comunitaria"». 
    11.5. - Con memoria depositata in  prossimita'  dell'udienza,  il
Presidente del Consiglio dei ministri ha  ribadito  quanto  affermato
nell'atto  di  costituzione,   svolgendo,   inoltre,   considerazione
analoghe a quelle svolte in relazione  al  ricorso  n.  77  del  2008
(supra: punto 3.4.). 
    12. - Con ricorso notificato il 20 marzo 2010 e depositato il  30
marzo successivo  (r.  ric.  n.  51  del  2010),  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha impugnato, tra l'altro, l'art. 1,  comma  1,
della  legge  della  Regione  Campania  21   gennaio   2010,   n.   2
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
della Regione Campania -  Legge  finanziaria  anno  2010),  il  quale
prevede che  «La  regione  Campania  disciplina  il  servizio  idrico
integrato regionale come servizio privo di rilevanza  economica.  Nel
rispetto dei  principi  di  sussidiarieta',  ragionevolezza  e  leale
collaborazione e in assenza di intese con lo  Stato  in  merito  alle
politiche  relative  alle  societa'   di   distribuzione   dell'acqua
potabile, le aziende operative nella regione Campania devono avere la
maggioranza  assoluta  dell'azionariato  a  partecipazione  pubblica.
Tutte le forme attualmente in essere di gestione del servizio  idrico
con societa' miste o interamente private decadono a  far  data  dalle
scadenze dei contratti di servizio in  essere.  I  proventi  ricavati
dalla  utilizzazione   del   demanio   idrico   sono   destinati   al
finanziamento degli interventi della risorsa  idrica  e  dell'assetto
idraulico ed idrogeologico sulla base delle linee  programmatiche  di
bacino.  Tali  proventi  sono   iscritti   dal   corrente   esercizio
finanziario all'Unita' previsionale  di  base  (UPB)  11.81.80  della
entrata e destinati al finanziamento delle spese  iscritte  alla  UPB
1.1.1. "Difesa Suolo" concernenti i lavori di manutenzione  ordinaria
e straordinaria del reticolo idrografico regionale». 
    12.1. - Il ricorrente sostiene che il servizio idrico  integrato,
al quale la disposizione in questione fa riferimento, e' disciplinato
da  norme  statali,  nell'esercizio  della   competenza   legislativa
esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, Cost., in vari  ambiti,
quali: funzioni fondamentali degli enti locali,  concorrenza,  tutela
dell'ambiente,   determinazione   dei   livelli   essenziali    delle
prestazioni. 
    In particolare, l'Avvocatura generale dello Stato sottolinea che,
nel disciplinare tale servizio, l'art. 141, comma 2,  del  d.lgs.  n.
152 del 2006 afferma chiaramente la sua rilevanza economica,  laddove
dispone che lo  stesso  «deve  essere  gestito  secondo  principi  di
efficienza, efficacia ed economicita'». Un ulteriore indice  di  tale
rilevanza potrebbe essere individuato nell'art. 154, comma  1,  dello
stesso d.lgs. n. 152 del 2006, che, nel disciplinare la  tariffa  del
servizio idrico integrato, la qualifica come «corrispettivo» in tutte
le quote che la compongono e  stabilisce  che  essa  e'  determinata,
tenendo conto, tra l'altro, «dell'adeguatezza della remunerazione del
capitale investito». La rilevanza  economica  del  servizio  sarebbe,
inoltre, confermata sia dall'art. 23-bis del d.l. n.  112  del  2008,
che,  nel  disciplinare  l'affidamento  e  la  gestione  dei  servizi
pubblici locali di rilevanza economica, precisa che detta  disciplina
si applica a tutti i servizi pubblici locali, sia dall'art.  113  del
d.lgs. n. 267 del 2000, che vi faceva  riferimento  nel  disciplinare
proprio la «gestione delle reti ed erogazione  dei  servizi  pubblici
locali di rilevanza economica». 
    12.1.1. - La difesa dello Stato lamenta, in primo luogo,  che  la
norma regionale censurata, disponendo che la  Regione  disciplina  il
servizio predetto «come servizio privo di  rilevanza  economica»,  si
pone in contrasto con tali disposizioni di legge e,  di  conseguenza,
con l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. 
    In particolare - per il ricorrente - al servizio idrico integrato
deve  comunque  attribuirsi  rilevanza  economica,  perche'  esso  si
sostanzia in attivita' suscettibili, in astratto  o  in  potenza,  di
essere  gestite  in  forma  remunerativa,  e  percio'   di   produrre
redditivita', e per le quali esiste  un  mercato  concorrenziale.  Ne
consegue che la disposizione censurata viola anche l'art. 117,  primo
comma, Cost., perche' si pone in contrasto con  i  vincoli  derivanti
dall'ordinamento  comunitario,  come  interpretato  dalla  Corte   di
giustizia UE. 
    Inoltre la  previsione  in  esame  sarebbe  comunque  inidonea  a
sottrarre la disciplina del servizio idrico integrato alla competenza
esclusiva del  legislatore  statale,  perche'  essa,  «nel  prevedere
l'affidamento  del  servizio   ad   aziende   con   azionariato   con
partecipazione   pubblica   a    maggioranza    assoluta,    postula,
evidentemente, l'esercizio dell'attivita' in  questione  nella  forma
della societa' commerciale e, comunque, anche la presenza di capitali
ed investitori privati, la cui partecipazione implica necessariamente
che, in concreto,  l'attivita'  in  questione  sia  svolta  in  forma
remunerativa». 
    12.1.2. - In secondo luogo, la difesa dello Stato lamenta che  il
secondo periodo del comma denunciato - prevedendo che «in merito alle
politiche  relative  alle  societa'   di   distribuzione   dell'acqua
potabile, le aziende operative nella regione Campania devono avere la
maggioranza assoluta dell'azionariato a  partecipazione  pubblica»  -
contrasta con l'art.  23-bis  del  decreto-legge  n.  112  del  2008,
perche' disciplina in modo del tutto difforme le forme giuridiche dei
soggetti cui affidare il servizio ed il termine  di  decadenza  degli
affidamenti in essere. 
    La norma censurata, infatti, porrebbe alle aziende che  intendano
«operare» nella Regione un vincolo di assetto proprietario  definito,
incidendo, in tal modo, sulle procedure di affidamento, poiche' vieta
alle  societa'  prive  della  maggioranza  assoluta  dell'azionariato
pubblico di ottenere l'affidamento del servizio. L'art. 23-bis, comma
2, del d.l. n. 112 del 2008 prevede, sul punto, che  il  conferimento
della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via  ordinaria
a societa' miste nelle quali al  socio  privato  sia  attribuita  una
partecipazione non inferiore al  40  per  cento,  postulando,  cosi',
anche la possibilita' «che la partecipazione privata  si  attesti  su
percentuali superiori, in  coerenza  con  obiettivi  di  mercato  pro
concorrenziali, nonche' con obiettivi di efficienza finalizzati anche
alla salvaguardia dell'ambiente, che  i  vincoli  posti  dalla  norma
regionale pregiudicano non poco». 
    12.1.3. - In terzo luogo, il  ricorrente  lamenta  che  il  terzo
periodo del denunciato comma 1 dell'art. 1 - nel disporre che  «tutte
le forme attualmente in essere di gestione del  servizio  idrico  con
societa' miste o  interamente  private  decadono  a  far  data  dalle
scadenze dei contratti di servizio in essere» - si pone in  contrasto
con il comma 8 dell'art. 23-bis,  che  prevede  una  piu'  complessa,
articolata e restrittiva disciplina del regime transitorio. 
    12.2. -  Si  e'  costituita  in  giudizio  la  Regione  Campania,
chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate infondate. 
    Ad  avviso  della  resistente,  la   stessa   normativa   statale
richiamata  nel  ricorso  non  esclude  affatto  che  il  legislatore
regionale possa conformare il servizio idrico come privo di rilevanza
economica: anzi, l'art. 150, comma 3, del d.lgs. n. 152  del  2006  e
l'art. 23-bis, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008 consentono  entrambi
che, per esigenze sociali, ambientali  o  di  altro  tipo,  si  possa
derogare al regime della concorrenza per la  gestione  del  servizio.
Sulla stessa linea si collocherebbe il diritto comunitario, il  quale
tende a considerare l'acqua come un bene comune  e  la  sua  gestione
come  un'attivita'  che  deve  necessariamente  tenere  conto   della
particolare rilevanza pubblicistica di tale bene. 
    12.3. - Con memoria depositata in  prossimita'  dell'udienza,  il
Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito, nel merito, quanto
gia' affermato nel ricorso e  ha  eccepito  l'inammissibilita'  della
costituzione  in  giudizio  della  Regione  Campania.   Sostiene   il
ricorrente che detta costituzione e' stata deliberata  da  un  organo
privo della relativa competenza, essendo stata adottata  con  decreto
dirigenziale dell'avvocato coordinatore, su  proposta  del  dirigente
del settore contenzioso amministrativo e  tributario  e  non  -  come
richiesto dall'art. 32, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e dall'art. 15  della  legge  regionale  28  maggio  2009,  n.  6
(Statuto della Regione Campania),  e  ribadito  dall'ordinanza  della
Corte costituzionale letta all'udienza del 25 maggio 2010 e  relativa
al giudizio deciso con la sentenza n. 225 del  2010  -  dalla  Giunta
regionale. 
    12.4. - Con memoria depositata in  prossimita'  dell'udienza,  la
Regione Campania ha sostanzialmente ribadito, nel merito, quanto gia'
sostenuto nell'atto di costituzione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Le questioni sottoposte all'esame della Corte con i  ricorsi
indicati in epigrafe sono state promosse dalle Regioni Emilia-Romagna
(registro ricorsi n. 69 del 2008 e n. 13 del 2010), Liguria (registro
ricorsi n. 72 del 2008 e n. 12 del 2010), Piemonte (registro  ricorsi
n. 77 del 2008 e 16 del 2010), Puglia  (registro  ricorsi  n.  6  del
2010), Toscana (registro ricorsi n. 10 del  2010),  Umbria  (registro
ricorsi n. 14 del 2010), Marche (registro ricorsi n.  15  del  2010),
nonche' dal Presidente del Consiglio dei ministri  (registro  ricorsi
n. 2 del 2009 e n. 51 del 2010). 
    1.1. - Le disposizioni censurate  dalle  Regioni  possono  essere
suddivise in tre gruppi:  a)  un  primo  gruppo,  relativo  al  testo
originario (e non piu' vigente) dell'art. 23-bis del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo  economico,
la  semplificazione,  la  competitivita',  la  stabilizzazione  della
finanza pubblica e la perequazione tributaria)  -  articolo  aggiunto
dalla legge di conversione 6 agosto  2008,  n.  133,  ed  entrato  in
vigore, in forza dell'art. 1, comma 4, di detta  legge,  in  data  22
agosto 2008 - comprende i commi 1, 2,  3,  4,  7,  8  e  10  di  tale
articolo (ricorso n. 69 del 2008, Emilia-Romagna; ricorso n.  72  del
2008, Liguria; ricorso n. 77  del  2008,  Piemonte);  b)  un  secondo
gruppo, relativo al testo vigente dell'art. 23-bis del  decreto-legge
n. 112 del 2008 - articolo aggiunto dalla legge di conversione n. 133
del 2008, e modificato del decreto-legge 25 settembre  2009,  n.  135
(Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari  e  per
l'esecuzione di sentenze della corte  di  giustizia  delle  Comunita'
europee), convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  20  novembre
2009, n. 166, entrato in vigore il 26 settembre 2009 e, per le  parti
modificate, il 25 novembre 2009 - comprende i commi 2, 3,  4,  4-bis,
8, 9 e 10, di tale articolo (ricorso n. 6 del 2010,  Puglia;  ricorso
n. 10 del 2010, Toscana; ricorso n. 12 del 2010, Liguria; ricorso  n.
13 del 2010, Emilia-Romagna; ricorso n. 14 del 2010, Umbria;  ricorso
n. 15 del 2010, Marche; ricorso n. 16  del  2010,  Piemonte);  c)  un
terzo gruppo comprende il solo comma 1-ter dell'art.  15  del  citato
decreto-legge n. 135 del 2009, comma entrato in  vigore  in  data  26
settembre 2009, in forza  dell'art.  21  del  medesimo  decreto-legge
(ricorso n. 15 del 2010, Marche). 
    Tali  gruppi  di  disposizioni  introducono   novita'   normative
rilevanti nella disciplina delle modalita' di affidamento dei servizi
pubblici locali (SPL) e del  diritto  transitorio  degli  affidamenti
gia' in corso. 
    In particolare, si prevede che: a) l'affidamento del SPL  in  via
ordinaria,  mediante  procedure  competitive  ad  evidenza  pubblica,
riguarda non solo le societa' di capitali  -  come  nella  previgente
normativa - ma, piu' in generale, gli «imprenditori o [...]  societa'
in qualunque forma costituite» (comma 2 del testo  originario  e  del
testo vigente dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008); b)
l'affidamento diretto - cioe' senza gara ad evidenza pubblica - della
gestione del SPL a societa' miste il cui  socio  privato  sia  scelto
mediante procedure competitive ad evidenza  pubblica  costituisce  un
caso di conferimento della gestione «in via ordinaria», alla  duplice
condizione che la procedura di gara riguardi non solo la qualita'  di
socio,  ma  anche  l'attribuzione  di  «specifici  compiti  operativi
connessi alla gestione del servizio»  e  che  al  socio  privato  sia
attribuita una partecipazione non inferiore al 40% (comma 2 del testo
attualmente vigente dell'art. 23-bis del  decreto-legge  n.  112  del
2008);  c)  l'affidamento  diretto  «in   deroga»   ai   conferimenti
effettuati  in  via  ordinaria  richiede  una   previa   «pubblicita'
adeguata» e una motivazione di detta scelta  da  parte  dell'ente  in
base ad un'«analisi di  mercato»,  oltre  alla  trasmissione  di  una
«relazione»  dall'ente  affidante  alle  autorita'  di  settore,  ove
costituite (testo originario dell'art. 23-bis  del  decreto-legge  n.
112 del 2008), ovvero all'Autorita' garante della concorrenza  e  del
mercato - AGCM (testo vigente dell'art. 23-bis del  decreto-legge  n.
112 del 2008), per un parere obbligatorio ma non vincolante, che deve
essere reso entro 60 giorni dalla ricezione; d) l'affidamento diretto
deve - ai sensi dei commi 3 e 4 del testo originario dell'art. 23-bis
del decreto-legge n. 112  del  2008  -  «avvenire  nel  rispetto  dei
principi della disciplina comunitaria», con  l'ulteriore  presupposto
che sussistano «situazioni che, a causa di peculiari  caratteristiche
economiche,  sociali,  ambientali  e  geomorfologiche  del   contesto
territoriale di riferimento, non  permettono  un  efficace  ed  utile
ricorso al mercato»; e) lo stesso affidamento deve, invece,  avvenire
- ai sensi dei commi 3 e 4 del testo attualmente vigente del medesimo
art. 23-bis - con le forme della  gestione  in  house,  nel  rispetto
delle condizioni richieste dal  diritto  comunitario,  previo  parere
della sola AGCM, con l'ulteriore  presupposto  della  sussistenza  di
«situazioni eccezionali che, a  causa  di  peculiari  caratteristiche
economiche,  sociali,  ambientali  e  geomorfologiche  del   contesto
territoriale di riferimento, non  permettono  un  efficace  ed  utile
ricorso al mercato»; f) i bacini di gara per i diversi  servizi  sono
definiti, nel rispetto delle normative settoriali,  dalle  Regioni  e
dagli enti  locali  d'intesa  con  la  Conferenza  unificata  di  cui
all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.  281  (comma  7
dell'art.  23-bis,  sia  nella  versione  originaria  che  in  quella
vigente); g) e' abrogato, nelle  parti  incompatibili  con  la  nuova
disciplina, l'art. 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267
(Testo unico sugli enti  locali),  in  seguito  indicato  come  TUEL,
concernente l'affidamento e la gestione dei servizi  pubblici  locali
di rilevanza economica (comma 11 dell'art. 23-bis  del  decreto-legge
n. 112  del  2008,  sia  nella  versione  originaria  che  in  quella
vigente); h) il Governo ha  il  potere  di  adottare  regolamenti  di
delegificazione sia nelle materie di cui al comma 10 dell'art. 23-bis
(come  disposto  nella  versione  originaria  ed  in  quella  vigente
dell'art. 23-bis), sia per  la  determinazione  delle  soglie  minime
oltre  le  quali  gli  affidamenti  «assumono   rilevanza   ai   fini
dell'espressione del parere» dell'AGCM (come disposto dal comma 4-bis
nella versione vigente dell'art. 23-bis); i) gli affidamenti  diretti
gia'  in  essere  al  momento  dell'entrata  in  vigore  della  nuova
normativa cessano al 31 dicembre 2010 (versione originaria del  comma
8 dell'art. 23-bis) o in date successive, a partire dal  31  dicembre
2011, a seconda delle  diverse  tipologie  degli  affidamenti  stessi
(versione vigente del comma 8 dell'art. 23-bis); l) «Tutte  le  forme
di affidamento della gestione del servizio idrico  integrato  di  cui
all'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112  del  2008  [...]
devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del
soggetto gestore e di piena ed esclusiva  proprieta'  pubblica  delle
risorse  idriche,  il  cui   governo   spetta   esclusivamente   alle
istituzioni pubbliche, in  particolare  in  ordine  alla  qualita'  e
prezzo del servizio, in conformita' a  quanto  previsto  dal  decreto
legislativo 3  aprile  2006,  n.  152,  garantendo  il  diritto  alla
universalita' ed accessibilita' del servizio» (comma 1-ter, dell'art.
15 del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con  modificazioni,
dalla legge n. 166 del 2009). 
    1.2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha  impugnato,  a
sua volta, due gruppi di disposizioni di leggi regionali. 
    1.2.1. - Il primo gruppo di disposizioni censurate (ricorso n.  2
del 2009) e' costituito dai commi 1, 4, 5, 6 e 14 dell'art.  4  della
legge della Regione Liguria 28 ottobre 2008, n. 39 (Istituzione della
Autorita' d'Ambito per l'esercizio delle funzioni degli  enti  locali
in materia di risorse idriche e gestione dei  rifiuti  ai  sensi  del
decreto legislativo  3  aprile  2006,  n.  152  -  Norme  in  materia
ambientale). Detti commi stabiliscono: a) la competenza della  Giunta
regionale ad approvare lo schema-tipo di contratto di servizio  e  di
convenzione per  il  servizio  idrico  integrato  (comma  1);  b)  la
competenza dell'Autorita' d'ambito a provvedere  all'affidamento  del
servizio  idrico  integrato,  «nel  rispetto  dei  criteri   di   cui
all'articolo 113, comma 7, del d.lgs. 267/2000 e delle  modalita'  di
cui agli articoli 150 e 172 del d.lgs. n. 152/2006» (comma 4); c)  la
cessazione  delle  concessioni  esistenti  e   il   relativo   regime
transitorio  degli  affidamenti   del   servizio   idrico   integrato
effettuati senza gara, attraverso il rinvio alle disposizioni di  cui
all'art. 113, comma 15-bis, TUEL (commi 5  e  6);  d)  la  competenza
delle Autorita' d'ambito territoriale ottimale a definire i contratti
di servizio,  gli  obiettivi  qualitativi  dei  servizi  erogati,  il
monitoraggio   delle   prestazioni,   gli   aspetti   tariffari,   la
partecipazione dei cittadini e  delle  associazioni  dei  consumatori
(comma 14). 
    1.2.2. - Il secondo gruppo di disposizioni censurate dallo  Stato
(ricorso n. 51 del 2010) e' costituito dal comma 1 dell'art. 1  della
legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2 (Disposizioni  per
la formazione  del  bilancio  annuale  e  pluriennale  della  Regione
Campania - Legge finanziaria  anno  2010),  il  quale  stabilisce  la
competenza della medesima Regione a disciplinare il  servizio  idrico
integrato regionale come servizio privo di rilevanza economica  ed  a
stabilire autonomamente sia le  forme  giuridiche  dei  soggetti  cui
affidare il servizio sia il termine di decadenza degli affidamenti in
essere. 
    2. - Le Regioni hanno  promosso  questioni  in  riferimento  agli
artt. 3, 5, 41, 97, 114, 117, primo, secondo,  terzo,  quarto,  sesto
comma,  118  e  119,  sesto  comma,  e  120  della  Costituzione.  Ad
integrazione del parametro costituito dal primo comma  dell'art.  117
Cost., alcune Regioni, hanno evocato quali norme  interposte:  a)  la
Carta europea dell'autonomia locale (in specie gli artt. 3, comma  1,
4, commi 2 e 4),  firmata,  nell'ambito  del  Consiglio  d'Europa,  a
Strasburgo il 15 ottobre 1985, e ratificata dalla legge  30  dicembre
1989, n.  439  (Ratifica  ed  esecuzione  della  convenzione  europea
relativa  alla  Carta  europea  dell'autonomia  locale,   firmata   a
Strasburgo il 15 ottobre 1985); b) il  «diritto  comunitario»;  c)  i
«principi del diritto comunitario di liberta' degli  individui  e  di
autonomia degli enti  territoriali»;  d)  gli  artt.  14  e  106  del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). 
    In base alle  prospettazioni  delle  ricorrenti,  tali  questioni
possono essere distinte nei sette seguenti  nuclei  tematici,  per  i
primi quattro dei  quali,  in  considerazione  della  loro  incidenza
sull'intero tessuto normativo censurato, e' opportuna una trattazione
generale e preliminare. Le conclusioni cui si perverra' all'esito  di
tale trattazione costituiranno la base della decisione delle  singole
questioni, che saranno in seguito esaminate analiticamente. 
    Il primo nucleo tematico attiene alla ricostruzione del  rapporto
tra la disciplina dei  SPL  ricavabile  dall'ordinamento  dell'Unione
europea e dalla Carta europea dell'autonomia locale e quella  dettata
con le disposizioni censurate. Tale ricostruzione  e'  necessaria  al
fine di valutare le opposte prospettazioni delle  parti,  secondo  le
quali le particolari - e piu' restrittive rispetto alla  legislazione
italiana  anteriore  -  condizioni  fissate  dal  censurato  comma  3
dell'art. 23-bis  del  decreto-legge  n.  112  del  2008  (sia  nella
versione originaria che in quella vigente) per l'affidamento in house
dei  servizi  pubblici  locali,  costituirebbero   una   obbligatoria
applicazione (secondo la difesa dello Stato)  oppure  una  violazione
(secondo le ricorrenti) del diritto dell'Unione. 
    Il secondo nucleo tematico attiene all'individuazione della sfera
di  competenza  in  cui,  secondo  la  Costituzione,  si  colloca  la
normativa denunciata: se  -  come  afferma  lo  Stato  -  nell'ambito
costituzionale della tutela della concorrenza, o di altra  competenza
esclusiva  statale,  oppure  -  come  afferma  la  maggioranza  delle
ricorrenti - nell'ambito della materia dei servizi  pubblici  locali,
di competenza regionale residuale; o ancora, come afferma la  Regione
Marche, nell'ambito della potesta' regolamentare degli enti locali di
cui all'art. 117, sesto comma,  Cost.;  o  infine,  come  afferma  la
Regione Puglia, nell'ambito della competenza regionale concorrente in
materia di tutela della salute e alimentazione. 
    Il  terzo  nucleo  tematico  -  nel  caso  in  cui  si  ritenesse
sussistere la  competenza  esclusiva  statale  per  la  tutela  della
concorrenza - attiene alla valutazione della censura secondo  cui  la
normativa denunciata violerebbe il principio di ragionevolezza, sotto
il profilo della proporzionalita' ed adeguatezza, e,  per  l'effetto,
lederebbe  la  sfera  di  competenza  legislativa   o   regolamentare
riservata alle Regioni a statuto ordinario. 
    Il quarto  nucleo  tematico  attiene  alla  individuazione  della
competenza regionale o statale nella determinazione  della  rilevanza
economica dei SPL, cioe' del presupposto  stesso  per  l'applicazione
della  normativa  relativa  a  tali  servizi.  Tale  problema,  nella
prospettiva della ricorrente Regione Marche, si pone anche  nel  caso
in cui si ritenga che la suddetta normativa  sia  riconducibile  alla
materia  della  tutela  della  concorrenza  e  sia  proporzionata  ed
adeguata. 
    Il quinto nucleo tematico ha  per  oggetto  la  violazione  degli
artt. 3 e 97 Cost., sotto  il  profilo  dell'obbligo  di  motivazione
degli atti  amministrativi,  in  relazione  a  quanto  stabilito  dal
censurato art. 23-bis del d.l n. 112 del 2008, interpretato nel senso
che la scelta dell'ente locale di procedere all'affidamento  «in  via
ordinaria» dei SPL non e' onerata di obblighi motivazionali  analoghi
a quelli previsti per l'affidamento «in deroga»  (vale  a  dire,  per
l'affidamento in house). 
    Il  sesto  nucleo  tematico  riguarda  l'asserita   irragionevole
diversita' di disciplina fra il servizio idrico integrato e gli altri
servizi pubblici locali. 
    Il settimo nucleo  tematico  attiene  alla  lamentata  violazione
dell'autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali. 
    3. -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  promosso
questioni in riferimento agli  artt.  117,  primo  e  secondo  comma,
lettere e) ed s), Cost. e alle seguenti norme interposte: a)  per  le
questioni riguardanti la legge della Regione Liguria n. 39 del  2008,
l'art. 161, comma 4, lettera c), del d.lgs. 3  aprile  2006,  n.  152
(Norme in materia ambientale), nonche' l'art. 23-bis, commi 2, 3,  8,
9 e 11, del decreto-legge n.  112  del  2008;  b)  per  le  questioni
riguardanti la legge della Regione Campania n. 2 del 2010, gli  artt.
141 e 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, l'art. 23-bis, commi 2, 3, 8, 9
e 11, del decreto-legge n. 112 del 2008, il decreto-legge n. 135  del
2009, nonche' l'art. 113 del TUEL. 
    Tali questioni hanno per oggetto: a) l'individuazione della sfera
di  competenza  in  cui,  secondo  la  Costituzione,  si  colloca  la
normativa  regionale  denunciata:  se  -  come  afferma  lo  Stato  -
nell'ambito costituzionale della tutela della  concorrenza  o  tutela
dell'ambiente oppure - come affermano le Regioni resistenti  -  della
materia  dei  servizi  pubblici  locali  (di   competenza   regionale
residuale);  b)  la  valutazione  della  sussistenza  del  denunciato
contrasto tra la normativa regionale e le  evocate  norme  interposte
statali. 
    4. - Le predette questioni di  legittimita'  costituzionale,  la'
dove promosse nell'ambito di uno stesso ricorso unitamente ad  altre,
devono  essere  trattate  separatamente  da  queste  ultime,  essendo
opportuno procedere ad un esame distinto. I giudizi, cosi' separati e
delimitati nell'oggetto, devono quindi tra loro riunirsi, per  essere
congiuntamente trattati e decisi, in  considerazione  della  parziale
identita'  di  materia  delle  norme  censurate  e  delle   questioni
prospettate. 
    5. - Con  memoria  depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  la
difesa dello Stato ha eccepito l'inammissibilita' della  costituzione
della Regione Campania nel giudizio relativo al  ricorso  n.  51  del
2010.  Sostiene  il  ricorrente  che  detta  costituzione  e'   stata
deliberata da un organo  privo  della  relativa  competenza,  essendo
stata adottata con decreto dirigenziale  dell'avvocato  coordinatore,
su proposta del dirigente del settore  contenzioso  amministrativo  e
tributario e non dalla Giunta regionale. 
    L'eccezione e'  stata  accolta  da  questa  Corte  con  ordinanza
pronunciata all'udienza del 5 ottobre 2010, sul rilievo che, a  norma
dell'art. 32, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.  87,  «La
questione di legittimita' costituzionale, previa deliberazione  della
Giunta regionale [...], e' promossa dal Presidente della  Giunta»  e,
in tale competenza  ad  autorizzare  la  promozione  dei  giudizi  di
costituzionalita', deve ritenersi compresa anche la deliberazione  di
costituirsi  in  tali  giudizi,  data  la   natura   politica   della
valutazione  che  i  due  atti  richiedono   (nello   stesso   senso,
l'ordinanza letta all'udienza  del  25  maggio  2010  e  relativa  al
giudizio deciso con la sentenza n. 225 del 2010). 
    6. - Il primo dei sopra indicati nuclei tematici attiene  -  come
si e' visto  -  al  rapporto  tra  le  disposizioni  censurate  e  la
disciplina dei SPL desumibile dall'ordinamento dell'Unione europea  e
dalla Carta europea dell'autonomia locale. Secondo alcune ricorrenti,
le suddette disposizioni, ponendosi in  contrasto  con  la  normativa
comunitaria ed internazionale, violano il primo comma  dell'art.  117
Cost., la' dove questo vincola la potesta' legislativa dello Stato  e
delle  Regioni  al  rispetto  dell'ordinamento  comunitario  e  degli
obblighi internazionali. Secondo la difesa dello  Stato,  invece,  la
stessa formulazione del comma 1 dell'art. 23-bis del decreto-legge n.
112 del 2008 («le disposizioni  del  presente  articolo  disciplinano
l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di  rilevanza
economica,  in  applicazione  della  disciplina  comunitaria  [...]»)
evidenzia che le disposizioni  oggetto  di  censura,  in  particolare
quelle relative all'affidamento in house dei servizi pubblici locali,
costituiscono un'obbligatoria applicazione del diritto dell'Unione  e
non contrastano con la citata Carta europea dell'autonomia locale. 
    Nessuna di tali  due  opposte  prospettazioni  e'  condivisibile,
perche' le disposizioni censurate dalle ricorrenti non  costituiscono
ne' una violazione ne' un'applicazione necessitata  della  richiamata
normativa comunitaria ed internazionale, ma  sono  semplicemente  con
questa compatibili, integrando una delle diverse discipline possibili
della  materia  che  il  legislatore  avrebbe  potuto  legittimamente
adottare senza violare l'evocato primo comma dell'art. 117 Cost. Tale
conclusione va argomentata procedendo al raffronto delle disposizioni
censurate  sia  con  la  normativa   comunitaria   che   con   quella
internazionale evocate a parametro interposto. 
    6.1.  -  In  ambito  comunitario   non   viene   mai   utilizzata
l'espressione «servizio pubblico locale di rilevanza  economica»,  ma
solo quella di «servizio di  interesse  economico  generale»  (SIEG),
rinvenibile, in particolare, negli artt. 14 e 106  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE). Detti articoli non  fissano
le condizioni di uso di tale ultima espressione,  ma,  in  base  alle
interpretazioni   elaborate   al   riguardo   dalla    giurisprudenza
comunitaria (ex multis,  Corte  di  giustizia  UE,  18  giugno  1998,
C-35/96, Commissione c.  Italia)  e  dalla  Commissione  europea  (in
specie, nelle Comunicazioni in tema di servizi di interesse  generale
in Europa del 26 settembre 1996 e del 19 gennaio  2001;  nonche'  nel
Libro verde su tali servizi del 21 maggio 2003), emerge con chiarezza
che la nozione comunitaria di SIEG, ove limitata all'ambito locale, e
quella  interna  di  SPL  di  rilevanza  economica  hanno  «contenuto
omologo», come riconosciuto da questa Corte con la  sentenza  n.  272
del  2004.  Lo  stesso  denunciato  comma  1  dell'art.  23-bis   del
decreto-legge  n.  112  del  2008  -  nel   dichiarato   intento   di
disciplinare i «servizi pubblici locali di rilevanza  economica»  per
favorire la piu' ampia diffusione dei  principi  di  concorrenza,  di
liberta' di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti
«gli  operatori  economici  interessati  alla  gestione  di   servizi
pubblici di interesse generale in  ambito  locale»  -  conferma  tale
interpretazione,  attribuendo  espressamente  ai  SPL  di   rilevanza
economica un significato  corrispondente  a  quello  di  «servizi  di
interesse generale in  ambito  locale»  di  rilevanza  economica,  di
evidente derivazione comunitaria. 
    Entrambe  le  suddette  nozioni,  interna  e  comunitaria,  fanno
riferimento  infatti  ad  un  servizio  che:  a)  e'  reso   mediante
un'attivita' economica (in forma  di  impresa  pubblica  o  privata),
intesa  in  senso  ampio,  come  «qualsiasi  attivita'  che  consista
nell'offrire beni o servizi  su  un  determinato  mercato»  (come  si
esprimono sia la citata sentenza della  Corte  di  giustizia  UE,  18
giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia, sia  le  sentenze  della
stessa Corte 10 gennaio 2006,  C-222/04,  Ministero  dell'economia  e
delle finanze, e 16 marzo 2004,  cause  riunite  C-264/01,  C-306/01,
C-354/01 e C-355/01, AOK Bundesverband, nonche' il  Libro  verde  sui
servizi di interesse generale del 21 maggio 2003, al  paragrafo  2.3,
punto 44); b) fornisce prestazioni considerate  necessarie  (dirette,
cioe', a realizzare  anche  "fini  sociali")  nei  confronti  di  una
indifferenziata generalita' di cittadini, a  prescindere  dalle  loro
particolari condizioni (Corte di giustizia  UE,  21  settembre  1999,
C-67/96, Albany International BV). Le due nozioni, inoltre, assolvono
l'identica funzione di identificare i servizi la  cui  gestione  deve
avvenire di regola, al fine  di  tutelare  la  concorrenza,  mediante
affidamento  a  terzi  secondo  procedure  competitive  ad   evidenza
pubblica. 
    Per quanto qui interessa, la disciplina comunitaria  del  SIEG  e
quella   censurata   del   SPL   divergono,   invece,    in    ordine
all'individuazione delle  eccezioni  alla  suddetta  regola.  Occorre
pertanto accertare se le differenze tra le due discipline siano  tali
da far venir meno, come sostengono le  Regioni  ricorrenti,  la  loro
compatibilita'. Tale accertamento, come si vedra' in  seguito,  avra'
esito negativo. 
    Una prima differenza e' rappresentata dalla gestione diretta  del
SPL da parte dell'autorita' pubblica.  La  normativa  comunitaria  la
ammette nel caso in cui lo Stato nazionale ritenga che l'applicazione
delle regole di concorrenza (e,  quindi,  anche  della  regola  della
necessita' dell'affidamento a terzi mediante  una  gara  ad  evidenza
pubblica) ostacoli, in diritto od in fatto,  la  «speciale  missione»
dell'ente pubblico (art. 106 TFUE; ex plurimis, sentenze della  Corte
di giustizia UEE 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle,  punti  48  e
49, e 10 settembre 2009,  C-573/07,  Sea  s.r.l.).  In  tale  ipotesi
l'ordinamento comunitario, rispettoso dell'ampia sfera  discrezionale
attribuita in  proposito  agli  Stati  membri,  si  riserva  solo  di
sindacare se la decisione  dello  Stato  sia  frutto  di  un  "errore
manifesto". La censurata disciplina  nazionale,  invece,  rappresenta
uno sviluppo del diverso principio generale  costituito  dal  divieto
della gestione diretta del SPL da  parte  dell'ente  locale;  divieto
introdotto dai non censurati art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n.
448  (Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
pluriennale dello Stato - legge  finanziaria  2002)  e  art.  14  del
decreto-legge 30 settembre 2003, n.  269  (Disposizioni  urgenti  per
favorire lo sviluppo e per la  correzione  dell'andamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  24  novembre
2003, n. 326. Da quanto  precede,  e'  dunque  evidente  che:  a)  la
normativa comunitaria consente, ma non impone, agli Stati  membri  di
prevedere, in via di eccezione e  per  alcuni  casi  determinati,  la
gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente locale;  b)
lo Stato  italiano,  facendo  uso  della  sfera  di  discrezionalita'
attribuitagli dall'ordinamento comunitario al riguardo, ha effettuato
la sua scelta nel senso di vietare di regola la gestione diretta  dei
SPL ed ha, percio', emanato una normativa che pone tale divieto. 
    Una seconda differenza riguarda l'affidamento della gestione  del
servizio alle societa' miste, cioe' con capitale in parte pubblico ed
in parte privato (cosiddetto PPP, partenariato pubblico  e  privato).
La normativa comunitaria consente l'affidamento diretto del  servizio
(cioe'  senza  una  gara  ad  evidenza   pubblica   per   la   scelta
dell'affidatario) alle societa' miste nelle quali si sia  svolta  una
gara ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato e  richiede
sostanzialmente che tale socio  sia  un  socio  «industriale»  e  non
meramente «finanziario» (in tal senso, in particolare, il Libro verde
della Commissione del 30 aprile 2004), senza espressamente richiedere
alcun limite,  minimo  o  massimo,  della  partecipazione  del  socio
privato. Il testo originario dell'art. 23-bis  del  decreto-legge  n.
112 del 2008 non prevede una disciplina specifica per  tale  tipo  di
affidamento e da' per scontato che la suddetta  modalita'  di  scelta
del socio rientri nella regola comunitaria dell'affidamento  mediante
gara ad evidenza pubblica, restando irrilevante che tale  gara  abbia
ad oggetto la scelta del socio privato  invece  dell'affidatario.  La
disciplina interna e  quella  comunitaria  sul  punto  sono,  dunque,
identiche. Anche  il  testo  vigente  dello  stesso  art.  23-bis  e'
conforme alla normativa comunitaria,  nella  parte  in  cui  consente
l'affidamento  diretto  della  gestione   del   servizio,   «in   via
ordinaria», ad una societa' mista,  alla  doppia  condizione  che  la
scelta del socio privato «avvenga mediante procedure  competitive  ad
evidenza pubblica» e che a tale  socio  siano  attribuiti  «specifici
compiti operativi connessi alla gestione  del  servizio»  (cosiddetta
gara ad evidenza pubblica  a  doppio  oggetto:  scelta  del  socio  e
attribuzione degli specifici  compiti  operativi).  La  stessa  nuova
formulazione  dell'art.  23-bis  si  discosta,  pero',  dal   diritto
comunitario nella parte in cui pone l'ulteriore condizione,  al  fine
del suddetto affidamento diretto, che al socio privato sia attribuita
«una partecipazione non inferiore  al  40  per  cento».  Tale  misura
minima della partecipazione (non richiesta dal  diritto  comunitario,
come  sopra  ricordato,  ma  neppure  vietata)  si  risolve  in   una
restrizione dei casi eccezionali di affidamento diretto del  servizio
e, quindi, la sua previsione perviene al risultato di far espandere i
casi in cui deve essere applicata la regola generale  comunitaria  di
affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Ne  consegue,
anche in questo caso, la piena compatibilita' della normativa interna
con quella comunitaria. 
    Una terza differenza attiene alle ipotesi di affidamento  diretto
del servizio «in deroga» alle ipotesi di affidamento in via ordinaria
(versione originaria dell'art. 23-bis),  che  si  identificano  nella
gestione denominata in house (come chiarito  dalla  versione  vigente
dello stesso art.  23-bis).  Secondo  la  normativa  comunitaria,  le
condizioni  integranti  tale  tipo  di  gestione  ed  alle  quali  e'
subordinata la possibilita' del  suo  affidamento  diretto  (capitale
totalmente   pubblico;   controllo    esercitato    dall'aggiudicante
sull'affidatario  di  ««contenuto  analogo»   a   quello   esercitato
dall'aggiudicante stesso sui propri uffici; svolgimento  della  parte
piu'   importante   dell'attivita'   dell'affidatario    in    favore
dell'aggiudicante)  debbono  essere  interpretate   restrittivamente,
costituendo l'in house providing un'eccezione  rispetto  alla  regola
generale dell'affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica.
Tale eccezione viene giustificata  dal  diritto  comunitario  con  il
rilievo che la sussistenza delle suddette condizioni esclude che l'in
house contract configuri, nella sostanza,  un  rapporto  contrattuale
intersoggettivo tra aggiudicante ed affidatario, perche' quest'ultimo
e',  in  realta',  solo  la longa  manus  del  primo.  Nondimeno,  la
giurisprudenza comunitaria non pone ulteriori requisiti per procedere
a tale tipo di affidamento diretto, ma si limita a chiarire  via  via
la concreta portata delle  suddette  tre  condizioni.  Viceversa,  il
legislatore nazionale, nella versione vigente  dell'art.  23-bis  del
decreto-legge n. 112 del 2008, non soltanto  richiede  espressamente,
per l'affidamento diretto in house, la sussistenza delle suddette tre
condizioni poste dal diritto comunitario, ma esige il concorso  delle
seguenti ulteriori condizioni: a) una previa «pubblicita' adeguata» e
una motivazione della scelta di tale tipo  di  affidamento  da  parte
dell'ente  in  base  ad  un'«analisi  di  mercato»,  con   successiva
trasmissione di una «relazione» dall'ente affidante alle autorita' di
settore, ove costituite (testo originario dell'art.  23-bis),  ovvero
all'AGCM (testo vigente dell'art. 23-bis), per un parere preventivo e
obbligatorio, ma non vincolante, che deve essere reso entro 60 giorni
dalla ricezione; b) la sussistenza di «situazioni  che,  a  causa  di
peculiari   caratteristiche   economiche,   sociali,   ambientali   e
geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento» (commi 3  e
4 del testo  originario  dell'art.  23-bis),  ovvero  di  «situazioni
eccezionali che, a causa  di  peculiari  caratteristiche  economiche,
sociali, ambientali e geomorfologiche del  contesto  territoriale  di
riferimento» (commi 3  e  4  del  testo  vigente  del  medesimo  art.
23-bis), «non permettono un efficace ed utile  ricorso  al  mercato».
Siffatte   ulteriori   condizioni,   sulle   quali    si    appuntano
particolarmente le censure delle  ricorrenti,  si  risolvono  in  una
restrizione delle ipotesi  in  cui  e'  consentito  il  ricorso  alla
gestione in house del  servizio  e,  quindi,  della  possibilita'  di
derogare alla regola comunitaria concorrenziale dell'affidamento  del
servizio stesso mediante gara pubblica. Cio' comporta, evidentemente,
un'applicazione  piu'  estesa  di  detta  regola  comunitaria,  quale
conseguenza di una precisa  scelta  del  legislatore  italiano.  Tale
scelta, proprio perche' reca una disciplina pro  concorrenziale  piu'
rigorosa rispetto a quanto richiesto dal diritto comunitario, non  e'
da questo imposta - e, dunque, non e'  costituzionalmente  obbligata,
ai sensi del primo comma dell'art. 117 Cost.,  come  sostenuto  dallo
Stato  -,  ma  neppure  si  pone  in  contrasto  -  come   sostenuto,
all'opposto, dalle ricorrenti - con la citata normativa  comunitaria,
che, in  quanto  diretta  a  favorire  l'assetto  concorrenziale  del
mercato, costituisce  solo  un  minimo  inderogabile  per  gli  Stati
membri.  E'  infatti  innegabile  l'esistenza  di  un   "margine   di
apprezzamento" del  legislatore  nazionale  rispetto  a  principi  di
tutela,   minimi   ed   indefettibili,   stabiliti   dall'ordinamento
comunitario  con  riguardo  ad  un  valore  ritenuto  meritevole   di
specifica protezione, quale la tutela della concorrenza "nel" mercato
e "per" il mercato. Ne deriva, in  particolare,  che  al  legislatore
italiano non e' vietato adottare una disciplina  che  preveda  regole
concorrenziali - come  sono  quelle  in  tema  di  gara  ad  evidenza
pubblica per l'affidamento di servizi pubblici - di applicazione piu'
ampia  rispetto  a  quella   richiesta   dal   diritto   comunitario.
L'identita'  del  "verso"  delle  discipline  interna  e  comunitaria
esclude, pertanto,  ogni  contrasto  od  incompatibilita'  anche  per
quanto riguarda la indicata terza differenza. 
    6.2. - Per quanto attiene alla  dedotta  violazione  della  Carta
europea dell'autonomia locale di cui alla  legge  n.  439  del  1989,
alcune ricorrenti deducono che le disposizioni censurate  si  pongono
in contrasto con i seguenti articoli della Carta: a) art. 3, comma 1,
secondo cui,  «per  autonomia  locale,  s'intende  il  diritto  e  la
capacita' effettiva, per le collettivita' locali, di regolamentare ed
amministrare nell'ambito della legge, sotto la loro  responsabilita',
e  a  favore  delle  popolazioni,  una  parte  importante  di  affari
pubblici»; b) art. 4, comma 2, secondo cui «le  collettivita'  locali
hanno, nell'ambito della legge, ogni piu' ampia facolta' di  prendere
iniziative proprie per qualsiasi questione che non esuli  dalla  loro
competenza o sia assegnata ad un'altra autorita'»; c) art.  4,  comma
4, secondo cui «le  competenze  affidate  alle  collettivita'  locali
devono di regola essere complete  ed  integrali»  e  «possono  essere
messe  in  causa  o  limitate  da  un'altra  autorita',  centrale   o
regionale, solamente nell'ambito della legge».  La  violazione  della
suddetta   convenzione   internazionale   deriverebbe,   secondo   la
prospettazione  delle  ricorrenti,   dalla   lesione   dell'autonomia
dell'ente pubblico garantita dal parametro evocato. Lesione,  questa,
che sarebbe determinata  dall'introduzione  di  vincoli  e  specifici
aggravi procedimentali in ordine alla scelta,  da  parte  degli  enti
pubblici, di assumere essi stessi la gestione  diretta  del  servizio
idrico integrato,  cioe'  di  una  delle  funzioni  fondamentali  dei
Comuni. 
    Il denunciato contrasto con  detta  Carta  non  sussiste  per  le
seguenti ragioni. 
    Innanzitutto, va rilevato che − secondo quanto  esposto supra  al
punto 6.1. − gia'  l'art.  35  della  legge  n.  448  del  2001,  nel
sostituire l'art. 113 TUEL, aveva  escluso  per  i  servizi  pubblici
locali «di rilevanza industriale» (secondo la definizione dell'epoca;
poi definiti «di rilevanza economica» per effetto  dell'art.  14  del
decreto-legge n. 269 del 2003, modificativo, appunto,  dell'art.  113
TUEL) ogni gestione  diretta,  in  economia  oppure  tramite  aziende
speciali, da parte dell'ente pubblico. Lo stesso art. 35, al comma 8,
aveva  altresi'  imposto   alle   aziende   speciali   esistenti   di
trasformarsi in societa' di  capitali  entro  il  31  dicembre  2002.
L'esclusione della gestione diretta  non  e'  dunque  innovativamente
disposta, ma solo mantenuta, dall'art. 23-bis  del  decreto-legge  n.
112 del 2008, con la conseguenza che il denunciato contrasto  con  la
Carta non e' ipotizzabile rispetto alle  norme  censurate,  ma  solo,
eventualmente, rispetto ai suddetti  non  censurati  artt.  35  della
legge n. 448 del 2001 e 14 del decreto-legge n. 269 del 2003. 
    In secondo luogo, va osservato che le ricorrenti  prospettano  la
censura muovendo dal dichiarato presupposto che  il  servizio  idrico
costituisca una delle funzioni  fondamentali  dell'ente  pubblico  ed
assumono che tali funzioni siano specificamente tutelate dalla Carta.
Tuttavia, proprio tale presupposto e' privo di  fondamento,  perche',
come questa  Corte  ha  piu'  volte  affermato,  detto  servizio  non
costituisce funzione fondamentale dell'ente locale (sentenze  n.  307
del 2009 e n. 272 del 2004). 
    In terzo luogo, va evidenziato che  gli  evocati  articoli  della
Carta europea dell'autonomia locale non hanno uno specifico contenuto
precettivo, ma sono prevalentemente definitori  (art.  3,  comma  1),
programmatici (art. 4, comma 2) e, comunque, generici (art. 4,  comma
4). Inoltre, la  stessa  Carta,  al  comma  1  dell'evocato  art.  4,
afferma, con previsione di carattere generale, che «le competenze  di
base delle collettivita' locali sono stabilite dalla  Costituzione  o
dalla  legge»,  con  cio'  rinviando  alla  normativa  nazionale   la
definizione del quadro generale delle competenze. 
    7. - Il secondo nucleo tematico delle questioni proposte  attiene
all'individuazione della sfera  di  competenza  in  cui,  secondo  la
Costituzione,   deve   collocarsi   la   normativa   denunciata.   In
particolare, questa Corte e' chiamata a verificare se tale  normativa
rientra nell'ambito costituzionale della competenza esclusiva statale
e, segnatamente, della tutela della concorrenza; o  di  quello  della
competenza regionale residuale e,  segnatamente,  della  materia  dei
servizi  pubblici  locali;  o,  ancora,  nell'ambito  della  potesta'
regolamentare degli enti locali di cui  all'art.  117,  sesto  comma,
Cost.;  o,  infine,  se  si  tratti  di  un'ipotesi  di  concorso  di
competenze. 
    In proposito, va ribadito che - come questa Corte ha  piu'  volte
affermato - la disciplina concernente le  modalita'  dell'affidamento
della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica: a)
non e' riferibile alla competenza  legislativa  statale  in  tema  di
«determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni  concernenti
i diritti civili e sociali» (art.  117,  secondo  comma,  lettera  m,
Cost.), perche' riguarda, appunto, i servizi di rilevanza economica e
non attiene, comunque,  alla  determinazione  di  livelli  essenziali
(sentenza n. 272 del 2004);  b)  non  puo'  essere  ascritta  neppure
all'ambito delle «funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province  e
Citta' metropolitane» (art. 117, secondo comma,  lettera  p,  Cost.),
perche' «la gestione dei predetti servizi non puo' certo considerarsi
esplicazione di  una  funzione  propria  ed  indefettibile  dell'ente
locale» (sentenza n. 272 del 2004) e,  quindi,  «non  riguarda  [...]
profili funzionali degli enti locali» (sentenza n. 307 del  2009,  al
punto 6.1.); c) va ricondotta, invece, all'ambito della  materia,  di
competenza  legislativa  esclusiva   dello   Stato,   «tutela   della
concorrenza», prevista dall'art.  117,  secondo  comma,  lettera  e),
Cost., tenuto conto  degli  aspetti  strutturali  e  funzionali  suoi
propri e della  sua  diretta  incidenza  sul  mercato  (ex  plurimis,
sentenze n. 314, n. 307, n. 304 e n. 160 del 2009; n. 326  del  2008;
n. 401 del 2007; n. 80 e n.  29  del  2006;  n.  272  del  2004).  Di
conseguenza, con riguardo  alla  concreta  disciplina  censurata,  la
competenza  statale  viene  a  prevalere  sulle  invocate  competenze
legislative  regionali  e  regolamentari  degli  enti  locali  e,  in
particolare, su quella in materia di servizi pubblici locali, proprio
perche' l'oggetto e gli scopi  che  caratterizzano  detta  disciplina
attengono in  via  primaria  alla  tutela  e  alla  promozione  della
concorrenza (sentenze n. 142 del 2010, n. 246 e n. 148 del  2009,  n.
411 e n. 322 del 2008). 
    Tali conclusioni risultano avvalorate dalla «nozione  comunitaria
di concorrenza», che si riflette  su  quella  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera e), Cost., anche  per  il  tramite  del  primo
comma dello stesso art. 117 e dell'art. 11 Cost.; nozione  richiamata
anche dall'art. 1, comma 4, della  legge  10  ottobre  1990,  n.  287
(Norme per la tutela della concorrenza e del mercato).  Secondo  tale
nozione, la concorrenza presuppone «la piu' ampia apertura al mercato
a tutti gli operatori economici del settore in ossequio  ai  principi
comunitari della libera circolazione delle merci, della  liberta'  di
stabilimento e della libera prestazione dei servizi» (sentenza n. 401
del 2007). Essa pertanto - come affermato  in  numerose  pronunce  di
questa Corte (sentenze n. 270, n. 232 e n. 45 del 2010;  n.  314  del
2009 e n. 148 del 2009; n. 63 del 2008; n. 430 e n. 401 del 2007;  n.
272 del 2004)  -  puo'  essere  tutelata  mediante  tipi  diversi  di
interventi regolatori, quali: 1) «misure  legislative  di  tutela  in
senso proprio, che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle
imprese che influiscono negativamente sull'assetto concorrenziale dei
mercati» (misure antitrust); 2)  misure  legislative  di  promozione,
«che mirano  ad  aprire  un  mercato  o  a  consolidarne  l'apertura,
eliminando barriere all'entrata, riducendo o  eliminando  vincoli  al
libero   esplicarsi   della   capacita'   imprenditoriale   e   della
competizione  tra  imprese»  (per  lo  piu'  dirette  a  tutelare  la
concorrenza "nel" mercato); 3) misure legislative che  perseguono  il
fine di assicurare procedure  concorsuali  di  garanzia  mediante  la
strutturazione di tali procedure in modo da realizzare «la piu' ampia
apertura del mercato a tutti  gli  operatori  economici»  (dirette  a
tutelare la concorrenza "per" il mercato). 
    Nell'ambito di tali misure e, in particolare, di quelle al  punto
3), rientra espressamente  la  previsione  di  procedure  concorsuali
competitive di evidenza pubblica volte - come quelle di  specie  -  a
garantire il rispetto, per un  verso,  dei  principi  di  parita'  di
trattamento,  di  non  discriminazione,  di  proporzionalita'  e   di
trasparenza  e,  per   l'altro,   delle   regole   dell'efficacia   e
dell'efficienza  dell'attivita'  dei  pubblici  poteri,  al  fine  di
assicurare la piena attuazione degli interessi pubblici in  relazione
al bene o al servizio oggetto dell'aggiudicazione. 
    Anche tali rilievi, basati sul  diritto  comunitario,  confermano
pertanto che la  disciplina  delle  modalita'  di  affidamento  della
gestione dei servizi pubblici locali rientra  nella  materia  «tutela
della concorrenza» e che la concreta disciplina in esame  prevale  su
altre competenze (sentenze n. 270 del 2010; n. 307 e n. 283 del 2009;
n. 320 e n. 51 del 2008; n.430 e n. 401 del 2007; n. 272 del 2004). 
    Con riferimento, poi, allo specifico settore del servizio  idrico
integrato, questa Corte - in applicazione  dei  suddetti  principi  e
scrutinando la disciplina della determinazione della tariffa d'ambito
territoriale ottimale − ha stabilito  che  la  normativa  riguardante
l'individuazione di un'unica Autorita' d'ambito e alla determinazione
della tariffa del servizio secondo un meccanismo di price  cap  (art.
148  del  d.lgs.  n.  152  del  2006)  attiene  all'esercizio   delle
competenze legislative esclusive statali nelle materie  della  tutela
della concorrenza (art. 117, secondo  comma,  lettera  e),  Cost.)  e
dell'ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.),  materie
che hanno  prevalenza  su  eventuali  competenze  regionali,  che  ne
risultano cosi' corrispondentemente limitate.  Cio'  in  quanto  tale
disciplina, finalizzata al  superamento  della  frammentazione  della
gestione delle risorse idriche,  consente  la  razionalizzazione  del
mercato ed e' quindi  diretta  a  garantire  la  concorrenzialita'  e
l'efficienza del mercato stesso (sentenze n. 142 e n. 29 del 2010; n.
246 del 2009). Nella  citata  sentenza  n.  246  del  2009  e'  stato
ulteriormente precisato che la forma di gestione del servizio  idrico
integrato e le procedure di affidamento  dello  stesso,  disciplinate
dall'art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006,  sono  da  ricondurre  alla
materia della tutela della  concorrenza,  di  competenza  legislativa
esclusiva statale, trattandosi di regole «dirette  ad  assicurare  la
concorrenzialita'  nella  gestione  del  servizio  idrico  integrato,
disciplinando  le  modalita'  del  suo  conferimento  e  i  requisiti
soggettivi  del  gestore,  al  precipuo   scopo   di   garantire   la
trasparenza,  l'efficienza,  l'efficacia   e   l'economicita'   della
gestione medesima». 
    In conclusione, secondo la giurisprudenza  di  questa  Corte,  le
regole  che  concernono  l'affidamento  e  la  gestione  dei  servizi
pubblici locali di rilevanza economica −  ivi  compreso  il  servizio
idrico  -  ineriscono  essenzialmente  alla  materia  «tutela   della
concorrenza», di competenza esclusiva  statale,  ai  sensi  dell'art.
117, secondo comma, lettera e), Cost. 
    8. - Il terzo nucleo tematico,  posto  dalle  questioni  promosse
dalle Regioni in ordine alle censurate discipline sia  a  regime  che
transitorie, attiene al principio di ragionevolezza. Al riguardo,  le
ricorrenti richiamano la giurisprudenza di questa Corte, secondo  cui
l'esercizio della potesta' normativa esclusiva dello Stato in tema di
tutela della concorrenza e' legittimo - in particolare,  in  caso  di
concorso con competenze regionali - alla condizione del rispetto,  da
parte del legislatore statale, del principio di ragionevolezza, sotto
il profilo della proporzionalita' e dell'adeguatezza (sentenza n. 272
del 2004, cui possono aggiungersi le sentenze n. 148 del 2009; n. 326
del 2008; n. 452 e n. 401 del 2007; n. 345, n. 272 del 2004). 
    8.1. −  Per  quanto  riguarda  la  disciplina  a  regime,  alcune
ricorrenti assumono che  essa,  anche  se  ascrivibile  alla  materia
«tutela della concorrenza», lede  comunque  la  competenza  residuale
innominata delle Regioni in materia di servizi  pubblici  locali.  In
particolare, le ricorrenti deducono che la normativa censurata, nella
parte in cui limita i casi in cui e' consentito l'affidamento diretto
in house, non e' ragionevole, proporzionale o adeguata,  perche':  a)
e'  normativa  autoapplicativa  e  di  dettaglio;  b)  pone   vincoli
ulteriori - e percio' ingiustificati -  rispetto  a  quelli  previsti
dall'ordinamento comunitario per l'affidamento in house. 
    Nessuno di tali rilievi e' condivisibile. 
    8.1.1.  −  Quanto  al  primo  rilievo,   va   qui   ribadita   la
giurisprudenza   costituzionale,   per   la    quale    l'emanazione,
nell'esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, di una  norma
autoapplicativa e di dettaglio  non  integra  alcuna  violazione  dei
criteri di riparto costituzionale delle  competenze  legislative.  Al
riguardo, questa Corte ha ripetutamente affermato  (sentenze  n.  232
del 2010 e n. 430 del 2007, in materia di tutela  della  concorrenza;
analogamente, sentenza  n.  255  del  2010,  in  materia  di  sistema
tributario dello Stato)  che:  a)  «l'attribuzione  delle  misure  [a
tutela della concorrenza] alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato comporta sia l'inderogabilita' delle disposizioni  nelle  quali
si esprime, sia che queste legittimamente incidono, nei limiti  della
loro specificita' e dei contenuti normativi che di esse sono proprie,
sulla totalita' degli ambiti materiali entro i quali  si  applicano»;
b) una volta ricondotta una norma  nell'ambito  della  «tutela  della
concorrenza», «non si tratta [...] di valutare se essa sia o meno  di
estremo dettaglio, utilizzando  principi  e  regole  riferibili  alla
disciplina della competenza legislativa concorrente delle Regioni, ma
occorre invece accertare se, alla stregua del succitato scrutinio, la
disposizione  sia  strumentale  ad  eliminare   limiti   e   barriere
all'accesso al mercato ed alla libera  esplicazione  della  capacita'
imprenditoriale». 
    Neppure puo' affermarsi - come sostenuto da alcune  ricorrenti  -
che le norme sull'affidamento e le modalita' di gestione dei  servizi
pubblici locali sono di per se' irragionevoli,  perche'  intervengono
in materia di tutela della concorrenza con discipline di dettaglio  e
autoapplicative. Infatti questa Corte ha piu' volte rilevato  che  e'
ragionevole che norme in materia di tutela della concorrenza, al fine
di meglio tutelare le  finalita'  pro  concorrenziali  loro  proprie,
possano essere dettagliate ed autoapplicative (sentenze  n.  148  del
2009; n. 320 del 2008; n. 431 del 2007). 
    8.1.2.  −  Quanto  al  secondo  profilo,  non  puo'   accogliersi
l'assunto delle ricorrenti,  secondo  cui  l'unica  disciplina  della
concorrenza che possa considerarsi proporzionale e adeguata e' quella
che  non  pone  limiti  (che  non  siano  quelli  evidenziati   dalla
giurisprudenza  comunitaria)  all'affidamento  in  house  di  servizi
pubblici locali di rilevanza economica. 
    Al  riguardo,  va   innanzitutto   osservato   che   non   appare
irragionevole,  anche  se  non  costituzionalmente   obbligata,   una
disciplina,  quale   quella   di   specie,   intesa   a   restringere
ulteriormente  -  rispetto  al  diritto  comunitario  -  i  casi   di
affidamento diretto in house  (cioe'  i  casi  in  cui  l'affidatario
costituisce la longa manus di  un  ente  pubblico  che  lo  controlla
pienamente e totalmente). Come si e' osservato al  punto  6.1.,  tale
normativa si innesta coerentemente in un sistema normativo interno in
cui gia' vige il divieto  della  gestione  diretta  mediante  azienda
speciale o in economia (introdotto dai non censurati artt.  35  della
legge n. 448 del 2001 e 14 del decreto-legge n. 269 del 2003)  e  nel
quale, pertanto, i  casi  di  affidamento  in  house,  quale  modello
organizzativo succedaneo della (vietata) gestione  diretta  da  parte
dell'ente  pubblico,  debbono  essere  eccezionali  e  tassativamente
previsti. 
    In secondo luogo,  va  rilevato  che  le  norme  censurate  dalle
ricorrenti  non  possono   essere   considerate   sproporzionate   od
inadeguate solo perche', attraverso la  riduzione  delle  ipotesi  di
eccezionale  affidamento  diretto  dei   servizi   pubblici   locali,
rafforzano la  generale  regola  pro  concorrenziale,  prescelta  dal
legislatore, che impone l'obbligo di procedere  all'affidamento  solo
mediante procedure competitive ad evidenza pubblica. La possibilita',
secondo l'ordinamento comunitario, di affidamenti in house  anche  in
casi  in  cui  detti  affidamenti  sono  vietati   dalle   denunciate
disposizioni nazionali  non  rende  queste  ultime  irragionevoli  in
relazione agli indicati profili, perche' -  come  messo  in  evidenza
sempre al punto 6.1. − l'ordinamento comunitario, in tema  di  tutela
della concorrenza e, in particolare, in  tema  di  affidamento  della
gestione  dei  servizi   pubblici,   costituisce   solo   un   minimo
inderogabile per il legislatore degli Stati membri e,  pertanto,  non
osta a che la legislazione interna disciplini piu' rigorosamente, nel
senso  di  favorire  l'assetto  concorrenziale  di  un  mercato,   le
modalita' di tale affidamento. Pertanto, il legislatore nazionale  ha
piena liberta' di scelta tra una pluralita' di discipline  ugualmente
legittime. 
    In  terzo  luogo,  deve  essere  sottolineato  che  la  normativa
censurata non impedisce del tutto all'ente pubblico la gestione di un
servizio locale di rilevanza economica, negandogli ogni  possibilita'
di svolgere la sua «speciale missione» pubblica (come si  esprime  il
diritto comunitario), ma trova, tra i molti possibili,  un  punto  di
equilibrio rispetto ai diversi interessi operanti  nella  materia  in
esame. In proposito, va ricordato che, secondo la  giurisprudenza  di
questa Corte, la sfera di autonomia  privata  e  la  concorrenza  non
ricevono  «dall'ordinamento  una  protezione  assoluta»  e   possono,
quindi, subire limitazioni  ed  essere  sottoposte  al  coordinamento
necessario  «a  consentire  il  soddisfacimento  contestuale  di  una
pluralita' di interessi costituzionalmente  rilevanti»  (sentenza  n.
279 del 2006; analogamente, ordinanza n. 162  del  2009).  La  stessa
giurisprudenza  ha  tuttavia   evidenziato   che   «una   regolazione
strumentale a garantire la tutela anche di interessi diversi rispetto
a quelli correlati all'assetto concorrenziale del mercato  garantito»
ha carattere «derogatorio e  per  cio'  stesso  eccezionale»  e  deve
costituire «la sola misura in grado di garantire al giusto la  tutela
di quegli interessi»  (sentenza  n.  270  del  2010).  Nella  specie,
intendendo  contemperare  la  regola  della  massima   tutela   della
concorrenza  con  le  eccezioni  derivanti  dal  perseguimento  della
speciale missione pubblica da parte dell'ente locale, il  legislatore
ha in effetti ponderato due diversi interessi:  da  un  lato,  quello
generale alla tutela della concorrenza; dall'altro, quello  specifico
degli enti locali a gestire il SPL (tramite l'affidamento  in  house)
nell'ipotesi in cui sia «efficace ed utile» il ricorso al  mercato  e
non solo quando esso non sia possibile.  Il  bilanciamento  tra  tali
interessi e' stato attuato, in concreto, in modo  non  irragionevole,
per un verso, consentendo alle societa'  a  capitale  (interamente  o
parzialmente)  pubblico,  quando  non  ricorrano  le  condizioni  per
l'affidamento diretto, di partecipare alle gare ad evidenza  pubblica
per l'affidamento della gestione del servizio, al pari di ogni  altro
imprenditore o societa' (comma 1 dell'art. 23-bis); per altro  verso,
limitando l'affidamento in house alle ipotesi in cui, pur in presenza
di un SPL di rilevanza  economica,  il  ricorso  al  mercato  per  la
gestione del servizio non e' «efficace e utile»  (comma  2  dell'art.
23-bis). Cio' e' confermato dal comma 2  dell'art.  3  del  d.P.R.  7
settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia  di  servizi  pubblici
locali di rilevanza economica, a norma  dell'articolo  23-bis,  comma
10, del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112,  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  6  agosto  2008,  n.  133),  il   quale
stabilisce espressamente che  le  «societa'  a  capitale  interamente
pubblico possono partecipare alle procedure competitive  ad  evidenza
pubblica di cui all'articolo 23-bis, comma 2, lettera a), sempre  che
non vi siano specifici divieti previsti dalla legge». 
    8.2.  -  Tali  conclusioni  relative  alla  disciplina  a  regime
influiscono sulla soluzione della questione  posta  dalle  ricorrenti
circa l'adeguatezza e la proporzionalita' − dunque, la ragionevolezza
− del regime transitorio stabilito dalla normativa denunciata. 
    La relativa censura non puo' essere accolta,  oltre  che  per  le
considerazioni generali svolte nel  punto  precedente,  anche  per  i
seguenti   ulteriori   argomenti,   concernenti   specificamente   la
disciplina transitoria. 
    Al riguardo, anche a  non  voler  considerare  che,  in  caso  di
successione di leggi, il legislatore  ha  ampia  discrezionalita'  di
modulare nel tempo la disciplina introdotta, con l'unico limite della
ragionevolezza (ex plurimis, sentenza n. 376 del 2008;  ordinanze  n.
40 del 2009 e n. 9 del 2006), va comunque rilevato che, nel  caso  di
specie, il margine temporale concesso dalla normativa  censurata  per
la cessazione  degli  affidamenti  diretti  esistenti  e'  congruo  e
proporzionato all'entita' ed agli effetti delle  modifiche  normative
introdotte e, dunque, ragionevole. A  tale  conclusione  si  perviene
agevolmente considerando la seguente  successione  cronologica  delle
disposizioni di legge oggetto di censura. Con riferimento al servizio
idrico integrato, il comma 8 del testo  originario  dell'art.  23-bis
(entrato in vigore il 22 agosto 2008) prevedeva  la  cessazione  alla
data del  31  dicembre  2010  delle  concessioni  per  le  quali  non
sussistevano le peculiari caratteristiche di  cui  al  comma  3.  Con
riferimento ai settori diversi  dal  servizio  idrico  integrato,  lo
stesso comma demandava la fissazione di una disciplina transitoria ai
regolamenti di delegificazione da adottare ai sensi della lettera  e)
del comma 10, ma che non sono stati mai emanati. Il vigente  comma  8
dell'art. 23-bis (entrato in vigore il 26 settembre 2009)  disciplina
ora il regime transitorio degli affidamenti  non  conformi  a  quanto
previsto dai commi 2 e 3  dello  stesso  articolo,  con  una  cadenza
differenziata, a seconda  delle  varie  ipotesi,  a  partire  dal  31
dicembre 2010 e sino al  31  dicembre  2012,  termine,  quest'ultimo,
successivamente modificato, a decorrere  dal  25  novembre  2009,  in
quello del 31 dicembre 2015. Tali ampi margini  temporali  assicurano
una concreta possibilita'  di  attenuare  le  conseguenze  economiche
negative della cessazione  anticipata  della  gestione  e,  pertanto,
escludono la possibilita' di invocare  quell'incolpevole  affidamento
del gestore nella durata naturale  del  contratto  di  servizio  che,
solo,  potrebbe  determinare  una  possibile  irragionevolezza  della
norma. 
    9. - Il quarto tema generale posto dalle questioni  promosse,  da
trattare  in  via  preliminare,  attiene   all'individuazione   della
competenza legislativa regionale o statale nella determinazione della
rilevanza economica dei SPL. Infatti,  una  volta  accertato  che  la
disciplina delle modalita' di affidamento della gestione dei  servizi
pubblici locali di  rilevanza  economica  rientra  nell'ambito  della
competenza  legislativa  esclusiva  dello  Stato,  resta  ancora   da
verificare se allo Stato competa, in via esclusiva, anche  il  potere
di indicare le condizioni per le quali  debba  ritenersi  sussistente
detta «rilevanza economica» oppure se la decisione di  attribuire  al
servizio  locale  una  siffatta  qualificazione  sia  riservata,  dal
diritto comunitario o comunque dalla Costituzione,  alla  Regione  od
all'ente locale. 
    A tal fine e' necessario, innanzitutto, valutare la portata della
nozione di «rilevanza economica» nel sistema della normativa  statale
sui SPL; successivamente, individuare il fondamento costituzionale di
tale  nozione  e,  infine,  trarre  le  conclusioni  in  ordine  alla
competenza a determinare la sussistenza dell'indicata «rilevanza». 
    9.1. - Quanto al primo profilo, va osservato che ne' il censurato
art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008,  in  entrambe  le  sue
versioni, ne' l'art. 113 TUEL, nel disciplinare  l'affidamento  e  la
gestione  dei  servizi  pubblici  locali  «di  rilevanza  economica»,
forniscono una esplicita definizione di tale  «rilevanza».  Tuttavia,
lo stesso art. 23-bis fornisce all'interprete alcuni  elementi  utili
per giungere a tale definizione, precisando  che:  a)  l'articolo  ha
come fine (tra l'altro) di favorire  la  piu'  ampia  diffusione  dei
principi di concorrenza, di liberta'  di  stabilimento  e  di  libera
prestazione dei servizi di tutti «gli operatori economici interessati
alla gestione di servizi pubblici di  interesse  generale  in  ambito
locale»  (comma  1);  b)  la  presenza  di  situazioni  tali  da  non
permettere - in relazione alle caratteristiche  economiche,  sociali,
ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento
- «un efficace ed utile ricorso al mercato del servizio»,  non  rende
il servizio stesso privo di rilevanza economica, ma ne consente  solo
l'affidamento della gestione con  modalita'  derogatorie  rispetto  a
quelle ordinarie (comma 3); c) la «rilevanza economica»  dei  servizi
non ha  nulla  a  che  vedere  con  le  soglie  oltre  le  quali  gli
affidamenti  dei  medesimi  servizi  «assumono  rilevanza»  ai   fini
dell'espressione del parere preventivo che  l'AGCM  deve  rendere  in
ordine alla scelta dell'ente locale di affidare  la  gestione  di  un
servizio  pubblico  «di  rilevanza   economica»   secondo   modalita'
derogatorie rispetto a quelle  ordinarie  (commi  4  e  4-bis,  nella
versione vigente). 
    Dall'evidente  omologia  posta  da  tale  articolo  tra  «servizi
pubblici locali  di  rilevanza  economica»  e  «servizi  pubblici  di
interesse generale in ambito locale» si desume, innanzitutto, che  la
nozione di «servizio pubblico locale di rilevanza economica»  rimanda
a quella, piu' ampia, di «servizio di interesse  economico  generale»
(SIEG), impiegata nell'ordinamento comunitario e  gia'  esaminata  al
punto 6. Del resto, questa Corte, con la sentenza n.  272  del  2004,
aveva gia' sottolineato l'omologia esistente anche tra la nozione  di
«rilevanza economica», utilizzata nell'art. 113-bis TUEL (relativo ai
servizi pubblici locali «privi di rilevanza economica»  e  dichiarato
costituzionalmente  illegittimo  dalla  stessa  sentenza),  e  quella
comunitaria di «interesse  economico  generale»,  interpretata  anche
dalla Commissione europea nel Libro verde sui  servizi  di  interesse
generale del 21 maggio 2003. In particolare, secondo  le  indicazioni
fornite dalla giurisprudenza comunitaria e dalla Commissione europea,
per «interesse  economico  generale»  si  intende  un  interesse  che
attiene  a  prestazioni  dirette  a  soddisfare  i  bisogni  di   una
indifferenziata  generalita'  di  utenti  e,  al  tempo  stesso,   si
riferisce a prestazioni da  rendere  nell'esercizio  di  un'attivita'
economica,  cioe'  di   una   «qualsiasi   attivita'   che   consista
nell'offrire  beni  o  servizi  su  un  determinato  mercato»,  anche
potenziale (sentenza Corte di giustizia UE,  18  giugno  1998,  causa
C-35/96,  Commissione  c.  Italia,  e  Libro  verde  sui  servizi  di
interesse generale del 21 maggio 2003, § 2.3, punto  44)  e,  quindi,
secondo un metodo economico,  finalizzato  a  raggiungere,  entro  un
determinato lasso di tempo, quantomeno la  copertura  dei  costi.  Si
tratta dunque  di  una  nozione  oggettiva  di  interesse  economico,
riferita alla possibilita' di immettere una specifica  attivita'  nel
mercato corrispondente, reale o potenziale. 
    Se  si  ragiona  sulla  base  di  una  siffatta   ampia   nozione
comunitaria di interesse  economico,  e'  agevole  rilevare  che  gli
indici  empirici  di  tale  interesse  -  come  lo  scopo  lucrativo,
l'assunzione dei rischi dell'attivita', l'incidenza del finanziamento
pubblico - talvolta impiegati dalla Corte di giustizia  UE  (sentenza
22 maggio 2003, C-18/2001,  Korhonen  e.a.)  e  richiamati  anche  da
questa Corte (sentenza n. 272 del 2004) possono essere utili solo con
riferimento ad un servizio gia' esistente sul mercato, per  accertare
se l'attivita' svolta sia da considerare economica.  Cio'  pero'  non
significa che l'economicita' dell'interesse si debba  determinare  ex
post, esclusivamente in base a tali indici, e cioe' a seguito di  una
scelta discrezionale dell'ente locale competente circa  le  modalita'
di gestione del servizio. Al contrario, nel diverso caso  in  cui  si
debba immettere nel mercato un servizio  pubblico  -  e,  quindi,  si
debba accertare se  e  come  applicare  le  regole  concorrenziali  e
concorsuali  comunitarie  per  l'affidamento  della  sua  gestione  -
occorre necessariamente prendere in  considerazione  la  possibilita'
dell'apertura di  un  mercato,  obiettivamente  valutata  secondo  un
giudizio  di  concreta  realizzabilita',  a   prescindere   da   ogni
soggettiva determinazione dell'ente  al  riguardo.  E'  vero  che  il
diritto comunitario lascia qualche  spazio  in  materia  alla  scelta
degli Stati membri, riservando loro, sia pure in via di eccezione, il
potere di derogare alle regole del Trattato relative alla concorrenza
e agli aiuti di Stato, ove tali regole - salvo  errori  manifesti  da
parte degli Stati stessi - siano ritenute ostative  al  perseguimento
della speciale missione  e  delle  finalita'  sociali  del  servizio.
Tuttavia,   il   potere   di   deroga   presuppone   la   sussistenza
dell'interesse economico  del  servizio  stesso,  esercitandosi  tale
potere proprio nell'ambito dei SIEG, e cioe' di servizi che sono, per
definizione  ed  obiettivamente,  di  «interesse  economico»  perche'
idonei ad influenzare un assetto concorrenziale in atto o in fieri. 
    Analogamente a quanto visto a proposito del diritto  comunitario,
le disposizioni censurate  non  fanno  esclusivo  riferimento  ad  un
servizio locale operante in un mercato gia' esistente, ma  riguardano
servizi dotati di mera «rilevanza» economica e, quindi, anche servizi
ancora da organizzare e da immettere sul mercato. Infatti,  esse,  in
armonia con l'indicata nozione comunitaria  di  interesse  economico,
evidenziano  le  due  seguenti  fondamentali  caratteristiche   della
nozione di «rilevanza» economica: a) che  l'immissione  del  servizio
possa avvenire in un mercato anche solo potenziale,  nel  senso  che,
per l'applicazione dell'art. 23-bis, e' condizione sufficiente che il
gestore possa immettersi in un mercato ancora non esistente,  ma  che
abbia effettive possibilita' di aprirsi  e  di  accogliere,  percio',
operatori che  agiscano  secondo  criteri  di  economicita';  b)  che
l'esercizio dell'attivita' avvenga con metodo  economico,  nel  senso
che essa, considerata nella sua globalita',  deve  essere  svolta  in
vista quantomeno della copertura, in un determinato periodo di tempo,
dei costi mediante i ricavi (di qualsiasi natura  questi  siano,  ivi
compresi gli eventuali finanziamenti pubblici). 
    Tale impostazione − consequenziale  alla  scelta  legislativa  di
promuovere la concorrenza "per" il mercato della gestione dei servizi
- emerge  nettamente,  in  particolare,  dai  commi  3,  4  e  4-bis,
dell'art. 23-bis, i quali possono essere  interpretati  soltanto  nel
senso che i servizi pubblici locali non cessano di  avere  «rilevanza
economica» per il solo fatto che  sia  formulabile  una  prognosi  di
inefficacia  o  inutilita'  del  semplice  ricorso  al  mercato,  con
riferimento agli  obiettivi  pubblici  perseguiti  dall'ente  locale.
Evidentemente, anche per il legislatore nazionale,  come  per  quello
comunitario,  la  rilevanza  economica  sussiste  pure  quando,   per
superare le particolari  difficolta'  del  contesto  territoriale  di
riferimento e garantire prestazioni di qualita' anche ad  una  platea
di  utenti  in  qualche  modo  svantaggiati,  non   sia   sufficiente
l'automaticita' del mercato, ma sia necessario un pubblico intervento
o finanziamento compensativo  degli  obblighi  di  servizio  pubblico
posti a carico del gestore, sempre che  sia  concretamente  possibile
creare un «mercato a monte», e cioe' un mercato «in  cui  le  imprese
contrattano  con  le  autorita'  pubbliche  la  fornitura  di  questi
servizi» agli utenti (cosi' - si e' visto al punto 6.1. - si  esprime
la Commissione europea nel citato Libro verde al punto 44). 
    Dall'evidenziata portata oggettiva delle nozioni in esame e dalla
indicata  sufficienza  di  un  mercato   solo   potenziale   consegue
l'erroneita' delle interpretazioni volte a dare alle medesime nozioni
un   carattere   meramente   soggettivo   e,   in   particolare,   di
quell'interpretazione - fatta propria da alcune ricorrenti -  secondo
cui si avrebbe rilevanza economica solo alla duplice  condizione  che
un mercato del servizio sussista effettivamente e che  l'ente  locale
decida a sua discrezione di finanziare  il  servizio  con  gli  utili
ricavati dall'esercizio di impresa in quel mercato. 
    9.2. - Quanto  al  secondo  profilo  da  esaminare,  relativo  al
fondamento costituzionale della legge statale che fissa il  contenuto
della suddetta nozione oggettiva di «rilevanza economica»,  va  preso
atto che detta nozione, al  pari  di  quella  omologa  di  «interesse
economico»  propria   del   diritto   comunitario,   va   utilizzata,
nell'ambito della disciplina del mercato dei servizi pubblici,  quale
criterio discretivo per l'applicazione delle norme  concorrenziali  e
concorsuali comunitarie in materia di affidamento della  gestione  di
tali servizi (come, del resto, esplicitamente affermato dal  comma  1
dell'art. 23-bis). Ne deriva che, proprio  per  tale  suo  ambito  di
utilizzazione,  la  determinazione  delle  condizioni  di   rilevanza
economica e' riservata alla competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato in tema di «tutela della concorrenza»,  ai  sensi  del  secondo
comma,  lettera  e),  dell'art.  117  Cost.   Poiche'   l'ordinamento
comunitario esclude che gli  Stati  membri,  ivi  compresi  gli  enti
infrastatuali, possano soggettivamente e a loro discrezione  decidere
sulla   sussistenza   dell'interesse    economico    del    servizio,
conseguentemente  il  legislatore  statale  si  e'  adeguato  a  tale
principio dell'ordinamento comunitario nel promuovere  l'applicazione
delle regole concorrenziali e ha escluso che gli  enti  infrastatuali
possano  soggettivamente  e  a  loro   discrezione   decidere   sulla
sussistenza della rilevanza economica del  servizio  (rilevanza  che,
come piu' volte sottolineato,  corrisponde  per  il  diritto  interno
all'interesse economico considerato dal diritto comunitario). 
    10. - Alla luce dei nuclei  tematici  evidenziati  al  punto  2.,
occorre ora esaminare le singole  questioni  proposte  dalle  Regioni
ricorrenti. 
    A tale proposito, va  preliminarmente  rilevato  che,  quanto  ai
ricorsi delle Regioni aventi ad oggetto il  testo  vigente  dell'art.
23-bis, l'Avvocatura generale dello Stato ha formulato due  eccezioni
di inammissibilita'. 
    10.1. - In primo luogo si eccepisce, in  via  generale,  che  «la
Regione   non   puo'   lamentare    genericamente    l'illegittimita'
costituzionale di leggi statali, ovvero la contrarieta' delle  stesse
all'ordinamento comunitario senza indicare specificamente la  lesione
di una competenza ad essa attribuita». 
    L'eccezione deve essere rigettata  per  la  sua  genericita',  in
quanto lo Stato non specifica a quali delle questioni sollevate dalle
Regioni si riferisca. 
    10.2. - La difesa dello Stato afferma, in secondo luogo, che, «in
riferimento alle questioni ex adverso  sollevate  sulla  mancata  e/o
inesatta applicazione dei principi comunitari in materia  di  servizi
pubblici locali, si ritiene che la doglianza sia mal posta in termini
di incostituzionalita'», in quanto, «qualora  codesta  Corte  dovesse
ravvisare l'esigenza di assicurare una uniforme  interpretazione  del
diritto  comunitario,  la  questione,  ai  sensi  dell'art.  234  del
Trattato CE, dovrebbe essere preventivamente  oggetto  di  un  rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia UE». 
    L'eccezione deve essere rigettata, perche' nei giudizi principali
le  Regioni  possono   sempre   porre   alla   Corte   questioni   di
costituzionalita'  nelle  quali  siano   evocate,   quali   parametri
interposti, norme di diritto comunitario. Spettera' semmai alla Corte
costituzionale - come precisato nella sentenza  n.  102  del  2008  e
nell'ordinanza n. 103 del 2008 - effettuare il  rinvio  pregiudiziale
alla Corte di giustizia nel caso in cui ritenga che l'interpretazione
del diritto comunitario non sia chiara. Peraltro, nel caso di  specie
- come visto al  punto  6.  -  l'interpretazione  delle  disposizioni
comunitarie evocate dalle ricorrenti quali  parametri  interposti  di
legittimita' costituzionale e' sufficientemente chiarita,  nel  senso
che esse non  ostano  alla  normativa  censurata,  dalla  consolidata
giurisprudenza della Corte di giustizia UE gia' citata. 
    11. - Le questioni riconducibili  al  primo  dei  sopra  indicati
nuclei tematici (trattato al punto 6.) - che attiene al rapporto  tra
le  disposizioni  censurate  e  la  disciplina  dei  SPL   desumibile
dall'ordinamento  dell'Unione   europea   e   dalla   Carta   europea
dell'autonomia  locale  -   sono   poste   dalle   Regioni   Liguria,
Emilia-Romagna, Umbria, Piemonte, Toscana. La Regione Marche  propone
una questione  che  involge,  allo  stesso  tempo,  sia  tale  nucleo
tematico sia il quarto dei nuclei tematici (analizzato al punto  9.),
relativo alla determinazione della rilevanza economica dei SPL. 
    11.1. - La Regione Piemonte impugna i commi 1, 2  e  3  dell'art.
23-bis del decreto-legge  n.  112  del  2008,  nel  testo  originario
(ricorso n. 77 del 2008), e i commi  2,  3  e  4  dello  stesso  art.
23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge
n. 135 del 2009 (ricorso n. 16 del  2010),  nonche'  il  comma  1-ter
dello  stesso  art.  15  del  decreto-legge  n.  135  del  2009,   in
riferimento all'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  sostenendo  che  il
diritto comunitario non consente che il legislatore nazionale  spinga
la tutela della  concorrenza  fino  a  comprimere  il  «principio  di
liberta' degli individui o di autonomia - del pari  costituzionale  -
degli enti territoriali (artt. 5, 117, 118, Cost.)  di  mantenere  la
capacita' di operare ogni qualvolta fanno  la  scelta  che  ritengono
piu' opportuna: cioe' se fruire dei vantaggi  economici  offerti  dal
mercato dei produttori oppure se procedere a  modellare  una  propria
struttura  capace  di  diversamente   configurare   l'offerta   delle
prestazioni di servizio pubblico». 
    La questione e' inammissibile perche' generica 
    Infatti, la  ricorrente,  limitandosi  a  richiamare  il  diritto
comunitario nel suo complesso, non specifica le norme comunitarie  da
utilizzare come parametri interposti. E cio', a prescindere dal fatto
che il diritto comunitario  consente  in  ogni  caso  al  legislatore
interno di prevedere limitazioni dell'affidamento diretto piu' estese
di  quelle  comunitarie  (che  consistono  solamente   nella   totale
partecipazione pubblica, nel cosiddetto  "controllo  analogo",  nella
preponderanza   dell'attivita'    svolta    in    favore    dell'ente
controllante). Come si e' visto al  punto  6.1.,  esso  infatti,  nel
prevedere  solo  regole  "minime"  pro  concorrenziali,   lascia   al
legislatore nazionale un  ampio  margine  di  apprezzamento,  con  la
conseguenza che nelle ipotesi -  come  quella  di  specie  -  in  cui
quest'ultimo prevede condizioni ulteriori aventi  lo  stesso  "verso"
del diritto comunitario, deve escludersi il prospettato contrasto. 
    11.2. - Le Regioni Toscana ed  Emilia-Romagna  impugnano  diversi
commi  dell'art.  23-bis  del  decreto-legge  n.  112  del  2008  per
violazione del diritto comunitario. 
    11.2.1. - In particolare, la Regione Toscana censura i commi 2, 3
e 4 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del
decreto-legge n. 135 del 2009, in riferimento  all'art.  117,  primo,
secondo  e  quarto  comma,  Cost.,   affermando   che   l'ordinamento
comunitario  ammette  espressamente  la  possibilita'  di  fornire  i
servizi  pubblici  con  un'organizzazione  propria,  in   alternativa
all'affidamento  ad  imprese  terze,  con  la  conseguenza   che   le
disposizioni censurate  non  trovano  fondamento  ne'  nella  riserva
costituzionale alla  legislazione  statale  esclusiva  della  materia
«tutela della concorrenza»  (art.  117,  secondo  comma,  lettera  e,
Cost.), ne' nella disciplina comunitaria. 
    La stessa Regione censura anche il comma 8 dell'art. 23-bis,  nel
testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135  del
2009, il quale prevede che gli affidamenti diretti gia' in essere  al
momento dell'entrata in vigore della nuova normativa cessano in  date
successive, a partire dal 31 dicembre 2011, a seconda  delle  diverse
tipologie degli affidamenti stessi. Per  la  ricorrente,  tale  comma
viola l'art. 117, primo, comma Cost., perche',  nella  parte  in  cui
impone al 31 dicembre 2011 la cessazione  di  tutte  le  gestioni  in
house si pone in contrasto con il  diritto  comunitario,  che  invece
consente la prosecuzione di tali gestioni. 
    La Regione Emilia- Romagna (ricorso n. 13 del 2010)  impugna,  in
riferimento all'art. 117, primo comma,  Cost.,  lo  stesso  comma  8,
lamentando che «nel  diritto  comunitario  il  modello  organizzativo
dell'autoproduzione dei servizi attraverso affidamenti  in  house  e'
stato ritenuto in linea con i principi del Trattato,  tra  cui,  come
noto, vi e' quello della tutela e promozione della concorrenza». 
    Le questioni sono inammissibili per  genericita',  in  quanto  le
ricorrenti non specificano le norme comunitarie che  sarebbero  state
violate, e per perplessita', in quanto le stesse ricorrenti affermano
che l'ordinamento comunitario consente e non impone agli enti  locali
di continuare a fornire i servizi pubblici attraverso le gestioni  in
house gia' in essere. E cio', a prescindere dal  fatto  che,  per  le
ragioni esposte  ai  punti  6.1.  e  11.1.,  il  diritto  comunitario
consente in ogni caso al legislatore interno di prevedere limitazioni
dell'affidamento diretto piu' estese di quelle comunitarie. 
    11.2.2. - La Regione Emilia-Romagna  (ricorso  n.  13  del  2010)
impugna, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., il comma  8
dell'art. 23-bis  del  decreto-legge  n.  112  del  2008,  nel  testo
modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del  2009,
anche sotto un diverso profilo. 
    Afferma la ricorrente che il diritto comunitario prevede  che  la
societa' in house sia tenuta  a  svolgere  a  favore  degli  enti  di
riferimento  solo  l'attivita'  prevalente,  ben  potendo   destinare
l'attivita' residua anche al mercato, mentre «la norma  in  questione
trasforma il concetto di "prevalenza"  dell'attivita'  in  "attivita'
esclusiva",  costringendo  il  soggetto   titolare   dell'affidamento
diretto (non solo in house provider) a svolgere la propria  attivita'
esclusivamente nei confronti degli enti affidanti». 
    La questione e'  inammissibile  per  genericita',  in  quanto  la
ricorrente non specifica le norme  comunitarie  che  sarebbero  state
violate. E cio', a prescindere dal fatto che, per le ragioni  esposte
ai punto 6.1. e 11.1., il diritto comunitario consente in  ogni  caso
al legislatore  interno  di  prevedere  limitazioni  dell'affidamento
diretto piu' estese di quelle comunitarie. 
    11.3. - Lo stesso comma 8 dell'art. 23-bis, nel testo  modificato
dall'art. 15,  comma  1,  del  decreto-legge  n.  135  del  2009,  e'
impugnato anche dalle Regioni Liguria (ricorso  n.  12  del  2010)  e
Umbria,  in  riferimento  all'art.  117,  primo  comma  Cost.,   «per
contrasto con la Carta europea dell'autonomia locale». 
    La questione e'  inammissibile  per  genericita',  in  quanto  le
ricorrenti non specificano quali  disposizioni  della  Carta  europea
dell'autonomia locale sarebbero state violate. 
    11.4. - Come sopra  accennato,  la  Regione  Marche  solleva  una
questione ascrivibile, nello stesso tempo, a due nuclei tematici:  al
quarto, perche' assume che rientra nella competenza propria  e  degli
enti locali decidere se il  servizio  idrico  integrato  abbia  o  no
rilevanza economica; al primo, perche' afferma che  tale  riserva  di
competenza e' garantita dal diritto comunitario e che,  pertanto,  la
normativa denunciata, nel porre limiti all'affidamento  del  servizio
non previsti dalla normativa  comunitaria,  si  pone  con  questa  in
contrasto. 
    In particolare, la Regione impugna - per il caso, appunto, in cui
il comma 1-ter dell'art. 15 del decreto-legge n.  135  del  2009  non
possa interpretarsi nel senso che il  servizio  idrico  integrato  e'
sottoposto alla disciplina dell'art. 23-bis solo nei casi in cui «gli
enti competenti abbiano scelto di organizzarlo in modo da  conferirvi
rilevanza economica» -  i  commi  2,  3  e  4  dell'art.  23-bis  del
decreto-legge n. 112 del 2008, nel  testo  modificato  dall'art.  15,
comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, e l'art. 15, comma 1-ter,
dello stesso decreto-legge n. 135 del 2009, nella  parte  in  cui  si
riferiscono al servizio idrico integrato. 
    Le disposizioni censurate  -  gia'  sinteticamente  riportate  al
punto 1.1. - prevedono che: 1) «Il conferimento  della  gestione  dei
servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria:  a)  a  favore  di
imprenditori o di societa' in qualunque forma costituite  individuati
mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei
principi del Trattato che  istituisce  la  Comunita'  europea  e  dei
principi generali relativi ai contratti pubblici e,  in  particolare,
dei principi di economicita', efficacia, imparzialita',  trasparenza,
adeguata pubblicita', non discriminazione,  parita'  di  trattamento,
mutuo  riconoscimento   e   proporzionalita';   b)   a   societa'   a
partecipazione  mista  pubblica  e  privata,  a  condizione  che   la
selezione  del  socio  avvenga  mediante  procedure  competitive   ad
evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera  a),
le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio  e
l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla  gestione
del servizio e che al socio sia  attribuita  una  partecipazione  non
inferiore al 40 per cento» (comma 2 dell'art. 23-bis); 2) «In  deroga
alle modalita' di affidamento  ordinario  di  cui  al  comma  2,  per
situazioni eccezionali che,  a  causa  di  peculiari  caratteristiche
economiche,  sociali,  ambientali  e  geomorfologiche  del   contesto
territoriale di riferimento,  non  permettono  un  efficace  e  utile
ricorso al mercato, l'affidamento puo' avvenire a favore di  societa'
a capitale interamente pubblico, partecipata  dall'ente  locale,  che
abbia i  requisiti  richiesti  dall'ordinamento  comunitario  per  la
gestione cosiddetta "in house"e, comunque, nel rispetto dei  principi
della disciplina comunitaria in materia di  controllo  analogo  sulla
societa' e di  prevalenza  dell'attivita'  svolta  dalla  stessa  con
l'ente o gli enti pubblici che la  controllano»  (comma  3  dell'art.
23-bis); 3) «Nei casi di cui al comma 3, l'ente affidante  deve  dare
adeguata pubblicita' alla scelta, motivandola in base  ad  un'analisi
del mercato e contestualmente trasmettere  una  relazione  contenente
gli  esiti  della  predetta  verifica  all'Autorita'  garante   della
concorrenza e del mercato per l'espressione di un parere  preventivo,
da rendere entro  sessanta  giorni  dalla  ricezione  della  predetta
relazione. Decorso il termine, il parere, se  non  reso,  si  intende
espresso in senso favorevole» (comma 4 dell'art. 23-bis);  4)  «Tutte
le forme di affidamento della gestione del servizio idrico  integrato
di cui all'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del  2008,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133  del  2008,  devono
avvenire nel  rispetto  dei  principi  di  autonomia  gestionale  del
soggetto gestore e di piena ed esclusiva  proprieta'  pubblica  delle
risorse  idriche,  il  cui   governo   spetta   esclusivamente   alle
istituzioni pubbliche, in  particolare  in  ordine  alla  qualita'  e
prezzo del servizio, in conformita' a  quanto  previsto  dal  decreto
legislativo 3  aprile  2006,  n.  152,  garantendo  il  diritto  alla
universalita' ed accessibilita' del servizio» (art. 15, comma  1-ter,
del decreto-legge n. 135 del 2009). 
    La ricorrente lamenta la violazione dell'art. 117,  primo  comma,
Cost., per il tramite degli artt.  14  e  106  TFUE,  i  quali  cosi'
dispongono:  «fatti  salvi  l'articolo  4  del  trattato  sull'Unione
europea e gli articoli 93,  106  e  107  del  presente  trattato,  in
considerazione dell'importanza dei  servizi  di  interesse  economico
generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonche' del  loro
ruolo  nella  promozione  della  coesione  sociale  e   territoriale,
l'Unione e gli Stati  membri,  secondo  le  rispettive  competenze  e
nell'ambito  del  campo  di  applicazione  dei  trattati,  provvedono
affinche' tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in
particolare  economiche  e  finanziarie,  che  consentano   loro   di
assolvere i propri compiti.» (art. 14); «Le imprese incaricate  della
gestione  di  servizi  di  interesse  economico  generale  o   aventi
carattere  di  monopolio  fiscale  sono  sottoposte  alle  norme  dei
trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti  in
cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento,  in  linea
di diritto e di fatto, della specifica  missione  loro  affidata.  Lo
sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria
agli interessi dell'Unione.» (art. 106). 
    Per la Regione, le disposizioni censurate si pongono in contrasto
con gli evocati parametri, perche', conformando  il  servizio  idrico
come  servizio  necessariamente  a  rilevanza  economica  e   ponendo
limitazioni alle condizioni di affidamento  della  gestione  di  tale
servizio  non  contemplate   dal   diritto   comunitario,   impongono
l'applicazione delle regole del mercato interno in via  generale  per
tutto il territorio nazionale e negano, cosi', alle  Regioni  e  agli
enti locali quel potere di effettuare caso per caso  una  valutazione
concreta della rilevanza economica del servizio stesso, che,  invece,
la normativa comunitaria riserva loro. 
    La questione non e' fondata. 
    I  parametri  evocati  non   fissano   le   condizioni   di   uso
dell'espressione,  in  essi  utilizzata,  di   «interesse   economico
generale» - espressione che la stessa ricorrente  ammette  essere  un
sinonimo  di  «rilevanza  economica»  -  e  non  specificano  se   la
sussistenza  di  tale  interesse   possa   essere   discrezionalmente
stabilita dagli Stati membri o dagli  enti  infrastatuali.  Tuttavia,
come piu'  diffusamente  esposto  ai  punti  6.1.  e  9.,  lo  spazio
interpretativo lasciato aperto dai suddetti articoli del Trattato  e'
stato colmato dalla giurisprudenza comunitaria  e  dalla  Commissione
europea, secondo le quali «l'interesse economico generale», in quanto
funzionale ad una disciplina comunitaria diretta a favorire l'assetto
concorrenziale  dei  mercati,  e'  riferito  alla   possibilita'   di
immettere una specifica attivita' nel mercato corrispondente (reale o
potenziale) ed ha,  pertanto,  natura  essenzialmente  oggettiva.  Ne
deriva  che  (secondo  quanto  meglio  osservato   al   punto   9.2.)
l'ordinamento comunitario, in considerazione della  rilevata  portata
oggettiva della nozione di «interesse economico», vieta che gli Stati
membri e gli enti infrastatuali  possano  soggettivamente  e  a  loro
discrezione decidere circa  la  sussistenza  di  tale  interesse.  In
particolare, la previsione, da parte delle disposizioni censurate, di
condizioni per l'affidamento diretto  del  servizio  pubblico  locale
piu' restrittive di quelle previste dall'ordinamento comunitario  non
integra alcuna violazione dei principi comunitari della  concorrenza,
perche' tali principi costituiscono solo un minimo  inderogabile  per
gli Stati membri, i quali hanno la facolta' di dettare una disciplina
piu'  rigorosamente  concorrenziale,  come  quella  di  specie,  che,
restringendo le eccezioni all'applicazione della regola della gara ad
evidenza pubblica - posta a tutela della concorrenza  -,  rende  piu'
estesa l'applicazione di tale regola. 
    Con  riferimento  alla  fattispecie  in  esame,  il   legislatore
statale, in  coerenza  con  la  menzionata  normativa  comunitaria  e
sull'incontestabile presupposto che il servizio idrico  integrato  si
inserisce in uno specifico e peculiare mercato (come riconosciuto  da
questa Corte con la sentenza  n.  246  del  2009),  ha  correttamente
qualificato   tale   servizio   come    di    rilevanza    economica,
conseguentemente escludendo ogni potere degli enti  infrastatuali  di
pervenire ad una diversa qualificazione. 
    11.5. - I commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis  del  decreto-legge  n.
112 del 2008,  nel  testo  modificato  dall'art.  15,  comma  1,  del
decreto-legge  n.  135  del  2009,  sono  censurati,  in  riferimento
all'art. 117, primo comma, Cost., dalle Regioni Liguria  (ricorso  n.
12 del 2010) e Umbria,  nonche',  limitatamente  al  comma  3,  dalla
Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 13 del 2010). 
    Le ricorrenti lamentano la violazione dell'evocato parametro, per
il  tramite  della  Carta  europea  dell'autonomia   locale   e,   in
particolare, delle seguenti  disposizioni:  a)  l'art.  3,  comma  1,
secondo  cui  «per  autonomia  locale,  s'intende  il  diritto  e  la
capacita' effettiva, per le collettivita' locali, di regolamentare ed
amministrare nell'ambito della legge, sotto la loro  responsabilita',
e  a  favore  delle  popolazioni,  una  parte  importante  di  affari
pubblici»; b) l'art. 4, comma 2, secondo cui «le collettivita' locali
hanno, nell'ambito della legge, ogni piu' ampia facolta' di  prendere
iniziative proprie per qualsiasi questione che non esuli  dalla  loro
competenza o sia assegnata ad un'altra autorita'»; c) l'art. 4, comma
4, secondo cui «le  competenze  affidate  alle  collettivita'  locali
devono di regola essere complete ed integrali». 
    Sostengono le ricorrenti che, una volta che si riconosca  che  il
servizio idrico e' parte  delle  funzioni  fondamentali  dei  Comuni,
«sembra evidente che solo ad essi spetta la  decisione  sul  migliore
modo di organizzarlo» e il legislatore  non  puo'  «configurare  come
eccezionale e soggetta a specifici aggravi procedimentali  la  scelta
di assumere essi stessi la responsabilita' della gestione diretta del
servizio». 
    Le questioni non sono fondate. 
    Infatti, come piu' diffusamente osservato al punto 6.2.:  a)  con
riferimento alla gestione diretta, il  denunciato  contrasto  con  la
Carta non e' ipotizzabile rispetto alle  norme  censurate,  ma  solo,
eventualmente, rispetto ai non censurati artt. 35 della legge n.  448
del 2001 e 14 del decreto-legge n. 269 del 2003; b) il presupposto da
cui muovono le ricorrenti che  il  servizio  idrico  costituisca  una
delle funzioni fondamentali dell'ente pubblico e' privo di fondamento
(sentenze n. 307 del 2009 e n. 272 del 2004); c) gli evocati articoli
della Carta europea dell'autonomia locale non hanno natura precettiva
e sono prevalentemente definitori (art. 3,  comma  1),  programmatici
(art. 4, comma 2) e, comunque, generici (art. 4, comma  4).  Inoltre,
la stessa Carta,  al  comma  1  dell'evocato  art.  4,  afferma,  con
previsione di carattere generale, che «le competenze  di  base  delle
collettivita'  locali  sono  stabilite  dalla  Costituzione  o  dalla
legge», con cio' rinviando alla normativa  nazionale  la  definizione
del quadro generale delle competenze. 
    12. - Le questioni che attengono al secondo  dei  sopra  indicati
nuclei  tematici,  relativo   all'individuazione   della   sfera   di
competenza in cui collocare la normativa denunciata e gia'  esaminato
al punto 7, sono poste  dalle  Regioni  Piemonte,  Liguria,  Toscana,
Umbria, Marche, Emilia-Romagna e Puglia. Le ricorrenti contestano  la
riconducibilita'  di  diverse  disposizioni  dell'art.   23-bis   del
decreto-legge n. 112 del 2008 - sia nella formulazione originaria sia
in quella vigente - nonche' del decreto-legge n. 135  del  2009  alla
competenza legislativa esclusiva statale in materia di «tutela  della
concorrenza».  La  normativa  denunciata  si  collocherebbe,  per  la
Regione Marche, nell'ambito della potesta' regolamentare  degli  enti
locali di cui all'art.  117,  sesto  comma,  Cost.;  per  la  Regione
Puglia, nell'ambito della competenza regionale concorrente in materia
di tutela  della  salute  e  alimentazione;  nonche',  per  le  altre
ricorrenti, nell'ambito della materia dei servizi pubblici locali, di
competenza regionale residuale. 
    12.1. - Occorre  innanzitutto  esaminare  le  questioni  che,  in
ragione della loro formulazione, non consentono un esame nel merito. 
    12.1.1. - Le Regioni Liguria (ricorso n. 12 del  2010)  e  Umbria
impugnano il comma 8 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art.
15, comma 1, del  decreto-legge  n.  135  del  2009,  in  riferimento
all'art. 117, secondo comma, Cost., «per erronea interpretazione  dei
confini dei poteri statali ivi previsti». 
    La  questione  e'  inammissibile  per  genericita',  perche'   le
ricorrenti non specificano a quali tra le molteplici competenze dello
Stato disciplinate dall'art. 117, secondo comma, Cost. si  debba  far
riferimento ai fini dello scrutinio di costituzionalita'. 
    12.1.2. -  Le  stesse  Regioni  Liguria  e  Umbria  impugnano  il
medesimo comma 8 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15,
comma 1, del decreto-legge n.  135  del  2009  anche  in  riferimento
all'art. 118, primo e  secondo  comma,  Cost.,  «per  violazione  del
principio di sussidiarieta' e della titolarita' comunale di  funzioni
proprie». 
    Anche tale questione e' inammissibile per genericita', perche' le
ricorrenti non specificano in cosa consista la dedotta violazione del
principio di sussidiarieta', ne' quali siano le funzioni proprie  dei
Comuni cui fanno riferimento. 
    12.1.3. - Il comma  8  dell'art.  23-bis,  nel  testo  modificato
dall'art. 15,  comma  1,  del  decreto-legge  n.  135  del  2009,  e'
censurato anche dalla Regione Emilia-Romagna, in  quanto  lesivo  del
«principio di pluralismo paritario istituzionale, in violazione degli
artt. 114 e 118 Cost.» e dell'art. 117, quarto comma, Cost.,  perche'
contiene una disciplina cosi' rigida da annullare qualsiasi autonomia
esercitabile  in  materia  e   lede,   percio',   il   principio   di
sussidiarieta'. 
    La  questione  e'  inammissibile  per  genericita',  perche'   la
ricorrente si limita ad affermare che  la  norma  denunciata  annulla
«qualsiasi autonomia esercitabile in materia», senza  indicare  quali
siano le competenze costituzionali che ritiene lese e senza  spiegare
le ragioni della prospettata lesione. 
    12.2. - Le questioni attinenti allo stesso nucleo  tematico  che,
invece, debbono essere  scrutinate  nel  merito  vanno  distinte  tra
quelle che riguardano: a) la disciplina in generale del SPL, a regime
e transitoria (commi  1,  2,  3  e  4  dell'art.  23-bis,  nel  testo
originario  e  in  quello  vigente,  nonche'  comma  8  dello  stesso
articolo, nel testo  vigente);  b)  la  determinazione  delle  soglie
minime  per  l'assoggettamento  al  parere  dell'AGCM  (comma   4-bis
dell'art. 23-bis, nel testo vigente); c) la determinazione dei bacini
di  gara  (comma  7  dell'art.  23-bis,  nel  testo  originario);  d)
l'assoggettamento al patto di stabilita' e la gestione associata  dei
servizi (comma 10, lettere a e b,  nel  testo  originario  e  vigente
dell'art.  23-bis).  Tali  gruppi  di   questioni   vanno   esaminati
separatamente. 
    12.3. - Il primo gruppo di questioni  -  attinente,  come  si  e'
visto, alla competenza a disciplinare in generale i servizi  pubblici
locali ed avente ad oggetto i commi 1, 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis, nel
testo originario e in quello vigente, nonche' il comma 8 dello stesso
articolo, nel testo  vigente  -  e'  posto  dalle  Regioni  Piemonte,
Liguria, Toscana, Umbria, Marche ed Emilia-Romagna. 
    12.3.1. - La Regione Piemonte (ricorso n. 77 del 2008) censura  i
commi 1, 2 e 3 dell'art. 23-bis, nel testo originario. 
    Le disposizioni censurate, gia' sinteticamente riportate al punto
1.1., prevedono  che:  a)  «Le  disposizioni  del  presente  articolo
disciplinano l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici  locali
di rilevanza economica, in applicazione della disciplina  comunitaria
e al fine di favorire  la  piu'  ampia  diffusione  dei  principi  di
concorrenza, di liberta' di stabilimento e di libera prestazione  dei
servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di
servizi di interesse generale in ambito locale, nonche' di  garantire
il diritto di tutti gli utenti alla universalita'  ed  accessibilita'
dei  servizi  pubblici  locali  ed  al   livello   essenziale   delle
prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e)  e
m), della Costituzione, assicurando un  adeguato  livello  di  tutela
degli utenti, secondo i principi di sussidiarieta',  proporzionalita'
e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo
si applicano a tutti i servizi pubblici  locali  e  prevalgono  sulle
relative discipline di settore con esse incompatibili» (comma 1);  b)
«Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali  avviene,
in via ordinaria, a favore di imprenditori o di societa' in qualunque
forma  costituite  individuati  mediante  procedure  competitive   ad
evidenza  pubblica,  nel  rispetto  dei  principi  del  Trattato  che
istituisce la Comunita' europea e dei principi generali  relativi  ai
contratti pubblici e, in particolare, dei principi  di  economicita',
efficacia,  imparzialita',  trasparenza,  adeguata  pubblicita',  non
discriminazione,  parita'  di  trattamento,   mutuo   riconoscimento,
proporzionalita'»  (comma  2);  c)  «In  deroga  alle  modalita'   di
affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a  causa
di  peculiari  caratteristiche  economiche,  sociali,  ambientali   e
geomorfologiche  del  contesto  territoriale  di   riferimento,   non
permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento puo'
avvenire nel rispetto  dei  principi  della  disciplina  comunitaria»
(comma 3). 
    La ricorrente sostiene che tali disposizioni violano l'art.  117,
quarto comma, Cost., il quale attribuisce alle Regioni la  competenza
legislativa residuale in materia di pubblici  servizi,  perche',  non
permettendo alle Regioni di optare per  affidamenti  dei  servizi  in
house anche nelle ipotesi diverse da quelle del comma 3, determinano,
di fatto, una compressione delle loro attribuzioni costituzionali  in
materia; compressione non giustificabile sulla base dell'esercizio di
competenze legislative  esclusive  dello  Stato,  in  particolare  in
materia di tutela della concorrenza. 
    12.3.2. - La Regione Liguria (ricorso n. 72  del  2008)  censura,
oltre ai commi 2 e 3 riportati al punto precedente, anche il comma  4
dell'art. 23-bis, nel testo originario, il quale  prevede  che:  «Nei
casi  di  cui  al  comma  3,  l'ente  affidante  deve  dare  adeguata
pubblicita' alla  scelta,  motivandola  in  base  ad  un'analisi  del
mercato e contestualmente trasmettere una  relazione  contenente  gli
esiti della predetta verifica all'Autorita' garante della concorrenza
e del mercato e  alle  autorita'  di  regolazione  del  settore,  ove
costituite, per l'espressione di un parere sui profili di  competenza
da rendere entro  sessanta  giorni  dalla  ricezione  della  predetta
relazione». 
    Ad avviso della ricorrente,  le  disposizioni  impugnate  violano
l'art. 117, quarto comma, Cost., il quale attribuisce alle Regioni la
competenza legislativa residuale in materia di pubblici servizi,  per
motivi analoghi a quelli formulati dalla Regione  Piemonte  al  punto
precedente. 
    12.3.3. - La Regione Piemonte (ricorso n. 77 del 2008) censura  i
commi 3 e 4 dell'art. 23-bis, nel testo  originario,  sostenendo  che
essi violano  l'art.  117,  quarto  e  sesto  comma,  «per  avere  il
legislatore statale invaso la sfera  di  competenza  normativa  della
Regione  Piemonte  e  degli  enti   territoriali   piemontesi   nella
definizione dello svolgimento delle funzioni  loro  attribuite  [...]
poiche' una parte della norma prevede una disciplina particolare  del
procedimento di affidamento della gestione a soggetti  diversi  dagli
operatori di mercato, tra cui l'in house providing»,  disciplina  che
spetta alla competenza legislativa regionale. 
    12.3.4. - La Regione Toscana censura i commi 2, 3 e  4  dell'art.
23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge
25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge
20 novembre 2009, n. 166, in  riferimento  all'art.  117,  secondo  e
quarto comma, Cost., perche' esprimono una prevalenza della  gestione
esternalizzata dei servizi pubblici locali,  in  quanto  intervengono
nella materia dell'organizzazione della gestione  di  detti  servizi,
con una normativa di dettaglio, che non lascia margini  all'autonomia
del legislatore regionale, pur perseguendo finalita' che  esulano  da
profili strettamente connessi alla tutela della concorrenza. 
    12.3.5. - Le Regioni Liguria (ricorso n. 12 del  2010)  e  Umbria
impugnano - in riferimento all'art. 117,  quarto  comma,  Cost.  -  i
commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.
112, nel testo vigente, sul rilievo che  essi  limitano  la  potesta'
legislativa regionale di  disciplinare  il  normale  svolgimento  del
servizio  pubblico  da  parte  dell'ente,  sottoponendo   la   scelta
dell'affidamento in house a vincoli sia  sostanziali  (le  «peculiari
caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del
contesto territoriale di riferimento») che  procedurali  (l'onere  di
trasmettere  una  relazione  contenente  gli  esiti  della   predetta
verifica all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato e alle
autorita' di regolazione del settore). 
    Le stesse ricorrenti censurano i medesimi  commi  in  riferimento
l'art. 118, primo  e  secondo  comma,  Cost.,  sostenendo  che  essi,
vietando lo svolgimento diretto del servizio idrico,  vanificano  «la
norma che assegna, preferibilmente,  le  funzioni  amministrative  ai
comuni (il servizio  idrico  virtualmente  rimane  di  spettanza  dei
comuni ma in concreto viene assegnato ad altri soggetti; inoltre,  la
norma impugnata toglie ai comuni una parte essenziale della funzione,
cioe'  la  possibilita'  di  scegliere  la  forma  di  gestione  piu'
adeguata)» e svuotano il  principio  di  sussidiarieta',  perche'  si
pongono in contrasto con il principio secondo  cui  «i  comuni  "sono
titolari di funzioni amministrative proprie"». 
    12.3.6. - La Regione Marche impugna - per il caso in cui la Corte
costituzionale non volesse accogliere la ricostruzione  del  servizio
idrico integrato come riconducibile alla potesta' regolamentare degli
enti locali ex art. 117, sesto comma, Cost.  -  i  commi  2,  3  e  4
dell'art. 23-bis  del  decreto-legge  n.  112  del  2008,  nel  testo
modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del  2009,
e l'art. 15, comma 1-ter, dello stesso decreto-legge n. 135 del 2009,
nella parte in cui  si  riferiscono  al  servizio  idrico  integrato,
affermando che essi violano l'art. 117, secondo comma, lettera e),  e
quarto comma, Cost., perche' disciplinano illegittimamente la materia
dei servizi pubblici locali, nella quale le  Regioni  hanno  potesta'
legislativa residuale. 
    12.3.7. - La Regione Piemonte (ricorso n. 16 del 2010) impugna  i
commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis del decreto-legge n.  112  del  2008,
nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n.  135
del 2009, in riferimento all'art. 117, quarto comma, Cost., rilevando
che essi recano una disciplina che non e' riconducibile alla  materia
della tutela della concorrenza, ne' ad altre  materie  di  competenza
statale, ma alla potesta' legislativa residuale delle Regioni. 
    12.3.8. - La Regione Emilia-Romagna  (ricorso  n.  13  del  2010)
censura il comma 3 dell'art.  23-bis  citato,  nel  testo  modificato
dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n.  135  del  2009,  perche'
esso,  ammettendo  la   modalita'   di   affidamento   del   servizio
direttamente a societa' in house solo in via eccezionale,  limita  la
potesta' legislativa regionale di disciplinare il normale svolgimento
del servizio pubblico da parte dell'ente, sottoponendo tale scelta  a
vincoli sia sostanziali che  procedurali  e,  di  conseguenza,  viola
l'art. 117, quarto comma, Cost. 
    La stessa  Regione  impugna  il  medesimo  comma  in  riferimento
all'art. 118, primo e secondo  comma,  Cost.,  perche',  vietando  lo
svolgimento diretto del servizio idrico, vanifica  il  principio  per
cui le funzioni  amministrative  sono  assegnate  preferibilmente  ai
comuni  e  svuota  il  principio  di  sussidiarieta',  ponendosi   in
contrasto con il principio secondo cui «i comuni  "sono  titolari  di
funzioni amministrative proprie"». 
    12.3.9. - La Regione Piemonte (ricorso n. 16 del 2010) censura  i
commi 3 e 4 dell'art. 23-bis citato, nel testo  modificato  dall'art.
15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, sostenendo  che  essi
violano l'art. 117, quarto e sesto comma, Cost., per motivi  analoghi
a quelli riportati al punto 12.3.3. 
    12.3.10. - La Regione Toscana impugna il comma 8 dell'art. 23-bis
citato, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge
n. 135 del 2009, in riferimento all'art. 117,  primo  comma,  secondo
comma,  lettera  e),  e  quarto  comma  Cost.,  lamentando   che   il
legislatore statale, con la disciplina in esame, non ha  limitato  il
proprio intervento  agli  aspetti  piu'  strettamente  connessi  alla
tutela della concorrenza ed  alla  regolazione  del  mercato,  ma  e'
intervenuto, con una norma di dettaglio, sottraendo alle  Regioni  la
libera determinazione se ricorrere o meno al mercato  ai  fini  della
gestione  del   servizio   pubblico;   determinazione   che   rientra
nell'ambito  del  buon  andamento  dell'organizzazione  dei   servizi
pubblici, che spetta alle Regioni  ai  sensi  dell'art.  117,  quarto
comma, Cost. 
    12.3.11. - Le Regioni Liguria (ricorso n. 12 del 2010)  e  Umbria
censurano il comma 8 dell'art. 23-bis citato,  nel  testo  modificato
dall'art. 15,  comma  1,  del  decreto-legge  n.  135  del  2009,  in
riferimento all'art. 117, quarto comma, Cost.,  affermando  che  esso
limita la potesta' legislativa regionale di disciplinare, anche sotto
il profilo temporale, il normale svolgimento del servizio pubblico da
parte dell'ente, sottoponendo tale scelta a vincoli  sia  sostanziali
che procedurali e che viola la potesta' legislativa  regionale  piena
in materia di servizi locali e organizzazione degli enti locali». 
    Le stesse Regioni censurano, in subordine, il medesimo comma, per
il caso in cui «fosse ritenuta legittima l'imposizione di  un  regime
"ordinario" di affidamento del servizio all'esterno e la  limitazione
a casi eccezionali di  forme  di  gestione  non  concorrenziali»,  in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera e), e quarto  comma,
Cost., lamentando che esso regola  nel  dettaglio  le  quantita',  le
modalita' e i tempi delle cessioni delle gestioni dei servizi. 
    12.3.12. - La Regione Emilia-Romagna (ricorso  n.  13  del  2010)
censura il comma 8 dell'art.  23-bis  citato,  nel  testo  modificato
dall'art. 15,  comma  1,  del  decreto-legge  n.  135  del  2009,  in
riferimento all'art. 117, quarto comma, Cost.,  sostenendo  che  esso
incide sull'assetto del sistema regionale degli affidamenti,  ledendo
il ruolo della Regione, anche di tipo legislativo,  nel  definire  la
durata degli affidamenti medesimi. 
    12.3.13. - La Regione Piemonte (ricorso n. 16 del  2010)  censura
lo stesso comma 8  dell'art.  23-bis  citato,  nel  testo  modificato
dall'art. 15,  comma  1,  del  decreto-legge  n.  135  del  2009,  in
relazione agli artt. 5, 114, 117, secondo e sesto comma, 118,  Cost.,
«anche con riferimento all'art. 3, Cost.»,  perche',  «cancella  d'un
tratto la  legittimita'  [...]  di  tutte  le  gestioni  di  servizio
pubblico in capo a societa' mista ove la gara per la scelta del socio
privato  -  pure  avvenuta  con  procedura  conforme  all'ordinamento
europeo  ed  italiano  -  abbia  avuto  ad  oggetto   unicamente   la
partecipazione finanziaria», con conseguente lesione della competenza
degli enti territoriali «sull'organizzazione degli stessi  anche  con
riferimento ad enti strumentali controllati da tali enti territoriali
o a partecipazioni di minoranza». 
    12.3.14. - Le questioni indicate ai punti da 12.3.1.  a  12.3.13.
non sono fondate, per le ragioni ampiamente esposte al punto 7. 
    Si e' visto,  infatti,  che  la  disciplina  delle  modalita'  di
affidamento della gestione dei servizi pubblici locali prevista dalle
disposizioni  censurate  afferisce   alla   materia   «tutela   della
concorrenza», di competenza legislativa esclusiva dello Stato. 
    12.3.15. - La Regione Puglia  censura,  in  riferimento  all'art.
117, terzo comma, Cost., i commi  2,  3  e  4  dell'art.  23-bis  del
decreto-legge n. 112 del 2008, nel  testo  modificato  dall'art.  15,
comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, perche': a) «limitano  la
potesta' legislativa regionale di disciplinare il normale svolgimento
del servizio pubblico da parte dell'ente e di gestire  in  proprio  i
servizi pubblici»,  attraverso  vincoli  sostanziali  e  procedurali,
impedendo   una   previa    valutazione    comparativa    da    parte
dell'amministrazione fra tutte le possibili opzioni di  scelta  della
forma di gestione, «cioe' se fruire dei  vantaggi  economici  offerti
dal mercato dei  produttori  oppure  se  procedere  a  modellare  una
propria struttura capace di diversamente configurare l'offerta  delle
prestazioni di servizio pubblico»; b) non  si  limitano  a  stabilire
principi fondamentali  della  materia,  ma  dettano  «una  disciplina
articolata e specifica, invasiva delle competenze regionali anche  in
materia di regolazione  del  servizio  idrico  integrato»,  che  sono
ascrivibili all'evocato parametro «nella misura in cui quel  servizio
sia funzionalizzato e utilizzato a fini di alimentazione e di  tutela
della salute». 
    La stessa ricorrente censura altresi', in riferimento allo stesso
parametro,  il  comma  8  dell'art.  23-bis,  nel  testo   modificato
dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135  del  2009,  perche',
stabilendo che cessano al 31 dicembre 2010 gli affidamenti rilasciati
con procedure diverse dall'evidenza pubblica salvo quelli conformi ai
vincoli ulteriori di istruttoria e motivazione previsti  dalla  nuova
disciplina, «parrebbe determinare  per  l'effetto  la  cessazione  di
tutti gli affidamenti attribuiti  secondo  la  disciplina  previgente
(d.lgs. n. 267 del 2000, art.  113,  comma  5,  lettera  c),  ponendo
nell'incertezza l'attuazione dei piani gestionali e di  investimento,
nonche' i relativi piani tariffari,  travolgendo  rapporti  giuridici
perfezionati ed in via di esecuzione che  le  parti  vogliono  vedere
procedere secondo la loro scadenza naturale». 
    Le questioni non sono fondate, per  erronea  interpretazione  del
parametro. 
    Infatti, la Regione muove dall'assunto che la materia dei servizi
pubblici  locali  sia  riconducibile  alla   competenza   legislativa
concorrente di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. Tale parametro e'
del tutto inconferente con la fattispecie in esame, perche' esso  non
costituisce  il  fondamento  dell'invocata   competenza   legislativa
regionale in materia di servizi pubblici. 
    12.3.16. - La Regione Piemonte censura i commi 2, 3 e 4 dell'art.
23-bis, sia nel testo originario (ricorso n. 77  del  2008)  che  nel
testo vigente (ricorso n. 16 del 2010),  in  relazione  ai  parametri
«dell'art. 117,  commi  primo,  secondo,  terzo,  quarto,  Cost.  con
riferimento agli articoli 114, 117, sesto comma, e 118, commi primo e
secondo, Cost.», perche' ledono «l'autonomia  costituzionale  propria
dell'intero sistema  degli  enti  locali»,  limitando  la  «capacita'
d'organizzazione  e   di   autonoma   definizione   normativa   dello
svolgimento  delle  funzioni  di  affidamento  dei  servizi  pubblici
locali»,  in  quanto  la  legislazione  statale  puo'  legittimamente
imporre una determinata forma di gestione  di  un  servizio  pubblico
solo    previa    avocazione    allo    Stato    della     competenza
sull'organizzazione della gestione dei  servizi  «sinora  considerati
locali (es. idrico integrato, raccolta dei rifiuti solidi urbani) sul
presupposto che l'esercizio unitario di  tali  servizi  sia  divenuto
ottimale solo a livello d'ambito  statale  (art.  118,  primo  comma,
Cost.)». 
    La questione non e' fondata. 
    Essa  si  basa  sull'assunto  della  ricorrente  secondo  cui  il
legislatore statale puo'  legittimamente  disciplinare  le  forme  di
gestione di un servizio pubblico locale solo previa  avocazione  allo
Stato  della  competenza  amministrativa  sull'organizzazione   della
gestione del servizio stesso. Tale assunto non puo' essere condiviso,
perche' la competenza legislativa  esclusiva  statale  nella  materia
«tutela   della   concorrenza»   comprende   anche   la    disciplina
amministrativa  relativa  all'organizzazione   delle   modalita'   di
gestione dei servizi pubblici locali, a  prescindere  dall'avocazione
allo  Stato  di  competenze  amministrative   degli   altri   livelli
territoriali di governo. 
    12.4. - Il secondo gruppo di questioni da esaminare nel merito  -
attinenti sempre al  nucleo  tematico  relativo  all'  individuazione
della competenza legislativa a disciplinare i servizi pubblici locali
-   concerne   la   determinazione   delle    soglie    minime    per
l'assoggettamento al parere dell'AGCM (comma 4-bis dell'art.  23-bis,
nel testo  vigente).  Detto  gruppo  si  identifica  nella  questione
promossa dalla Regione Emilia Romagna con il ricorso n. 13 del 2010. 
    La  ricorrente  impugna  il  comma  4-bis  dell'art.  23-bis  del
decreto-legge n. 112 del 2008, nel  testo  modificato  dall'art.  15,
comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, il quale  stabilisce  che
«I regolamenti di cui al comma 10  definiscono  le  soglie  oltre  le
quali gli affidamenti di servizi pubblici locali  assumono  rilevanza
ai fini dell'espressione del parere di cui al comma 4». 
    La Regione  deduce  che  tale  disposizione  -  affidando  ad  un
regolamento governativo il compito di individuare le soglie oltre  le
quali e' richiesto il parere dell'AGCM per le  gestioni  in  house  -
viola l'art. 117,  sesto  comma,  Cost.,  perche'  le  determinazioni
relative a tali  soglie  non  possono  che  essere  assunte  in  sede
regionale, entro limiti fissati  direttamente  dalla  legge  statale.
Infatti, sempre per la ricorrente, con la fissazione  delle  suddette
soglie, si determina un livello di efficienza del servizio  che  puo'
essere  concretamente  e  correttamente  apprezzato  solo  a  livello
regionale e che e' illegittimo demandare alla fonte regolamentare, in
mancanza di una competenza legislativa esclusiva statale. 
    La questione non e' fondata, perche' le soglie cui fa riferimento
la norma  censurata  attengono  alle  modalita'  di  affidamento  dei
servizi pubblici locali, le quali afferiscono - come visto al punto 7
- alla materia «tutela della concorrenza», di competenza  legislativa
esclusiva dello Stato e non alla materia  dei  pubblici  servizi.  Ne
deriva che lo Stato e' titolare anche della competenza regolamentare,
in base al disposto dell'evocato art. 117, sesto comma, Cost. 
    12.5. - Il terzo gruppo di questioni da esaminare  nel  merito  e
riguardanti il nucleo  tematico  attinente  all'individuazione  della
competenza legislativa  a  disciplinare  i  servizi  pubblici  locali
concerne la determinazione dei bacini  di  gara  (comma  7  dell'art.
23-bis, nel testo originario). 
    Le Regioni Emilia-Romagna (ricorso n.  69  del  2008)  e  Liguria
(ricorso n. 72 del 2008) impugnano il comma 7  dell'art.  23-bis  del
decreto-legge n. 112 del 2008,  nella  formulazione  originaria,  per
violazione degli artt. 117, quarto comma,  e  118,  primo  e  secondo
comma, Cost. 
    La disposizione censurata prevede che  «Le  regioni  e  gli  enti
locali, nell'ambito delle rispettive competenze  e  d'intesa  con  la
Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281, e successive  modificazioni,  possono  definire,
nel rispetto delle normative settoriali,  i  bacini  di  gara  per  i
diversi servizi, in  maniera  da  consentire  lo  sfruttamento  delle
economie di scala e di scopo e favorire una  maggiore  efficienza  ed
efficacia nell'espletamento dei servizi,  nonche'  l'integrazione  di
servizi a domanda  debole  nel  quadro  di  servizi  piu'  redditizi,
garantendo il raggiungimento della  dimensione  minima  efficiente  a
livello di impianto per piu' soggetti gestori e  la  copertura  degli
obblighi di servizio universale». 
    Le ricorrenti sostengono che la disciplina  della  dimensione  di
esercizio dei servizi pubblici  rientra  nella  potesta'  legislativa
«della regione e il condizionare l'esercizio di tale potesta' e delle
scelte amministrative che essa esprime ad opera dello Stato viola sia
la potesta' legislativa in se' considerata [...], sia il principio di
sussidiarieta',   non   potendosi   vedere    alcuna    ragione    di
centralizzazione di tali scelte». 
    Le questioni non sono fondate. 
    La norma censurata disciplina  la  dimensione  di  esercizio  dei
servizi pubblici, attribuendo alle Regioni  e  agli  enti  locali  la
competenza ad individuare i bacini di gara per i diversi servizi  nel
rispetto della legge statale. Come gia' affermato da questa Corte con
la sentenza n. 246 del 2009, con specifico  riferimento  al  servizio
idrico integrato, la disciplina dei bacini di gestione  del  servizio
pubblico (e, pertanto,  anche  dei  bacini  di  gara)  rientra  nella
potesta'  legislativa  statale,  perche'  diretta   a   tutelare   la
concorrenza, attraverso il  superamento  della  frammentazione  delle
gestioni. Non trovano percio' applicazione, nella specie, ne'  l'art.
117, quarto comma, Cost., ne' l'art. 118 Cost. 
    12.6. - Il quarto gruppo di questioni da esaminare nel  merito  -
attinenti  sempre  al  tema  dell'individuazione   della   competenza
legislativa  in  ordine  ai  servizi  pubblici  locali   -   riguarda
l'assoggettamento al patto di stabilita' e la gestione associata  dei
servizi (comma 10, lettere a) e b), nel testo originario e in  quello
vigente dell'art. 23-bis). 
    Le Regioni Emilia-Romagna (ricorsi n. 69 del 2008  e  n.  13  del
2010), Liguria (ricorso n. 72 del 2008) e Piemonte (ricorso n. 77 del
2008) impugnano il comma 10 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112
del 2008 - il cui alinea prevede che «il  Governo,  su  proposta  del
Ministro per i rapporti con le regioni ed  entro  centottanta  giorni
dalla data di entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del
presente decreto, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo
8 del decreto legislativo  28  agosto  1997,  n.  281,  e  successive
modificazioni, nonche' le competenti Commissioni parlamentari, adotta
uno o piu' regolamenti di delegificazione, ai sensi dell'articolo 17,
comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400» -  e  formulano  censure
specifiche in relazione alle lettere a) e  b)  di  detto  comma.  Per
quanto qui rileva, tali lettere stabiliscono  -  sia  nella  versione
originaria, sia in quella,  sostanzialmente  coincidente,  modificata
dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009 -  ,  che  i
suddetti  regolamenti  statali   prevedano:   l'assoggettamento   dei
soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali  al  patto  di
stabilita' interno e l'osservanza, da parte delle societa' in house e
delle  societa'  a  partecipazione  mista  pubblica  e  privata,   di
«procedure ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni  e  servizi  e
l'assunzione di personale» (lettera a); la possibilita' per i  Comuni
con un  limitato  numero  di  residenti,  di  «svolgere  le  funzioni
relative  alla  gestione  dei  servizi  pubblici  locali   in   forma
associata» (lettera b). 
    Quanto alla formulazione originaria della  norma,  le  ricorrenti
evocano quale parametro di costituzionalita' l'art. 117, sesto comma,
Cost., secondo cui la potesta' regolamentare spetta allo Stato  nelle
sole materie di potesta' legislativa esclusiva statale, salva  delega
alle Regioni. La  sola  Regione  Piemonte  evoca  anche  l'art.  117,
secondo  e  quarto   comma,   Cost.,   nonche'   «il   principio   di
ragionevolezza e leale collaborazione» (artt. 3 e 120 Cost.). 
    Quanto  alla  formulazione  vigente  della  norma,   la   Regione
Emilia-Romagna (ricorso n. 13 del 2010) evoca quale parametro  l'art.
117, secondo e quarto comma, Cost. 
    Tutte le disposizioni oggetto di censura violerebbero gli evocati
parametri: in via principale, perche' lo Stato, non  avendo  potesta'
legislativa in materia, non ha neanche potesta' regolamentare ne'  in
relazione alla lettera a), ne' in relazione alla lettera b) dell'art.
10; in via subordinata, perche'  il  solo  modo  di  contemperare  le
competenze rispettive dello Stato e delle Regioni  consisterebbe  nel
sottoporre il regolamento all'intesa della Conferenza Stato-Regioni o
della Conferenza unificata, in luogo  del  semplice  parere  previsto
dalle  disposizioni  impugnate,   tenuto   conto   dell'inestricabile
intreccio esistente al riguardo tra le materie  oggetto  di  potesta'
concorrente (come il coordinamento della finanza pubblica, fondamento
della lettera a) o esclusiva  delle  Regioni  (come  nel  caso  della
gestione associata dei servizi locali, oggetto della lettera b), e la
competenza dello Stato. 
    In riferimento alla prima parte della lettera  a)  -  in  cui  si
prevede  che  la  potesta'  regolamentare   dello   Stato   prescriva
l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici
locali al patto di stabilita' interno - la questione e' fondata. 
    Infatti, l'ambito di applicazione del patto di stabilita' interno
attiene  alla  materia  del  coordinamento  della  finanza   pubblica
(sentenze n. 284 e n. 237 del 2009; n. 267 del 2006),  di  competenza
legislativa concorrente, e non a materie  di  competenza  legislativa
esclusiva statale, per le quali soltanto  l'art.  117,  sesto  comma,
Cost. attribuisce allo Stato la potesta' regolamentare. 
    In  riferimento  alla  seconda  parte  della  lettera  a)  -  che
stabilisce che la potesta' regolamentare dello Stato  prescriva  alle
societa' in house e alle societa' a partecipazione mista  pubblica  e
privata di osservare «procedure ad evidenza pubblica  per  l'acquisto
di beni e servizi e l'assunzione di personale» - la questione non  e'
fondata. 
    Tale disposizione, infatti, attiene, in primo luogo, alla materia
della tutela della concorrenza, perche'  e'  finalizzata  ad  evitare
che,  nel  caso  di  affidamenti  diretti,  si  possano   determinare
distorsioni  dell'assetto  concorrenziale  del  mercato  nella  fase,
successiva  all'affidamento  del  servizio,  dell'acquisizione  degli
strumenti necessari alla concreta gestione del  servizio  stesso.  In
secondo luogo,  essa  attiene  anche  alla  materia  dell'ordinamento
civile, anch'essa di competenza  esclusiva  dello  Stato,  in  quanto
impone alla particolare categoria di societa' cui e' affidata in  via
diretta  la  gestione  di  servizi  pubblici  locali  una   specifica
modalita' di conclusione dei  contratti  per  l'acquisto  di  beni  e
servizi e per l'assunzione di  personale  (sulla  riconduzione  delle
modalita' di conclusione dei contratti alla materia  dell'ordinamento
civile, ex plurimis, sentenza n. 295 del 2009). Ne  consegue  che  la
previsione del semplice parere della  «Conferenza  unificata  di  cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 28  agosto  1997,  n.  281,  e
successive modificazioni»,  anziche'  dell'intesa,  non  lede  alcuna
competenza regionale. 
    In riferimento alla lettera b) - che attribuisce  allo  Stato  la
potesta' di prevedere con regolamento che «i comuni con  un  limitato
numero di  residenti  possano  svolgere  le  funzioni  relative  alla
gestione dei servizi  pubblici  locali  in  forma  associata»  -,  la
questione e', del pari, non fondata. 
    Infatti, l'ambito nel quale  il  regolamento  statale  interviene
attiene alla materia «tutela della concorrenza», avendo  per  oggetto
la  determinazione  della  dimensione  ottimale  della  gestione  del
servizio  (sentenza  n.  246  del  2009,  punti  12.2.  e  12.5.  del
Considerato in diritto). Ne consegue,  anche  in  tal  caso,  che  la
previsione del semplice parere della  «Conferenza  unificata  di  cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 28  agosto  1997,  n.  281,  e
successive modificazioni»,  anziche'  dell'intesa,  non  lede  alcuna
competenza regionale. 
    13. - Al terzo dei sopra indicati nuclei tematici (analizzato  al
punto 8.), relativo al principio di ragionevolezza, sotto il  profilo
della  proporzionalita'  ed  adeguatezza,  attengono   alcune   delle
questioni proposte dalle Regioni Piemonte, Liguria,  Umbria,  Toscana
ed Emilia-Romagna. 
    13.1. - Occorre  innanzitutto  esaminare  le  questioni  proposte
dalle Regioni Piemonte ed Emilia-Romagna che, in ragione  della  loro
formulazione, non consentono un esame nel merito. 
    13.1.1. - La Regione Piemonte (con il ricorso  n.  77  del  2008)
censura  il  testo  originario  del  comma  8  dell'art.  23-bis   in
riferimento agli artt. 5, 114, 117, sesto comma,  e  118  Cost.,  sul
rilievo che  detto  comma  determina  la  cessazione  «di  tutti  gli
affidamenti attribuiti secondo la disciplina  previgente  (d.lgs.  n.
267 del 2000, cit., art. 113, comma 5, lettera c), ponendo  in  forse
l'attuazione dei  piani  gestionali  e  di  investimento,  nonche'  i
relativi piani tariffari, travolgendo rapporti giuridici perfezionati
ed in via di  esecuzione  che  le  parti  vogliono  vedere  procedere
secondo  la  loro  scadenza  naturale,  al  pari  delle   concessioni
rilasciate  ad  imprese  terze  secondo  le  procedure  ad   evidenza
pubblica». 
    La questione e' inammissibile, per  difetto  di  motivazione,  in
quanto la ricorrente non spiega perche' gli evocati  parametri  siano
violati. E cio', a prescindere dalla considerazione svolta  al  punto
8.2.,  secondo  cui  il  legislatore  statale   puo'   legittimamente
stabilire, come nel caso in esame, una  disciplina  transitoria  allo
scopo di modulare nel tempo gli effetti del divieto di  utilizzazione
in via ordinaria dello strumento della gestione in house. 
    13.1.2. - La Regione Piemonte (con il ricorso  n.  16  del  2010)
impugna il testo  del  comma  8  dell'art.  23-bis,  come  modificato
dall'art. 15,  comma  1,  del  decreto-legge  n.  135  del  2009,  in
riferimento agli artt. 3, 5, 42, 114, 117, sesto comma, e 118, Cost.,
perche' stabilisce «una generalizzata  cessazione  anticipata  al  31
dicembre 2011 disposta ex lege per tutti  gli  affidamenti  in  house
providing, anche di quelli  effettuati  dagli  enti  territoriali  in
conformita'  all'ordinamento  comunitario  e  italiano,   con   grave
svalutazione dei valori di  mercato  dei  corrispettivi  di  cessione
delle partecipazioni a causa della simultanea attuazione su tutto  il
territorio nazionale dell'alienazione del 40% di un numero  rilevante
di societa' in mano agli enti locali». 
    La  questione  e'  inammissibile,  perche'  si  risolve  in   una
valutazione critica in termini di convenienza economica in ordine  ai
tempi di attuazione della riforma degli affidamenti; valutazione  che
rimane riservata alla discrezionalita' del legislatore. 
    13.1.3. - La Regione Emilia-Romagna  (ricorso  n.  13  del  2010)
impugna il comma 9 dell'art. 23-bis, nel testo  modificato  dall'art.
15, comma 1, del decreto-legge n. 135  del  2009  -  il  quale  pone,
attraverso un'articolata previsione, limiti alla possibilita'  per  i
gestori  di  SPL  di  gestire  servizi  ulteriori  ovvero  in  ambiti
territoriali diversi o di svolgere servizi  od  attivita'  per  altri
enti pubblici o privati - in riferimento all'art. 117, quarto  comma,
Cost., perche' reca interventi irragionevoli e non proporzionali agli
scopi di tutela della concorrenza prefissati. 
    La  questione  e'  inammissibile  per  genericita',  perche'   la
ricorrente non chiarisce le ragioni per cui la  disciplina  contenuta
nella   disposizione   censurata   sarebbe   irragionevole   e    non
proporzionale alla tutela della concorrenza. 
    13.2. - Le questioni attinenti allo stesso terzo nucleo  tematico
(concernente la ragionevolezza della disciplina censurata) che devono
essere scrutinate  nel  merito  sono  state  proposte  dalle  Regioni
Piemonte, Liguria, Umbria e Toscana. 
    13.2.1. - La Regione Piemonte censura i commi 2, 3 e 4  dell'art.
23-bis sia nel testo originario (ricorso n.  77  del  2008)  che  nel
testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135  del
2009 (ricorso n. 10 del 2010), nonche' il comma  1-ter  dell'art.  15
del decreto-legge n. 135 del 2009, in relazione all'art. 117, secondo
comma, «con riferimento all'art.  3  Cost.»,  perche'  la  disciplina
contenuta nelle disposizioni censurate, anche ove fosse  ritenuta  di
tutela  della  concorrenza,  difetterebbe   di   proporzionalita'   e
adeguatezza. 
    Le Regioni Liguria e Umbria censurano - per il caso in cui «fosse
ritenuta  legittima  l'imposizione  di  un  regime   "ordinario"   di
affidamento  del  servizio  all'esterno  e  la  limitazione  a   casi
eccezionali di forme di gestione non concorrenziali»  -  i  commi  2,
lettera b), e 3 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art.  15,
comma 1, del decreto-legge n.  135  del  2009,  nella  parte  in  cui
regolano in dettaglio l'affidamento del servizio a societa'  miste  e
le forme di affidamento non  competitive,  per  violazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera e), e quarto comma, Cost., lamentando che
dette disposizioni contrastano con il  criterio  di  proporzionalita'
che deve guidare la tutela  della  concorrenza,  invadendo  il  campo
riservato alla potesta' legislativa regionale in materia  di  servizi
pubblici,  in  quanto  pongono  ulteriori   vincoli   alla   potesta'
legislativa regionale, senza che essi  risultino  funzionali  ad  una
maggiore promozione della concorrenza, della quale potrebbero persino
risultare limitativi. 
    Le ricorrenti  lamentano  che  le  norme  denunciate  violano  il
principio di ragionevolezza sotto il profilo della proporzionalita' e
adeguatezza nella materia della tutela della  concorrenza  attraverso
l'apposizione di limiti all'utilizzabilita' della gestione in  house,
rappresentati dalle peculiari circostanze richieste dal comma  3  per
consentire il ricorso all'in house  providing;  con  cio'  intendendo
chiedere che sia garantita agli enti territoriali la possibilita'  di
scegliere discrezionalmente se fare ricorso a tale forma di gestione,
indipendentemente dalla sussistenza di eccezionali situazioni che non
permettono un efficace e utile ricorso al mercato. 
    Le questioni non sono fondate. 
    Come gia' ampiamente evidenziato al punto 8., le norme  censurate
devono, invece, essere considerate proporzionate e adeguate, perche':
a) esse si innestano coerentemente in un sistema normativo interno in
cui gia' vige il divieto  della  gestione  diretta  mediante  azienda
speciale o in economia, nel quale, pertanto, i casi di affidamento in
house  debbono  essere  eccezionali  e  tassativamente  previsti;  b)
l'ordinamento comunitario, in tema di affidamento della gestione  dei
servizi pubblici, costituisce  solo  un  minimo  inderogabile  per  i
legislatori degli Stati  membri  e,  pertanto,  non  osta  a  che  la
legislazione interna disciplini  piu'  rigorosamente,  nel  senso  di
favorire l'assetto concorrenziale di un mercato, le modalita' di tale
affidamento; c) quando non ricorrano le condizioni per  l'affidamento
diretto, l'ente pubblico ha comunque la facolta' di partecipare  alle
gare ad  evidenza  pubblica  per  l'affidamento  della  gestione  del
servizio. 
    13.2.2. - La Regione Piemonte censura i commi  3  e  4  dell'art.
23-bis, sia nel testo originario (ricorso n. 77  del  2008)  che  nel
testo vigente (ricorso n. 16 del 2010),  in  riferimento  all'art.  3
Cost., sotto il profilo del principio di ragionevolezza, perche' essi
contengono «norme di  dettaglio  cosi'  puntuali  che  non  sarebbero
neppure compatibili con una competenza esclusiva dello Stato [...]  e
in violazione del principio di ragionevolezza  (ex  art.  3,  secondo
comma, Cost.) poiche' della legge impugnata  non  si  comprendono  le
ragioni di una  disciplina  differenziata  per  l'ambito  locale  dei
pubblici  servizi  rispetto  a  quella  generalmente   prevista   per
l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato ed in genere  per
le autorita' di regolazione». 
    La questione non e' fondata. 
    Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la previsione
di norme di dettaglio - come visto al punto 8.1.1. - non viola di per
se' il principio di ragionevolezza; e cio' a  prescindere  dal  fatto
che nelle materie di competenza esclusiva  statale,  come  la  tutela
della concorrenza, non rileva la distinzione tra norme di dettaglio e
norme  di  principio.  Deve  aggiungersi,  inoltre,  che   il tertium
comparationis della disciplina «generalmente prevista per l'Autorita'
garante della concorrenza e del mercato ed in genere per le autorita'
di regolazione» e' inconferente con la fattispecie in esame,  perche'
non si riferisce all'ambito della disciplina dei pubblici servizi, ma
a quello, del tutto diverso,  del  funzionamento  dell'AGCM  e  delle
autorita' di regolazione. Tutto cio' a  prescindere  dalla  soluzione
del problema se l'AGCM abbia o no natura di autorita' di regolazione. 
    13.2.3. - La Regione Toscana impugna il comma 8 dell'art. 23-bis,
nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n.  135
del 2009, in riferimento all'art. 117, primo  comma,  secondo  comma,
lettera e), e quarto comma Cost., perche', nel dettare la  disciplina
transitoria e, in  particolare,  nel  fissare  i  termini  entro  cui
cessano gli  affidamenti  in  essere,  non  rispetta  i  principi  di
adeguatezza e di proporzionalita' cui deve attenersi  il  legislatore
statale nella legislazione avente finalita' pro concorrenziali. 
    La ricorrente lamenta,  in  sostanza,  che  le  norme  denunciate
violano  il  principio  di  ragionevolezza  sotto  il  profilo  della
proporzionalita'  e   adeguatezza   nella   materia   «tutela   della
concorrenza»,  attraverso  l'apposizione  di  limiti  temporali  agli
affidamenti diretti gia' in essere. 
    La questione non e' fondata. 
    Come piu' analiticamente evidenziato al punto 8.2.,  tali  limiti
temporali per la cessazione delle gestioni dirette in  essere  devono
ritenersi congrui e ragionevoli, perche' sono  sufficientemente  ampi
da consentire di attenuare le conseguenze economiche  negative  della
cessazione anticipata della gestione e, pertanto,  escludono  che  il
gestore possa invocare  quell'incolpevole  affidamento  nella  durata
naturale del contratto di servizio che,  solo,  potrebbe  determinare
l'irragionevolezza della  norma;  e  cio'  a  prescindere  dall'ampia
discrezionalita' di cui gode il legislatore in materia di  disciplina
transitoria. 
    13.2.4. - La Regione Piemonte (ricorso n. 77 del 2008) censura il
comma 8 dell'art. 23-bis nella formulazione  originaria  -  la  quale
prevede che, in generale «le concessioni relative al servizio  idrico
integrato rilasciate con  procedure  diverse  dall'evidenza  pubblica
cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010» - in
relazione agli artt. 41, 114 e  117,  secondo  comma,  Cost.  e  «con
riferimento all'art. 3, Cost.», perche' si pone in contrasto con  «il
principio di ragionevolezza e  di  concorrenza  comunitaria»  che  la
stessa disposizione proclama di voler  affermare  ed  addirittura  di
voler superare, in quanto essa  «si  configura  come  ennesima  [...]
norma di sanatoria degli affidamenti al mercato dei produttori seppur
disposti ancora una  volta  in  difetto  di  evidenza  pubblica,  con
proroga di cui le imprese terze si possono giovare ex lege sino  alla
data indicata dal 31 dicembre 2010». La ricorrente  censura  altresi'
lo stesso comma nel testo  modificato  dall'art.  15,  comma  1,  del
decreto-legge n. 135 del 2009, il quale prevede che  gli  affidamenti
diretti gia' in essere cessano in date successive, a partire  dal  31
dicembre 2011, a seconda delle diverse  tipologie  degli  affidamenti
stessi, per violazione degli artt. 3, 5, 42, 114, 117, sesto comma, e
118,  Cost.,  rilevando  che  esso  irragionevolmente  realizza   una
sanatoria  ex  lege  di  affidamenti  "illegittimi"   «lesivi   della
concorrenza che la stessa  legge  qui  impugnata  proclama  di  voler
riaffermare». 
    La ricorrente lamenta, in sostanza, che la norma impugnata  -  in
entrambe le sue formulazioni - opera una «sanatoria»,  in  deroga  al
sistema creato dallo stesso legislatore, che vieta in  via  ordinaria
il  ricorso  all'in  house  providing,  ammettendolo  solo  in   casi
particolari. 
    Le questioni non sono fondate. 
    Deve qui rilevarsi che la proroga della durata delle «concessioni
relative  al  servizio  idrico  integrato  rilasciate  con  procedure
diverse dall'evidenza pubblica», di cui  al  censurato  comma  8,  va
intesa come riferita non agli affidamenti  in  house  non  rispettosi
della normativa comunitaria - come erroneamente ritiene la ricorrente
-, ma  solo  a  quelli  che,  benche'  in  origine  rispettosi  della
normativa comunitaria e nazionale, risultano privi dei requisiti oggi
richiesti dal censurato art. 23-bis. Ne consegue che tale  previsione
e' ragionevole - e dunque  legittima  -,  perche'  non  opera  alcuna
sanatoria, ma si limita a stabilire una  disciplina  transitoria  per
modulare nel tempo gli effetti del divieto di  utilizzazione  in  via
ordinaria dello strumento della gestione in house. 
    13.2.5. - La Regione Piemonte (con il ricorso  n.  16  del  2010)
censura il comma 8 dell'art. 23-bis, nel testo  modificato  dall'art.
15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, in  riferimento  agli
artt. 3, 5, 42, 114, 117, sesto comma, e 118, Cost.,  perche'  tratta
in modo uguale fattispecie significativamente diverse e non scagliona
nel tempo il ricorso al mercato. 
    La questione non e' fondata, perche' -  contrariamente  a  quanto
sostenuto dalla ricorrente - la  disposizione  censurata  diversifica
adeguatamente, come rilevato in modo  specifico  al  punto  8.2.,  la
cessazione degli affidamenti diretti in atto, sia in  relazione  alle
diverse categorie di affidatari sia in relazione al tempo. 
    14. - Al quarto dei nuclei tematici sopra evidenziati (analizzato
al  punto   9.),   relativo   all'individuazione   della   competenza
legislativa regionale o statale nella determinazione della  rilevanza
economica dei SPL,  attiene,  oltre  alla  questione  proposta  dalla
Regione Marche gia' trattata al punto 11.4. e dichiarata non fondata,
una diversa questione, proposta dalla stessa Regione - per il caso in
cui il comma 1-ter dell'art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009 non
possa interpretarsi nel senso che il  servizio  idrico  integrato  e'
sottoposto alla disciplina dell'art. 23-bis solo nei casi in cui «gli
enti competenti abbiano scelto di organizzarlo in modo da  conferirvi
rilevanza economica» - ed  avente  ad  oggetto  i  commi  2,  3  e  4
dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 e l'art. 15, comma
1-ter, dello stesso decreto-legge n. 135 del 2009, nella parte in cui
si riferiscono al servizio idrico integrato. 
    Ad avviso della ricorrente,  dette  disposizioni  violano  l'art.
117, sesto comma,  Cost.,  il  quale  attribuisce  agli  enti  locali
territoriali la potesta' regolamentare  «in  ordine  alla  disciplina
dell'organizzazione  e  dello   svolgimento   delle   funzioni   loro
attribuite», perche' la  legge  statale  non  puo'  imporre,  in  via
generale  e  astratta,  ed  in  modo  del  tutto   inderogabile,   la
configurazione del servizio idrico integrato quale «servizio pubblico
locale avente rilevanza  economica»,  spettando  tale  qualificazione
alla potesta' regolamentare degli enti locali. 
    La questione non e' fondata. 
    Infatti, l'art. 117, sesto comma, Cost. non pone una  riserva  di
regolamento degli enti locali per la  qualificazione  come  economica
dell'attivita' dei  servizi  pubblici,  perche'  tale  qualificazione
attiene - come visto  al  punto  9.  -  alla  materia  «tutela  della
concorrenza», di competenza legislativa  esclusiva  dello  Stato,  al
quale pertanto spetta la potesta' regolamentare nella stessa materia,
ai sensi del primo periodo del sesto comma dell'art. 117 Cost. 
    15. - Il quinto dei nuclei tematici  menzionati  si  riferisce  -
come visto al punto 2. - alla dedotta violazione degli artt. 3  e  97
Cost., sotto  il  profilo  dell'obbligo  di  motivazione  degli  atti
amministrativi. 
    In particolare, la Regione Piemonte impugna i  commi  2,  3  e  4
dell'art. 23-bis, sia nel testo originario (ricorso n. 77  del  2008)
che nel testo vigente (ricorso n. 16 del 2010), sul rilievo che  essi
violano  gli   evocati   parametri,   perche':   a)   la   disciplina
dell'affidamento   del   servizio   pubblico   locale   nella   forma
organizzativa dell'in house providing  contenuta  nelle  disposizioni
censurate risulta lesiva della «competenza delle regioni e degli enti
locali ove la s'intenda come disciplina ulteriore rispetto  a  quella
generale sul procedimento amministrativo  che  da  tempo  prevede  il
dovere di motivazione degli atti  amministrativi  (art.  3,  legge  7
agosto 1990, n. 241), secondo molti posto in attuazione del principio
costituzionale di  motivazione  delle  scelte  della  amministrazioni
pubbliche quanto meno nella cura di pubblici interessi»; b)  «non  e'
ravvisabile nel caso in esame  alcun  interesse  pubblico  prevalente
capace di fondare sia l'esenzione dal generale dovere di  motivazione
per l'affidamento ad imprese terze (art. 23-bis, secondo comma),  sia
viceversa la limitazione dei casi sui quali puo'  essere  portata  la
motivazione a fondamento di altre soluzioni organizzative». 
    La ricorrente  lamenta,  in  sostanza,  che  le  norme  impugnate
stabiliscono per l'ente affidante l'obbligo di motivare, in  base  ad
un'analisi di mercato, solo la scelta di procedere all'affidamento in
house del servizio pubblico (art. 23-bis, comma 3) e  non  quella  di
procedere all'affidamento mediante procedure competitive ad  evidenza
pubblica (art. 23-bis, comma 2); obbligo che sarebbe in contrasto con
gli evocati parametri, perche' ulteriore rispetto al generale obbligo
di motivazione degli atti amministrativi. 
    La questione e' inammissibile. 
    Secondo la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  le  Regioni  sono
legittimate a censurare le leggi dello Stato,  mediante  impugnazione
in  via  principale,  esclusivamente  per  questioni  attinenti  alla
lesione  del  sistema  di  riparto  delle   competenze   legislative,
ammettendosi  la  deducibilita'  di  altri  parametri  costituzionali
soltanto ove la loro violazione  comporti  una  compromissione  delle
attribuzioni regionali  costituzionalmente  garantite  (ex  plurimis,
sentenze n. 156 e n. 52 del 2010; n. 289  e  n.  216  del  2008).  Ne
deriva - in relazione al caso di specie  -  l'inammissibilita'  della
questione proposta, perche' la prospettata violazione dell'obbligo di
motivazione di  cui  agli  artt.  3  e  97  Cost.  non  comporta  una
compromissione  delle   attribuzioni   regionali   costituzionalmente
garantite, ne' ridonda sul  riparto  di  competenze  legislative  tra
Stato e Regioni. E cio', a prescindere  dalla  considerazione  che  i
parametri evocati non vietano che il legislatore stabilisca specifici
obblighi di motivazione per le sole deroghe fondate  sulle  peculiari
situazioni di fatto di cui  al  comma  3  e  non  per  le  situazioni
ordinarie di cui al comma 2. 
    16. - Il sesto  dei  nuclei  tematici  evidenziati  al  punto  2.
riguarda l'asserita irragionevole diversita'  di  disciplina  fra  il
servizio idrico integrato e gli altri servizi pubblici locali. 
    La Regione Piemonte (ricorso n. 77 del 2008) censura - sempre  in
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. - il comma 10  dell'art.  23-bis,
nel testo originario, sul  rilievo  che  esso  rinvia  a  regolamenti
governativi la disciplina transitoria  dei  servizi  pubblici  locali
diversi da  quello  idrico,  «con  una  irragionevole  differenza  di
trattamento che non appare giustificata [...] per il servizio  idrico
integrato per il quale la legge  statale  indica  senz'altro  in  via
generale ed astratta la data di scadenza fissa del 31 dicembre  2010,
mentre per gli altri servizi  pubblici  consente  al  regolamento  la
previsione  di  adeguati  "tempi   differenziati"   in   ragione   di
eterogeneita' dei servizi presi in considerazione». 
    Anche tale questione e' inammissibile,  in  base  a  quanto  gia'
osservato al punto 15., perche' la ricorrente non ha  dedotto  alcuna
lesione della propria sfera  di  competenza,  ma  si  e'  limitata  a
lamentare l'irragionevolezza della disposizione censurata. 
    17. - Al settimo  dei  nuclei  tematici  elencati  al  punto  2.,
attinente alla lamentata violazione dell'autonomia finanziaria  delle
Regioni e degli enti  locali,  sono  riconducibili  alcune  questioni
poste dalle Regioni Marche, Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna. 
    17.1. - Vanno preliminarmente  esaminate  le  questioni  proposte
dalle Regioni Marche, Liguria ed Umbria, che non consentono un  esame
nel merito. 
    17.1.1. - La Regione Marche censura l'art. 15, comma  1-ter,  del
decreto-legge n. 135 del 2009, nella parte in  cui  si  riferisce  al
servizio idrico integrato, per violazione dell'art. 119, sesto comma,
Cost. 
    La ricorrente lamenta che la disposizione censurata si  limita  a
prevedere il  «rispetto»  del  «principio»  «di  piena  ed  esclusiva
proprieta' pubblica delle risorse idriche», senza assicurare in alcun
modo la salvaguardia, ne' sotto il  profilo  formale,  ne'  sotto  il
profilo sostanziale, della proprieta' pubblica delle  «infrastrutture
idriche»,   in   particolare:   a)   determinando   «il   sostanziale
"svuotamento" della proprieta'  pubblica  dei  beni  appartenenti  al
demanio  idrico  regionale  e  locale,  beni  che  risulteranno,  per
espresso disposto del richiamato art. 153, comma 1, del d.lgs. n. 152
del 2006, necessariamente e ope legis "affidati in concessione  d'uso
gratuita" al gestore  privato  del  servizio  idrico  integrato»;  b)
omettendo di prevedere  una  specifica  clausola  di  salvaguardia  a
favore della proprieta' pubblica delle infrastrutture idriche di  cui
le Regioni e gli enti locali siano in concreto titolari. 
    La questione e' inammissibile. 
    Essa, infatti, ha per  oggetto  non  la  disciplina  posta  dalla
disposizione denunciata, ma l'art. 153, comma 1, del  d.lgs.  n.  152
del 2006, disposizione che effettivamente  prevede  l'affidamento  in
concessione d'uso gratuita delle infrastrutture idriche di proprieta'
degli enti locali e che non e'  stata  impugnata.  La  ricorrente  e'
quindi incorsa in una  evidente  aberratio  ictus.  Quanto,  poi,  al
censurato art. 15, comma 1-ter, la ricorrente si limita a  denunciare
che  il  legislatore  ha  omesso  di  prevedere   una   clausola   di
salvaguardia a favore della proprieta' pubblica delle  infrastrutture
idriche. La Regione Marche, formulando una censura generica e rivolta
contro una mera omissione del legislatore,  demanda  a  questa  Corte
l'indebito onere di introdurre  una  disciplina  non  indicata  dalla
stessa ricorrente e, comunque, non costituzionalmente obbligata. 
    17.1.2. - Le Regioni Liguria (ricorso n. 12 del  2010)  e  Umbria
impugnano il comma 8 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art.
15, comma 1,  del  decreto-legge  n.  135  del  2009  in  riferimento
all'art. 119 Cost., sotto il profilo della violazione  dell'autonomia
finanziaria degli enti locali, perche'  «impone  ad  essi  di  cedere
rilevanti quote delle societa' da essi controllate». 
    La  questione  e'  inammissibile  per  genericita',  perche'   le
ricorrenti non indicano le ragioni per cui alla cessione delle  quote
delle societa' controllate dagli enti locali conseguirebbe  l'effetto
della denunciata lesione della loro autonomia finanziaria. 
    17.2. - L'unica questione attinente al  settimo  nucleo  tematico
che puo' essere esaminata nel merito e' quella proposta dalla Regione
Emilia-Romagna con il ricorso n. 13 del 2010. 
    La ricorrente impugna il comma  8  dell'art.  23-bis,  nel  testo
modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del  2009,
sostenendo che esso viola l'art. 119,  sesto  comma,  Cost.,  perche'
impone «alle Amministrazioni pubbliche di liberarsi di una quota  del
proprio  patrimonio  societario  a  prescindere   dalla   convenienza
economica dell'operazione, e quindi dalla considerazione in  concreto
del   tempo,   delle   modalita',   della   quantita',    valutazioni
indispensabili ad evitare che  si  produca  una  svendita  coatta  di
capitali pubblici». 
    La questione non e' fondata. 
    Il parametro costituzionale  evocato,  infatti,  garantisce  alle
Regioni e agli enti locali un patrimonio, precisando pero'  che  esso
e' «attribuito secondo i principi generali  determinati  dalla  legge
dello Stato». L'autonomia patrimoniale delle  Regioni  e  degli  enti
locali non e', dunque incondizionata, ma si conforma ai principi  che
il  legislatore  statale  fissa  nelle  materie  di  sua   competenza
legislativa, fra cui va certamente  ricompreso  quella  della  tutela
della concorrenza, disciplinata, nel caso  in  esame,  proprio  dalle
norme censurate. 
    18.  -  Devono  essere  ora  trattate  le  questioni  poste   dal
Presidente del Consiglio dei ministri aventi ad oggetto i commi 1, 4,
5, 6 e 14 dell'art. 4 della legge della Regione  Liguria  n.  39  del
2008. 
    18.1. - Il ricorrente impugna, in primo luogo, i commi 1 e 14  di
detto articolo in riferimento all'art. 117,  secondo  comma,  lettera
s), Cost., anche per il tramite dell'art. 161, comma 4,  lettera  c),
del d.lgs. n. 152 del 2006. Tale  ultima  disposizione  prevede,  tra
l'altro, che sia il Comitato per la vigilanza sull'uso delle  risorse
idriche e non la Giunta regionale a redigere il contenuto  di  una  o
piu' convenzioni-tipo  da  adottare  con  decreto  del  Ministro  per
l'ambiente e per la tutela del territorio e del mare. 
    18.1.1. - Ad avviso della difesa dello Stato, il censurato  comma
1 - il quale affida alla Giunta regionale la competenza ad  approvare
lo schema-tipo di contratto di  servizio  e  di  convenzione  di  cui
all'art. 151 del d.lgs. n. 152 del 2006 - si pone in contrasto con il
comma 4, lettera c), del  nuovo  testo  dell'art.  161  dello  stesso
decreto legislativo, il quale ha «tacitamente  abrogato»  detto  art.
151 ed ha attribuito al «Comitato per  la  vigilanza  sull'uso  delle
risorse idriche» - e non alla Giunta  regionale  -  la  competenza  a
redigere il contenuto di una o piu' delle suddette  convenzioni-tipo;
convenzioni da adottare con decreto del Ministro per l'ambiente e per
la tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e  le  Province  autonome  di
Trento e di Bolzano. 
    La resistente Regione Liguria eccepisce l'improcedibilita'  della
questione, sul rilievo che l'art. 9-bis, comma 6,  del  decreto-legge
28 aprile 2009, n. 39 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni
colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile
2009  e  ulteriori  interventi   urgenti   di   protezione   civile),
convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. 77,  ha
soppresso il Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche
(COVIRI), sostituendolo con la Commissione nazionale per la vigilanza
sull'uso delle risorse idriche (CONVIRI), la quale non ha  le  stesse
competenze del soppresso Comitato. 
    L'eccezione deve essere rigettata. 
    La questione non e' improcedibile, perche' lo stesso art.  9-bis,
comma 6, del decreto-legge n. 39 del 2009, citato  dalla  resistente,
stabilisce che il CONVIRI subentra nelle competenze  gia'  attribuite
al COVIRI. Esso, infatti, testualmente prevede  che  «la  Commissione
nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche, [...]  a  decorrere
dalla data di entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del
presente decreto, e' istituita presso il  Ministero  dell'ambiente  e
della tutela del territorio e del mare, subentrando nelle  competenze
gia' attribuite all'Autorita' di vigilanza sulle  risorse  idriche  e
sui rifiuti [...] e successivamente attribuite  al  Comitato  per  la
vigilanza sull'uso delle risorse idriche, il quale, a decorrere dalla
medesima data, e' soppresso». Ne consegue che, data l'identita' delle
competenze del COVIRI e del CONVIRI, viene meno il presupposto  della
prospettata  eccezione  e,  pertanto,  non  si  verifica  la  dedotta
improcedibilita', con conseguente trasferimento della questione  alla
disposizione  censurata,   quale   risultante   dalle   modificazioni
legislative sopra indicate. 
    Nel merito, la questione e' fondata. 
    Come si e' ampiamente rilevato al  punto  7,  la  disciplina  del
servizio idrico integrato va ascritta alla competenza esclusiva dello
Stato  nelle   materie   «tutela   della   concorrenza»   e   «tutela
dell'ambiente» (sentenza n. 246 del 2009)  e,  pertanto,  e'  inibito
alle Regioni derogare a detta disciplina. Nella specie, la Regione e'
intervenuta, appunto, in tali materie, dettando una disciplina che si
pone in contrasto con quella  statale,  in  quanto  attribuisce  alla
Giunta regionale una serie di competenze amministrative  spettanti  -
come invece dispongono le norme interposte evocate dal  ricorrente  -
al COVIRI (ora CONVIRI). Risulta cosi'  violato  l'evocato  parametro
costituzionale, che riserva  allo  Stato  la  competenza  legislativa
nella  materia  «tutela  dell'ambiente»  (art.  117,  secondo  comma,
lettera s, Cost.). 
    18.1.2. - La difesa dello Stato lamenta che il censurato comma 14
dell'art. 4 della legge della Regione Liguria n. 39  del  2008  -  il
quale affida all'Autorita' d'ambito territoriale ottimale  (AATO)  la
competenza  a  definire  «i  contratti  di  servizio,  gli  obiettivi
qualitativi dei servizi erogati, il monitoraggio  delle  prestazioni,
gli aspetti  tariffari,  la  partecipazione  dei  cittadini  e  delle
associazioni dei consumatori di cui alla  legge  regionale  2  luglio
2002, n. 26» - si pone «in contrasto con la normativa statale», cioe'
con il sopra citato comma 4, lettera c), del  nuovo  testo  dell'art.
161 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale ha attribuito al  COVIRI  la
relativa competenza. 
    La resistente Regione Liguria eccepisce l'inammissibilita'  della
questione, in quanto generica, perche' non  sarebbero  specificati  i
profili che determinano il contrasto con la norma statale. 
    L'eccezione deve essere rigettata. 
    La questione non e' generica, perche' i profili di contrasto sono
sufficientemente precisati. Dalla lettura complessiva della  censura,
infatti, e' agevole rilevare  che  la  norma  statale  evocata  quale
parametro interposto e' il comma  4,  lettera  c),  del  nuovo  testo
dell'art. 161 del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  evocato  anche  nella
precedente  questione  al   punto   18.1.1.   e   che   si   denuncia
l'attribuzione all'Autorita' d'ambito  di  una  serie  di  competenze
amministrative spettanti, invece, al COVIRI. 
    Nel merito,  la  questione  e'  fondata  per  le  stesse  ragioni
indicate al punto precedente. Anche in tal caso, infatti, la  Regione
e' intervenuta, nella  materia  «tutela  dell'ambiente»,  attribuendo
all'Autorita'  d'ambito  una  serie  di   competenze   amministrative
spettanti, invece, al COVIRI (ora CONVIRI), ai sensi  dell'art.  161,
comma 4, lettera c), del d.lgs. n.  152  del  2006,  ed  ha  pertanto
violato l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    18.2. - Il ricorrente censura, altresi', il comma 4 del  medesimo
art. 4 della legge della Regione Liguria n. 39  del  2008,  il  quale
prevede  la   competenza   dell'Autorita'   d'ambito   a   provvedere
all'affidamento del servizio  idrico  integrato,  «nel  rispetto  dei
criteri di cui all'articolo 113, comma 7, del d.lgs.  n.  267/2000  e
delle modalita' di  cui  agli  articoli  150  e  172  del  d.lgs.  n.
152/2006». La  censura  e'  proposta  in  relazione  alla  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, per  il
tramite dell'art. 23-bis, commi 2, 3 e 11, del decreto-legge  n.  112
del 2008, nel testo originario. 
    La  difesa  dello  Stato  evidenzia  che  il  comma   denunciato,
prevedendo che l'AATO provvede all'affidamento  del  servizio  idrico
integrato, «nel rispetto dei criteri di cui all'articolo  113,  comma
7, del d.lgs. n. 267/2000 e delle modalita' di cui agli articoli  150
e 172 del d.lgs. n. 152/2006», richiama l'art. 150 del d.lgs. n.  152
del 2006, il quale consente all'Autorita' d'ambito  di  scegliere  la
forma di gestione del servizio tra  quelle  elencate  nell'art.  113,
comma 5, TUEL. Tale ultima disposizione prevede,  a  sua  volta,  che
«L'erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e
nel rispetto della normativa dell'Unione  europea,  con  conferimento
della titolarita' del servizio: a) a societa' di capitali individuate
attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;
b) a societa' a capitale misto pubblico privato nelle quali il  socio
privato venga scelto attraverso l'espletamento di gare con  procedure
ad evidenza pubblica che abbiano  dato  garanzia  di  rispetto  delle
norme interne e comunitarie in  materia  di  concorrenza  secondo  le
linee di indirizzo  emanate  dalle  autorita'  competenti  attraverso
provvedimenti o  circolari  specifiche;  c)  a  societa'  a  capitale
interamente pubblico a condizione che  l'ente  o  gli  enti  pubblici
titolari del capitale sociale esercitino sulla societa' un  controllo
analogo a quello esercitato sui propri  servizi  e  che  la  societa'
realizzi la parte piu' importante della propria attivita' con  l'ente
o gli enti pubblici che la controllano». 
    Ad  avviso  della  difesa  dello  Stato,  la   norma   censurata,
richiamando le forme di gestione dei SPL di cui al citato  art.  113,
comma  5,  TUEL,  si  pone  in  contrasto  con  l'art.  23-bis,   del
decreto-legge n. 112 del 2008, il quale dispone, invece, che le parti
del citato art. 113 incompatibili con le  prescrizioni  dello  stesso
art. 23-bis sono abrogate (comma  11),  e  prevede  come  regola  per
l'affidamento dei servizi pubblici locali  non  piu'  quella  fissata
dagli artt. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006 e 113 TUEL, bensi'  quella
della procedura competitiva ad evidenza  pubblica  (comma  2),  ferma
restando la possibilita' di ricorrere all'affidamento diretto solo in
presenza delle condizioni di cui al comma 3 del medesimo articolo. 
    La Regione Liguria eccepisce  la  cessazione  della  materia  del
contendere, rilevando che il censurato  comma  4  dell'art.  4  della
legge della Regione Liguria n.  39  del  2008,  il  quale  regola  le
competenze delle Autorita' d'ambito, non ha avuto in concreto  alcuna
applicazione e non potra' averne, in quanto tali Autorita' sono state
abolite dal decreto-legge n. 135 del 2009 prima che nella Regione  si
procedesse alla loro istituzione. 
    L'eccezione deve essere rigettata. 
    La  materia  del  contendere   non   e'   cessata,   perche'   il
decreto-legge n. 135 del 2009 non ha soppresso le Autorita'  d'ambito
con  effetto  immediato.  V'e',  dunque,  la  possibilita'  che  tali
Autorita' vengano ancora istituite ed operino fino al termine fissato
dalla legge per la loro soppressione e, cioe', fino al termine di  un
anno indicato dall'art. 2, comma 186-bis,  della  legge  23  dicembre
2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale  dello  Stato  legge -  finanziaria  2010).  Tale   norma
dispone, infatti, che «Decorso un  anno  dalla  data  di  entrata  in
vigore della presente legge, sono  soppresse  le  Autorita'  d'ambito
territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni.  Decorso  lo  stesso
termine, ogni atto compiuto dalle Autorita' d'ambito territoriale  e'
da considerarsi nullo. Entro un anno dalla data di entrata in  vigore
della presente legge, le regioni attribuiscono con legge le  funzioni
gia'  esercitate  dalle  Autorita',  nel  rispetto  dei  principi  di
sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza.  Le  disposizioni  di
cui agli articoli 148 e 201 del citato decreto legislativo n. 152 del
2006, sono efficaci in ciascuna regione fino alla data di entrata  in
vigore della legge regionale di cui al periodo precedente. I medesimi
articoli sono comunque abrogati decorso un anno dalla data di entrata
in vigore della presente legge». 
    Nel merito, la questione e' fondata. 
    La norma censurata impone, infatti, l'applicazione  del  comma  5
dell'art. 113 TUEL, cioe' di un comma abrogato  per  incompatibilita'
dal citato art. 23-bis, con il quale, pertanto, si pone in contrasto.
L'art. 23-bis prevede infatti, come sopra osservato, che «l'art.  113
del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui
al  decreto  legislativo  18  agosto  2000,  n.  267   e   successive
modificazioni,  e'  abrogato  nelle  parti   incompatibili   con   le
disposizioni di cui al presente articolo» (comma 11). In particolare,
il citato comma 5 dell'art. 113 e' palesemente  incompatibile  con  i
commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis, perche' disciplina le  modalita'  di
affidamento del SPL in modo difforme  da  quanto  previsto  da  detti
commi, evocati come norme interposte. 
    18.3. - Il ricorrente censura, in terzo luogo - per contrasto con
l'art. 23-bis, commi 8 e 9, del decreto-legge n. 112  del  2008,  nel
testo originario, e, di conseguenza, con l'art. 117,  secondo  comma,
lett. e), Cost. - i commi 5 e 6 del medesimo art. 4 della legge della
Regione Liguria n. 39 del 2008, i quali  prevedono,  rispettivamente,
che: a) «Resta ferma la previsione di  cui  all'articolo  113,  comma
15-bis, del d.lgs. n. 267/2000; a tal fine l'AATO determina  la  data
di cessazione delle concessioni esistenti, avuto riguardo alla durata
media delle concessioni aggiudicate nello stesso settore a seguito di
procedure ad evidenza pubblica, salva la possibilita' di  determinare
caso per caso la  cessazione  in  una  data  successiva,  qualora  la
medesima risulti proporzionata ai tempi di  recupero  di  particolari
investimenti effettuati dal gestore, fermi restando l'aggiornamento e
la rinegoziazione delle convenzioni in essere» (comma 5); b)  «L'AATO
individua forme e modalita' dirette all'integrazione del servizio  di
gestione dei rifiuti e  del  servizio  idrico,  avuto  riguardo  agli
affidamenti esistenti che non risultano cessati nei  termini  di  cui
all'articolo 113, comma 15-bis, del d.lgs. n. 267/2000,  al  fine  di
pervenire  al  superamento  della  frammentazione  del  servizio  nel
territorio dell'ambito» (comma 6). 
    A sua volta, il comma 15-bis  dell'art.  113  TUEL  -  richiamato
dalle suddette disposizioni censurate -  prevede,  con  un'articolata
serie di eccezioni soggettive, che «nel caso in cui  le  disposizioni
previste per i singoli settori non stabiliscano un congruo periodo di
transizione [...] le concessioni  rilasciate  con  procedure  diverse
dall'evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del
31 dicembre 2006, relativamente al solo servizio idrico integrato  al
31  dicembre  2007,  senza  necessita'  di   apposita   deliberazione
dell'ente affidante». 
    Lo  Stato  lamenta  che  i  commi  censurati,  disciplinando   la
cessazione  delle  concessioni  esistenti  ed  il   relativo   regime
transitorio  degli  affidamenti   del   servizio   idrico   integrato
effettuati senza gara, attraverso il rinvio alle disposizioni di  cui
all'art. 113, comma 15-bis,  TUEL,  contrastano  con  l'art.  23-bis,
commi 8 e 9, del decreto-legge n. 112 del 2008, che - come visto - ha
abrogato l'art. 113 citato  nelle  parti  incompatibili  con  le  sue
disposizioni e  che  fissa  al  31  dicembre  2010  la  data  per  la
cessazione  delle  concessioni  esistenti  rilasciate  con  procedure
diverse dall'evidenza pubblica. 
    Anche in relazione a tale questione, la Regione Liguria eccepisce
la cessazione della materia del contendere per i  motivi  esposti  al
punto 18.2. 
    Tale eccezione deve essere  parimenti  rigettata  per  le  stesse
ragioni indicate al medesimo punto 18.2. 
    Nel merito, la questione e' fondata. 
    Come gia' osservato al punto 18.2.,  la  norma  censurata  impone
l'applicazione del comma 15-bis  dell'art.  113  TUEL,  abrogato  per
incompatibilita' dall'art. 23-bis, con il quale, pertanto, si pone in
contrasto. Il citato comma 15-bis dell'art.  113  TUEL,  infatti,  e'
incompatibile con il suddetto  art.  23-bis,  perche'  disciplina  il
regime transitorio degli affidamenti diretti  del  servizio  pubblico
locale in modo difforme da quanto previsto dal parametro  interposto.
Ne deriva la violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost. 
    19. - Devono essere infine trattate  le  questioni  proposte  dal
Presidente del Consiglio dei ministri in merito al comma 1  dell'art.
1 della legge della Regione Campania n. 2 del 2010, il quale  prevede
la competenza della  medesima  Regione  a  disciplinare  il  servizio
idrico integrato regionale come servizio privo di rilevanza economica
ed a stabilire autonomamente sia le forme giuridiche dei soggetti cui
affidare il servizio sia il termine di decadenza degli affidamenti in
essere. 
    La difesa dello Stato lamenta che la  disposizione  viola  l'art.
117, commi primo e secondo, lettera e), Cost., nonche',  quali  norme
interposte, gli artt. 141 e 154 del d.lgs. n. 152  del  2006,  l'art.
23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, il decreto-legge n. 135 del
2009 e l'art. 113 TUEL - i quali stabiliscono che il servizio  idrico
integrato ha rilevanza economica - perche': a) prevede che la Regione
disciplini il servizio predetto «come  servizio  privo  di  rilevanza
economica»; b) regola in modo del tutto difforme dall'art. 23-bis del
decreto-legge n. 112 del 2008 le forme giuridiche  dei  soggetti  cui
affidare il servizio ed il termine di decadenza degli affidamenti  in
essere, prevedendo che «tutte  le  forme  attualmente  in  essere  di
gestione del servizio idrico con societa' miste o interamente private
decadono a far data dalle  scadenze  dei  contratti  di  servizio  in
essere». 
    Entrambe le  questioni  sono  fondate,  perche'  le  disposizioni
censurate sono in contrasto con la normativa  statale  evocata  quale
parametro  interposto  ed  emanata  nell'esercizio  della  competenza
esclusiva dello Stato nella materia «tutela della concorrenza»  (come
piu' diffusamente argomentato al punto 7.). 
    In particolare, la questione di  cui  al  punto  a)  e'  fondata,
perche' la disposizione censurata si pone in evidente  contrasto  con
le sopra indicate norme statali interposte, le quali ricomprendono il
servizio  idrico  integrato  tra  i  servizi  dotati   di   rilevanza
economica. Come visto al punto 9.,  infatti,  la  disciplina  statale
pone una nozione generale e oggettiva di  rilevanza  economica,  alla
quale  le  Regioni  non  possono  sostituire  una  nozione  meramente
soggettiva, incentrata cioe'  su  una  valutazione  discrezionale  da
parte dei singoli enti territoriali. 
    La questione di cui al punto b) e' del pari fondata,  perche'  la
disposizione  censurata,  che  individua  le  figure  soggettive  cui
conferire la gestione del  servizio  idrico  e  determina  un  regime
transitorio per la  cessazione  degli  affidamenti  diretti  gia'  in
essere, si pone in  evidente  contrasto  con  il  regime  transitorio
disciplinato dall'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del  2008,  il
quale - come visto al punto 7. - non puo' essere oggetto di deroga da
parte delle Regioni.