordinaria e preferenziale d'affidamento dei servizi pubblici locali, e la norma che relega la rilevanza giuridica dell'in house providing ai soli casi d'eccezione tassativamente individuati dal legislatore statale stesso con una conseguente limitazione dei casi ammessi dalla giurisprudenza