SENTENZA 
 
nel giudizio di ammissibilita', ai sensi dell'art.  2,  primo  comma,
della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1,  della  richiesta  di
referendum popolare per l'abrogazione: a) dell'art. 23-bis, comma 10,
lettera d), del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.  112  (Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica  e  finanza
la perequazione tributaria),  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 6 agosto 2008, n. 133, nel  testo  risultante  per  effetto  di
modificazioni ed integrazioni successive, limitatamente  alle  parole
«, nonche' in materia di acqua»; b) dell'art. 15,  comma  1-ter,  del
decreto-legge 25 settembre 2009, n.  135  (Disposizioni  urgenti  per
l'attuazione di obblighi comunitari e per  l'esecuzione  di  sentenze
della Corte di giustizia delle Comunita'  europee),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge  20  novembre  2009,  n.  166,  nel  testo
risultante per effetto di modificazioni ed  integrazioni  successive,
limitatamente alle parole «di  cui  all'articolo  23-bis  del  citato
decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con  modificazioni,  dalla
legge n. 133 del  2008,»,  nonche'  alle  parole  «nel  rispetto  dei
principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di  piena  ed
esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche, il  cui  governo
spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in  particolare  in
ordine alla qualita' e prezzo del servizio,»; giudizio iscritto al n.
152 del registro referendum. 
    Vista l'ordinanza pronunciata il 6 dicembre 2010 e depositata  il
successivo 7  dicembre,  con  la  quale  l'Ufficio  centrale  per  il
referendum, costituito presso la Corte di cassazione,  ha  dichiarato
conforme a legge la richiesta referendaria; 
    Udito nella camera di consiglio del 12 gennaio  2011  il  Giudice
relatore Franco Gallo; 
    Uditi  gli  avvocati  Federico  Sorrentino   per   l'Associazione
Nazionale Fra gli Industriali  Degli  Acquedotti  -  ANFIDA;  Tommaso
Edoardo Frosini e Giovanni Pitruzzella  per  l'Associazione  Comitato
contro   i   referendum   per   la   statalizzazione   dell'acqua   -
AcquaLiberAtutti; Tommaso Edoardo Frosini  per  l'Associazione  «Fare
Ambiente»; Alessandro Pace per  i  presentatori  Antonio  Di  Pietro,
Gianluca De Filio, Vincenzo Maruccio  e  Benedetta  Parenti;  Antonio
Tallarida, avvocato dello Stato, per il Governo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. L'Ufficio centrale per il  referendum,  costituito  presso  la
Corte di cassazione ai sensi dell'art. 12 della legge 25 maggio 1970,
n. 352, e successive modificazioni, con ordinanza  pronunciata  il  6
dicembre 2010 e depositata il successivo 7  dicembre,  ha  dichiarato
legittima la  richiesta  di  referendum  popolare  (pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  del  9  aprile  2010,   serie
generale, n.  82),  promossa  da  diciotto  cittadini  italiani,  sul
seguente quesito: 
    «Volete voi che sia abrogato l'art. 23-bis, comma 10, lettera d),
del  decreto-legge  25  giugno  2008,   n.   112,   convertito,   con
modificazioni,  dalla  legge  6  agosto  2008,  n.  133,  nel   testo
risultante per effetto di modificazioni  ed  integrazioni  successive
(recante  "Disposizioni  urgenti  per  lo  sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica e la perequazione tributaria"), limitatamente alle  seguenti
parole: ", nonche' in materia di acqua" e l'art. 15, comma 1-ter, del
decreto-legge  25   settembre   2009,   n.   135,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge  20  novembre  2009,  n.  166,  nel  testo
risultante per effetto di modificazioni  ed  integrazioni  successive
(recante Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari
e per  l'esecuzione  di  sentenze  della  Corte  di  giustizia  delle
Comunita' europee), limitatamente alle parole: "di  cui  all'articolo
23-bis del citato decreto-legge n.  112  del  2008,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 133 del  2008,"  nonche'  alle  parole:
"nel rispetto dei  principi  di  autonomia  gestionale  del  soggetto
gestore e di piena ed esclusiva  proprieta'  pubblica  delle  risorse
idriche,  il  cui  governo  spetta  esclusivamente  alle  istituzioni
pubbliche, in particolare  in  ordine  alla  qualita'  e  prezzo  del
servizio,"?». 
    2. L'Ufficio centrale ha attribuito al quesito  il  n.  4  ed  il
seguente titolo:  «Norme  limitatrici  della  gestione  pubblica  del
servizio idrico. Abrogazione parziale». 
    3. Il   Presidente   della   Corte    costituzionale,    ricevuta
comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum,
ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di  consiglio
del 12 gennaio 2011, disponendo che ne fosse  data  comunicazione  ai
presentatori della  richiesta  di  referendum  e  al  Presidente  del
Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo  comma,  della
legge 25 maggio 1970, n. 352. La richiesta  di  referendum  e'  stata
iscritta nel relativo registro al n. 152. 
    4. Con memoria  depositata  il  27  dicembre  2010,  quattro  dei
presentatori della richiesta di referendum abrogativo hanno  avanzato
istanza affinche' detta richiesta  venga  dichiarata  ammissibile.  A
sostegno dell'istanza -  dopo  aver  osservato  che  l'estensione  al
servizio idrico integrato dell'obbligo di adottare  le  modalita'  di
gestione previste dai commi 2 e 3 dell'art. 23-bis del  decreto-legge
n. 112  del  2008  e'  imputabile  esclusivamente  alle  disposizioni
oggetto di referendum - deducono che il quesito referendario: a)  non
si pone in contrasto con alcuna  norma  comunitaria,  perche'  (a.1.)
all'assentimento in concessione della gestione  del  servizio  idrico
non e' applicabile ne' la direttiva 2004/18/CE sugli appalti pubblici
di servizi ne' la  direttiva  2004/17/CE  sulle  procedure  d'appalto
riguardante, tra l'altro, gli  enti  erogatori  di  acqua  e  perche'
(a.2.) la normativa cosiddetta «di risulta»  (cioe'  l'art.  113  del
d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il «Testo  unico  delle  leggi
sull'ordinamento degli enti locali», nelle parti richiamate dall'art.
150 del d.lgs. 3 aprile 2006,  n.  152,  recante  «Norme  in  materia
ambientale») non solo non viola le norme  fondamentali  del  Trattato
che  istituisce  la  Comunita'  europea,  in  tema  di   divieto   di
discriminazione in base alla nazionalita', di divieto di  restrizioni
alla liberta' di stabilimento dei cittadini di uno Stato  membro  nel
territorio di un altro Stato membro e di divieto di restrizioni  alla
libera prestazione dei servizi  all'interno  della  Comunita'  (norme
fondamentali  applicabili  all'affidatario  della   concessione   del
servizio idrico, secondo la sentenza della Corte di giustizia europea
7 dicembre 2000, causa  C-324/98,  Telaustria  e  Telefonadress),  ma
anzi, da un lato, viene incontro ad una esplicita presa di  posizione
del Parlamento europeo, il quale ha deliberato che, «essendo  l'acqua
un bene comune dell'umanita', la gestione delle risorse  idriche  non
debba essere assoggettata alle norme del mercato  interno»  (punto  5
della Risoluzione dell'11 marzo 2004, inerente alla «Strategia per il
mercato interno - Priorita' 2003-2006») e, dall'altro,  e'  in  linea
con il disposto dell'art.  17  della  direttiva  2006/123/CE  del  12
dicembre 2006, relativa ai servizi del mercato interno, per il  quale
l'art. 16 della stessa direttiva, in tema di libera  prestazione  dei
servizi, non si applica «ai servizi di interesse  economico  generale
forniti in un  altro  Stato  membro,  fra  cui  [...]  i  servizi  di
distribuzione e fornitura idriche e i servizi di gestione delle acque
reflue»;  b)  risponde  al  requisito  dell'omogeneita',  perche'  e'
diretto  all'abrogazione  delle   norme   che,   nel   prevedere   la
possibilita' di affidare la gestione del  servizio  idrico  integrato
solo ai soggetti indicati nei  commi  2  e  3  dell'art.  23-bis  del
decreto-legge n. 112 del 2008 (cioe': 1. imprenditori o  societa'  in
qualunque   forma   costituite,   individuati   mediante    procedure
competitive ad evidenza  pubblica,  nel  rispetto  dei  principi  del
Trattato che istituisce la Comunita' europea e dei principi  generali
relativi ai contratti pubblici e, in  particolare,  dei  principi  di
economicita',   efficacia,   imparzialita',   trasparenza,   adeguata
pubblicita',  non  discriminazione,  parita'  di  trattamento,  mutuo
riconoscimento e proporzionalita'; 2. societa' a partecipazione mista
pubblica e privata, a condizione che la selezione del  socio  avvenga
mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei
suddetti principi, le quali abbiano ad oggetto, al tempo  stesso,  la
qualita' di socio e l'attribuzione  di  specifici  compiti  operativi
connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una
partecipazione non inferiore al 40 per cento; 3. societa' a  capitale
interamente pubblico, partecipate dall'ente  locale,  che  abbiano  i
requisiti richiesti  dall'ordinamento  comunitario  per  la  gestione
cosiddetta in house e, comunque,  nel  rispetto  dei  principi  della
disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla societa'
e di prevalenza dell'attivita' svolta dalla stessa con l'ente  o  gli
enti  pubblici  che  la   controllano,   ove   ricorrano   situazioni
eccezionali che, a causa  di  peculiari  caratteristiche  economiche,
sociali, ambientali e geomorfologiche del  contesto  territoriale  di
riferimento, non permettano un efficace e utile ricorso al  mercato),
vietano di affidare detta gestione ai soggetti indicati nell'art. 113
del d.lgs. n. 267 del 2000, come richiamato dall'art. 150 del  d.lgs.
n.  152  del  2006  (cioe':  1.  societa'  di  capitali   individuate
attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;
2. societa' partecipate esclusivamente e  direttamente  da  Comuni  o
altri enti locali compresi nell'ambito territoriale ottimale, qualora
ricorrano obiettive ragioni tecniche od economiche, a condizione  che
tali enti locali  titolari  del  capitale  sociale  esercitino  sulla
societa' un controllo analogo a quello esercitato sui propri  servizi
e che la societa' realizzi la parte  piu'  importante  della  propria
attivita' con l'ente o gli  enti  pubblici  che  la  controllano;  3.
societa' solo parzialmente  partecipate  dai  suddetti  enti  locali,
nelle quali il socio privato venga  scelto,  prima  dell'affidamento,
attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza  pubblica
che  abbiano  dato  garanzia  di  rispetto  delle  norme  interne   e
comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee  di  indirizzo
emanate  dalle  autorita'  competenti  attraverso   provvedimenti   o
circolari specifiche); c) e' chiaro, univoco e puntuale,  perche'  ha
l'obiettivo di abrogare soltanto le norme che escludono  la  gestione
pubblica  del  servizio  idrico  integrato  e  di  ripristinare,  con
efficacia ex nunc, la  precedente  disciplina  di  affidamento  della
gestione di detto servizio (in particolare, i commi 2 e  3  dell'art.
150 del d.lgs. n. 152 del 2006). 
    5. Con memoria depositata il 7 gennaio 2011, si e' costituito  il
Governo, in  persona  del  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  ed  ha
avanzato istanza affinche' - previa audizione in camera di  consiglio
- venga dichiarato inammissibile il referendum n. 152 (quesito n. 4).
A sostegno di tale istanza, il Governo - dopo aver  premesso  che  la
Corte costituzionale, secondo la sua giurisprudenza,  e'  chiamata  a
valutare separatamente l'ammissibilita' di ciascuna singola richiesta
referendaria (sentenza n. 26 del 1981) - deduce che: a) la  normativa
oggetto del quesito, pur non costituendo una applicazione necessitata
della normativa comunitaria (come precisato nella sentenza n. 325 del
2010  della  Corte  costituzionale),  e'  comunque   comunitariamente
necessaria,  perche'  -  una  volta  esclusa  la  possibilita'  della
gestione diretta dei servizi pubblici locali di  rilevanza  economica
da parte dell'ente locale, per effetto degli artt. 35 della legge  28
dicembre 2001, n. 448, e 14 del decreto-legge 30 settembre  2003,  n.
269, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003,  non
oggetto di referendum - e' necessario  che  sussista  (anche  per  il
settore del servizio idrico)  una  disciplina  nazionale  applicativa
degli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento  dell'Unione  del
25 marzo  1957,  tale  da  integrare  una  delle  diverse  discipline
possibili della  materia,  rispettose  dell'art.  117,  primo  comma,
Cost.; b) il referendum e' inammissibile (come tutti quelli aventi ad
oggetto   leggi   costituzionalmente   necessarie,   secondo   quanto
sottolineato dalla Corte costituzionale con la  sentenza  n.  26  del
1981),  perche'  l'abrogazione  referendaria  dell'art.  23-bis   del
decreto-legge n. 112 del 2008 non comporterebbe (per comune  consenso
e come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.  31
del 2000) la reviviscenza della  normativa  precedentemente  abrogata
(nella specie, dell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, «peraltro di
dubbia compatibilita' comunitaria»)  e,  pertanto,  provocherebbe  un
grave vuoto normativo in un  settore  delicatissimo,  senza  che  sia
assicurato  alcun  «livello  minimo  di  tutela  legislativa»   (come
richiesto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 45 del  2005),
cosi' da rendere l'Italia inadempiente agli  obblighi  derivanti  dai
Trattati europei (Corte costituzionale, sentenza n. 81 del 2000);  c)
il quesito e' privo dei requisiti «di semplicita', di univocita',  di
completezza»  richiesti  dalla  giurisprudenza   costituzionale   per
l'ammissibilita' del referendum (sentenze n. 16 del 1978 e n. 27  del
1981), sia perche' la prima parte della sua formulazione  (avente  ad
oggetto  il  solo  comma  10  dell'art.   23-bis)   non   impedirebbe
l'applicazione degli altri commi  dell'art.  23-bis,  rendendo  cosi'
inutile sul punto il referendum, sia perche'  la  sua  seconda  parte
(avente ad oggetto il comma 1-ter dell'art. 15 del  decreto-legge  n.
135 del 2009) ha finalita' manipolative, «piegando il testo di  legge
ad assumere un significato che e' l'esatto opposto rispetto a  quello
originario», sia perche', infine, la permanenza  nell'ordinamento  di
altre  disposizioni  sul  servizio  idrico  (in  particolare,   sulla
rilevanza economica del servizio, sull'affidamento  mediante  gara  e
sulla remunerativita' della tariffa, ai sensi degli artt. 150  e  154
del codice dell'ambiente) creerebbe una contraddizione di  disciplina
tra  tali  disposizioni  e  quelle  di   cui,   invece,   si   chiede
l'abrogazione. 
    6. Hanno depositato memorie,  sollecitando  la  dichiarazione  di
inammissibilita' del referendum, i seguenti soggetti:  l'Associazione
«Fare Ambiente», l'Associazione Comitato contro i referendum  per  la
statalizzazione  dell'acqua  -  AcquaLiberAtutti   e   l'Associazione
Nazionale Fra gli Industriali Degli Acquedotti - ANFIDA. 
    7. Nella camera di consiglio  del  12  gennaio  2011  sono  stati
ascoltati  i  difensori:  a)  dell'Associazione  Nazionale  Fra   gli
Industriali Degli Acquedotti - ANFIDA; b) dell'Associazione  Comitato
contro   i   referendum   per   la   statalizzazione   dell'acqua   -
AcquaLiberAtutti;  c)  dell'Associazione  «Fare  Ambiente»;  d)   dei
suddetti  quattro  presentatori   della   richiesta   di   referendum
abrogativo che avevano depositato memoria; e) del Governo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. La Corte e' chiamata a pronunciarsi sull'ammissibilita'  della
richiesta di referendum abrogativo  popolare:  a)  dell'art.  23-bis,
comma 10, lettera d),  del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la  competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e
finanza la perequazione tributaria), convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo risultante  per  effetto
di  modificazioni  ed  integrazioni  successive,  limitatamente  alle
parole «, nonche' in materia di acqua»; b) dell'art. 15, comma 1-ter,
del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per
l'attuazione di obblighi comunitari e per  l'esecuzione  di  sentenze
della Corte di giustizia delle Comunita'  europee),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge  20  novembre  2009,  n.  166,  nel  testo
risultante per effetto di modificazioni ed  integrazioni  successive,
limitatamente alle parole «di  cui  all'articolo  23-bis  del  citato
decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con  modificazioni,  dalla
legge n. 133 del  2008,»,  nonche'  alle  parole  «nel  rispetto  dei
principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di  piena  ed
esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche, il  cui  governo
spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in  particolare  in
ordine alla qualita' e prezzo del servizio,». 
    2. In via  preliminare,  va  dichiarata  la  ricevibilita'  delle
memorie depositate da soggetti diversi - e tuttavia interessati  alla
decisione - rispetto ai presentatori della richiesta  referendaria  e
dal Governo. Secondo  la  piu'  recenti  pronunce  di  questa  Corte,
infatti,  i  suddetti  scritti  difensivi  debbono  intendersi   come
contributi contenenti argomentazioni potenzialmente rilevanti ai fini
della decisione (sentenze n. 15, n. 16 e n. 17 del 2008;  n.  45,  n.
46, n. 47 , n. 48 e n. 49 del 2005. Tale ricevibilita', pero', non si
traduce  nel  diritto  dei  medesimi  soggetti  di   partecipare   al
procedimento e di  illustrare  in  camera  di  consiglio  le  proprie
deduzioni, ma comporta solo la facolta' per la Corte (ove  questa  lo
ritenga opportuno)  di  consentire  brevi  integrazioni  orali  degli
scritti - come e' avvenuto nella camera di consiglio del  12  gennaio
2011 - prima che i soggetti di cui all'art. 33 della legge 25  maggio
1970, n. 352 (presentatori  della  richiesta  e  Governo)  illustrino
oralmente le proprie posizioni e, comunque, nel  rispetto  dei  tempi
richiesti dalla speditezza del procedimento. 
    3. Il quesito referendario n. 4 e' diretto ad escludere:  a)  che
il  Governo  adotti  regolamenti  di  delegificazione  al   fine   di
armonizzare  la  normativa  generale  dettata  dall'art.  23-bis  del
decreto-legge n.  112  del  2008  in  materia  di  affidamento  della
gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza  economica,  da  un
lato, e la normativa di settore relativa  all'acqua,  dall'altro;  b)
che nell'affidamento della gestione del servizio idrico integrato  si
applichino i principi di autonomia gestionale del  soggetto  gestore;
della piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle  risorse  idriche;
della riserva esclusiva alle istituzioni  pubbliche  del  governo  di
dette risorse. Altri aspetti  della  disciplina  della  gestione  del
servizio idrico integrato costituiscono oggetto dei quesiti n. 2 e n.
3, mentre la disciplina generale delle modalita' di affidamento della
gestione dei servizi pubblici  locali  di  rilevanza  economica  (ivi
compreso  il  servizio  idrico  integrato)  costituisce  oggetto  del
quesito n. 1. 
    In proposito, deve essere ribadito che questa Corte, in  sede  di
giudizio  di  ammissibilita',  deve  valutare  separatamente  ciascun
quesito referendario dichiarato legittimo dall'Ufficio  centrale  per
il referendum, anche nel caso in cui (come nella  specie)  sia  stata
dichiarata legittima una pluralita' di quesiti attinenti alla  stessa
materia (servizi pubblici locali di rilevanza economica).  Il  potere
attribuito  dalla  legge  all'Ufficio  centrale  (e  non  alla  Corte
costituzionale)  di  «concentrare»  le  richieste  referendarie  «che
rivelano uniformita' od  analogia  di  materia»  e  di  stabilire  la
denominazione di ciascuna richiesta (eventualmente  gia'  oggetto  di
concentrazione), nonche'  la  possibilita'  che  le  varie  richieste
presentate perseguano obiettivi diversi (anche  opposti)  evidenziano
che  la  Corte   costituzionale   deve   valutare   ciascun   quesito
indipendentemente dagli altri e, in particolare,  dagli  effetti  che
l'esito  degli  altri  referendum  potrebbe  avere  sulla  cosiddetta
normativa di risulta. In altri termini, esula dall'esame della  Corte
ogni valutazione circa la complessiva coerenza  dei  diversi  quesiti
incidenti sulla stessa  materia  e,  quindi,  non  ha  alcun  rilievo
neppure l'eventualita' che essi siano stati proposti (in tutto  o  in
parte) dai medesimi promotori. Ne consegue che ciascun  quesito  deve
essere esaminato separatamente dagli altri. 
    Il quesito n. 4 e' inammissibile. 
    4. Oggetto  dell'abrogazione  referendaria  di  cui  al  suddetto
quesito n. 4 sono  due  diverse  disposizioni:  a)  una  parte  della
lettera d) del comma 10 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008; b) una parte del comma 1-ter, dell'art. 15 del decreto-legge n.
135 del 2009. 
    Piu' precisamente, si chiede l'abrogazione, in primo luogo, della
lettera d) del comma 10 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008 («Il Governo [...] adotta  uno  o  piu'  regolamenti,  ai  sensi
dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto  1988,  n.  400,  al
fine di: [...] d) armonizzare la nuova disciplina e quella di settore
applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme
applicabili in via generale per  l'affidamento  di  tutti  i  servizi
pubblici  locali  di  rilevanza  economica  in  materia  di  rifiuti,
trasporti, energia elettrica e gas, nonche' in materia  di  acqua;»),
limitatamente alle parole: «, nonche' in materia di  acqua».  In  tal
modo,  all'esito  dell'abrogazione  referendaria,  residuerebbero   i
seguenti enunciati dell'alinea del  comma  10  dell'art.  23-bis  del
decreto-legge n. 112 del 2008 e della lettera d) dello  stesso  comma
10: «Il Governo  [...]  adotta  uno  o  piu'  regolamenti,  ai  sensi
dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto  1988,  n.  400,  al
fine di: [...] d) armonizzare la nuova disciplina e quella di settore
applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme
applicabili in via generale per  l'affidamento  di  tutti  i  servizi
pubblici  locali  di  rilevanza  economica  in  materia  di  rifiuti,
trasporti, energia elettrica e gas;». 
    In secondo luogo (e contestualmente) si chiede l'abrogazione  del
comma 1-ter dell'art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009 («Tutte le
forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato  di
cui all'articolo 23-bis del citato decreto-legge  n.  112  del  2008,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133  del  2008,  devono
avvenire nel  rispetto  dei  principi  di  autonomia  gestionale  del
soggetto gestore e di piena ed esclusiva  proprieta'  pubblica  delle
risorse  idriche,  il  cui   governo   spetta   esclusivamente   alle
istituzioni pubbliche, in  particolare  in  ordine  alla  qualita'  e
prezzo del servizio, in conformita' a  quanto  previsto  dal  decreto
legislativo 3  aprile  2006,  n.  152,  garantendo  il  diritto  alla
universalita' ed accessibilita' del  servizio»),  limitatamente  alle
parole «di cui all'articolo 23-bis del citato  decreto-legge  n.  112
del 2008, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  n.  133  del
2008,» nonche' alle parole «nel rispetto dei  principi  di  autonomia
gestionale del soggetto gestore e di piena  ed  esclusiva  proprieta'
pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta  esclusivamente
alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualita'  e
prezzo  del  servizio,».  In  tal  modo,  all'esito  dell'abrogazione
referendaria, residuerebbe il  seguente  enunciato  del  comma  1-ter
dell'art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009: «Tutte  le  forme  di
affidamento della  gestione  del  servizio  idrico  integrato  devono
avvenire in conformita' a quanto previsto dal decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152, garantendo  il  diritto  alla  universalita'  ed
accessibilita' del servizio». 
    Il quesito referendario e' privo degli  indispensabili  requisiti
di chiarezza e di univocita' richiesti dalla giurisprudenza di questa
Corte ai fini dell'ammissibilita'. 
    Al riguardo, deve osservarsi che il quadro normativo  in  cui  si
inserisce la richiesta referendaria e'  costituito  dalla  disciplina
generale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica contenuta
nell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 (specie nei  commi
1, 2 e 3).  Tale  disciplina  risponde  alla  ratio  di  favorire  la
gestione dei suddetti servizi da parte di soggetti scelti  a  seguito
di gara ad evidenza  pubblica  e,  a  tal  fine,  limita  i  casi  di
affidamento diretto della gestione. In particolare,  il  citato  art.
23-bis consente la gestione in house (cioe' una  peculiare  forma  di
gestione diretta del servizio da parte dell'ente  pubblico,  affidata
senza  gara  pubblica)  solo  ove  ricorrano  situazioni  del   tutto
eccezionali, che «non permettono un  efficace  ed  utile  ricorso  al
mercato». In  forza  del  comma  1  di  tale  articolo,  la  suddetta
disciplina si applica «a  tutti  i  servizi  pubblici  locali»  −  e,
quindi, anche al servizio idrico integrato, come precisato  anche  da
questa Corte nelle sentenze n. 325 del 2010 e  n.  246  del  2009  −,
prevalendo sulle «discipline di settore [...]  incompatibili»,  salvo
quelle relative ai quattro cosiddetti settori esclusi  (distribuzione
di gas naturale; distribuzione di energia elettrica;  gestione  delle
farmacie comunali; trasporto ferroviario regionale). 
    La richiesta  di  abrogazione  referendaria  non  ha  ad  oggetto
l'indicata complessiva  disciplina  delle  modalita'  di  affidamento
della gestione dei servizi pubblici  locali  di  rilevanza  economica
(ivi compreso il servizio idrico integrato),  ma  solo  frammenti  di
disposizioni non idonei ad incidere in modo significativo su di essa. 
    Ne consegue che l'abrogazione delle parole «, nonche' in  materia
di acqua», contenute nel menzionato comma 10,  lettera  d),  di  tale
articolo, avrebbe il solo effetto di far venire meno la  possibilita'
per il Governo di armonizzare la disciplina generale dell'affidamento
della  gestione  del  servizio  idrico  integrato  (non  toccata  dal
quesito) con la disciplina di settore  dello  stesso  servizio.  Tale
effetto e' intrinsecamente  contraddittorio  e  rende  obiettivamente
oscuro  il  quesito,  in  quanto  questo  appare   contemporaneamente
diretto, da un lato,  a  rispettare  l'intervenuta  riforma  generale
dell'affidamento della  gestione  del  servizio  pubblico  locale  di
rilevanza  economica  (anche  idrico)  e,  dall'altro,  ad   impedire
l'armonizzazione della  disciplina  del  settore  idrico  con  quella
generale. 
    Inoltre, mentre la suddetta abrogazione di parte  del  comma  10,
lettera d), dell'art. 23-bis sembra volta ad ostacolare,  in  qualche
misura, l'armonica applicazione al servizio  idrico  della  normativa
generale  concernente  l'affidamento  mediante  gara  pubblica  della
gestione  dei  servizi  pubblici  locali  di   rilevanza   economica,
l'abrogazione del sopra indicato frammento del comma 1-ter  dell'art.
15 del decreto-legge n. 135 del 2009, per un verso, sembra diretta  a
produrre l'opposto effetto di favorire  l'ente  pubblico  locale,  in
quanto non piu' tenuto ad applicare il  principio  di  autonomia  del
soggetto gestore del servizio idrico, e, per altro verso, pare  avere
l'intento di indebolire  la  posizione  dell'ente  locale,  sembrando
voler escludere, per il servizio idrico integrato, l'operativita' dei
principi della piena ed esclusiva proprieta' pubblica  delle  risorse
idriche, nonche' della riserva esclusiva alle  istituzioni  pubbliche
del governo di tali risorse. 
    Sul punto, deve essere ricordato che la richiesta referendaria e'
atto privo di motivazione e, pertanto, l'intento  dei  sottoscrittori
del referendum va desunto non dalle dichiarazioni eventualmente  rese
dai promotori (dichiarazioni, oltretutto, aventi spesso un  contenuto
diverso in sede di campagna per  la  raccolta  delle  sottoscrizioni,
rispetto a quello delle difese scritte od orali espresse in  sede  di
giudizio  di  ammissibilita'),  ma  esclusivamente  dalla   finalita'
«incorporata  nel  quesito»,  cioe'  dalla  finalita'  obiettivamente
ricavabile  in  base  alla  sua  formulazione  ed  all'incidenza  del
referendum  sul  quadro  normativo  di   riferimento.   Sono   dunque
irrilevanti, o comunque non decisive, le eventuali dichiarazioni rese
dai promotori (ex plurimis, sentenze n. 16 e n. 15 del  2008,  n.  37
del 2000, n. 17  del  1997).  Ne  deriva  che  l'eterogeneita'  e  la
frammentarieta' delle disposizioni di cui si chiede l'abrogazione, in
una con la sottolineata intrinseca  incertezza  e  contraddittorieta'
dell'intento referendario, rendono il  quesito  n.  4  obiettivamente
privo di univocita' e di chiarezza e, quindi, inammissibile.