Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  5,  comma  10,
del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39 (Interventi urgenti in favore
delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione  Abruzzo
nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di  protezione
civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 24  giugno  2009,
n. 77, promosso dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di
Pescara nel procedimento penale a carico  di  C.  M.  ed  altro,  con
ordinanza del 9 febbraio  2010,  iscritta  al  n.  143  del  registro
ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 21, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visti l'atto di costituzione di C.M. nonche' l'atto di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  30  novembre  2010  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    Uditi l'avvocato Vincenzo Calderoni per C. M. e l'avvocato  dello
Stato Massimo Bachetti per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ordinanza del 9 febbraio 2010, il  Giudice  dell'udienza
preliminare del Tribunale di Pescara  ha  sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 10,  del  decreto-legge  28  aprile
2009, n. 39 (Interventi urgenti in favore delle  popolazioni  colpite
da eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese  di  aprile  2009  e
ulteriori interventi urgenti di protezione civile),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, «nella parte in cui
prevede a pena di nullita' la notifica degli atti presso il  presidio
costituito ai sensi del precedente comma nono». 
    Il giudice a quo - investito del processo penale nei confronti di
due persone,  imputate  del  delitto  di  falso  ideologico  in  atto
pubblico - premette che a uno degli imputati, residente  in  L'Aquila
alla  data  del  sisma  del  6  aprile  2009,  l'avviso  dell'udienza
preliminare (art. 419 del  codice  di  procedura  penale)  era  stato
notificato il 10 giugno 2009 ai sensi della norma censurata:  vale  a
dire, mediante consegna  di  copia  dell'atto  nel  presidio  per  le
comunicazioni e le notifiche degli atti giudiziari,  istituto  presso
la sede temporanea  degli  uffici  giudiziari  di  L'Aquila,  a  mani
dell'impiegato incaricato. Non essendo l'imputato  comparso,  il  suo
difensore di fiducia aveva eccepito  l'illegittimita'  costituzionale
di detta previsione normativa. 
    Il rimettente reputa la questione non  manifestamente  infondata,
assumendo che la norma censurata avrebbe introdotto una modalita'  di
esecuzione delle notifiche «di irresistibile valore legale», cui «non
corrisponde alcuna effettiva conoscenza  dell'atto».  La  presunzione
legale di conoscenza,  sottesa  alla  norma  stessa,  prescinderebbe,
infatti, da qualsiasi «controverifica»  della  reale  cognizione,  da
parte del destinatario, tanto dell'atto notificato che  della  stessa
pendenza del procedimento penale (potendo trattarsi anche  del  primo
atto da notificare all'indagato o all'imputato). 
    Ne deriverebbe, da  un  lato,  una  violazione  dei  «diritti  di
difesa» garantiti dagli artt. 24 e 111 Cost., tanto piu' evidente ove
si consideri alla base del provvedimento vi e'  la  grave  situazione
conseguente al sisma che ha colpito i territori abruzzesi; dall'altro
lato, una lesione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), stante
l'ingiustificata discriminazione introdotta in danno dei  destinatari
della norma. 
    La questione sarebbe altresi' rilevante, giacche', a fronte della
mancata comparizione  dell'imputato  in  udienza,  la  soluzione  del
quesito  di  costituzionalita'  condizionerebbe  la  validita'  della
dichiarazione di contumacia e dei successivi atti processuali. 
    Ne' varrebbe obiettare - secondo il rimettente - che,  quando  vi
sia incertezza sulla  regolarita'  della  chiamata  in  giudizio,  il
giudice puo' sempre disporre la rinnovazione della notifica. Sebbene,
infatti, la norma impugnata non risulti piu' operante -  sia  perche'
la sua efficacia e' limitata al 31 luglio 2009, sia in ragione  della
ulteriore limitazione, introdotta dalla legge di conversione, ai soli
atti di competenza degli uffici giudiziari di L'Aquila (al cui ambito
non appartiene esso rimettente) - la verifica, nel  caso  di  specie,
della regolare  instaurazione  del  contraddittorio  dovrebbe  essere
comunque effettuata sulla base della  disciplina  vigente  alla  data
della notificazione originaria. La forma di notificazione di  cui  si
discute e' inoltre  prevista  a  pena  di  nullita',  senza  che  sia
riconosciuta al giudice penale - diversamente da quanto e'  previsto,
a seguito della  legge  di  conversione,  per  il  giudice  civile  o
amministrativo -  la  facolta'  di  procedere  con  altre  modalita',
ancorche' maggiormente garantite. 
    2.  -  Nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto   il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, il  quale  ha  chiesto  che  la
questione sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata. 
    La   difesa   dello   Stato   eccepisce   in   via    preliminare
l'inammissibilita' della questione, sotto un duplice profilo:  da  un
lato, per la  genericita'  delle  censure,  essendosi  il  rimettente
limitato a richiamare i parametri costituzionali,  senza  esplicitare
in  modo  chiaro  le  ragioni  della  loro  asserita  compromissione;
dall'altro  lato,  per  l'inadeguatezza   della   motivazione   sulla
rilevanza. 
    Il giudice a quo non avrebbe, infatti, considerato che  la  norma
censurata  prevede,  ai  fini  della  conoscibilita'  dell'atto,  una
notifica alternativa all'imputato  o  al  difensore  di  fiducia,  il
quale, nel caso di specie, e' regolarmente comparso  in  udienza.  In
ogni  caso,  il  rimettente  potrebbe  bene  avvalersi  del  disposto
dell'art. 420-bis cod. proc. pen.,  che,  con  previsione  di  ordine
generale, impone la rinnovazione dell'avviso dell'udienza preliminare
quando risulti o appaia probabile che  l'imputato  non  ne  ha  avuto
effettiva conoscenza senza sua colpa. 
    Nel  merito,  la  questione   sarebbe   comunque   manifestamente
infondata. 
    La norma censurata si collocherebbe, infatti, nell'ambito di  una
disciplina processuale a carattere eccezionale, volta a  fronteggiare
la  gravissima  situazione  determinatasi  nei  territori   abruzzesi
colpiti dal sisma  dell'aprile  2009:  disciplina  analoga  a  quella
adottata in  occasione  di  altre  gravi  calamita'  naturali  e  che
contempla misure quali la sospensione dei processi, il  rinvio  delle
udienze e la sospensione dei termini. Il denunciato art. 5, comma 10,
del decreto-legge n. 39 del 2009 mirerebbe, in particolare,  a  porre
rimedio alla situazione di  incertezza  circa  la  reperibilita'  dei
destinatari   delle   notificazioni,   conseguente   al   crollo    o
all'inagibilita'  della  maggior  parte  degli  edifici,  pubblici  e
privati, ubicati nelle zone interessate  dagli  eventi  sismici.  Per
assicurare lo svolgimento delle attivita' giudiziarie, il legislatore
avrebbe quindi individuato - con soluzione del tutto ragionevole - un
luogo agibile nel quale effettuare  le  notifiche,  con  la  maggiore
certezza  e  il  piu'  ampio  margine  di  conoscibilita'  possibili:
adattando, in  pratica,  alla  eccezionale  contingenza  la  generale
previsione dall'art. 157, comma  8,  cod.  proc.  pen.,  in  tema  di
notifica mediante deposito nella casa comunale. 
    Per costante giurisprudenza  costituzionale,  d'altra  parte,  le
garanzie della difesa sono rispettate anche dalle forme  di  notifica
che  non  assicurino  una  conoscenza  reale   -   non   raggiungendo
direttamente la persona del destinatario -  ma  solo  una  conoscenza
«legale», fondata su presunzioni, purche' queste rispondano a criteri
tali da realizzare una elevata probabilita' di conoscenza  effettiva;
prospettiva  nella  quale  puo'  bene  essere  posto  a  carico   del
destinatario un onere di diligenza, tanto piu' quando si  tratti  del
difensore di fiducia dell'imputato. 
    Insussistente  sarebbe,  infine,  la   dedotta   violazione   del
principio di eguaglianza: la situazione  di  coloro  che  si  trovino
nelle aree  colpite  dal  sisma  risulterebbe,  infatti,  palesemente
disomogenea rispetto a quella della generalita' degli altri cittadini
e, dunque, ad essa non comparabile. 
    3. - Si e' costituito altresi' C. M.,  imputato  nel  giudizio  a
quo,  svolgendo  deduzioni   a   sostegno   dell'accoglimento   della
questione. 
    Il difensore della  parte  privata  rileva  che  nessuna  notizia
dell'avviso  dell'udienza  preliminare  e'   pervenuta   al   proprio
assistito, giacche' gli atti notificati presso il  presidio  venivano
semplicemente ordinati cronologicamente e  archiviati  dal  personale
addetto, senza alcuna ricerca  del  destinatario.  Sarebbe  evidente,
quindi, come il sistema escogitato dal legislatore per  ovviare  alla
situazione di emergenza determinata dal sisma «tradisse se'  stesso»,
non assicurando affatto la conoscenza degli atti notificati. 
    La legge di conversione  del  decreto-legge  n.  39  del  2009  -
intervenuta successivamente alla  notifica  di  cui  si  discute  nel
giudizio a quo - ha limitato, bensi', la sfera di operativita'  della
norma censurata agli atti di competenza degli  uffici  giudiziari  di
L'Aquila: ma, nella specie - come rilevato dal giudice  rimettente  -
la  disciplina  applicabile   andrebbe   comunque   determinata   con
riferimento  alla  data  di  esecuzione  della  notifica,  donde   la
perdurante rilevanza della questione. 
    Sempre in punto  di  rilevanza,  la  parte  privata  rimarca,  da
ultimo, come la legge di conversione  abbia  predisposto  un  rimedio
volto a mitigare «l'aspra inefficienza  della  norma».  Esso  risulta
riferito,   tuttavia,   esclusivamente   ai    giudici    civili    e
amministrativi, ai quali soltanto il  legislatore  ha  consentito  di
ricorrere allo strumento della rinnovazione della notifica,  previsto
dall'art. 663 del codice di procedura civile in materia di  convalida
di sfratto: con cio' escludendo  che  la  cautela  sia  fruibile  dal
giudice penale, nonostante la certezza che l'atto non ha raggiunto il
suo scopo. 
    4.  -  L'Avvocatura  dello  Stato  ha  depositato   una   memoria
illustrativa, con la quale, oltre a ribadire le difese  gia'  svolte,
ha eccepito l'inammissibilita' della deduzione della  parte  privata,
relativa alla asserita disparita'  di  trattamento  fra  il  processo
penale e i giudizi civili e amministrativi. Si tratterebbe,  infatti,
di una  censura  nuova,  esorbitante  dal  thema  decidendum  fissato
nell'ordinanza di rimessione, che delimita l'oggetto del giudizio  di
legittimita' costituzionale in via incidentale. 
    Detta censura sarebbe comunque infondata, giacche'  nel  processo
penale la possibilita' di rinnovare  la  notifica  verrebbe  comunque
assicurata dal gia' citato, generale disposto dell'art. 420-bis  cod.
proc. pen. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Pescara
dubita, in riferimento agli artt. 3, 24  e  111  della  Costituzione,
della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,  comma   10,   del
decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39  (Interventi  urgenti  in  favore
delle popolazioni colpite da eventi sismici nella regione Abruzzo nel
mese di aprile 2009 e  ulteriori  interventi  urgenti  di  protezione
civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 24  giugno  2009,
n. 77, «nella parte in cui prevede a pena  di  nullita'  la  notifica
degli atti presso il presidio  costituito  ai  sensi  del  precedente
comma  nono»,  nella  sede  temporanea  degli  uffici  giudiziari  di
L'Aquila. 
    Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata avrebbe stabilito
- per giunta a pena di nullita' - una modalita' di  esecuzione  delle
notifiche basata su una presunzione assoluta di conoscenza,  cui  non
corrisponde alcuna conoscenza effettiva dell'atto notificato da parte
del destinatario. 
    Ne conseguirebbe, da un lato,  una  violazione  dei  «diritti  di
difesa» sanciti dagli artt. 24 e 111 Cost., tanto piu'  evidente  ove
si consideri che il provvedimento  riguarda  popolazioni  colpite  da
eventi sismici di particolare gravita'; dall'altro lato, una  lesione
del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.),  per  la  ingiustificata
discriminazione introdotta in danno dei destinatari della norma. 
    2.  -  L'eccezione  di  inammissibilita'  della   questione   per
genericita' delle censure, formulata dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e' infondata. 
    Le ragioni del dedotto contrasto  della  norma  censurata  con  i
parametri costituzionali evocati sono esposte dal giudice  rimettente
in modo stringato,  ma  tale  comunque  da  permetterne  la  compiuta
comprensione. Con particolare riguardo all'asserita lesione  all'art.
111 Cost., risulta altresi' evidente come  il  giudice  a  quo  abbia
inteso riferirsi alle previsioni della prima parte del  terzo  comma,
in forza delle quali la persona accusata  di  un  reato  deve  essere
prontamente informata dei motivi e della natura dell'accusa mossale e
deve poter disporre del tempo e delle condizioni per preparare la sua
difesa. 
    3.  -  Parimenti  infondata  si  palesa   l'ulteriore   eccezione
dell'Avvocatura dello Stato di inammissibilita' della  questione  per
difetto di motivazione sulla rilevanza  (o,  piu'  propriamente,  per
difetto di rilevanza): eccezione basata  sul  rilievo  che  la  norma
censurata avrebbe previsto la notifica, in  via  «alternativa  e  non
cumulativa», dell'atto all'imputato o al suo difensore di fiducia, il
quale, nel caso di specie, e' regolarmente comparso in udienza. 
    La tesi non e' condivisibile, per  l'assorbente  ragione  che  il
riferimento alternativo della disposizione in esame alle parti  e  ai
difensori («nei confronti delle parti  o  dei  loro  difensori,  gia'
nominati alla data del 5 aprile 2009 [...]») non  giustifica  affatto
la conclusione che, nell'intento del legislatore, le notifiche dovute
alle  prime  potessero  essere  surrogate  da  quelle  effettuate  ai
secondi. Detto riferimento si giustifica,  piu'  semplicemente,  alla
luce della circostanza che solo le une (le parti) o solo gli altri (i
difensori) potevano risultare in concreto destinatari della  speciale
forma di notifica prefigurata dalla  disposizione  stessa,  la  quale
presupponeva che  il  soggetto  risiedesse  od  operasse  nelle  zone
colpite dal sisma alla data del 5 aprile 2009. 
    4. - Infondata e' anche  l'eccezione  di  inammissibilita'  della
deduzione proposta dalla parte privata e afferente alla disparita' di
trattamento  fra  il  processo  penale   e   i   giudizi   civili   e
amministrativi, quanto al potere-dovere del giudice di  rinnovare  la
notifica ove risulti o appaia probabile che il destinatario non abbia
avuto effettiva conoscenza dell'atto. 
    Quella  che  l'Avvocatura  dello  Stato  qualifica   come   nuova
«censura» di incostituzionalita', esorbitante  dal  thema  decidendum
fissato dall'ordinanza di rimessione, e', in  realta',  una  semplice
argomentazione a sostegno delle doglianze  formulate  dal  giudice  a
quo: argomentazione che si rinviene, peraltro,  in  forma  sintetica,
anche  nella  parte  conclusiva  della   motivazione   della   stessa
ordinanza. 
    5. - La questione  e'  tuttavia  inammissibile  per  una  diversa
ragione: e,  cioe',  per  l'inadeguata  ricostruzione  da  parte  del
giudice rimettente del quadro normativo, la quale  inficia  tanto  la
motivazione  sulla  rilevanza  che   quella   sulla   non   manifesta
infondatezza del prospettato dubbio di illegittimita' costituzionale. 
    L'indicata  manchevolezza  si  manifesta  per  due,   concorrenti
profili. 
    5.1. - In primo luogo, il rimettente  omette  di  porsi  in  modo
corretto ed esaustivo  il  problema  dell'efficacia  dell'emendamento
apportato alla norma censurata dalla legge di conversione. 
    In base al testo originario del decreto-legge  n.  39  del  2009,
l'ambito applicativo della speciale  forma  di  notifica  di  cui  si
discute era definito con esclusivo riferimento  alla  situazione  dei
destinatari. L'art. 5, comma 10, di detto decreto prevedeva, infatti,
che «nei confronti delle parti o dei loro  difensori,  gia'  nominati
alla data del 5 aprile 2009, che, alla stessa data, erano  residenti,
avevano  sede  operativa  o   esercitavano   la   propria   attivita'
lavorativa, produttiva o di funzione  nei  comuni  e  nei  territori»
abruzzesi maggiormente colpiti dal  sisma  (individuati  da  apposito
decreto commissariale), «la comunicazione e la notifica di  atti  del
procedimento o del processo [dovesse]  essere  eseguita  fino  al  31
luglio  2009,  a  pena  di  nullita',  presso  il  presidio  per   le
comunicazioni e le notifiche di cui al comma 9». 
    La legge di conversione n. 77 del 2009 ha peraltro aggiunto  alla
disposizione l'inciso finale: «ove si tratti di  atti  di  competenza
degli  uffici   giudiziari   di   L'Aquila».   Con   ogni   evidenza,
l'emendamento disposto dal Parlamento e' solo formalmente aggiuntivo:
nella sostanza, esso implica una drastica limitazione della sfera  di
applicabilita' del regime derogatorio, che negli intenti del  Governo
sarebbe  dovuto   rimanere   affatto   indipendente   dall'ubicazione
dell'ufficio giudiziario competente a trattare il procedimento. Cio',
tanto piu' ove si consideri che, in forza  dello  stesso  art.  5,  i
processi pendenti davanti agli uffici giudiziari  di  L'Aquila  -  in
quanto comune colpito dal sisma - sono  rimasti  sospesi  durante  il
periodo di vigenza della disposizione censurata (commi 1 e 5),  fatta
eccezione per talune attivita' o categorie di giudizi, specificamente
indicati, caratterizzati da particolare  urgenza  (commi  1,  seconda
parte, e 7). 
    Nel caso  in  esame,  il  processo  principale  pende  presso  il
Tribunale di Pescara e, dunque, si colloca al di fuori del territorio
operativo della norma censurata, quale  risultante  a  seguito  della
legge di conversione. 
    Il  rimettente  accenna  alla  circostanza,  assumendo   che   la
questione resterebbe  comunque  rilevante  in  virtu'  del  principio
tempus regit actum,  valevole  in  materia  processuale:  poiche'  la
notifica di cui si discute e' avvenuta il 10 giugno 2009 - e, dunque,
prima che intervenisse la conversione - la ritualita' della  chiamata
in giudizio dell'imputato dovrebbe essere  valutata  sulla  base  del
testo originario del decreto-legge, allora in vigore. 
    Cosi' argomentando, tuttavia, il giudice a quo  non  si  pone  un
interrogativo che logicamente precede e condiziona la  validita'  del
ragionamento svolto: se, cioe', il ricordato emendamento parlamentare
abbia comportato la mancata conversione della norma del decreto-legge
emendata per la parte  che  rileva  nel  presente  giudizio;  mancata
conversione  che,  ai  sensi  dell'art.  77,  terzo   comma,   Cost.,
determinerebbe la perdita di efficacia «sin dall'inizio» della  norma
stessa. 
    Questa Corte ha avuto modo, in effetti, di rilevare  come  -  per
l'aspetto che  interessa  -  al  decreto-legge  non  convertito  vada
equiparato il «decreto [...] convertito in legge con emendamenti  che
implichino mancata conversione in parte qua», e  che,  pertanto,  nel
caso di conversione con  emendamenti,  «spetta  all'interprete  [...]
accertare quale delle eventualita' si sia verificata» (sentenza n. 51
del 1985). 
    La conversione del decreto-legge e, correlativamente, il  rifiuto
di conversione possono essere,  infatti,  anche  parziali  e,  a  sua
volta, il rifiuto parziale di  conversione  -  come,  del  resto,  e'
ampiamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimita'  -  puo'
essere anche implicito, a seconda del tipo di emendamento  approvato.
Ne', sul punto, apporta un decisivo contributo chiarificatore  l'art.
15,  comma  5,  della  legge  23  agosto  1988,  n.  400  (Disciplina
dell'attivita'  di  Governo  e  ordinamento  della   Presidenza   del
Consiglio dei  Ministri),  allorche'  stabilisce  che  «le  modifiche
eventualmente apportate al decreto-legge in sede di conversione hanno
efficacia dal giorno successivo a quello  della  pubblicazione  della
legge  di  conversione,   salvo   che   quest'ultima   non   disponga
diversamente». Tale disposizione si limita, infatti, a  sottrarre  la
legge  di  conversione  all'ordinario  regime  della  vacatio,  senza
occuparsi   direttamente    dell'efficacia    intertemporale    delle
disposizioni del decreto-legge emendate. 
    Cio'  posto,  nel   caso   in   esame   risultano   astrattamente
ipotizzabili due alternative ermeneutiche: che  l'emendamento  dianzi
ricordato implichi  la  conversione  della  norma  del  decreto-legge
censurata e la sua  contestuale  modifica  con  effetto  ex  nunc  (a
partire, cioe', dal giorno successivo alla pubblicazione della  legge
di conversione); o che, al contrario, l'emendamento equivalga  ad  un
rifiuto parziale di conversione, che travolge con effetto ex tunc  la
norma emendata per la parte non convertita (ossia per la parte in cui
prevede la notifica presso il presidio anche in rapporto agli atti di
competenza di uffici giudiziari diversi da quelli di L'Aquila). 
    Al riguardo, va rilevato come la giurisprudenza  di  legittimita'
abbia avuto modo di  occuparsi  di  una  fattispecie  strutturalmente
analoga a quella che qui interessa, concernente una norma  temporanea
in tema di sospensione  dei  termini  processuali,  contenuta  in  un
decreto-legge  volto  a  fronteggiare  la  situazione  di   emergenza
conseguente agli eventi sismici che nel 1997 hanno colpito le Regioni
Marche e Umbria (art. 1 del decreto-legge 27 ottobre  1997,  n.  364,
recante «Interventi urgenti a favore delle zone colpite  da  ripetuti
eventi sismici nelle regioni Marche e Umbria»): norma che, in sede di
conversione (ad opera della legge 17 dicembre 1997, n. 434), e' stata
emendata, con l'esclusione, in particolare, di alcuni comuni dal  suo
ambito operativo. 
    Chiamata ad accertare l'incidenza di tale modifica, la  Corte  di
cassazione si e' espressa a favore della seconda delle  soluzioni  in
precedenza indicate, e cioe' nel senso che l'emendamento  equivalesse
ad un rifiuto parziale di conversione: donde la conclusione  che,  in
riferimento ai comuni esclusi, la  norma  del  decreto-legge  dovesse
considerarsi tamquam non esset, anche durante il  periodo  della  sua
provvisoria vigenza (Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2005, n.  11186;
Cass. civ., sez. I, 17 marzo 2000, n. 3106). 
    Il  giudice  a  quo  non  ha  tenuto  conto  di  tale   indirizzo
giurisprudenziale, anche solo al fine di  contestarne  la  validita',
ne' conseguentemente si e' dato carico di verificare se alla medesima
conclusione debba pervenirsi nell'ipotesi che  qui  interessa.  Cio',
tenuto  conto  anche  delle  particolarita'  che  la   connotano   e,
segnatamente,  della  possibilita'  di   ravvisare   nell'emendamento
apportato in sede di conversione  un  mutamento  della  stessa  ratio
della norma censurata, avuto riguardo al  fatto  che  quest'ultima  -
originariamente calibrata sulla sola  situazione  dei  notificandi  -
nella versione approvata dal Parlamento sembra avere invece  di  mira
anche (e soprattutto) la  situazione  degli  uffici  giudiziari,  cui
spetta curare la notifica. 
    5.2. - Sotto altro profilo, va osservato  come  il  rimettente  -
sempre in sede di motivazione sulla  rilevanza  -  abbia  escluso  di
potersi avvalere del rimedio previsto dall'art.  420-bis  cod.  proc.
pen., in forza  del  quale  il  giudice  dispone  che  sia  rinnovato
l'avviso dell'udienza preliminare quando consta  o  appare  probabile
che l'imputato non ne ha avuto effettiva conoscenza senza sua colpa. 
    Tale assunto interpretativo e' senz'altro fallace. 
    L'art. 420-bis cod. proc. pen. (richiamato  per  il  dibattimento
dall'art. 484, comma 2-bis, cod. proc. pen.) e', infatti,  una  norma
generale, applicabile in  rapporto  a  tutte  le  forme  di  notifica
indipendentemente da un esplicito richiamo. Il principio tempus regit
actum - pure a questo riguardo  evocato  dal  giudice  a  quo  -  e',
dunque, del tutto inconferente: tanto piu' che della disposizione ora
citata il rimettente e' chiamato a fare applicazione solo nel momento
in cui da' inizio alla udienza preliminare, e dunque,  nella  specie,
in data  successiva  a  quella  di  cessazione  dell'efficacia  della
disposizione temporanea censurata (31 luglio 2009). 
    Tantomeno  sarebbe  corretto  evocare  (come   ha   fatto   nella
discussione  orale  la  difesa  della  parte  privata)  il  principio
attinente alla disciplina della successione di leggi nel tempo  e  la
"specialita'"  della  disposizione  censurata  rispetto  al  precetto
generale espresso dall'art. 420-bis cod. proc. pen. (che  dunque  non
sarebbe applicabile). Le due fattispecie, invero, non hanno nulla  in
comune: la prima propone la descrizione di un  modello  specifico  di
notificazione; la seconda, un "rimedio" apprestato per tutti i casi -
compresi quelli innescati dall'applicazione della prima - in cui  sia
provato  o  probabile  che  la  notificazione  non   abbia   prodotto
l'effettiva conoscenza dell'atto da parte dell'imputato destinatario,
con la conseguenza che il giudice ne dispone la rinnovazione. 
    Ne' maggiormente probante e' l'ulteriore  argomento  esposto  dal
giudice a quo (nonche' dalla parte privata): ossia il rilievo che  la
legge di conversione, aggiungendo un  secondo  periodo  al  comma  10
dell'art. 5 del  decreto-legge  n.  39  del  2009,  ha  espressamente
consentito solo al giudice  civile  e  al  giudice  amministrativo  -
tramite il  richiamo  all'art.  663  cod.  proc.  civ.,  in  tema  di
convalida di  sfratto  -  di  rinnovare  la  citazione  nei  casi  di
accertata o probabile ignoranza dell'atto  notificato  da  parte  del
destinatario. 
    L'inserimento di una specifica norma di garanzia riferita ai soli
processi  civili  e  amministrativi  si   spiega   proprio   con   la
considerazione che la disciplina di questi ultimi non contempla norme
generali in tema di rinnovazione della chiamata in giudizio, analoghe
a quella dettata per il processo penale dall'art. 420-bis cod.  proc.
pen.  Diversamente  opinando,   si   dovrebbe   concludere   che   il
legislatore, in rapporto alle sole notifiche ai soggetti colpiti  dal
terremoto dell'aprile 2009, abbia  inteso  irrazionalmente  ribaltare
l'ordinario  rapporto,  che  vede  il  processo  penale  maggiormente
garantito,  sotto  il  profilo  considerato,  rispetto   agli   altri
processi. 
    6. -  In  conclusione,  la  ricostruzione  del  quadro  normativo
operata dal giudice a quo e' inadeguata, giacche' il  rimettente,  da
un lato, ha omesso di  compiere  una  indagine  ermeneutica  doverosa
(quella relativa all'eventuale perdita parziale  di  efficacia  della
norma  del   decreto-legge   con   effetto   ex   tunc,   a   seguito
dell'emendamento approvato in sede di  conversione);  dall'altro,  ha
fatto leva su un  postulato  ermeneutico  errato  (l'inapplicabilita'
dell'art. 420-bis cod. proc. pen.). 
    La manchevolezza evidenziata incide - segnatamente sotto il primo
profilo - sulla congruita' della motivazione in ordine alla rilevanza
della questione e - nel suo complesso - anche su quella relativa alla
non manifesta infondatezza, la quale va calibrata tenendo  conto  del
reale ambito di operativita' della forma  di  notifica  sottoposta  a
scrutinio e della esistenza, a  torto  negata,  di  possibili  rimedi
all'accertato o verosimile difetto di conoscenza effettiva  dell'atto
in tal modo notificato (sulla  inammissibilita'  della  questione  in
caso di erronea o inadeguata ricostruzione o ponderazione del  quadro
normativo, ex plurimis, ordinanze n. 334 del 2007 e n. 146 del 2006). 
    Alla luce delle considerazioni che  precedono,  la  questione  va
dichiarata, dunque, inammissibile.