comunitaria"». 11.5. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito quanto affermato nell'atto di costituzione, svolgendo, inoltre, considerazione analoghe a quelle svolte in relazione al ricorso n. 77 del 2008 (supra: punto 3.4.). 12. - Con ricorso notificato il 20 marzo 2010 e depositato il 30 marzo successivo (r. ric. n. 51 del 2010), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, tra l'altro, l'art. 1, comma 1, della legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria anno 2010), il quale prevede che «La regione Campania disciplina il servizio idrico integrato regionale come servizio privo di rilevanza economica. Nel rispetto dei principi di sussidiarieta', ragionevolezza e leale collaborazione e in assenza di intese con lo Stato in merito alle politiche relative alle societa' di distribuzione dell'acqua potabile, le aziende operative nella regione Campania devono avere la maggioranza assoluta dell'azionariato a partecipazione pubblica. Tutte le forme attualmente in essere di gestione del servizio idrico con societa' miste o interamente private decadono a far data dalle scadenze dei contratti di servizio in essere. I proventi ricavati dalla utilizzazione del demanio idrico sono destinati al finanziamento degli interventi della risorsa idrica e dell'assetto idraulico ed idrogeologico sulla base delle linee programmatiche di bacino. Tali proventi sono iscritti dal corrente esercizio finanziario all'Unita' previsionale di base (UPB) 11.81.80 della entrata e destinati al finanziamento delle spese iscritte alla UPB 1.1.1. "Difesa Suolo" concernenti i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria del reticolo idrografico regionale». 12.1. - Il ricorrente sostiene che il servizio idrico integrato, al quale la disposizione in questione fa riferimento, e' disciplinato da norme statali, nell'esercizio della competenza legislativa esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, Cost., in vari ambiti, quali: funzioni fondamentali degli enti locali, concorrenza, tutela dell'ambiente, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni. In particolare, l'Avvocatura generale dello Stato sottolinea che, nel disciplinare tale servizio, l'art. 141, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 afferma chiaramente la sua rilevanza economica, laddove dispone che lo stesso «deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicita'». Un ulteriore indice di tale rilevanza potrebbe essere individuato nell'art. 154, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, che, nel disciplinare la tariffa del servizio idrico integrato, la qualifica come «corrispettivo» in tutte le quote che la compongono e stabilisce che essa e' determinata, tenendo conto, tra l'altro, «dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito». La rilevanza economica del servizio sarebbe, inoltre, confermata sia dall'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, che, nel disciplinare l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, precisa che detta disciplina si applica a tutti i servizi pubblici locali, sia dall'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, che vi faceva riferimento nel disciplinare proprio la «gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica». 12.1.1. - La difesa dello Stato lamenta, in primo luogo, che la norma regionale censurata, disponendo che la Regione disciplina il servizio predetto «come servizio privo di rilevanza economica», si pone in contrasto con tali disposizioni di legge e, di conseguenza, con l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. In particolare - per il ricorrente - al servizio idrico integrato deve comunque attribuirsi rilevanza economica, perche' esso si sostanzia in attivita' suscettibili, in astratto o in potenza, di essere gestite in forma remunerativa, e percio' di produrre redditivita', e per le quali esiste un mercato concorrenziale. Ne consegue che la disposizione censurata viola anche l'art. 117, primo comma, Cost., perche' si pone in contrasto con i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, come interpretato dalla Corte di giustizia UE. Inoltre la previsione in esame sarebbe comunque inidonea a sottrarre la disciplina del servizio idrico integrato alla competenza esclusiva del legislatore statale, perche' essa, «nel prevedere l'affidamento del servizio ad aziende con azionariato con partecipazione pubblica a maggioranza assoluta, postula, evidentemente, l'esercizio dell'attivita' in questione nella forma della societa' commerciale e, comunque, anche la presenza di capitali ed investitori privati, la cui partecipazione implica necessariamente che, in concreto, l'attivita' in questione sia svolta in forma remunerativa». 12.1.2. - In secondo luogo, la difesa dello Stato lamenta che il secondo periodo del comma denunciato - prevedendo che «in merito alle politiche relative alle societa' di distribuzione dell'acqua potabile, le aziende operative nella regione Campania devono avere la maggioranza assoluta dell'azionariato a partecipazione pubblica» - contrasta con l'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, perche' disciplina in modo del tutto difforme le forme giuridiche dei soggetti cui affidare il servizio ed il termine di decadenza degli affidamenti in essere. La norma censurata, infatti, porrebbe alle aziende che intendano «operare» nella Regione un vincolo di assetto proprietario definito, incidendo, in tal modo, sulle procedure di affidamento, poiche' vieta alle societa' prive della maggioranza assoluta dell'azionariato pubblico di ottenere l'affidamento del servizio. L'art. 23-bis, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008 prevede, sul punto, che il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria a societa' miste nelle quali al socio privato sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento, postulando, cosi', anche la possibilita' «che la partecipazione privata si attesti su percentuali superiori, in coerenza con obiettivi di mercato pro concorrenziali, nonche' con obiettivi di efficienza finalizzati anche alla salvaguardia dell'ambiente, che i vincoli posti dalla norma regionale pregiudicano non poco». 12.1.3. - In terzo luogo, il ricorrente lamenta che il terzo periodo del denunciato comma 1 dell'art. 1 - nel disporre che «tutte le forme attualmente in essere di gestione del servizio idrico con societa' miste o interamente private decadono a far data dalle scadenze dei contratti di servizio in essere» - si pone in contrasto con il comma 8 dell'art. 23-bis, che prevede una piu' complessa, articolata e restrittiva disciplina del regime transitorio. 12.2. - Si e' costituita in giudizio la Regione Campania, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate infondate. Ad avviso della resistente, la stessa normativa statale richiamata nel ricorso non esclude affatto che il legislatore regionale possa conformare il servizio idrico come privo di rilevanza economica: anzi, l'art. 150, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006 e l'art. 23-bis, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008 consentono entrambi che, per esigenze sociali, ambientali o di altro tipo, si possa derogare al regime della concorrenza per la gestione del servizio. Sulla stessa linea si collocherebbe il diritto comunitario, il quale tende a considerare l'acqua come un bene comune e la sua gestione come un'attivita' che deve necessariamente tenere conto della particolare rilevanza pubblicistica di tale bene. 12.3. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito, nel merito, quanto gia' affermato nel ricorso e ha eccepito l'inammissibilita' della costituzione in giudizio della Regione Campania. Sostiene il ricorrente che detta costituzione e' stata deliberata da un organo privo della relativa competenza, essendo stata adottata con decreto dirigenziale dell'avvocato coordinatore, su proposta del dirigente del settore contenzioso amministrativo e tributario e non - come richiesto dall'art. 32, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e dall'art. 15 della legge regionale 28 maggio 2009, n. 6 (Statuto della Regione Campania), e ribadito dall'ordinanza della Corte costituzionale letta all'udienza del 25 maggio 2010 e relativa al giudizio deciso con la sentenza n. 225 del 2010 - dalla Giunta regionale. 12.4. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, la Regione Campania ha sostanzialmente ribadito, nel merito, quanto gia' sostenuto nell'atto di costituzione. Considerato in diritto 1. - Le questioni sottoposte all'esame della Corte con i ricorsi indicati in epigrafe sono state promosse dalle Regioni Emilia-Romagna (registro ricorsi n. 69 del 2008 e n. 13 del 2010), Liguria (registro ricorsi n. 72 del 2008 e n. 12 del 2010), Piemonte (registro ricorsi n. 77 del 2008 e 16 del 2010), Puglia (registro ricorsi n. 6 del 2010), Toscana (registro ricorsi n. 10 del 2010), Umbria (registro ricorsi n. 14 del 2010), Marche (registro ricorsi n. 15 del 2010), nonche' dal Presidente del Consiglio dei ministri (registro ricorsi n. 2 del 2009 e n. 51 del 2010). 1.1. - Le disposizioni censurate dalle Regioni possono essere suddivise in tre gruppi: a) un primo gruppo, relativo al testo originario (e non piu' vigente) dell'art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) - articolo aggiunto dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133, ed entrato in vigore, in forza dell'art. 1, comma 4, di detta legge, in data 22 agosto 2008 - comprende i commi 1, 2, 3, 4, 7, 8 e 10 di tale articolo (ricorso n. 69 del 2008, Emilia-Romagna; ricorso n. 72 del 2008, Liguria; ricorso n. 77 del 2008, Piemonte); b) un secondo gruppo, relativo al testo vigente dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 - articolo aggiunto dalla legge di conversione n. 133 del 2008, e modificato del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della corte di giustizia delle Comunita' europee), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, entrato in vigore il 26 settembre 2009 e, per le parti modificate, il 25 novembre 2009 - comprende i commi 2, 3, 4, 4-bis, 8, 9 e 10, di tale articolo (ricorso n. 6 del 2010, Puglia; ricorso n. 10 del 2010, Toscana; ricorso n. 12 del 2010, Liguria; ricorso n. 13 del 2010, Emilia-Romagna; ricorso n. 14 del 2010, Umbria; ricorso n. 15 del 2010, Marche; ricorso n. 16 del 2010, Piemonte); c) un terzo gruppo comprende il solo comma 1-ter dell'art. 15 del citato decreto-legge n. 135 del 2009, comma entrato in vigore in data 26 settembre 2009, in forza dell'art. 21 del medesimo decreto-legge (ricorso n. 15 del 2010, Marche). Tali gruppi di disposizioni introducono novita' normative rilevanti nella disciplina delle modalita' di affidamento dei servizi pubblici locali (SPL) e del diritto transitorio degli affidamenti gia' in corso. In particolare, si prevede che: a) l'affidamento del SPL in via ordinaria, mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, riguarda non solo le societa' di capitali - come nella previgente normativa - ma, piu' in generale, gli «imprenditori o [...] societa' in qualunque forma costituite» (comma 2 del testo originario e del testo vigente dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008); b) l'affidamento diretto - cioe' senza gara ad evidenza pubblica - della gestione del SPL a societa' miste il cui socio privato sia scelto mediante procedure competitive ad evidenza pubblica costituisce un caso di conferimento della gestione «in via ordinaria», alla duplice condizione che la procedura di gara riguardi non solo la qualita' di socio, ma anche l'attribuzione di «specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio» e che al socio privato sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40% (comma 2 del testo attualmente vigente dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008); c) l'affidamento diretto «in deroga» ai conferimenti effettuati in via ordinaria richiede una previa «pubblicita' adeguata» e una motivazione di detta scelta da parte dell'ente in base ad un'«analisi di mercato», oltre alla trasmissione di una «relazione» dall'ente affidante alle autorita' di settore, ove costituite (testo originario dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008), ovvero all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato - AGCM (testo vigente dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008), per un parere obbligatorio ma non vincolante, che deve essere reso entro 60 giorni dalla ricezione; d) l'affidamento diretto deve - ai sensi dei commi 3 e 4 del testo originario dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 - «avvenire nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria», con l'ulteriore presupposto che sussistano «situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato»; e) lo stesso affidamento deve, invece, avvenire - ai sensi dei commi 3 e 4 del testo attualmente vigente del medesimo art. 23-bis - con le forme della gestione in house, nel rispetto delle condizioni richieste dal diritto comunitario, previo parere della sola AGCM, con l'ulteriore presupposto della sussistenza di «situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato»; f) i bacini di gara per i diversi servizi sono definiti, nel rispetto delle normative settoriali, dalle Regioni e dagli enti locali d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (comma 7 dell'art. 23-bis, sia nella versione originaria che in quella vigente); g) e' abrogato, nelle parti incompatibili con la nuova disciplina, l'art. 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico sugli enti locali), in seguito indicato come TUEL, concernente l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (comma 11 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, sia nella versione originaria che in quella vigente); h) il Governo ha il potere di adottare regolamenti di delegificazione sia nelle materie di cui al comma 10 dell'art. 23-bis (come disposto nella versione originaria ed in quella vigente dell'art. 23-bis), sia per la determinazione delle soglie minime oltre le quali gli affidamenti «assumono rilevanza ai fini dell'espressione del parere» dell'AGCM (come disposto dal comma 4-bis nella versione vigente dell'art. 23-bis); i) gli affidamenti diretti gia' in essere al momento dell'entrata in vigore della nuova normativa cessano al 31 dicembre 2010 (versione originaria del comma 8 dell'art. 23-bis) o in date successive, a partire dal 31 dicembre 2011, a seconda delle diverse tipologie degli affidamenti stessi (versione vigente del comma 8 dell'art. 23-bis); l) «Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui all'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008 [...] devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualita' e prezzo del servizio, in conformita' a quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto alla universalita' ed accessibilita' del servizio» (comma 1-ter, dell'art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009). 1.2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, a sua volta, due gruppi di disposizioni di leggi regionali. 1.2.1. - Il primo gruppo di disposizioni censurate (ricorso n. 2 del 2009) e' costituito dai commi 1, 4, 5, 6 e 14 dell'art. 4 della legge della Regione Liguria 28 ottobre 2008, n. 39 (Istituzione della Autorita' d'Ambito per l'esercizio delle funzioni degli enti locali in materia di risorse idriche e gestione dei rifiuti ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 - Norme in materia ambientale). Detti commi stabiliscono: a) la competenza della Giunta regionale ad approvare lo schema-tipo di contratto di servizio e di convenzione per il servizio idrico integrato (comma 1); b) la competenza dell'Autorita' d'ambito a provvedere all'affidamento del servizio idrico integrato, «nel rispetto dei criteri di cui all'articolo 113, comma 7, del d.lgs. 267/2000 e delle modalita' di cui agli articoli 150 e 172 del d.lgs. n. 152/2006» (comma 4); c) la cessazione delle concessioni esistenti e il relativo regime transitorio degli affidamenti del servizio idrico integrato effettuati senza gara, attraverso il rinvio alle disposizioni di cui all'art. 113, comma 15-bis, TUEL (commi 5 e 6); d) la competenza delle Autorita' d'ambito territoriale ottimale a definire i contratti di servizio, gli obiettivi qualitativi dei servizi erogati, il monitoraggio delle prestazioni, gli aspetti tariffari, la partecipazione dei cittadini e delle associazioni dei consumatori (comma 14). 1.2.2. - Il secondo gruppo di disposizioni censurate dallo Stato (ricorso n. 51 del 2010) e' costituito dal comma 1 dell'art. 1 della legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria anno 2010), il quale stabilisce la competenza della medesima Regione a disciplinare il servizio idrico integrato regionale come servizio privo di rilevanza economica ed a stabilire autonomamente sia le forme giuridiche dei soggetti cui affidare il servizio sia il termine di decadenza degli affidamenti in essere. 2. - Le Regioni hanno promosso questioni in riferimento agli artt. 3, 5, 41, 97, 114, 117, primo, secondo, terzo, quarto, sesto comma, 118 e 119, sesto comma, e 120 della Costituzione. Ad integrazione del parametro costituito dal primo comma dell'art. 117 Cost., alcune Regioni, hanno evocato quali norme interposte: a) la Carta europea dell'autonomia locale (in specie gli artt. 3, comma 1, 4, commi 2 e 4), firmata, nell'ambito del Consiglio d'Europa, a Strasburgo il 15 ottobre 1985, e ratificata dalla legge 30 dicembre 1989, n. 439 (Ratifica ed esecuzione della convenzione europea relativa alla Carta europea dell'autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985); b) il «diritto comunitario»; c) i «principi del diritto comunitario di liberta' degli individui e di autonomia degli enti territoriali»; d) gli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). In base alle prospettazioni delle ricorrenti, tali questioni possono essere distinte nei sette seguenti nuclei tematici, per i primi quattro dei quali, in considerazione della loro incidenza sull'intero tessuto normativo censurato, e' opportuna una trattazione generale e preliminare. Le conclusioni cui si perverra' all'esito di tale trattazione costituiranno la base della decisione delle singole questioni, che saranno in seguito esaminate analiticamente. Il primo nucleo tematico attiene alla ricostruzione del rapporto tra la disciplina dei SPL ricavabile dall'ordinamento dell'Unione europea e dalla Carta europea dell'autonomia locale e quella dettata con le disposizioni censurate. Tale ricostruzione e' necessaria al fine di valutare le opposte prospettazioni delle parti, secondo le quali le particolari - e piu' restrittive rispetto alla legislazione italiana anteriore - condizioni fissate dal censurato comma 3 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 (sia nella versione originaria che in quella vigente) per l'affidamento in house dei servizi pubblici locali, costituirebbero una obbligatoria applicazione (secondo la difesa dello Stato) oppure una violazione (secondo le ricorrenti) del diritto dell'Unione. Il secondo nucleo tematico attiene all'individuazione della sfera di competenza in cui, secondo la Costituzione, si colloca la normativa denunciata: se - come afferma lo Stato - nell'ambito costituzionale della tutela della concorrenza, o di altra competenza esclusiva statale, oppure - come afferma la maggioranza delle ricorrenti - nell'ambito della materia dei servizi pubblici locali, di competenza regionale residuale; o ancora, come afferma la Regione Marche, nell'ambito della potesta' regolamentare degli enti locali di cui all'art. 117, sesto comma, Cost.; o infine, come afferma la Regione Puglia, nell'ambito della competenza regionale concorrente in materia di tutela della salute e alimentazione. Il terzo nucleo tematico - nel caso in cui si ritenesse sussistere la competenza esclusiva statale per la tutela della concorrenza - attiene alla valutazione della censura secondo cui la normativa denunciata violerebbe il principio di ragionevolezza, sotto il profilo della proporzionalita' ed adeguatezza, e, per l'effetto, lederebbe la sfera di competenza legislativa o regolamentare riservata alle Regioni a statuto ordinario. Il quarto nucleo tematico attiene alla individuazione della competenza regionale o statale nella determinazione della rilevanza economica dei SPL, cioe' del presupposto stesso per l'applicazione della normativa relativa a tali servizi. Tale problema, nella prospettiva della ricorrente Regione Marche, si pone anche nel caso in cui si ritenga che la suddetta normativa sia riconducibile alla materia della tutela della concorrenza e sia proporzionata ed adeguata. Il quinto nucleo tematico ha per oggetto la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., sotto il profilo dell'obbligo di motivazione degli atti amministrativi, in relazione a quanto stabilito dal censurato art. 23-bis del d.l n. 112 del 2008, interpretato nel senso che la scelta dell'ente locale di procedere all'affidamento «in via ordinaria» dei SPL non e' onerata di obblighi motivazionali analoghi a quelli previsti per l'affidamento «in deroga» (vale a dire, per l'affidamento in house). Il sesto nucleo tematico riguarda l'asserita irragionevole diversita' di disciplina fra il servizio idrico integrato e gli altri servizi pubblici locali. Il settimo nucleo tematico attiene alla lamentata violazione dell'autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali. 3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni in riferimento agli artt. 117, primo e secondo comma, lettere e) ed s), Cost. e alle seguenti norme interposte: a) per le questioni riguardanti la legge della Regione Liguria n. 39 del 2008, l'art. 161, comma 4, lettera c), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nonche' l'art. 23-bis, commi 2, 3, 8, 9 e 11, del decreto-legge n. 112 del 2008; b) per le questioni riguardanti la legge della Regione Campania n. 2 del 2010, gli artt. 141 e 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, l'art. 23-bis, commi 2, 3, 8, 9 e 11, del decreto-legge n. 112 del 2008, il decreto-legge n. 135 del 2009, nonche' l'art. 113 del TUEL. Tali questioni hanno per oggetto: a) l'individuazione della sfera di competenza in cui, secondo la Costituzione, si colloca la normativa regionale denunciata: se - come afferma lo Stato - nell'ambito costituzionale della tutela della concorrenza o tutela dell'ambiente oppure - come affermano le Regioni resistenti - della materia dei servizi pubblici locali (di competenza regionale residuale); b) la valutazione della sussistenza del denunciato contrasto tra la normativa regionale e le evocate norme interposte statali. 4. - Le predette questioni di legittimita' costituzionale, la' dove promosse nell'ambito di uno stesso ricorso unitamente ad altre, devono essere trattate separatamente da queste ultime, essendo opportuno procedere ad un esame distinto. I giudizi, cosi' separati e delimitati nell'oggetto, devono quindi tra loro riunirsi, per essere congiuntamente trattati e decisi, in considerazione della parziale identita' di materia delle norme censurate e delle questioni prospettate. 5. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, la difesa dello Stato ha eccepito l'inammissibilita' della costituzione della Regione Campania nel giudizio relativo al ricorso n. 51 del 2010. Sostiene il ricorrente che detta costituzione e' stata deliberata da un organo privo della relativa competenza, essendo stata adottata con decreto dirigenziale dell'avvocato coordinatore, su proposta del dirigente del settore contenzioso amministrativo e tributario e non dalla Giunta regionale. L'eccezione e' stata accolta da questa Corte con ordinanza pronunciata all'udienza del 5 ottobre 2010, sul rilievo che, a norma dell'art. 32, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, «La questione di legittimita' costituzionale, previa deliberazione della Giunta regionale [...], e' promossa dal Presidente della Giunta» e, in tale competenza ad autorizzare la promozione dei giudizi di costituzionalita', deve ritenersi compresa anche la deliberazione di costituirsi in tali giudizi, data la natura politica della valutazione che i due atti richiedono (nello stesso senso, l'ordinanza letta all'udienza del 25 maggio 2010 e relativa al giudizio deciso con la sentenza n. 225 del 2010). 6. - Il primo dei sopra indicati nuclei tematici attiene - come si e' visto - al rapporto tra le disposizioni censurate e la disciplina dei SPL desumibile dall'ordinamento dell'Unione europea e dalla Carta europea dell'autonomia locale. Secondo alcune ricorrenti, le suddette disposizioni, ponendosi in contrasto con la normativa comunitaria ed internazionale, violano il primo comma dell'art. 117 Cost., la' dove questo vincola la potesta' legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto dell'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. Secondo la difesa dello Stato, invece, la stessa formulazione del comma 1 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 («le disposizioni del presente articolo disciplinano l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria [...]») evidenzia che le disposizioni oggetto di censura, in particolare quelle relative all'affidamento in house dei servizi pubblici locali, costituiscono un'obbligatoria applicazione del diritto dell'Unione e non contrastano con la citata Carta europea dell'autonomia locale. Nessuna di tali due opposte prospettazioni e' condivisibile, perche' le disposizioni censurate dalle ricorrenti non costituiscono ne' una violazione ne' un'applicazione necessitata della richiamata normativa comunitaria ed internazionale, ma sono semplicemente con questa compatibili, integrando una delle diverse discipline possibili della materia che il legislatore avrebbe potuto legittimamente adottare senza violare l'evocato primo comma dell'art. 117 Cost. Tale conclusione va argomentata procedendo al raffronto delle disposizioni censurate sia con la normativa comunitaria che con quella internazionale evocate a parametro interposto. 6.1. - In ambito comunitario non viene mai utilizzata l'espressione «servizio pubblico locale di rilevanza economica», ma solo quella di «servizio di interesse economico generale» (SIEG), rinvenibile, in particolare, negli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). Detti articoli non fissano le condizioni di uso di tale ultima espressione, ma, in base alle interpretazioni elaborate al riguardo dalla giurisprudenza comunitaria (ex multis, Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia) e dalla Commissione europea (in specie, nelle Comunicazioni in tema di servizi di interesse generale in Europa del 26 settembre 1996 e del 19 gennaio 2001; nonche' nel Libro verde su tali servizi del 21 maggio 2003), emerge con chiarezza che la nozione comunitaria di SIEG, ove limitata all'ambito locale, e quella interna di SPL di rilevanza economica hanno «contenuto omologo», come riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 272 del 2004. Lo stesso denunciato comma 1 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 - nel dichiarato intento di disciplinare i «servizi pubblici locali di rilevanza economica» per favorire la piu' ampia diffusione dei principi di concorrenza, di liberta' di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti «gli operatori economici interessati alla gestione di servizi pubblici di interesse generale in ambito locale» - conferma tale interpretazione, attribuendo espressamente ai SPL di rilevanza economica un significato corrispondente a quello di «servizi di interesse generale in ambito locale» di rilevanza economica, di evidente derivazione comunitaria. Entrambe le suddette nozioni, interna e comunitaria, fanno riferimento infatti ad un servizio che: a) e' reso mediante un'attivita' economica (in forma di impresa pubblica o privata), intesa in senso ampio, come «qualsiasi attivita' che consista nell'offrire beni o servizi su un determinato mercato» (come si esprimono sia la citata sentenza della Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia, sia le sentenze della stessa Corte 10 gennaio 2006, C-222/04, Ministero dell'economia e delle finanze, e 16 marzo 2004, cause riunite C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, AOK Bundesverband, nonche' il Libro verde sui servizi di interesse generale del 21 maggio 2003, al paragrafo 2.3, punto 44); b) fornisce prestazioni considerate necessarie (dirette, cioe', a realizzare anche "fini sociali") nei confronti di una indifferenziata generalita' di cittadini, a prescindere dalle loro particolari condizioni (Corte di giustizia UE, 21 settembre 1999, C-67/96, Albany International BV). Le due nozioni, inoltre, assolvono l'identica funzione di identificare i servizi la cui gestione deve avvenire di regola, al fine di tutelare la concorrenza, mediante affidamento a terzi secondo procedure competitive ad evidenza pubblica. Per quanto qui interessa, la disciplina comunitaria del SIEG e quella censurata del SPL divergono, invece, in ordine all'individuazione delle eccezioni alla suddetta regola. Occorre pertanto accertare se le differenze tra le due discipline siano tali da far venir meno, come sostengono le Regioni ricorrenti, la loro compatibilita'. Tale accertamento, come si vedra' in seguito, avra' esito negativo. Una prima differenza e' rappresentata dalla gestione diretta del SPL da parte dell'autorita' pubblica. La normativa comunitaria la ammette nel caso in cui lo Stato nazionale ritenga che l'applicazione delle regole di concorrenza (e, quindi, anche della regola della necessita' dell'affidamento a terzi mediante una gara ad evidenza pubblica) ostacoli, in diritto od in fatto, la «speciale missione» dell'ente pubblico (art. 106 TFUE; ex plurimis, sentenze della Corte di giustizia UEE 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle, punti 48 e 49, e 10 settembre 2009, C-573/07, Sea s.r.l.). In tale ipotesi l'ordinamento comunitario, rispettoso dell'ampia sfera discrezionale attribuita in proposito agli Stati membri, si riserva solo di sindacare se la decisione dello Stato sia frutto di un "errore manifesto". La censurata disciplina nazionale, invece, rappresenta uno sviluppo del diverso principio generale costituito dal divieto della gestione diretta del SPL da parte dell'ente locale; divieto introdotto dai non censurati art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002) e art. 14 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. Da quanto precede, e' dunque evidente che: a) la normativa comunitaria consente, ma non impone, agli Stati membri di prevedere, in via di eccezione e per alcuni casi determinati, la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente locale; b) lo Stato italiano, facendo uso della sfera di discrezionalita' attribuitagli dall'ordinamento comunitario al riguardo, ha effettuato la sua scelta nel senso di vietare di regola la gestione diretta dei SPL ed ha, percio', emanato una normativa che pone tale divieto. Una seconda differenza riguarda l'affidamento della gestione del servizio alle societa' miste, cioe' con capitale in parte pubblico ed in parte privato (cosiddetto PPP, partenariato pubblico e privato). La normativa comunitaria consente l'affidamento diretto del servizio (cioe' senza una gara ad evidenza pubblica per la scelta dell'affidatario) alle societa' miste nelle quali si sia svolta una gara ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato e richiede sostanzialmente che tale socio sia un socio «industriale» e non meramente «finanziario» (in tal senso, in particolare, il Libro verde della Commissione del 30 aprile 2004), senza espressamente richiedere alcun limite, minimo o massimo, della partecipazione del socio privato. Il testo originario dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 non prevede una disciplina specifica per tale tipo di affidamento e da' per scontato che la suddetta modalita' di scelta del socio rientri nella regola comunitaria dell'affidamento mediante gara ad evidenza pubblica, restando irrilevante che tale gara abbia ad oggetto la scelta del socio privato invece dell'affidatario. La disciplina interna e quella comunitaria sul punto sono, dunque, identiche. Anche il testo vigente dello stesso art. 23-bis e' conforme alla normativa comunitaria, nella parte in cui consente l'affidamento diretto della gestione del servizio, «in via ordinaria», ad una societa' mista, alla doppia condizione che la scelta del socio privato «avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica» e che a tale socio siano attribuiti «specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio» (cosiddetta gara ad evidenza pubblica a doppio oggetto: scelta del socio e attribuzione degli specifici compiti operativi). La stessa nuova formulazione dell'art. 23-bis si discosta, pero', dal diritto comunitario nella parte in cui pone l'ulteriore condizione, al fine del suddetto affidamento diretto, che al socio privato sia attribuita «una partecipazione non inferiore al 40 per cento». Tale misura minima della partecipazione (non richiesta dal diritto comunitario, come sopra ricordato, ma neppure vietata) si risolve in una restrizione dei casi eccezionali di affidamento diretto del servizio e, quindi, la sua previsione perviene al risultato di far espandere i casi in cui deve essere applicata la regola generale comunitaria di affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Ne consegue, anche in questo caso, la piena compatibilita' della normativa interna con quella comunitaria. Una terza differenza attiene alle ipotesi di affidamento diretto del servizio «in deroga» alle ipotesi di affidamento in via ordinaria (versione originaria dell'art. 23-bis), che si identificano nella gestione denominata in house (come chiarito dalla versione vigente dello stesso art. 23-bis). Secondo la normativa comunitaria, le condizioni integranti tale tipo di gestione ed alle quali e' subordinata la possibilita' del suo affidamento diretto (capitale totalmente pubblico; controllo esercitato dall'aggiudicante sull'affidatario di ««contenuto analogo» a quello esercitato dall'aggiudicante stesso sui propri uffici; svolgimento della parte piu' importante dell'attivita' dell'affidatario in favore dell'aggiudicante) debbono essere interpretate restrittivamente, costituendo l'in house providing un'eccezione rispetto alla regola generale dell'affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Tale eccezione viene giustificata dal diritto comunitario con il rilievo che la sussistenza delle suddette condizioni esclude che l'in house contract configuri, nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante ed affidatario, perche' quest'ultimo e', in realta', solo la longa manus del primo. Nondimeno, la giurisprudenza comunitaria non pone ulteriori requisiti per procedere a tale tipo di affidamento diretto, ma si limita a chiarire via via la concreta portata delle suddette tre condizioni. Viceversa, il legislatore nazionale, nella versione vigente dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, non soltanto richiede espressamente, per l'affidamento diretto in house, la sussistenza delle suddette tre condizioni poste dal diritto comunitario, ma esige il concorso delle seguenti ulteriori condizioni: a) una previa «pubblicita' adeguata» e una motivazione della scelta di tale tipo di affidamento da parte dell'ente in base ad un'«analisi di mercato», con successiva trasmissione di una «relazione» dall'ente affidante alle autorita' di settore, ove costituite (testo originario dell'art. 23-bis), ovvero all'AGCM (testo vigente dell'art. 23-bis), per un parere preventivo e obbligatorio, ma non vincolante, che deve essere reso entro 60 giorni dalla ricezione; b) la sussistenza di «situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento» (commi 3 e 4 del testo originario dell'art. 23-bis), ovvero di «situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento» (commi 3 e 4 del testo vigente del medesimo art. 23-bis), «non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato». Siffatte ulteriori condizioni, sulle quali si appuntano particolarmente le censure delle ricorrenti, si risolvono in una restrizione delle ipotesi in cui e' consentito il ricorso alla gestione in house del servizio e, quindi, della possibilita' di derogare alla regola comunitaria concorrenziale dell'affidamento del servizio stesso mediante gara pubblica. Cio' comporta, evidentemente, un'applicazione piu' estesa di detta regola comunitaria, quale conseguenza di una precisa scelta del legislatore italiano. Tale scelta, proprio perche' reca una disciplina pro concorrenziale piu' rigorosa rispetto a quanto richiesto dal diritto comunitario, non e' da questo imposta - e, dunque, non e' costituzionalmente obbligata, ai sensi del primo comma dell'art. 117 Cost., come sostenuto dallo Stato -, ma neppure si pone in contrasto - come sostenuto, all'opposto, dalle ricorrenti - con la citata normativa comunitaria, che, in quanto diretta a favorire l'assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile per gli Stati membri. E' infatti innegabile l'esistenza di un "margine di apprezzamento" del legislatore nazionale rispetto a principi di tutela, minimi ed indefettibili, stabiliti dall'ordinamento comunitario con riguardo ad un valore ritenuto meritevole di specifica protezione, quale la tutela della concorrenza "nel" mercato e "per" il mercato. Ne deriva, in particolare, che al legislatore italiano non e' vietato adottare una disciplina che preveda regole concorrenziali - come sono quelle in tema di gara ad evidenza pubblica per l'affidamento di servizi pubblici - di applicazione piu' ampia rispetto a quella richiesta dal diritto comunitario. L'identita' del "verso" delle discipline interna e comunitaria esclude, pertanto, ogni contrasto od incompatibilita' anche per quanto riguarda la indicata terza differenza. 6.2. - Per quanto attiene alla dedotta violazione della Carta europea dell'autonomia locale di cui alla legge n. 439 del 1989, alcune ricorrenti deducono che le disposizioni censurate si pongono in contrasto con i seguenti articoli della Carta: a) art. 3, comma 1, secondo cui, «per autonomia locale, s'intende il diritto e la capacita' effettiva, per le collettivita' locali, di regolamentare ed amministrare nell'ambito della legge, sotto la loro responsabilita', e a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici»; b) art. 4, comma 2, secondo cui «le collettivita' locali hanno, nell'ambito della legge, ogni piu' ampia facolta' di prendere iniziative proprie per qualsiasi questione che non esuli dalla loro competenza o sia assegnata ad un'altra autorita'»; c) art. 4, comma 4, secondo cui «le competenze affidate alle collettivita' locali devono di regola essere complete ed integrali» e «possono essere messe in causa o limitate da un'altra autorita', centrale o regionale, solamente nell'ambito della legge». La violazione della suddetta convenzione internazionale deriverebbe, secondo la prospettazione delle ricorrenti, dalla lesione dell'autonomia dell'ente pubblico garantita dal parametro evocato. Lesione, questa, che sarebbe determinata dall'introduzione di vincoli e specifici aggravi procedimentali in ordine alla scelta, da parte degli enti pubblici, di assumere essi stessi la gestione diretta del servizio idrico integrato, cioe' di una delle funzioni fondamentali dei Comuni. Il denunciato contrasto con detta Carta non sussiste per le seguenti ragioni. Innanzitutto, va rilevato che − secondo quanto esposto supra al punto 6.1. − gia' l'art. 35 della legge n. 448 del 2001, nel sostituire l'art. 113 TUEL, aveva escluso per i servizi pubblici locali «di rilevanza industriale» (secondo la definizione dell'epoca; poi definiti «di rilevanza economica» per effetto dell'art. 14 del decreto-legge n. 269 del 2003, modificativo, appunto, dell'art. 113 TUEL) ogni gestione diretta, in economia oppure tramite aziende speciali, da parte dell'ente pubblico. Lo stesso art. 35, al comma 8, aveva altresi' imposto alle aziende speciali esistenti di trasformarsi in societa' di capitali entro il 31 dicembre 2002. L'esclusione della gestione diretta non e' dunque innovativamente disposta, ma solo mantenuta, dall'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, con la conseguenza che il denunciato contrasto con la Carta non e' ipotizzabile rispetto alle norme censurate, ma solo, eventualmente, rispetto ai suddetti non censurati artt. 35 della legge n. 448 del 2001 e 14 del decreto-legge n. 269 del 2003. In secondo luogo, va osservato che le ricorrenti prospettano la censura muovendo dal dichiarato presupposto che il servizio idrico costituisca una delle funzioni fondamentali dell'ente pubblico ed assumono che tali funzioni siano specificamente tutelate dalla Carta. Tuttavia, proprio tale presupposto e' privo di fondamento, perche', come questa Corte ha piu' volte affermato, detto servizio non costituisce funzione fondamentale dell'ente locale (sentenze n. 307 del 2009 e n. 272 del 2004). In terzo luogo, va evidenziato che gli evocati articoli della Carta europea dell'autonomia locale non hanno uno specifico contenuto precettivo, ma sono prevalentemente definitori (art. 3, comma 1), programmatici (art. 4, comma 2) e, comunque, generici (art. 4, comma 4). Inoltre, la stessa Carta, al comma 1 dell'evocato art. 4, afferma, con previsione di carattere generale, che «le competenze di base delle collettivita' locali sono stabilite dalla Costituzione o dalla legge», con cio' rinviando alla normativa nazionale la definizione del quadro generale delle competenze. 7. - Il secondo nucleo tematico delle questioni proposte attiene all'individuazione della sfera di competenza in cui, secondo la Costituzione, deve collocarsi la normativa denunciata. In particolare, questa Corte e' chiamata a verificare se tale normativa rientra nell'ambito costituzionale della competenza esclusiva statale e, segnatamente, della tutela della concorrenza; o di quello della competenza regionale residuale e, segnatamente, della materia dei servizi pubblici locali; o, ancora, nell'ambito della potesta' regolamentare degli enti locali di cui all'art. 117, sesto comma, Cost.; o, infine, se si tratti di un'ipotesi di concorso di competenze. In proposito, va ribadito che - come questa Corte ha piu' volte affermato - la disciplina concernente le modalita' dell'affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica: a) non e' riferibile alla competenza legislativa statale in tema di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.), perche' riguarda, appunto, i servizi di rilevanza economica e non attiene, comunque, alla determinazione di livelli essenziali (sentenza n. 272 del 2004); b) non puo' essere ascritta neppure all'ambito delle «funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e Citta' metropolitane» (art. 117, secondo comma, lettera p, Cost.), perche' «la gestione dei predetti servizi non puo' certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale» (sentenza n. 272 del 2004) e, quindi, «non riguarda [...] profili funzionali degli enti locali» (sentenza n. 307 del 2009, al punto 6.1.); c) va ricondotta, invece, all'ambito della materia, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, «tutela della concorrenza», prevista dall'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., tenuto conto degli aspetti strutturali e funzionali suoi propri e della sua diretta incidenza sul mercato (ex plurimis, sentenze n. 314, n. 307, n. 304 e n. 160 del 2009; n. 326 del 2008; n. 401 del 2007; n. 80 e n. 29 del 2006; n. 272 del 2004). Di conseguenza, con riguardo alla concreta disciplina censurata, la competenza statale viene a prevalere sulle invocate competenze legislative regionali e regolamentari degli enti locali e, in particolare, su quella in materia di servizi pubblici locali, proprio perche' l'oggetto e gli scopi che caratterizzano detta disciplina attengono in via primaria alla tutela e alla promozione della concorrenza (sentenze n. 142 del 2010, n. 246 e n. 148 del 2009, n. 411 e n. 322 del 2008). Tali conclusioni risultano avvalorate dalla «nozione comunitaria di concorrenza», che si riflette su quella di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., anche per il tramite del primo comma dello stesso art. 117 e dell'art. 11 Cost.; nozione richiamata anche dall'art. 1, comma 4, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato). Secondo tale nozione, la concorrenza presuppone «la piu' ampia apertura al mercato a tutti gli operatori economici del settore in ossequio ai principi comunitari della libera circolazione delle merci, della liberta' di stabilimento e della libera prestazione dei servizi» (sentenza n. 401 del 2007). Essa pertanto - come affermato in numerose pronunce di questa Corte (sentenze n. 270, n. 232 e n. 45 del 2010; n. 314 del 2009 e n. 148 del 2009; n. 63 del 2008; n. 430 e n. 401 del 2007; n. 272 del 2004) - puo' essere tutelata mediante tipi diversi di interventi regolatori, quali: 1) «misure legislative di tutela in senso proprio, che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle imprese che influiscono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati» (misure antitrust); 2) misure legislative di promozione, «che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l'apertura, eliminando barriere all'entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacita' imprenditoriale e della competizione tra imprese» (per lo piu' dirette a tutelare la concorrenza "nel" mercato); 3) misure legislative che perseguono il fine di assicurare procedure concorsuali di garanzia mediante la strutturazione di tali procedure in modo da realizzare «la piu' ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici» (dirette a tutelare la concorrenza "per" il mercato). Nell'ambito di tali misure e, in particolare, di quelle al punto 3), rientra espressamente la previsione di procedure concorsuali competitive di evidenza pubblica volte - come quelle di specie - a garantire il rispetto, per un verso, dei principi di parita' di trattamento, di non discriminazione, di proporzionalita' e di trasparenza e, per l'altro, delle regole dell'efficacia e dell'efficienza dell'attivita' dei pubblici poteri, al fine di assicurare la piena attuazione degli interessi pubblici in relazione al bene o al servizio oggetto dell'aggiudicazione. Anche tali rilievi, basati sul diritto comunitario, confermano pertanto che la disciplina delle modalita' di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali rientra nella materia «tutela della concorrenza» e che la concreta disciplina in esame prevale su altre competenze (sentenze n. 270 del 2010; n. 307 e n. 283 del 2009; n. 320 e n. 51 del 2008; n.430 e n. 401 del 2007; n. 272 del 2004). Con riferimento, poi, allo specifico settore del servizio idrico integrato, questa Corte - in applicazione dei suddetti principi e scrutinando la disciplina della determinazione della tariffa d'ambito territoriale ottimale − ha stabilito che la normativa riguardante l'individuazione di un'unica Autorita' d'ambito e alla determinazione della tariffa del servizio secondo un meccanismo di price cap (art. 148 del d.lgs. n. 152 del 2006) attiene all'esercizio delle competenze legislative esclusive statali nelle materie della tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.) e dell'ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.), materie che hanno prevalenza su eventuali competenze regionali, che ne risultano cosi' corrispondentemente limitate. Cio' in quanto tale disciplina, finalizzata al superamento della frammentazione della gestione delle risorse idriche, consente la razionalizzazione del mercato ed e' quindi diretta a garantire la concorrenzialita' e l'efficienza del mercato stesso (sentenze n. 142 e n. 29 del 2010; n. 246 del 2009). Nella citata sentenza n. 246 del 2009 e' stato ulteriormente precisato che la forma di gestione del servizio idrico integrato e le procedure di affidamento dello stesso, disciplinate dall'art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, sono da ricondurre alla materia della tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva statale, trattandosi di regole «dirette ad assicurare la concorrenzialita' nella gestione del servizio idrico integrato, disciplinando le modalita' del suo conferimento e i requisiti soggettivi del gestore, al precipuo scopo di garantire la trasparenza, l'efficienza, l'efficacia e l'economicita' della gestione medesima». In conclusione, secondo la giurisprudenza di questa Corte, le regole che concernono l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica − ivi compreso il servizio idrico - ineriscono essenzialmente alla materia «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva statale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. 8. - Il terzo nucleo tematico, posto dalle questioni promosse dalle Regioni in ordine alle censurate discipline sia a regime che transitorie, attiene al principio di ragionevolezza. Al riguardo, le ricorrenti richiamano la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l'esercizio della potesta' normativa esclusiva dello Stato in tema di tutela della concorrenza e' legittimo - in particolare, in caso di concorso con competenze regionali - alla condizione del rispetto, da parte del legislatore statale, del principio di ragionevolezza, sotto il profilo della proporzionalita' e dell'adeguatezza (sentenza n. 272 del 2004, cui possono aggiungersi le sentenze n. 148 del 2009; n. 326 del 2008; n. 452 e n. 401 del 2007; n. 345, n. 272 del 2004). 8.1. − Per quanto riguarda la disciplina a regime, alcune ricorrenti assumono che essa, anche se ascrivibile alla materia «tutela della concorrenza», lede comunque la competenza residuale innominata delle Regioni in materia di servizi pubblici locali. In particolare, le ricorrenti deducono che la normativa censurata, nella parte in cui limita i casi in cui e' consentito l'affidamento diretto in house, non e' ragionevole, proporzionale o adeguata, perche': a) e' normativa autoapplicativa e di dettaglio; b) pone vincoli ulteriori - e percio' ingiustificati - rispetto a quelli previsti dall'ordinamento comunitario per l'affidamento in house. Nessuno di tali rilievi e' condivisibile. 8.1.1. − Quanto al primo rilievo, va qui ribadita la giurisprudenza costituzionale, per la quale l'emanazione, nell'esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, di una norma autoapplicativa e di dettaglio non integra alcuna violazione dei criteri di riparto costituzionale delle competenze legislative. Al riguardo, questa Corte ha ripetutamente affermato (sentenze n. 232 del 2010 e n. 430 del 2007, in materia di tutela della concorrenza; analogamente, sentenza n. 255 del 2010, in materia di sistema tributario dello Stato) che: a) «l'attribuzione delle misure [a tutela della concorrenza] alla competenza legislativa esclusiva dello Stato comporta sia l'inderogabilita' delle disposizioni nelle quali si esprime, sia che queste legittimamente incidono, nei limiti della loro specificita' e dei contenuti normativi che di esse sono proprie, sulla totalita' degli ambiti materiali entro i quali si applicano»; b) una volta ricondotta una norma nell'ambito della «tutela della concorrenza», «non si tratta [...] di valutare se essa sia o meno di estremo dettaglio, utilizzando principi e regole riferibili alla disciplina della competenza legislativa concorrente delle Regioni, ma occorre invece accertare se, alla stregua del succitato scrutinio, la disposizione sia strumentale ad eliminare limiti e barriere all'accesso al mercato ed alla libera esplicazione della capacita' imprenditoriale». Neppure puo' affermarsi - come sostenuto da alcune ricorrenti - che le norme sull'affidamento e le modalita' di gestione dei servizi pubblici locali sono di per se' irragionevoli, perche' intervengono in materia di tutela della concorrenza con discipline di dettaglio e autoapplicative. Infatti questa Corte ha piu' volte rilevato che e' ragionevole che norme in materia di tutela della concorrenza, al fine di meglio tutelare le finalita' pro concorrenziali loro proprie, possano essere dettagliate ed autoapplicative (sentenze n. 148 del 2009; n. 320 del 2008; n. 431 del 2007). 8.1.2. − Quanto al secondo profilo, non puo' accogliersi l'assunto delle ricorrenti, secondo cui l'unica disciplina della concorrenza che possa considerarsi proporzionale e adeguata e' quella che non pone limiti (che non siano quelli evidenziati dalla giurisprudenza comunitaria) all'affidamento in house di servizi pubblici locali di rilevanza economica. Al riguardo, va innanzitutto osservato che non appare irragionevole, anche se non costituzionalmente obbligata, una disciplina, quale quella di specie, intesa a restringere ulteriormente - rispetto al diritto comunitario - i casi di affidamento diretto in house (cioe' i casi in cui l'affidatario costituisce la longa manus di un ente pubblico che lo controlla pienamente e totalmente). Come si e' osservato al punto 6.1., tale normativa si innesta coerentemente in un sistema normativo interno in cui gia' vige il divieto della gestione diretta mediante azienda speciale o in economia (introdotto dai non censurati artt. 35 della legge n. 448 del 2001 e 14 del decreto-legge n. 269 del 2003) e nel quale, pertanto, i casi di affidamento in house, quale modello organizzativo succedaneo della (vietata) gestione diretta da parte dell'ente pubblico, debbono essere eccezionali e tassativamente previsti. In secondo luogo, va rilevato che le norme censurate dalle ricorrenti non possono essere considerate sproporzionate od inadeguate solo perche', attraverso la riduzione delle ipotesi di eccezionale affidamento diretto dei servizi pubblici locali, rafforzano la generale regola pro concorrenziale, prescelta dal legislatore, che impone l'obbligo di procedere all'affidamento solo mediante procedure competitive ad evidenza pubblica. La possibilita', secondo l'ordinamento comunitario, di affidamenti in house anche in casi in cui detti affidamenti sono vietati dalle denunciate disposizioni nazionali non rende queste ultime irragionevoli in relazione agli indicati profili, perche' - come messo in evidenza sempre al punto 6.1. − l'ordinamento comunitario, in tema di tutela della concorrenza e, in particolare, in tema di affidamento della gestione dei servizi pubblici, costituisce solo un minimo inderogabile per il legislatore degli Stati membri e, pertanto, non osta a che la legislazione interna disciplini piu' rigorosamente, nel senso di favorire l'assetto concorrenziale di un mercato, le modalita' di tale affidamento. Pertanto, il legislatore nazionale ha piena liberta' di scelta tra una pluralita' di discipline ugualmente legittime. In terzo luogo, deve essere sottolineato che la normativa censurata non impedisce del tutto all'ente pubblico la gestione di un servizio locale di rilevanza economica, negandogli ogni possibilita' di svolgere la sua «speciale missione» pubblica (come si esprime il diritto comunitario), ma trova, tra i molti possibili, un punto di equilibrio rispetto ai diversi interessi operanti nella materia in esame. In proposito, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la sfera di autonomia privata e la concorrenza non ricevono «dall'ordinamento una protezione assoluta» e possono, quindi, subire limitazioni ed essere sottoposte al coordinamento necessario «a consentire il soddisfacimento contestuale di una pluralita' di interessi costituzionalmente rilevanti» (sentenza n. 279 del 2006; analogamente, ordinanza n. 162 del 2009). La stessa giurisprudenza ha tuttavia evidenziato che «una regolazione strumentale a garantire la tutela anche di interessi diversi rispetto a quelli correlati all'assetto concorrenziale del mercato garantito» ha carattere «derogatorio e per cio' stesso eccezionale» e deve costituire «la sola misura in grado di garantire al giusto la tutela di quegli interessi» (sentenza n. 270 del 2010). Nella specie, intendendo contemperare la regola della massima tutela della concorrenza con le eccezioni derivanti dal perseguimento della speciale missione pubblica da parte dell'ente locale, il legislatore ha in effetti ponderato due diversi interessi: da un lato, quello generale alla tutela della concorrenza; dall'altro, quello specifico degli enti locali a gestire il SPL (tramite l'affidamento in house) nell'ipotesi in cui sia «efficace ed utile» il ricorso al mercato e non solo quando esso non sia possibile. Il bilanciamento tra tali interessi e' stato attuato, in concreto, in modo non irragionevole, per un verso, consentendo alle societa' a capitale (interamente o parzialmente) pubblico, quando non ricorrano le condizioni per l'affidamento diretto, di partecipare alle gare ad evidenza pubblica per l'affidamento della gestione del servizio, al pari di ogni altro imprenditore o societa' (comma 1 dell'art. 23-bis); per altro verso, limitando l'affidamento in house alle ipotesi in cui, pur in presenza di un SPL di rilevanza economica, il ricorso al mercato per la gestione del servizio non e' «efficace e utile» (comma 2 dell'art. 23-bis). Cio' e' confermato dal comma 2 dell'art. 3 del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), il quale stabilisce espressamente che le «societa' a capitale interamente pubblico possono partecipare alle procedure competitive ad evidenza pubblica di cui all'articolo 23-bis, comma 2, lettera a), sempre che non vi siano specifici divieti previsti dalla legge». 8.2. - Tali conclusioni relative alla disciplina a regime influiscono sulla soluzione della questione posta dalle ricorrenti circa l'adeguatezza e la proporzionalita' − dunque, la ragionevolezza − del regime transitorio stabilito dalla normativa denunciata. La relativa censura non puo' essere accolta, oltre che per le considerazioni generali svolte nel punto precedente, anche per i seguenti ulteriori argomenti, concernenti specificamente la disciplina transitoria. Al riguardo, anche a non voler considerare che, in caso di successione di leggi, il legislatore ha ampia discrezionalita' di modulare nel tempo la disciplina introdotta, con l'unico limite della ragionevolezza (ex plurimis, sentenza n. 376 del 2008; ordinanze n. 40 del 2009 e n. 9 del 2006), va comunque rilevato che, nel caso di specie, il margine temporale concesso dalla normativa censurata per la cessazione degli affidamenti diretti esistenti e' congruo e proporzionato all'entita' ed agli effetti delle modifiche normative introdotte e, dunque, ragionevole. A tale conclusione si perviene agevolmente considerando la seguente successione cronologica delle disposizioni di legge oggetto di censura. Con riferimento al servizio idrico integrato, il comma 8 del testo originario dell'art. 23-bis (entrato in vigore il 22 agosto 2008) prevedeva la cessazione alla data del 31 dicembre 2010 delle concessioni per le quali non sussistevano le peculiari caratteristiche di cui al comma 3. Con riferimento ai settori diversi dal servizio idrico integrato, lo stesso comma demandava la fissazione di una disciplina transitoria ai regolamenti di delegificazione da adottare ai sensi della lettera e) del comma 10, ma che non sono stati mai emanati. Il vigente comma 8 dell'art. 23-bis (entrato in vigore il 26 settembre 2009) disciplina ora il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto previsto dai commi 2 e 3 dello stesso articolo, con una cadenza differenziata, a seconda delle varie ipotesi, a partire dal 31 dicembre 2010 e sino al 31 dicembre 2012, termine, quest'ultimo, successivamente modificato, a decorrere dal 25 novembre 2009, in quello del 31 dicembre 2015. Tali ampi margini temporali assicurano una concreta possibilita' di attenuare le conseguenze economiche negative della cessazione anticipata della gestione e, pertanto, escludono la possibilita' di invocare quell'incolpevole affidamento del gestore nella durata naturale del contratto di servizio che, solo, potrebbe determinare una possibile irragionevolezza della norma. 9. - Il quarto tema generale posto dalle questioni promosse, da trattare in via preliminare, attiene all'individuazione della competenza legislativa regionale o statale nella determinazione della rilevanza economica dei SPL. Infatti, una volta accertato che la disciplina delle modalita' di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica rientra nell'ambito della competenza legislativa esclusiva dello Stato, resta ancora da verificare se allo Stato competa, in via esclusiva, anche il potere di indicare le condizioni per le quali debba ritenersi sussistente detta «rilevanza economica» oppure se la decisione di attribuire al servizio locale una siffatta qualificazione sia riservata, dal diritto comunitario o comunque dalla Costituzione, alla Regione od all'ente locale. A tal fine e' necessario, innanzitutto, valutare la portata della nozione di «rilevanza economica» nel sistema della normativa statale sui SPL; successivamente, individuare il fondamento costituzionale di tale nozione e, infine, trarre le conclusioni in ordine alla competenza a determinare la sussistenza dell'indicata «rilevanza». 9.1. - Quanto al primo profilo, va osservato che ne' il censurato art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, in entrambe le sue versioni, ne' l'art. 113 TUEL, nel disciplinare l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali «di rilevanza economica», forniscono una esplicita definizione di tale «rilevanza». Tuttavia, lo stesso art. 23-bis fornisce all'interprete alcuni elementi utili per giungere a tale definizione, precisando che: a) l'articolo ha come fine (tra l'altro) di favorire la piu' ampia diffusione dei principi di concorrenza, di liberta' di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti «gli operatori economici interessati alla gestione di servizi pubblici di interesse generale in ambito locale» (comma 1); b) la presenza di situazioni tali da non permettere - in relazione alle caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento - «un efficace ed utile ricorso al mercato del servizio», non rende il servizio stesso privo di rilevanza economica, ma ne consente solo l'affidamento della gestione con modalita' derogatorie rispetto a quelle ordinarie (comma 3); c) la «rilevanza economica» dei servizi non ha nulla a che vedere con le soglie oltre le quali gli affidamenti dei medesimi servizi «assumono rilevanza» ai fini dell'espressione del parere preventivo che l'AGCM deve rendere in ordine alla scelta dell'ente locale di affidare la gestione di un servizio pubblico «di rilevanza economica» secondo modalita' derogatorie rispetto a quelle ordinarie (commi 4 e 4-bis, nella versione vigente). Dall'evidente omologia posta da tale articolo tra «servizi pubblici locali di rilevanza economica» e «servizi pubblici di interesse generale in ambito locale» si desume, innanzitutto, che la nozione di «servizio pubblico locale di rilevanza economica» rimanda a quella, piu' ampia, di «servizio di interesse economico generale» (SIEG), impiegata nell'ordinamento comunitario e gia' esaminata al punto 6. Del resto, questa Corte, con la sentenza n. 272 del 2004, aveva gia' sottolineato l'omologia esistente anche tra la nozione di «rilevanza economica», utilizzata nell'art. 113-bis TUEL (relativo ai servizi pubblici locali «privi di rilevanza economica» e dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla stessa sentenza), e quella comunitaria di «interesse economico generale», interpretata anche dalla Commissione europea nel Libro verde sui servizi di interesse generale del 21 maggio 2003. In particolare, secondo le indicazioni fornite dalla giurisprudenza comunitaria e dalla Commissione europea, per «interesse economico generale» si intende un interesse che attiene a prestazioni dirette a soddisfare i bisogni di una indifferenziata generalita' di utenti e, al tempo stesso, si riferisce a prestazioni da rendere nell'esercizio di un'attivita' economica, cioe' di una «qualsiasi attivita' che consista nell'offrire beni o servizi su un determinato mercato», anche potenziale (sentenza Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, causa C-35/96, Commissione c. Italia, e Libro verde sui servizi di interesse generale del 21 maggio 2003, § 2.3, punto 44) e, quindi, secondo un metodo economico, finalizzato a raggiungere, entro un determinato lasso di tempo, quantomeno la copertura dei costi. Si tratta dunque di una nozione oggettiva di interesse economico, riferita alla possibilita' di immettere una specifica attivita' nel mercato corrispondente, reale o potenziale. Se si ragiona sulla base di una siffatta ampia nozione comunitaria di interesse economico, e' agevole rilevare che gli indici empirici di tale interesse - come lo scopo lucrativo, l'assunzione dei rischi dell'attivita', l'incidenza del finanziamento pubblico - talvolta impiegati dalla Corte di giustizia UE (sentenza 22 maggio 2003, C-18/2001, Korhonen e.a.) e richiamati anche da questa Corte (sentenza n. 272 del 2004) possono essere utili solo con riferimento ad un servizio gia' esistente sul mercato, per accertare se l'attivita' svolta sia da considerare economica. Cio' pero' non significa che l'economicita' dell'interesse si debba determinare ex post, esclusivamente in base a tali indici, e cioe' a seguito di una scelta discrezionale dell'ente locale competente circa le modalita' di gestione del servizio. Al contrario, nel diverso caso in cui si debba immettere nel mercato un servizio pubblico - e, quindi, si debba accertare se e come applicare le regole concorrenziali e concorsuali comunitarie per l'affidamento della sua gestione - occorre necessariamente prendere in considerazione la possibilita' dell'apertura di un mercato, obiettivamente valutata secondo un giudizio di concreta realizzabilita', a prescindere da ogni soggettiva determinazione dell'ente al riguardo. E' vero che il diritto comunitario lascia qualche spazio in materia alla scelta degli Stati membri, riservando loro, sia pure in via di eccezione, il potere di derogare alle regole del Trattato relative alla concorrenza e agli aiuti di Stato, ove tali regole - salvo errori manifesti da parte degli Stati stessi - siano ritenute ostative al perseguimento della speciale missione e delle finalita' sociali del servizio. Tuttavia, il potere di deroga presuppone la sussistenza dell'interesse economico del servizio stesso, esercitandosi tale potere proprio nell'ambito dei SIEG, e cioe' di servizi che sono, per definizione ed obiettivamente, di «interesse economico» perche' idonei ad influenzare un assetto concorrenziale in atto o in fieri. Analogamente a quanto visto a proposito del diritto comunitario, le disposizioni censurate non fanno esclusivo riferimento ad un servizio locale operante in un mercato gia' esistente, ma riguardano servizi dotati di mera «rilevanza» economica e, quindi, anche servizi ancora da organizzare e da immettere sul mercato. Infatti, esse, in armonia con l'indicata nozione comunitaria di interesse economico, evidenziano le due seguenti fondamentali caratteristiche della nozione di «rilevanza» economica: a) che l'immissione del servizio possa avvenire in un mercato anche solo potenziale, nel senso che, per l'applicazione dell'art. 23-bis, e' condizione sufficiente che il gestore possa immettersi in un mercato ancora non esistente, ma che abbia effettive possibilita' di aprirsi e di accogliere, percio', operatori che agiscano secondo criteri di economicita'; b) che l'esercizio dell'attivita' avvenga con metodo economico, nel senso che essa, considerata nella sua globalita', deve essere svolta in vista quantomeno della copertura, in un determinato periodo di tempo, dei costi mediante i ricavi (di qualsiasi natura questi siano, ivi compresi gli eventuali finanziamenti pubblici). Tale impostazione − consequenziale alla scelta legislativa di promuovere la concorrenza "per" il mercato della gestione dei servizi - emerge nettamente, in particolare, dai commi 3, 4 e 4-bis, dell'art. 23-bis, i quali possono essere interpretati soltanto nel senso che i servizi pubblici locali non cessano di avere «rilevanza economica» per il solo fatto che sia formulabile una prognosi di inefficacia o inutilita' del semplice ricorso al mercato, con riferimento agli obiettivi pubblici perseguiti dall'ente locale. Evidentemente, anche per il legislatore nazionale, come per quello comunitario, la rilevanza economica sussiste pure quando, per superare le particolari difficolta' del contesto territoriale di riferimento e garantire prestazioni di qualita' anche ad una platea di utenti in qualche modo svantaggiati, non sia sufficiente l'automaticita' del mercato, ma sia necessario un pubblico intervento o finanziamento compensativo degli obblighi di servizio pubblico posti a carico del gestore, sempre che sia concretamente possibile creare un «mercato a monte», e cioe' un mercato «in cui le imprese contrattano con le autorita' pubbliche la fornitura di questi servizi» agli utenti (cosi' - si e' visto al punto 6.1. - si esprime la Commissione europea nel citato Libro verde al punto 44). Dall'evidenziata portata oggettiva delle nozioni in esame e dalla indicata sufficienza di un mercato solo potenziale consegue l'erroneita' delle interpretazioni volte a dare alle medesime nozioni un carattere meramente soggettivo e, in particolare, di quell'interpretazione - fatta propria da alcune ricorrenti - secondo cui si avrebbe rilevanza economica solo alla duplice condizione che un mercato del servizio sussista effettivamente e che l'ente locale decida a sua discrezione di finanziare il servizio con gli utili ricavati dall'esercizio di impresa in quel mercato. 9.2. - Quanto al secondo profilo da esaminare, relativo al fondamento costituzionale della legge statale che fissa il contenuto della suddetta nozione oggettiva di «rilevanza economica», va preso atto che detta nozione, al pari di quella omologa di «interesse economico» propria del diritto comunitario, va utilizzata, nell'ambito della disciplina del mercato dei servizi pubblici, quale criterio discretivo per l'applicazione delle norme concorrenziali e concorsuali comunitarie in materia di affidamento della gestione di tali servizi (come, del resto, esplicitamente affermato dal comma 1 dell'art. 23-bis). Ne deriva che, proprio per tale suo ambito di utilizzazione, la determinazione delle condizioni di rilevanza economica e' riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di «tutela della concorrenza», ai sensi del secondo comma, lettera e), dell'art. 117 Cost. Poiche' l'ordinamento comunitario esclude che gli Stati membri, ivi compresi gli enti infrastatuali, possano soggettivamente e a loro discrezione decidere sulla sussistenza dell'interesse economico del servizio, conseguentemente il legislatore statale si e' adeguato a tale principio dell'ordinamento comunitario nel promuovere l'applicazione delle regole concorrenziali e ha escluso che gli enti infrastatuali possano soggettivamente e a loro discrezione decidere sulla sussistenza della rilevanza economica del servizio (rilevanza che, come piu' volte sottolineato, corrisponde per il diritto interno all'interesse economico considerato dal diritto comunitario). 10. - Alla luce dei nuclei tematici evidenziati al punto 2., occorre ora esaminare le singole questioni proposte dalle Regioni ricorrenti. A tale proposito, va preliminarmente rilevato che, quanto ai ricorsi delle Regioni aventi ad oggetto il testo vigente dell'art. 23-bis, l'Avvocatura generale dello Stato ha formulato due eccezioni di inammissibilita'. 10.1. - In primo luogo si eccepisce, in via generale, che «la Regione non puo' lamentare genericamente l'illegittimita' costituzionale di leggi statali, ovvero la contrarieta' delle stesse all'ordinamento comunitario senza indicare specificamente la lesione di una competenza ad essa attribuita». L'eccezione deve essere rigettata per la sua genericita', in quanto lo Stato non specifica a quali delle questioni sollevate dalle Regioni si riferisca. 10.2. - La difesa dello Stato afferma, in secondo luogo, che, «in riferimento alle questioni ex adverso sollevate sulla mancata e/o inesatta applicazione dei principi comunitari in materia di servizi pubblici locali, si ritiene che la doglianza sia mal posta in termini di incostituzionalita'», in quanto, «qualora codesta Corte dovesse ravvisare l'esigenza di assicurare una uniforme interpretazione del diritto comunitario, la questione, ai sensi dell'art. 234 del Trattato CE, dovrebbe essere preventivamente oggetto di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE». L'eccezione deve essere rigettata, perche' nei giudizi principali le Regioni possono sempre porre alla Corte questioni di costituzionalita' nelle quali siano evocate, quali parametri interposti, norme di diritto comunitario. Spettera' semmai alla Corte costituzionale - come precisato nella sentenza n. 102 del 2008 e nell'ordinanza n. 103 del 2008 - effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia nel caso in cui ritenga che l'interpretazione del diritto comunitario non sia chiara. Peraltro, nel caso di specie - come visto al punto 6. - l'interpretazione delle disposizioni comunitarie evocate dalle ricorrenti quali parametri interposti di legittimita' costituzionale e' sufficientemente chiarita, nel senso che esse non ostano alla normativa censurata, dalla consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia UE gia' citata. 11. - Le questioni riconducibili al primo dei sopra indicati nuclei tematici (trattato al punto 6.) - che attiene al rapporto tra le disposizioni censurate e la disciplina dei SPL desumibile dall'ordinamento dell'Unione europea e dalla Carta europea dell'autonomia locale - sono poste dalle Regioni Liguria, Emilia-Romagna, Umbria, Piemonte, Toscana. La Regione Marche propone una questione che involge, allo stesso tempo, sia tale nucleo tematico sia il quarto dei nuclei tematici (analizzato al punto 9.), relativo alla determinazione della rilevanza economica dei SPL. 11.1. - La Regione Piemonte impugna i commi 1, 2 e 3 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo originario (ricorso n. 77 del 2008), e i commi 2, 3 e 4 dello stesso art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009 (ricorso n. 16 del 2010), nonche' il comma 1-ter dello stesso art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., sostenendo che il diritto comunitario non consente che il legislatore nazionale spinga la tutela della concorrenza fino a comprimere il «principio di liberta' degli individui o di autonomia - del pari costituzionale - degli enti territoriali (artt. 5, 117, 118, Cost.) di mantenere la capacita' di operare ogni qualvolta fanno la scelta che ritengono piu' opportuna: cioe' se fruire dei vantaggi economici offerti dal mercato dei produttori oppure se procedere a modellare una propria struttura capace di diversamente configurare l'offerta delle prestazioni di servizio pubblico». La questione e' inammissibile perche' generica Infatti, la ricorrente, limitandosi a richiamare il diritto comunitario nel suo complesso, non specifica le norme comunitarie da utilizzare come parametri interposti. E cio', a prescindere dal fatto che il diritto comunitario consente in ogni caso al legislatore interno di prevedere limitazioni dell'affidamento diretto piu' estese di quelle comunitarie (che consistono solamente nella totale partecipazione pubblica, nel cosiddetto "controllo analogo", nella preponderanza dell'attivita' svolta in favore dell'ente controllante). Come si e' visto al punto 6.1., esso infatti, nel prevedere solo regole "minime" pro concorrenziali, lascia al legislatore nazionale un ampio margine di apprezzamento, con la conseguenza che nelle ipotesi - come quella di specie - in cui quest'ultimo prevede condizioni ulteriori aventi lo stesso "verso" del diritto comunitario, deve escludersi il prospettato contrasto. 11.2. - Le Regioni Toscana ed Emilia-Romagna impugnano diversi commi dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 per violazione del diritto comunitario. 11.2.1. - In particolare, la Regione Toscana censura i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, in riferimento all'art. 117, primo, secondo e quarto comma, Cost., affermando che l'ordinamento comunitario ammette espressamente la possibilita' di fornire i servizi pubblici con un'organizzazione propria, in alternativa all'affidamento ad imprese terze, con la conseguenza che le disposizioni censurate non trovano fondamento ne' nella riserva costituzionale alla legislazione statale esclusiva della materia «tutela della concorrenza» (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), ne' nella disciplina comunitaria. La stessa Regione censura anche il comma 8 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, il quale prevede che gli affidamenti diretti gia' in essere al momento dell'entrata in vigore della nuova normativa cessano in date successive, a partire dal 31 dicembre 2011, a seconda delle diverse tipologie degli affidamenti stessi. Per la ricorrente, tale comma viola l'art. 117, primo, comma Cost., perche', nella parte in cui impone al 31 dicembre 2011 la cessazione di tutte le gestioni in house si pone in contrasto con il diritto comunitario, che invece consente la prosecuzione di tali gestioni. La Regione Emilia- Romagna (ricorso n. 13 del 2010) impugna, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., lo stesso comma 8, lamentando che «nel diritto comunitario il modello organizzativo dell'autoproduzione dei servizi attraverso affidamenti in house e' stato ritenuto in linea con i principi del Trattato, tra cui, come noto, vi e' quello della tutela e promozione della concorrenza». Le questioni sono inammissibili per genericita', in quanto le ricorrenti non specificano le norme comunitarie che sarebbero state violate, e per perplessita', in quanto le stesse ricorrenti affermano che l'ordinamento comunitario consente e non impone agli enti locali di continuare a fornire i servizi pubblici attraverso le gestioni in house gia' in essere. E cio', a prescindere dal fatto che, per le ragioni esposte ai punti 6.1. e 11.1., il diritto comunitario consente in ogni caso al legislatore interno di prevedere limitazioni dell'affidamento diretto piu' estese di quelle comunitarie. 11.2.2. - La Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 13 del 2010) impugna, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., il comma 8 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, anche sotto un diverso profilo. Afferma la ricorrente che il diritto comunitario prevede che la societa' in house sia tenuta a svolgere a favore degli enti di riferimento solo l'attivita' prevalente, ben potendo destinare l'attivita' residua anche al mercato, mentre «la norma in questione trasforma il concetto di "prevalenza" dell'attivita' in "attivita' esclusiva", costringendo il soggetto titolare dell'affidamento diretto (non solo in house provider) a svolgere la propria attivita' esclusivamente nei confronti degli enti affidanti». La questione e' inammissibile per genericita', in quanto la ricorrente non specifica le norme comunitarie che sarebbero state violate. E cio', a prescindere dal fatto che, per le ragioni esposte ai punto 6.1. e 11.1., il diritto comunitario consente in ogni caso al legislatore interno di prevedere limitazioni dell'affidamento diretto piu' estese di quelle comunitarie. 11.3. - Lo stesso comma 8 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, e' impugnato anche dalle Regioni Liguria (ricorso n. 12 del 2010) e Umbria, in riferimento all'art. 117, primo comma Cost., «per contrasto con la Carta europea dell'autonomia locale». La questione e' inammissibile per genericita', in quanto le ricorrenti non specificano quali disposizioni della Carta europea dell'autonomia locale sarebbero state violate. 11.4. - Come sopra accennato, la Regione Marche solleva una questione ascrivibile, nello stesso tempo, a due nuclei tematici: al quarto, perche' assume che rientra nella competenza propria e degli enti locali decidere se il servizio idrico integrato abbia o no rilevanza economica; al primo, perche' afferma che tale riserva di competenza e' garantita dal diritto comunitario e che, pertanto, la normativa denunciata, nel porre limiti all'affidamento del servizio non previsti dalla normativa comunitaria, si pone con questa in contrasto. In particolare, la Regione impugna - per il caso, appunto, in cui il comma 1-ter dell'art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009 non possa interpretarsi nel senso che il servizio idrico integrato e' sottoposto alla disciplina dell'art. 23-bis solo nei casi in cui «gli enti competenti abbiano scelto di organizzarlo in modo da conferirvi rilevanza economica» - i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, e l'art. 15, comma 1-ter, dello stesso decreto-legge n. 135 del 2009, nella parte in cui si riferiscono al servizio idrico integrato. Le disposizioni censurate - gia' sinteticamente riportate al punto 1.1. - prevedono che: 1) «Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria: a) a favore di imprenditori o di societa' in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunita' europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicita', efficacia, imparzialita', trasparenza, adeguata pubblicita', non discriminazione, parita' di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalita'; b) a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento» (comma 2 dell'art. 23-bis); 2) «In deroga alle modalita' di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento puo' avvenire a favore di societa' a capitale interamente pubblico, partecipata dall'ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta "in house"e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla societa' e di prevalenza dell'attivita' svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano» (comma 3 dell'art. 23-bis); 3) «Nei casi di cui al comma 3, l'ente affidante deve dare adeguata pubblicita' alla scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato per l'espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione. Decorso il termine, il parere, se non reso, si intende espresso in senso favorevole» (comma 4 dell'art. 23-bis); 4) «Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui all'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualita' e prezzo del servizio, in conformita' a quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto alla universalita' ed accessibilita' del servizio» (art. 15, comma 1-ter, del decreto-legge n. 135 del 2009). La ricorrente lamenta la violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., per il tramite degli artt. 14 e 106 TFUE, i quali cosi' dispongono: «fatti salvi l'articolo 4 del trattato sull'Unione europea e gli articoli 93, 106 e 107 del presente trattato, in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonche' del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l'Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono affinche' tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti.» (art. 14); «Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell'Unione.» (art. 106). Per la Regione, le disposizioni censurate si pongono in contrasto con gli evocati parametri, perche', conformando il servizio idrico come servizio necessariamente a rilevanza economica e ponendo limitazioni alle condizioni di affidamento della gestione di tale servizio non contemplate dal diritto comunitario, impongono l'applicazione delle regole del mercato interno in via generale per tutto il territorio nazionale e negano, cosi', alle Regioni e agli enti locali quel potere di effettuare caso per caso una valutazione concreta della rilevanza economica del servizio stesso, che, invece, la normativa comunitaria riserva loro. La questione non e' fondata. I parametri evocati non fissano le condizioni di uso dell'espressione, in essi utilizzata, di «interesse economico generale» - espressione che la stessa ricorrente ammette essere un sinonimo di «rilevanza economica» - e non specificano se la sussistenza di tale interesse possa essere discrezionalmente stabilita dagli Stati membri o dagli enti infrastatuali. Tuttavia, come piu' diffusamente esposto ai punti 6.1. e 9., lo spazio interpretativo lasciato aperto dai suddetti articoli del Trattato e' stato colmato dalla giurisprudenza comunitaria e dalla Commissione europea, secondo le quali «l'interesse economico generale», in quanto funzionale ad una disciplina comunitaria diretta a favorire l'assetto concorrenziale dei mercati, e' riferito alla possibilita' di immettere una specifica attivita' nel mercato corrispondente (reale o potenziale) ed ha, pertanto, natura essenzialmente oggettiva. Ne deriva che (secondo quanto meglio osservato al punto 9.2.) l'ordinamento comunitario, in considerazione della rilevata portata oggettiva della nozione di «interesse economico», vieta che gli Stati membri e gli enti infrastatuali possano soggettivamente e a loro discrezione decidere circa la sussistenza di tale interesse. In particolare, la previsione, da parte delle disposizioni censurate, di condizioni per l'affidamento diretto del servizio pubblico locale piu' restrittive di quelle previste dall'ordinamento comunitario non integra alcuna violazione dei principi comunitari della concorrenza, perche' tali principi costituiscono solo un minimo inderogabile per gli Stati membri, i quali hanno la facolta' di dettare una disciplina piu' rigorosamente concorrenziale, come quella di specie, che, restringendo le eccezioni all'applicazione della regola della gara ad evidenza pubblica - posta a tutela della concorrenza -, rende piu' estesa l'applicazione di tale regola. Con riferimento alla fattispecie in esame, il legislatore statale, in coerenza con la menzionata normativa comunitaria e sull'incontestabile presupposto che il servizio idrico integrato si inserisce in uno specifico e peculiare mercato (come riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 246 del 2009), ha correttamente qualificato tale servizio come di rilevanza economica, conseguentemente escludendo ogni potere degli enti infrastatuali di pervenire ad una diversa qualificazione. 11.5. - I commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, sono censurati, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., dalle Regioni Liguria (ricorso n. 12 del 2010) e Umbria, nonche', limitatamente al comma 3, dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 13 del 2010). Le ricorrenti lamentano la violazione dell'evocato parametro, per il tramite della Carta europea dell'autonomia locale e, in particolare, delle seguenti disposizioni: a) l'art. 3, comma 1, secondo cui «per autonomia locale, s'intende il diritto e la capacita' effettiva, per le collettivita' locali, di regolamentare ed amministrare nell'ambito della legge, sotto la loro responsabilita', e a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici»; b) l'art. 4, comma 2, secondo cui «le collettivita' locali hanno, nell'ambito della legge, ogni piu' ampia facolta' di prendere iniziative proprie per qualsiasi questione che non esuli dalla loro competenza o sia assegnata ad un'altra autorita'»; c) l'art. 4, comma 4, secondo cui «le competenze affidate alle collettivita' locali devono di regola essere complete ed integrali». Sostengono le ricorrenti che, una volta che si riconosca che il servizio idrico e' parte delle funzioni fondamentali dei Comuni, «sembra evidente che solo ad essi spetta la decisione sul migliore modo di organizzarlo» e il legislatore non puo' «configurare come eccezionale e soggetta a specifici aggravi procedimentali la scelta di assumere essi stessi la responsabilita' della gestione diretta del servizio». Le questioni non sono fondate. Infatti, come piu' diffusamente osservato al punto 6.2.: a) con riferimento alla gestione diretta, il denunciato contrasto con la Carta non e' ipotizzabile rispetto alle norme censurate, ma solo, eventualmente, rispetto ai non censurati artt. 35 della legge n. 448 del 2001 e 14 del decreto-legge n. 269 del 2003; b) il presupposto da cui muovono le ricorrenti che il servizio idrico costituisca una delle funzioni fondamentali dell'ente pubblico e' privo di fondamento (sentenze n. 307 del 2009 e n. 272 del 2004); c) gli evocati articoli della Carta europea dell'autonomia locale non hanno natura precettiva e sono prevalentemente definitori (art. 3, comma 1), programmatici (art. 4, comma 2) e, comunque, generici (art. 4, comma 4). Inoltre, la stessa Carta, al comma 1 dell'evocato art. 4, afferma, con previsione di carattere generale, che «le competenze di base delle collettivita' locali sono stabilite dalla Costituzione o dalla legge», con cio' rinviando alla normativa nazionale la definizione del quadro generale delle competenze. 12. - Le questioni che attengono al secondo dei sopra indicati nuclei tematici, relativo all'individuazione della sfera di competenza in cui collocare la normativa denunciata e gia' esaminato al punto 7, sono poste dalle Regioni Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Emilia-Romagna e Puglia. Le ricorrenti contestano la riconducibilita' di diverse disposizioni dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 - sia nella formulazione originaria sia in quella vigente - nonche' del decreto-legge n. 135 del 2009 alla competenza legislativa esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza». La normativa denunciata si collocherebbe, per la Regione Marche, nell'ambito della potesta' regolamentare degli enti locali di cui all'art. 117, sesto comma, Cost.; per la Regione Puglia, nell'ambito della competenza regionale concorrente in materia di tutela della salute e alimentazione; nonche', per le altre ricorrenti, nell'ambito della materia dei servizi pubblici locali, di competenza regionale residuale. 12.1. - Occorre innanzitutto esaminare le questioni che, in ragione della loro formulazione, non consentono un esame nel merito. 12.1.1. - Le Regioni Liguria (ricorso n. 12 del 2010) e Umbria impugnano il comma 8 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, in riferimento all'art. 117, secondo comma, Cost., «per erronea interpretazione dei confini dei poteri statali ivi previsti». La questione e' inammissibile per genericita', perche' le ricorrenti non specificano a quali tra le molteplici competenze dello Stato disciplinate dall'art. 117, secondo comma, Cost. si debba far riferimento ai fini dello scrutinio di costituzionalita'. 12.1.2. - Le stesse Regioni Liguria e Umbria impugnano il medesimo comma 8 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009 anche in riferimento all'art. 118, primo e secondo comma, Cost., «per violazione del principio di sussidiarieta' e della titolarita' comunale di funzioni proprie». Anche tale questione e' inammissibile per genericita', perche' le ricorrenti non specificano in cosa consista la dedotta violazione del principio di sussidiarieta', ne' quali siano le funzioni proprie dei Comuni cui fanno riferimento. 12.1.3. - Il comma 8 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, e' censurato anche dalla Regione Emilia-Romagna, in quanto lesivo del «principio di pluralismo paritario istituzionale, in violazione degli artt. 114 e 118 Cost.» e dell'art. 117, quarto comma, Cost., perche' contiene una disciplina cosi' rigida da annullare qualsiasi autonomia esercitabile in materia e lede, percio', il principio di sussidiarieta'. La questione e' inammissibile per genericita', perche' la ricorrente si limita ad affermare che la norma denunciata annulla «qualsiasi autonomia esercitabile in materia», senza indicare quali siano le competenze costituzionali che ritiene lese e senza spiegare le ragioni della prospettata lesione. 12.2. - Le questioni attinenti allo stesso nucleo tematico che, invece, debbono essere scrutinate nel merito vanno distinte tra quelle che riguardano: a) la disciplina in generale del SPL, a regime e transitoria (commi 1, 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis, nel testo originario e in quello vigente, nonche' comma 8 dello stesso articolo, nel testo vigente); b) la determinazione delle soglie minime per l'assoggettamento al parere dell'AGCM (comma 4-bis dell'art. 23-bis, nel testo vigente); c) la determinazione dei bacini di gara (comma 7 dell'art. 23-bis, nel testo originario); d) l'assoggettamento al patto di stabilita' e la gestione associata dei servizi (comma 10, lettere a e b, nel testo originario e vigente dell'art. 23-bis). Tali gruppi di questioni vanno esaminati separatamente. 12.3. - Il primo gruppo di questioni - attinente, come si e' visto, alla competenza a disciplinare in generale i servizi pubblici locali ed avente ad oggetto i commi 1, 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis, nel testo originario e in quello vigente, nonche' il comma 8 dello stesso articolo, nel testo vigente - e' posto dalle Regioni Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Marche ed Emilia-Romagna. 12.3.1. - La Regione Piemonte (ricorso n. 77 del 2008) censura i commi 1, 2 e 3 dell'art. 23-bis, nel testo originario. Le disposizioni censurate, gia' sinteticamente riportate al punto 1.1., prevedono che: a) «Le disposizioni del presente articolo disciplinano l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la piu' ampia diffusione dei principi di concorrenza, di liberta' di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonche' di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalita' ed accessibilita' dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarieta', proporzionalita' e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili» (comma 1); b) «Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di societa' in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunita' europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicita', efficacia, imparzialita', trasparenza, adeguata pubblicita', non discriminazione, parita' di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalita'» (comma 2); c) «In deroga alle modalita' di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento puo' avvenire nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria» (comma 3). La ricorrente sostiene che tali disposizioni violano l'art. 117, quarto comma, Cost., il quale attribuisce alle Regioni la competenza legislativa residuale in materia di pubblici servizi, perche', non permettendo alle Regioni di optare per affidamenti dei servizi in house anche nelle ipotesi diverse da quelle del comma 3, determinano, di fatto, una compressione delle loro attribuzioni costituzionali in materia; compressione non giustificabile sulla base dell'esercizio di competenze legislative esclusive dello Stato, in particolare in materia di tutela della concorrenza. 12.3.2. - La Regione Liguria (ricorso n. 72 del 2008) censura, oltre ai commi 2 e 3 riportati al punto precedente, anche il comma 4 dell'art. 23-bis, nel testo originario, il quale prevede che: «Nei casi di cui al comma 3, l'ente affidante deve dare adeguata pubblicita' alla scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato e alle autorita' di regolazione del settore, ove costituite, per l'espressione di un parere sui profili di competenza da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione». Ad avviso della ricorrente, le disposizioni impugnate violano l'art. 117, quarto comma, Cost., il quale attribuisce alle Regioni la competenza legislativa residuale in materia di pubblici servizi, per motivi analoghi a quelli formulati dalla Regione Piemonte al punto precedente. 12.3.3. - La Regione Piemonte (ricorso n. 77 del 2008) censura i commi 3 e 4 dell'art. 23-bis, nel testo originario, sostenendo che essi violano l'art. 117, quarto e sesto comma, «per avere il legislatore statale invaso la sfera di competenza normativa della Regione Piemonte e degli enti territoriali piemontesi nella definizione dello svolgimento delle funzioni loro attribuite [...] poiche' una parte della norma prevede una disciplina particolare del procedimento di affidamento della gestione a soggetti diversi dagli operatori di mercato, tra cui l'in house providing», disciplina che spetta alla competenza legislativa regionale. 12.3.4. - La Regione Toscana censura i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, in riferimento all'art. 117, secondo e quarto comma, Cost., perche' esprimono una prevalenza della gestione esternalizzata dei servizi pubblici locali, in quanto intervengono nella materia dell'organizzazione della gestione di detti servizi, con una normativa di dettaglio, che non lascia margini all'autonomia del legislatore regionale, pur perseguendo finalita' che esulano da profili strettamente connessi alla tutela della concorrenza. 12.3.5. - Le Regioni Liguria (ricorso n. 12 del 2010) e Umbria impugnano - in riferimento all'art. 117, quarto comma, Cost. - i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, nel testo vigente, sul rilievo che essi limitano la potesta' legislativa regionale di disciplinare il normale svolgimento del servizio pubblico da parte dell'ente, sottoponendo la scelta dell'affidamento in house a vincoli sia sostanziali (le «peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento») che procedurali (l'onere di trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato e alle autorita' di regolazione del settore). Le stesse ricorrenti censurano i medesimi commi in riferimento l'art. 118, primo e secondo comma, Cost., sostenendo che essi, vietando lo svolgimento diretto del servizio idrico, vanificano «la norma che assegna, preferibilmente, le funzioni amministrative ai comuni (il servizio idrico virtualmente rimane di spettanza dei comuni ma in concreto viene assegnato ad altri soggetti; inoltre, la norma impugnata toglie ai comuni una parte essenziale della funzione, cioe' la possibilita' di scegliere la forma di gestione piu' adeguata)» e svuotano il principio di sussidiarieta', perche' si pongono in contrasto con il principio secondo cui «i comuni "sono titolari di funzioni amministrative proprie"». 12.3.6. - La Regione Marche impugna - per il caso in cui la Corte costituzionale non volesse accogliere la ricostruzione del servizio idrico integrato come riconducibile alla potesta' regolamentare degli enti locali ex art. 117, sesto comma, Cost. - i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, e l'art. 15, comma 1-ter, dello stesso decreto-legge n. 135 del 2009, nella parte in cui si riferiscono al servizio idrico integrato, affermando che essi violano l'art. 117, secondo comma, lettera e), e quarto comma, Cost., perche' disciplinano illegittimamente la materia dei servizi pubblici locali, nella quale le Regioni hanno potesta' legislativa residuale. 12.3.7. - La Regione Piemonte (ricorso n. 16 del 2010) impugna i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, in riferimento all'art. 117, quarto comma, Cost., rilevando che essi recano una disciplina che non e' riconducibile alla materia della tutela della concorrenza, ne' ad altre materie di competenza statale, ma alla potesta' legislativa residuale delle Regioni. 12.3.8. - La Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 13 del 2010) censura il comma 3 dell'art. 23-bis citato, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, perche' esso, ammettendo la modalita' di affidamento del servizio direttamente a societa' in house solo in via eccezionale, limita la potesta' legislativa regionale di disciplinare il normale svolgimento del servizio pubblico da parte dell'ente, sottoponendo tale scelta a vincoli sia sostanziali che procedurali e, di conseguenza, viola l'art. 117, quarto comma, Cost. La stessa Regione impugna il medesimo comma in riferimento all'art. 118, primo e secondo comma, Cost., perche', vietando lo svolgimento diretto del servizio idrico, vanifica il principio per cui le funzioni amministrative sono assegnate preferibilmente ai comuni e svuota il principio di sussidiarieta', ponendosi in contrasto con il principio secondo cui «i comuni "sono titolari di funzioni amministrative proprie"». 12.3.9. - La Regione Piemonte (ricorso n. 16 del 2010) censura i commi 3 e 4 dell'art. 23-bis citato, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, sostenendo che essi violano l'art. 117, quarto e sesto comma, Cost., per motivi analoghi a quelli riportati al punto 12.3.3. 12.3.10. - La Regione Toscana impugna il comma 8 dell'art. 23-bis citato, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, in riferimento all'art. 117, primo comma, secondo comma, lettera e), e quarto comma Cost., lamentando che il legislatore statale, con la disciplina in esame, non ha limitato il proprio intervento agli aspetti piu' strettamente connessi alla tutela della concorrenza ed alla regolazione del mercato, ma e' intervenuto, con una norma di dettaglio, sottraendo alle Regioni la libera determinazione se ricorrere o meno al mercato ai fini della gestione del servizio pubblico; determinazione che rientra nell'ambito del buon andamento dell'organizzazione dei servizi pubblici, che spetta alle Regioni ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. 12.3.11. - Le Regioni Liguria (ricorso n. 12 del 2010) e Umbria censurano il comma 8 dell'art. 23-bis citato, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, in riferimento all'art. 117, quarto comma, Cost., affermando che esso limita la potesta' legislativa regionale di disciplinare, anche sotto il profilo temporale, il normale svolgimento del servizio pubblico da parte dell'ente, sottoponendo tale scelta a vincoli sia sostanziali che procedurali e che viola la potesta' legislativa regionale piena in materia di servizi locali e organizzazione degli enti locali». Le stesse Regioni censurano, in subordine, il medesimo comma, per il caso in cui «fosse ritenuta legittima l'imposizione di un regime "ordinario" di affidamento del servizio all'esterno e la limitazione a casi eccezionali di forme di gestione non concorrenziali», in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera e), e quarto comma, Cost., lamentando che esso regola nel dettaglio le quantita', le modalita' e i tempi delle cessioni delle gestioni dei servizi. 12.3.12. - La Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 13 del 2010) censura il comma 8 dell'art. 23-bis citato, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, in riferimento all'art. 117, quarto comma, Cost., sostenendo che esso incide sull'assetto del sistema regionale degli affidamenti, ledendo il ruolo della Regione, anche di tipo legislativo, nel definire la durata degli affidamenti medesimi. 12.3.13. - La Regione Piemonte (ricorso n. 16 del 2010) censura lo stesso comma 8 dell'art. 23-bis citato, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, in relazione agli artt. 5, 114, 117, secondo e sesto comma, 118, Cost., «anche con riferimento all'art. 3, Cost.», perche', «cancella d'un tratto la legittimita' [...] di tutte le gestioni di servizio pubblico in capo a societa' mista ove la gara per la scelta del socio privato - pure avvenuta con procedura conforme all'ordinamento europeo ed italiano - abbia avuto ad oggetto unicamente la partecipazione finanziaria», con conseguente lesione della competenza degli enti territoriali «sull'organizzazione degli stessi anche con riferimento ad enti strumentali controllati da tali enti territoriali o a partecipazioni di minoranza». 12.3.14. - Le questioni indicate ai punti da 12.3.1. a 12.3.13. non sono fondate, per le ragioni ampiamente esposte al punto 7. Si e' visto, infatti, che la disciplina delle modalita' di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali prevista dalle disposizioni censurate afferisce alla materia «tutela della concorrenza», di competenza legislativa esclusiva dello Stato. 12.3.15. - La Regione Puglia censura, in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost., i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, perche': a) «limitano la potesta' legislativa regionale di disciplinare il normale svolgimento del servizio pubblico da parte dell'ente e di gestire in proprio i servizi pubblici», attraverso vincoli sostanziali e procedurali, impedendo una previa valutazione comparativa da parte dell'amministrazione fra tutte le possibili opzioni di scelta della forma di gestione, «cioe' se fruire dei vantaggi economici offerti dal mercato dei produttori oppure se procedere a modellare una propria struttura capace di diversamente configurare l'offerta delle prestazioni di servizio pubblico»; b) non si limitano a stabilire principi fondamentali della materia, ma dettano «una disciplina articolata e specifica, invasiva delle competenze regionali anche in materia di regolazione del servizio idrico integrato», che sono ascrivibili all'evocato parametro «nella misura in cui quel servizio sia funzionalizzato e utilizzato a fini di alimentazione e di tutela della salute». La stessa ricorrente censura altresi', in riferimento allo stesso parametro, il comma 8 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, perche', stabilendo che cessano al 31 dicembre 2010 gli affidamenti rilasciati con procedure diverse dall'evidenza pubblica salvo quelli conformi ai vincoli ulteriori di istruttoria e motivazione previsti dalla nuova disciplina, «parrebbe determinare per l'effetto la cessazione di tutti gli affidamenti attribuiti secondo la disciplina previgente (d.lgs. n. 267 del 2000, art. 113, comma 5, lettera c), ponendo nell'incertezza l'attuazione dei piani gestionali e di investimento, nonche' i relativi piani tariffari, travolgendo rapporti giuridici perfezionati ed in via di esecuzione che le parti vogliono vedere procedere secondo la loro scadenza naturale». Le questioni non sono fondate, per erronea interpretazione del parametro. Infatti, la Regione muove dall'assunto che la materia dei servizi pubblici locali sia riconducibile alla competenza legislativa concorrente di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. Tale parametro e' del tutto inconferente con la fattispecie in esame, perche' esso non costituisce il fondamento dell'invocata competenza legislativa regionale in materia di servizi pubblici. 12.3.16. - La Regione Piemonte censura i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis, sia nel testo originario (ricorso n. 77 del 2008) che nel testo vigente (ricorso n. 16 del 2010), in relazione ai parametri «dell'art. 117, commi primo, secondo, terzo, quarto, Cost. con riferimento agli articoli 114, 117, sesto comma, e 118, commi primo e secondo, Cost.», perche' ledono «l'autonomia costituzionale propria dell'intero sistema degli enti locali», limitando la «capacita' d'organizzazione e di autonoma definizione normativa dello svolgimento delle funzioni di affidamento dei servizi pubblici locali», in quanto la legislazione statale puo' legittimamente imporre una determinata forma di gestione di un servizio pubblico solo previa avocazione allo Stato della competenza sull'organizzazione della gestione dei servizi «sinora considerati locali (es. idrico integrato, raccolta dei rifiuti solidi urbani) sul presupposto che l'esercizio unitario di tali servizi sia divenuto ottimale solo a livello d'ambito statale (art. 118, primo comma, Cost.)». La questione non e' fondata. Essa si basa sull'assunto della ricorrente secondo cui il legislatore statale puo' legittimamente disciplinare le forme di gestione di un servizio pubblico locale solo previa avocazione allo Stato della competenza amministrativa sull'organizzazione della gestione del servizio stesso. Tale assunto non puo' essere condiviso, perche' la competenza legislativa esclusiva statale nella materia «tutela della concorrenza» comprende anche la disciplina amministrativa relativa all'organizzazione delle modalita' di gestione dei servizi pubblici locali, a prescindere dall'avocazione allo Stato di competenze amministrative degli altri livelli territoriali di governo. 12.4. - Il secondo gruppo di questioni da esaminare nel merito - attinenti sempre al nucleo tematico relativo all' individuazione della competenza legislativa a disciplinare i servizi pubblici locali - concerne la determinazione delle soglie minime per l'assoggettamento al parere dell'AGCM (comma 4-bis dell'art. 23-bis, nel testo vigente). Detto gruppo si identifica nella questione promossa dalla Regione Emilia Romagna con il ricorso n. 13 del 2010. La ricorrente impugna il comma 4-bis dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, il quale stabilisce che «I regolamenti di cui al comma 10 definiscono le soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell'espressione del parere di cui al comma 4». La Regione deduce che tale disposizione - affidando ad un regolamento governativo il compito di individuare le soglie oltre le quali e' richiesto il parere dell'AGCM per le gestioni in house - viola l'art. 117, sesto comma, Cost., perche' le determinazioni relative a tali soglie non possono che essere assunte in sede regionale, entro limiti fissati direttamente dalla legge statale. Infatti, sempre per la ricorrente, con la fissazione delle suddette soglie, si determina un livello di efficienza del servizio che puo' essere concretamente e correttamente apprezzato solo a livello regionale e che e' illegittimo demandare alla fonte regolamentare, in mancanza di una competenza legislativa esclusiva statale. La questione non e' fondata, perche' le soglie cui fa riferimento la norma censurata attengono alle modalita' di affidamento dei servizi pubblici locali, le quali afferiscono - come visto al punto 7 - alla materia «tutela della concorrenza», di competenza legislativa esclusiva dello Stato e non alla materia dei pubblici servizi. Ne deriva che lo Stato e' titolare anche della competenza regolamentare, in base al disposto dell'evocato art. 117, sesto comma, Cost. 12.5. - Il terzo gruppo di questioni da esaminare nel merito e riguardanti il nucleo tematico attinente all'individuazione della competenza legislativa a disciplinare i servizi pubblici locali concerne la determinazione dei bacini di gara (comma 7 dell'art. 23-bis, nel testo originario). Le Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 69 del 2008) e Liguria (ricorso n. 72 del 2008) impugnano il comma 7 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nella formulazione originaria, per violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost. La disposizione censurata prevede che «Le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze e d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, possono definire, nel rispetto delle normative settoriali, i bacini di gara per i diversi servizi, in maniera da consentire lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo e favorire una maggiore efficienza ed efficacia nell'espletamento dei servizi, nonche' l'integrazione di servizi a domanda debole nel quadro di servizi piu' redditizi, garantendo il raggiungimento della dimensione minima efficiente a livello di impianto per piu' soggetti gestori e la copertura degli obblighi di servizio universale». Le ricorrenti sostengono che la disciplina della dimensione di esercizio dei servizi pubblici rientra nella potesta' legislativa «della regione e il condizionare l'esercizio di tale potesta' e delle scelte amministrative che essa esprime ad opera dello Stato viola sia la potesta' legislativa in se' considerata [...], sia il principio di sussidiarieta', non potendosi vedere alcuna ragione di centralizzazione di tali scelte». Le questioni non sono fondate. La norma censurata disciplina la dimensione di esercizio dei servizi pubblici, attribuendo alle Regioni e agli enti locali la competenza ad individuare i bacini di gara per i diversi servizi nel rispetto della legge statale. Come gia' affermato da questa Corte con la sentenza n. 246 del 2009, con specifico riferimento al servizio idrico integrato, la disciplina dei bacini di gestione del servizio pubblico (e, pertanto, anche dei bacini di gara) rientra nella potesta' legislativa statale, perche' diretta a tutelare la concorrenza, attraverso il superamento della frammentazione delle gestioni. Non trovano percio' applicazione, nella specie, ne' l'art. 117, quarto comma, Cost., ne' l'art. 118 Cost. 12.6. - Il quarto gruppo di questioni da esaminare nel merito - attinenti sempre al tema dell'individuazione della competenza legislativa in ordine ai servizi pubblici locali - riguarda l'assoggettamento al patto di stabilita' e la gestione associata dei servizi (comma 10, lettere a) e b), nel testo originario e in quello vigente dell'art. 23-bis). Le Regioni Emilia-Romagna (ricorsi n. 69 del 2008 e n. 13 del 2010), Liguria (ricorso n. 72 del 2008) e Piemonte (ricorso n. 77 del 2008) impugnano il comma 10 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 - il cui alinea prevede che «il Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni ed entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, nonche' le competenti Commissioni parlamentari, adotta uno o piu' regolamenti di delegificazione, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400» - e formulano censure specifiche in relazione alle lettere a) e b) di detto comma. Per quanto qui rileva, tali lettere stabiliscono - sia nella versione originaria, sia in quella, sostanzialmente coincidente, modificata dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009 - , che i suddetti regolamenti statali prevedano: l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilita' interno e l'osservanza, da parte delle societa' in house e delle societa' a partecipazione mista pubblica e privata, di «procedure ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni e servizi e l'assunzione di personale» (lettera a); la possibilita' per i Comuni con un limitato numero di residenti, di «svolgere le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata» (lettera b). Quanto alla formulazione originaria della norma, le ricorrenti evocano quale parametro di costituzionalita' l'art. 117, sesto comma, Cost., secondo cui la potesta' regolamentare spetta allo Stato nelle sole materie di potesta' legislativa esclusiva statale, salva delega alle Regioni. La sola Regione Piemonte evoca anche l'art. 117, secondo e quarto comma, Cost., nonche' «il principio di ragionevolezza e leale collaborazione» (artt. 3 e 120 Cost.). Quanto alla formulazione vigente della norma, la Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 13 del 2010) evoca quale parametro l'art. 117, secondo e quarto comma, Cost. Tutte le disposizioni oggetto di censura violerebbero gli evocati parametri: in via principale, perche' lo Stato, non avendo potesta' legislativa in materia, non ha neanche potesta' regolamentare ne' in relazione alla lettera a), ne' in relazione alla lettera b) dell'art. 10; in via subordinata, perche' il solo modo di contemperare le competenze rispettive dello Stato e delle Regioni consisterebbe nel sottoporre il regolamento all'intesa della Conferenza Stato-Regioni o della Conferenza unificata, in luogo del semplice parere previsto dalle disposizioni impugnate, tenuto conto dell'inestricabile intreccio esistente al riguardo tra le materie oggetto di potesta' concorrente (come il coordinamento della finanza pubblica, fondamento della lettera a) o esclusiva delle Regioni (come nel caso della gestione associata dei servizi locali, oggetto della lettera b), e la competenza dello Stato. In riferimento alla prima parte della lettera a) - in cui si prevede che la potesta' regolamentare dello Stato prescriva l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilita' interno - la questione e' fondata. Infatti, l'ambito di applicazione del patto di stabilita' interno attiene alla materia del coordinamento della finanza pubblica (sentenze n. 284 e n. 237 del 2009; n. 267 del 2006), di competenza legislativa concorrente, e non a materie di competenza legislativa esclusiva statale, per le quali soltanto l'art. 117, sesto comma, Cost. attribuisce allo Stato la potesta' regolamentare. In riferimento alla seconda parte della lettera a) - che stabilisce che la potesta' regolamentare dello Stato prescriva alle societa' in house e alle societa' a partecipazione mista pubblica e privata di osservare «procedure ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni e servizi e l'assunzione di personale» - la questione non e' fondata. Tale disposizione, infatti, attiene, in primo luogo, alla materia della tutela della concorrenza, perche' e' finalizzata ad evitare che, nel caso di affidamenti diretti, si possano determinare distorsioni dell'assetto concorrenziale del mercato nella fase, successiva all'affidamento del servizio, dell'acquisizione degli strumenti necessari alla concreta gestione del servizio stesso. In secondo luogo, essa attiene anche alla materia dell'ordinamento civile, anch'essa di competenza esclusiva dello Stato, in quanto impone alla particolare categoria di societa' cui e' affidata in via diretta la gestione di servizi pubblici locali una specifica modalita' di conclusione dei contratti per l'acquisto di beni e servizi e per l'assunzione di personale (sulla riconduzione delle modalita' di conclusione dei contratti alla materia dell'ordinamento civile, ex plurimis, sentenza n. 295 del 2009). Ne consegue che la previsione del semplice parere della «Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni», anziche' dell'intesa, non lede alcuna competenza regionale. In riferimento alla lettera b) - che attribuisce allo Stato la potesta' di prevedere con regolamento che «i comuni con un limitato numero di residenti possano svolgere le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata» -, la questione e', del pari, non fondata. Infatti, l'ambito nel quale il regolamento statale interviene attiene alla materia «tutela della concorrenza», avendo per oggetto la determinazione della dimensione ottimale della gestione del servizio (sentenza n. 246 del 2009, punti 12.2. e 12.5. del Considerato in diritto). Ne consegue, anche in tal caso, che la previsione del semplice parere della «Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni», anziche' dell'intesa, non lede alcuna competenza regionale. 13. - Al terzo dei sopra indicati nuclei tematici (analizzato al punto 8.), relativo al principio di ragionevolezza, sotto il profilo della proporzionalita' ed adeguatezza, attengono alcune delle questioni proposte dalle Regioni Piemonte, Liguria, Umbria, Toscana ed Emilia-Romagna. 13.1. - Occorre innanzitutto esaminare le questioni proposte dalle Regioni Piemonte ed Emilia-Romagna che, in ragione della loro formulazione, non consentono un esame nel merito. 13.1.1. - La Regione Piemonte (con il ricorso n. 77 del 2008) censura il testo originario del comma 8 dell'art. 23-bis in riferimento agli artt. 5, 114, 117, sesto comma, e 118 Cost., sul rilievo che detto comma determina la cessazione «di tutti gli affidamenti attribuiti secondo la disciplina previgente (d.lgs. n. 267 del 2000, cit., art. 113, comma 5, lettera c), ponendo in forse l'attuazione dei piani gestionali e di investimento, nonche' i relativi piani tariffari, travolgendo rapporti giuridici perfezionati ed in via di esecuzione che le parti vogliono vedere procedere secondo la loro scadenza naturale, al pari delle concessioni rilasciate ad imprese terze secondo le procedure ad evidenza pubblica». La questione e' inammissibile, per difetto di motivazione, in quanto la ricorrente non spiega perche' gli evocati parametri siano violati. E cio', a prescindere dalla considerazione svolta al punto 8.2., secondo cui il legislatore statale puo' legittimamente stabilire, come nel caso in esame, una disciplina transitoria allo scopo di modulare nel tempo gli effetti del divieto di utilizzazione in via ordinaria dello strumento della gestione in house. 13.1.2. - La Regione Piemonte (con il ricorso n. 16 del 2010) impugna il testo del comma 8 dell'art. 23-bis, come modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, in riferimento agli artt. 3, 5, 42, 114, 117, sesto comma, e 118, Cost., perche' stabilisce «una generalizzata cessazione anticipata al 31 dicembre 2011 disposta ex lege per tutti gli affidamenti in house providing, anche di quelli effettuati dagli enti territoriali in conformita' all'ordinamento comunitario e italiano, con grave svalutazione dei valori di mercato dei corrispettivi di cessione delle partecipazioni a causa della simultanea attuazione su tutto il territorio nazionale dell'alienazione del 40% di un numero rilevante di societa' in mano agli enti locali». La questione e' inammissibile, perche' si risolve in una valutazione critica in termini di convenienza economica in ordine ai tempi di attuazione della riforma degli affidamenti; valutazione che rimane riservata alla discrezionalita' del legislatore. 13.1.3. - La Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 13 del 2010) impugna il comma 9 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009 - il quale pone, attraverso un'articolata previsione, limiti alla possibilita' per i gestori di SPL di gestire servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi o di svolgere servizi od attivita' per altri enti pubblici o privati - in riferimento all'art. 117, quarto comma, Cost., perche' reca interventi irragionevoli e non proporzionali agli scopi di tutela della concorrenza prefissati. La questione e' inammissibile per genericita', perche' la ricorrente non chiarisce le ragioni per cui la disciplina contenuta nella disposizione censurata sarebbe irragionevole e non proporzionale alla tutela della concorrenza. 13.2. - Le questioni attinenti allo stesso terzo nucleo tematico (concernente la ragionevolezza della disciplina censurata) che devono essere scrutinate nel merito sono state proposte dalle Regioni Piemonte, Liguria, Umbria e Toscana. 13.2.1. - La Regione Piemonte censura i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis sia nel testo originario (ricorso n. 77 del 2008) che nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009 (ricorso n. 10 del 2010), nonche' il comma 1-ter dell'art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009, in relazione all'art. 117, secondo comma, «con riferimento all'art. 3 Cost.», perche' la disciplina contenuta nelle disposizioni censurate, anche ove fosse ritenuta di tutela della concorrenza, difetterebbe di proporzionalita' e adeguatezza. Le Regioni Liguria e Umbria censurano - per il caso in cui «fosse ritenuta legittima l'imposizione di un regime "ordinario" di affidamento del servizio all'esterno e la limitazione a casi eccezionali di forme di gestione non concorrenziali» - i commi 2, lettera b), e 3 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, nella parte in cui regolano in dettaglio l'affidamento del servizio a societa' miste e le forme di affidamento non competitive, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), e quarto comma, Cost., lamentando che dette disposizioni contrastano con il criterio di proporzionalita' che deve guidare la tutela della concorrenza, invadendo il campo riservato alla potesta' legislativa regionale in materia di servizi pubblici, in quanto pongono ulteriori vincoli alla potesta' legislativa regionale, senza che essi risultino funzionali ad una maggiore promozione della concorrenza, della quale potrebbero persino risultare limitativi. Le ricorrenti lamentano che le norme denunciate violano il principio di ragionevolezza sotto il profilo della proporzionalita' e adeguatezza nella materia della tutela della concorrenza attraverso l'apposizione di limiti all'utilizzabilita' della gestione in house, rappresentati dalle peculiari circostanze richieste dal comma 3 per consentire il ricorso all'in house providing; con cio' intendendo chiedere che sia garantita agli enti territoriali la possibilita' di scegliere discrezionalmente se fare ricorso a tale forma di gestione, indipendentemente dalla sussistenza di eccezionali situazioni che non permettono un efficace e utile ricorso al mercato. Le questioni non sono fondate. Come gia' ampiamente evidenziato al punto 8., le norme censurate devono, invece, essere considerate proporzionate e adeguate, perche': a) esse si innestano coerentemente in un sistema normativo interno in cui gia' vige il divieto della gestione diretta mediante azienda speciale o in economia, nel quale, pertanto, i casi di affidamento in house debbono essere eccezionali e tassativamente previsti; b) l'ordinamento comunitario, in tema di affidamento della gestione dei servizi pubblici, costituisce solo un minimo inderogabile per i legislatori degli Stati membri e, pertanto, non osta a che la legislazione interna disciplini piu' rigorosamente, nel senso di favorire l'assetto concorrenziale di un mercato, le modalita' di tale affidamento; c) quando non ricorrano le condizioni per l'affidamento diretto, l'ente pubblico ha comunque la facolta' di partecipare alle gare ad evidenza pubblica per l'affidamento della gestione del servizio. 13.2.2. - La Regione Piemonte censura i commi 3 e 4 dell'art. 23-bis, sia nel testo originario (ricorso n. 77 del 2008) che nel testo vigente (ricorso n. 16 del 2010), in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo del principio di ragionevolezza, perche' essi contengono «norme di dettaglio cosi' puntuali che non sarebbero neppure compatibili con una competenza esclusiva dello Stato [...] e in violazione del principio di ragionevolezza (ex art. 3, secondo comma, Cost.) poiche' della legge impugnata non si comprendono le ragioni di una disciplina differenziata per l'ambito locale dei pubblici servizi rispetto a quella generalmente prevista per l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato ed in genere per le autorita' di regolazione». La questione non e' fondata. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la previsione di norme di dettaglio - come visto al punto 8.1.1. - non viola di per se' il principio di ragionevolezza; e cio' a prescindere dal fatto che nelle materie di competenza esclusiva statale, come la tutela della concorrenza, non rileva la distinzione tra norme di dettaglio e norme di principio. Deve aggiungersi, inoltre, che il tertium comparationis della disciplina «generalmente prevista per l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato ed in genere per le autorita' di regolazione» e' inconferente con la fattispecie in esame, perche' non si riferisce all'ambito della disciplina dei pubblici servizi, ma a quello, del tutto diverso, del funzionamento dell'AGCM e delle autorita' di regolazione. Tutto cio' a prescindere dalla soluzione del problema se l'AGCM abbia o no natura di autorita' di regolazione. 13.2.3. - La Regione Toscana impugna il comma 8 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, in riferimento all'art. 117, primo comma, secondo comma, lettera e), e quarto comma Cost., perche', nel dettare la disciplina transitoria e, in particolare, nel fissare i termini entro cui cessano gli affidamenti in essere, non rispetta i principi di adeguatezza e di proporzionalita' cui deve attenersi il legislatore statale nella legislazione avente finalita' pro concorrenziali. La ricorrente lamenta, in sostanza, che le norme denunciate violano il principio di ragionevolezza sotto il profilo della proporzionalita' e adeguatezza nella materia «tutela della concorrenza», attraverso l'apposizione di limiti temporali agli affidamenti diretti gia' in essere. La questione non e' fondata. Come piu' analiticamente evidenziato al punto 8.2., tali limiti temporali per la cessazione delle gestioni dirette in essere devono ritenersi congrui e ragionevoli, perche' sono sufficientemente ampi da consentire di attenuare le conseguenze economiche negative della cessazione anticipata della gestione e, pertanto, escludono che il gestore possa invocare quell'incolpevole affidamento nella durata naturale del contratto di servizio che, solo, potrebbe determinare l'irragionevolezza della norma; e cio' a prescindere dall'ampia discrezionalita' di cui gode il legislatore in materia di disciplina transitoria. 13.2.4. - La Regione Piemonte (ricorso n. 77 del 2008) censura il comma 8 dell'art. 23-bis nella formulazione originaria - la quale prevede che, in generale «le concessioni relative al servizio idrico integrato rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010» - in relazione agli artt. 41, 114 e 117, secondo comma, Cost. e «con riferimento all'art. 3, Cost.», perche' si pone in contrasto con «il principio di ragionevolezza e di concorrenza comunitaria» che la stessa disposizione proclama di voler affermare ed addirittura di voler superare, in quanto essa «si configura come ennesima [...] norma di sanatoria degli affidamenti al mercato dei produttori seppur disposti ancora una volta in difetto di evidenza pubblica, con proroga di cui le imprese terze si possono giovare ex lege sino alla data indicata dal 31 dicembre 2010». La ricorrente censura altresi' lo stesso comma nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, il quale prevede che gli affidamenti diretti gia' in essere cessano in date successive, a partire dal 31 dicembre 2011, a seconda delle diverse tipologie degli affidamenti stessi, per violazione degli artt. 3, 5, 42, 114, 117, sesto comma, e 118, Cost., rilevando che esso irragionevolmente realizza una sanatoria ex lege di affidamenti "illegittimi" «lesivi della concorrenza che la stessa legge qui impugnata proclama di voler riaffermare». La ricorrente lamenta, in sostanza, che la norma impugnata - in entrambe le sue formulazioni - opera una «sanatoria», in deroga al sistema creato dallo stesso legislatore, che vieta in via ordinaria il ricorso all'in house providing, ammettendolo solo in casi particolari. Le questioni non sono fondate. Deve qui rilevarsi che la proroga della durata delle «concessioni relative al servizio idrico integrato rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica», di cui al censurato comma 8, va intesa come riferita non agli affidamenti in house non rispettosi della normativa comunitaria - come erroneamente ritiene la ricorrente -, ma solo a quelli che, benche' in origine rispettosi della normativa comunitaria e nazionale, risultano privi dei requisiti oggi richiesti dal censurato art. 23-bis. Ne consegue che tale previsione e' ragionevole - e dunque legittima -, perche' non opera alcuna sanatoria, ma si limita a stabilire una disciplina transitoria per modulare nel tempo gli effetti del divieto di utilizzazione in via ordinaria dello strumento della gestione in house. 13.2.5. - La Regione Piemonte (con il ricorso n. 16 del 2010) censura il comma 8 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, in riferimento agli artt. 3, 5, 42, 114, 117, sesto comma, e 118, Cost., perche' tratta in modo uguale fattispecie significativamente diverse e non scagliona nel tempo il ricorso al mercato. La questione non e' fondata, perche' - contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente - la disposizione censurata diversifica adeguatamente, come rilevato in modo specifico al punto 8.2., la cessazione degli affidamenti diretti in atto, sia in relazione alle diverse categorie di affidatari sia in relazione al tempo. 14. - Al quarto dei nuclei tematici sopra evidenziati (analizzato al punto 9.), relativo all'individuazione della competenza legislativa regionale o statale nella determinazione della rilevanza economica dei SPL, attiene, oltre alla questione proposta dalla Regione Marche gia' trattata al punto 11.4. e dichiarata non fondata, una diversa questione, proposta dalla stessa Regione - per il caso in cui il comma 1-ter dell'art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009 non possa interpretarsi nel senso che il servizio idrico integrato e' sottoposto alla disciplina dell'art. 23-bis solo nei casi in cui «gli enti competenti abbiano scelto di organizzarlo in modo da conferirvi rilevanza economica» - ed avente ad oggetto i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 e l'art. 15, comma 1-ter, dello stesso decreto-legge n. 135 del 2009, nella parte in cui si riferiscono al servizio idrico integrato. Ad avviso della ricorrente, dette disposizioni violano l'art. 117, sesto comma, Cost., il quale attribuisce agli enti locali territoriali la potesta' regolamentare «in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite», perche' la legge statale non puo' imporre, in via generale e astratta, ed in modo del tutto inderogabile, la configurazione del servizio idrico integrato quale «servizio pubblico locale avente rilevanza economica», spettando tale qualificazione alla potesta' regolamentare degli enti locali. La questione non e' fondata. Infatti, l'art. 117, sesto comma, Cost. non pone una riserva di regolamento degli enti locali per la qualificazione come economica dell'attivita' dei servizi pubblici, perche' tale qualificazione attiene - come visto al punto 9. - alla materia «tutela della concorrenza», di competenza legislativa esclusiva dello Stato, al quale pertanto spetta la potesta' regolamentare nella stessa materia, ai sensi del primo periodo del sesto comma dell'art. 117 Cost. 15. - Il quinto dei nuclei tematici menzionati si riferisce - come visto al punto 2. - alla dedotta violazione degli artt. 3 e 97 Cost., sotto il profilo dell'obbligo di motivazione degli atti amministrativi. In particolare, la Regione Piemonte impugna i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis, sia nel testo originario (ricorso n. 77 del 2008) che nel testo vigente (ricorso n. 16 del 2010), sul rilievo che essi violano gli evocati parametri, perche': a) la disciplina dell'affidamento del servizio pubblico locale nella forma organizzativa dell'in house providing contenuta nelle disposizioni censurate risulta lesiva della «competenza delle regioni e degli enti locali ove la s'intenda come disciplina ulteriore rispetto a quella generale sul procedimento amministrativo che da tempo prevede il dovere di motivazione degli atti amministrativi (art. 3, legge 7 agosto 1990, n. 241), secondo molti posto in attuazione del principio costituzionale di motivazione delle scelte della amministrazioni pubbliche quanto meno nella cura di pubblici interessi»; b) «non e' ravvisabile nel caso in esame alcun interesse pubblico prevalente capace di fondare sia l'esenzione dal generale dovere di motivazione per l'affidamento ad imprese terze (art. 23-bis, secondo comma), sia viceversa la limitazione dei casi sui quali puo' essere portata la motivazione a fondamento di altre soluzioni organizzative». La ricorrente lamenta, in sostanza, che le norme impugnate stabiliscono per l'ente affidante l'obbligo di motivare, in base ad un'analisi di mercato, solo la scelta di procedere all'affidamento in house del servizio pubblico (art. 23-bis, comma 3) e non quella di procedere all'affidamento mediante procedure competitive ad evidenza pubblica (art. 23-bis, comma 2); obbligo che sarebbe in contrasto con gli evocati parametri, perche' ulteriore rispetto al generale obbligo di motivazione degli atti amministrativi. La questione e' inammissibile. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, le Regioni sono legittimate a censurare le leggi dello Stato, mediante impugnazione in via principale, esclusivamente per questioni attinenti alla lesione del sistema di riparto delle competenze legislative, ammettendosi la deducibilita' di altri parametri costituzionali soltanto ove la loro violazione comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite (ex plurimis, sentenze n. 156 e n. 52 del 2010; n. 289 e n. 216 del 2008). Ne deriva - in relazione al caso di specie - l'inammissibilita' della questione proposta, perche' la prospettata violazione dell'obbligo di motivazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost. non comporta una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, ne' ridonda sul riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni. E cio', a prescindere dalla considerazione che i parametri evocati non vietano che il legislatore stabilisca specifici obblighi di motivazione per le sole deroghe fondate sulle peculiari situazioni di fatto di cui al comma 3 e non per le situazioni ordinarie di cui al comma 2. 16. - Il sesto dei nuclei tematici evidenziati al punto 2. riguarda l'asserita irragionevole diversita' di disciplina fra il servizio idrico integrato e gli altri servizi pubblici locali. La Regione Piemonte (ricorso n. 77 del 2008) censura - sempre in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. - il comma 10 dell'art. 23-bis, nel testo originario, sul rilievo che esso rinvia a regolamenti governativi la disciplina transitoria dei servizi pubblici locali diversi da quello idrico, «con una irragionevole differenza di trattamento che non appare giustificata [...] per il servizio idrico integrato per il quale la legge statale indica senz'altro in via generale ed astratta la data di scadenza fissa del 31 dicembre 2010, mentre per gli altri servizi pubblici consente al regolamento la previsione di adeguati "tempi differenziati" in ragione di eterogeneita' dei servizi presi in considerazione». Anche tale questione e' inammissibile, in base a quanto gia' osservato al punto 15., perche' la ricorrente non ha dedotto alcuna lesione della propria sfera di competenza, ma si e' limitata a lamentare l'irragionevolezza della disposizione censurata. 17. - Al settimo dei nuclei tematici elencati al punto 2., attinente alla lamentata violazione dell'autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, sono riconducibili alcune questioni poste dalle Regioni Marche, Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna. 17.1. - Vanno preliminarmente esaminate le questioni proposte dalle Regioni Marche, Liguria ed Umbria, che non consentono un esame nel merito. 17.1.1. - La Regione Marche censura l'art. 15, comma 1-ter, del decreto-legge n. 135 del 2009, nella parte in cui si riferisce al servizio idrico integrato, per violazione dell'art. 119, sesto comma, Cost. La ricorrente lamenta che la disposizione censurata si limita a prevedere il «rispetto» del «principio» «di piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche», senza assicurare in alcun modo la salvaguardia, ne' sotto il profilo formale, ne' sotto il profilo sostanziale, della proprieta' pubblica delle «infrastrutture idriche», in particolare: a) determinando «il sostanziale "svuotamento" della proprieta' pubblica dei beni appartenenti al demanio idrico regionale e locale, beni che risulteranno, per espresso disposto del richiamato art. 153, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, necessariamente e ope legis "affidati in concessione d'uso gratuita" al gestore privato del servizio idrico integrato»; b) omettendo di prevedere una specifica clausola di salvaguardia a favore della proprieta' pubblica delle infrastrutture idriche di cui le Regioni e gli enti locali siano in concreto titolari. La questione e' inammissibile. Essa, infatti, ha per oggetto non la disciplina posta dalla disposizione denunciata, ma l'art. 153, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, disposizione che effettivamente prevede l'affidamento in concessione d'uso gratuita delle infrastrutture idriche di proprieta' degli enti locali e che non e' stata impugnata. La ricorrente e' quindi incorsa in una evidente aberratio ictus. Quanto, poi, al censurato art. 15, comma 1-ter, la ricorrente si limita a denunciare che il legislatore ha omesso di prevedere una clausola di salvaguardia a favore della proprieta' pubblica delle infrastrutture idriche. La Regione Marche, formulando una censura generica e rivolta contro una mera omissione del legislatore, demanda a questa Corte l'indebito onere di introdurre una disciplina non indicata dalla stessa ricorrente e, comunque, non costituzionalmente obbligata. 17.1.2. - Le Regioni Liguria (ricorso n. 12 del 2010) e Umbria impugnano il comma 8 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009 in riferimento all'art. 119 Cost., sotto il profilo della violazione dell'autonomia finanziaria degli enti locali, perche' «impone ad essi di cedere rilevanti quote delle societa' da essi controllate». La questione e' inammissibile per genericita', perche' le ricorrenti non indicano le ragioni per cui alla cessione delle quote delle societa' controllate dagli enti locali conseguirebbe l'effetto della denunciata lesione della loro autonomia finanziaria. 17.2. - L'unica questione attinente al settimo nucleo tematico che puo' essere esaminata nel merito e' quella proposta dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 13 del 2010. La ricorrente impugna il comma 8 dell'art. 23-bis, nel testo modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, sostenendo che esso viola l'art. 119, sesto comma, Cost., perche' impone «alle Amministrazioni pubbliche di liberarsi di una quota del proprio patrimonio societario a prescindere dalla convenienza economica dell'operazione, e quindi dalla considerazione in concreto del tempo, delle modalita', della quantita', valutazioni indispensabili ad evitare che si produca una svendita coatta di capitali pubblici». La questione non e' fondata. Il parametro costituzionale evocato, infatti, garantisce alle Regioni e agli enti locali un patrimonio, precisando pero' che esso e' «attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato». L'autonomia patrimoniale delle Regioni e degli enti locali non e', dunque incondizionata, ma si conforma ai principi che il legislatore statale fissa nelle materie di sua competenza legislativa, fra cui va certamente ricompreso quella della tutela della concorrenza, disciplinata, nel caso in esame, proprio dalle norme censurate. 18. - Devono essere ora trattate le questioni poste dal Presidente del Consiglio dei ministri aventi ad oggetto i commi 1, 4, 5, 6 e 14 dell'art. 4 della legge della Regione Liguria n. 39 del 2008. 18.1. - Il ricorrente impugna, in primo luogo, i commi 1 e 14 di detto articolo in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche per il tramite dell'art. 161, comma 4, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 2006. Tale ultima disposizione prevede, tra l'altro, che sia il Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche e non la Giunta regionale a redigere il contenuto di una o piu' convenzioni-tipo da adottare con decreto del Ministro per l'ambiente e per la tutela del territorio e del mare. 18.1.1. - Ad avviso della difesa dello Stato, il censurato comma 1 - il quale affida alla Giunta regionale la competenza ad approvare lo schema-tipo di contratto di servizio e di convenzione di cui all'art. 151 del d.lgs. n. 152 del 2006 - si pone in contrasto con il comma 4, lettera c), del nuovo testo dell'art. 161 dello stesso decreto legislativo, il quale ha «tacitamente abrogato» detto art. 151 ed ha attribuito al «Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche» - e non alla Giunta regionale - la competenza a redigere il contenuto di una o piu' delle suddette convenzioni-tipo; convenzioni da adottare con decreto del Ministro per l'ambiente e per la tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. La resistente Regione Liguria eccepisce l'improcedibilita' della questione, sul rilievo che l'art. 9-bis, comma 6, del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, ha soppresso il Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche (COVIRI), sostituendolo con la Commissione nazionale per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche (CONVIRI), la quale non ha le stesse competenze del soppresso Comitato. L'eccezione deve essere rigettata. La questione non e' improcedibile, perche' lo stesso art. 9-bis, comma 6, del decreto-legge n. 39 del 2009, citato dalla resistente, stabilisce che il CONVIRI subentra nelle competenze gia' attribuite al COVIRI. Esso, infatti, testualmente prevede che «la Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche, [...] a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e' istituita presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, subentrando nelle competenze gia' attribuite all'Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti [...] e successivamente attribuite al Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche, il quale, a decorrere dalla medesima data, e' soppresso». Ne consegue che, data l'identita' delle competenze del COVIRI e del CONVIRI, viene meno il presupposto della prospettata eccezione e, pertanto, non si verifica la dedotta improcedibilita', con conseguente trasferimento della questione alla disposizione censurata, quale risultante dalle modificazioni legislative sopra indicate. Nel merito, la questione e' fondata. Come si e' ampiamente rilevato al punto 7, la disciplina del servizio idrico integrato va ascritta alla competenza esclusiva dello Stato nelle materie «tutela della concorrenza» e «tutela dell'ambiente» (sentenza n. 246 del 2009) e, pertanto, e' inibito alle Regioni derogare a detta disciplina. Nella specie, la Regione e' intervenuta, appunto, in tali materie, dettando una disciplina che si pone in contrasto con quella statale, in quanto attribuisce alla Giunta regionale una serie di competenze amministrative spettanti - come invece dispongono le norme interposte evocate dal ricorrente - al COVIRI (ora CONVIRI). Risulta cosi' violato l'evocato parametro costituzionale, che riserva allo Stato la competenza legislativa nella materia «tutela dell'ambiente» (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.). 18.1.2. - La difesa dello Stato lamenta che il censurato comma 14 dell'art. 4 della legge della Regione Liguria n. 39 del 2008 - il quale affida all'Autorita' d'ambito territoriale ottimale (AATO) la competenza a definire «i contratti di servizio, gli obiettivi qualitativi dei servizi erogati, il monitoraggio delle prestazioni, gli aspetti tariffari, la partecipazione dei cittadini e delle associazioni dei consumatori di cui alla legge regionale 2 luglio 2002, n. 26» - si pone «in contrasto con la normativa statale», cioe' con il sopra citato comma 4, lettera c), del nuovo testo dell'art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale ha attribuito al COVIRI la relativa competenza. La resistente Regione Liguria eccepisce l'inammissibilita' della questione, in quanto generica, perche' non sarebbero specificati i profili che determinano il contrasto con la norma statale. L'eccezione deve essere rigettata. La questione non e' generica, perche' i profili di contrasto sono sufficientemente precisati. Dalla lettura complessiva della censura, infatti, e' agevole rilevare che la norma statale evocata quale parametro interposto e' il comma 4, lettera c), del nuovo testo dell'art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006, evocato anche nella precedente questione al punto 18.1.1. e che si denuncia l'attribuzione all'Autorita' d'ambito di una serie di competenze amministrative spettanti, invece, al COVIRI. Nel merito, la questione e' fondata per le stesse ragioni indicate al punto precedente. Anche in tal caso, infatti, la Regione e' intervenuta, nella materia «tutela dell'ambiente», attribuendo all'Autorita' d'ambito una serie di competenze amministrative spettanti, invece, al COVIRI (ora CONVIRI), ai sensi dell'art. 161, comma 4, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 2006, ed ha pertanto violato l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 18.2. - Il ricorrente censura, altresi', il comma 4 del medesimo art. 4 della legge della Regione Liguria n. 39 del 2008, il quale prevede la competenza dell'Autorita' d'ambito a provvedere all'affidamento del servizio idrico integrato, «nel rispetto dei criteri di cui all'articolo 113, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000 e delle modalita' di cui agli articoli 150 e 172 del d.lgs. n. 152/2006». La censura e' proposta in relazione alla violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, per il tramite dell'art. 23-bis, commi 2, 3 e 11, del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo originario. La difesa dello Stato evidenzia che il comma denunciato, prevedendo che l'AATO provvede all'affidamento del servizio idrico integrato, «nel rispetto dei criteri di cui all'articolo 113, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000 e delle modalita' di cui agli articoli 150 e 172 del d.lgs. n. 152/2006», richiama l'art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale consente all'Autorita' d'ambito di scegliere la forma di gestione del servizio tra quelle elencate nell'art. 113, comma 5, TUEL. Tale ultima disposizione prevede, a sua volta, che «L'erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell'Unione europea, con conferimento della titolarita' del servizio: a) a societa' di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica; b) a societa' a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorita' competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche; c) a societa' a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla societa' un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la societa' realizzi la parte piu' importante della propria attivita' con l'ente o gli enti pubblici che la controllano». Ad avviso della difesa dello Stato, la norma censurata, richiamando le forme di gestione dei SPL di cui al citato art. 113, comma 5, TUEL, si pone in contrasto con l'art. 23-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008, il quale dispone, invece, che le parti del citato art. 113 incompatibili con le prescrizioni dello stesso art. 23-bis sono abrogate (comma 11), e prevede come regola per l'affidamento dei servizi pubblici locali non piu' quella fissata dagli artt. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006 e 113 TUEL, bensi' quella della procedura competitiva ad evidenza pubblica (comma 2), ferma restando la possibilita' di ricorrere all'affidamento diretto solo in presenza delle condizioni di cui al comma 3 del medesimo articolo. La Regione Liguria eccepisce la cessazione della materia del contendere, rilevando che il censurato comma 4 dell'art. 4 della legge della Regione Liguria n. 39 del 2008, il quale regola le competenze delle Autorita' d'ambito, non ha avuto in concreto alcuna applicazione e non potra' averne, in quanto tali Autorita' sono state abolite dal decreto-legge n. 135 del 2009 prima che nella Regione si procedesse alla loro istituzione. L'eccezione deve essere rigettata. La materia del contendere non e' cessata, perche' il decreto-legge n. 135 del 2009 non ha soppresso le Autorita' d'ambito con effetto immediato. V'e', dunque, la possibilita' che tali Autorita' vengano ancora istituite ed operino fino al termine fissato dalla legge per la loro soppressione e, cioe', fino al termine di un anno indicato dall'art. 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge - finanziaria 2010). Tale norma dispone, infatti, che «Decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono soppresse le Autorita' d'ambito territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni. Decorso lo stesso termine, ogni atto compiuto dalle Autorita' d'ambito territoriale e' da considerarsi nullo. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni attribuiscono con legge le funzioni gia' esercitate dalle Autorita', nel rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. Le disposizioni di cui agli articoli 148 e 201 del citato decreto legislativo n. 152 del 2006, sono efficaci in ciascuna regione fino alla data di entrata in vigore della legge regionale di cui al periodo precedente. I medesimi articoli sono comunque abrogati decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge». Nel merito, la questione e' fondata. La norma censurata impone, infatti, l'applicazione del comma 5 dell'art. 113 TUEL, cioe' di un comma abrogato per incompatibilita' dal citato art. 23-bis, con il quale, pertanto, si pone in contrasto. L'art. 23-bis prevede infatti, come sopra osservato, che «l'art. 113 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e successive modificazioni, e' abrogato nelle parti incompatibili con le disposizioni di cui al presente articolo» (comma 11). In particolare, il citato comma 5 dell'art. 113 e' palesemente incompatibile con i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis, perche' disciplina le modalita' di affidamento del SPL in modo difforme da quanto previsto da detti commi, evocati come norme interposte. 18.3. - Il ricorrente censura, in terzo luogo - per contrasto con l'art. 23-bis, commi 8 e 9, del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo originario, e, di conseguenza, con l'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost. - i commi 5 e 6 del medesimo art. 4 della legge della Regione Liguria n. 39 del 2008, i quali prevedono, rispettivamente, che: a) «Resta ferma la previsione di cui all'articolo 113, comma 15-bis, del d.lgs. n. 267/2000; a tal fine l'AATO determina la data di cessazione delle concessioni esistenti, avuto riguardo alla durata media delle concessioni aggiudicate nello stesso settore a seguito di procedure ad evidenza pubblica, salva la possibilita' di determinare caso per caso la cessazione in una data successiva, qualora la medesima risulti proporzionata ai tempi di recupero di particolari investimenti effettuati dal gestore, fermi restando l'aggiornamento e la rinegoziazione delle convenzioni in essere» (comma 5); b) «L'AATO individua forme e modalita' dirette all'integrazione del servizio di gestione dei rifiuti e del servizio idrico, avuto riguardo agli affidamenti esistenti che non risultano cessati nei termini di cui all'articolo 113, comma 15-bis, del d.lgs. n. 267/2000, al fine di pervenire al superamento della frammentazione del servizio nel territorio dell'ambito» (comma 6). A sua volta, il comma 15-bis dell'art. 113 TUEL - richiamato dalle suddette disposizioni censurate - prevede, con un'articolata serie di eccezioni soggettive, che «nel caso in cui le disposizioni previste per i singoli settori non stabiliscano un congruo periodo di transizione [...] le concessioni rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2006, relativamente al solo servizio idrico integrato al 31 dicembre 2007, senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante». Lo Stato lamenta che i commi censurati, disciplinando la cessazione delle concessioni esistenti ed il relativo regime transitorio degli affidamenti del servizio idrico integrato effettuati senza gara, attraverso il rinvio alle disposizioni di cui all'art. 113, comma 15-bis, TUEL, contrastano con l'art. 23-bis, commi 8 e 9, del decreto-legge n. 112 del 2008, che - come visto - ha abrogato l'art. 113 citato nelle parti incompatibili con le sue disposizioni e che fissa al 31 dicembre 2010 la data per la cessazione delle concessioni esistenti rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica. Anche in relazione a tale questione, la Regione Liguria eccepisce la cessazione della materia del contendere per i motivi esposti al punto 18.2. Tale eccezione deve essere parimenti rigettata per le stesse ragioni indicate al medesimo punto 18.2. Nel merito, la questione e' fondata. Come gia' osservato al punto 18.2., la norma censurata impone l'applicazione del comma 15-bis dell'art. 113 TUEL, abrogato per incompatibilita' dall'art. 23-bis, con il quale, pertanto, si pone in contrasto. Il citato comma 15-bis dell'art. 113 TUEL, infatti, e' incompatibile con il suddetto art. 23-bis, perche' disciplina il regime transitorio degli affidamenti diretti del servizio pubblico locale in modo difforme da quanto previsto dal parametro interposto. Ne deriva la violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost. 19. - Devono essere infine trattate le questioni proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri in merito al comma 1 dell'art. 1 della legge della Regione Campania n. 2 del 2010, il quale prevede la competenza della medesima Regione a disciplinare il servizio idrico integrato regionale come servizio privo di rilevanza economica ed a stabilire autonomamente sia le forme giuridiche dei soggetti cui affidare il servizio sia il termine di decadenza degli affidamenti in essere. La difesa dello Stato lamenta che la disposizione viola l'art. 117, commi primo e secondo, lettera e), Cost., nonche', quali norme interposte, gli artt. 141 e 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, l'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, il decreto-legge n. 135 del 2009 e l'art. 113 TUEL - i quali stabiliscono che il servizio idrico integrato ha rilevanza economica - perche': a) prevede che la Regione disciplini il servizio predetto «come servizio privo di rilevanza economica»; b) regola in modo del tutto difforme dall'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 le forme giuridiche dei soggetti cui affidare il servizio ed il termine di decadenza degli affidamenti in essere, prevedendo che «tutte le forme attualmente in essere di gestione del servizio idrico con societa' miste o interamente private decadono a far data dalle scadenze dei contratti di servizio in essere». Entrambe le questioni sono fondate, perche' le disposizioni censurate sono in contrasto con la normativa statale evocata quale parametro interposto ed emanata nell'esercizio della competenza esclusiva dello Stato nella materia «tutela della concorrenza» (come piu' diffusamente argomentato al punto 7.). In particolare, la questione di cui al punto a) e' fondata, perche' la disposizione censurata si pone in evidente contrasto con le sopra indicate norme statali interposte, le quali ricomprendono il servizio idrico integrato tra i servizi dotati di rilevanza economica. Come visto al punto 9., infatti, la disciplina statale pone una nozione generale e oggettiva di rilevanza economica, alla quale le Regioni non possono sostituire una nozione meramente soggettiva, incentrata cioe' su una valutazione discrezionale da parte dei singoli enti territoriali. La questione di cui al punto b) e' del pari fondata, perche' la disposizione censurata, che individua le figure soggettive cui conferire la gestione del servizio idrico e determina un regime transitorio per la cessazione degli affidamenti diretti gia' in essere, si pone in evidente contrasto con il regime transitorio disciplinato dall'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, il quale - come visto al punto 7. - non puo' essere oggetto di deroga da parte delle Regioni.