ORDINANZA 
 
nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  14,  comma
5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998,  n.  286  (Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina  dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero), promossi dal Tribunale  di
Agrigento, sezione distaccata di Licata, con ordinanza del 5 novembre
2010 e dal Tribunale di Agrigento con ordinanza del 10 dicembre 2010,
rispettivamente iscritte al n. 405 del registro ordinanze 2010  e  al
n. 28 del  registro  ordinanze  2011,  e  pubblicate  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica nn. 2 e 8, prima serie speciale, dell'anno
2011. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 22  giugno  2011  il  Giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
    Ritenuto che con ordinanza deliberata il 5 novembre 2010 (r.o. n.
405 del 2010), il  Tribunale  di  Agrigento,  sezione  distaccata  di
Licata, ha sollevato, in riferimento  agli  articoli  3  e  13  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  14,
comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25  luglio  1998,  n.  286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione  dello  straniero),  nella
parte  in  cui   prevede   l'arresto   obbligatorio   del   cittadino
extracomunitario   inottemperante   all'ordine   di    allontanamento
impartitogli dal questore; 
        che il rimettente  procede  nei  confronti  di  un  cittadino
extracomunitario denunciato per il reato di cui  all'art.  14,  comma
5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998; 
        che  all'udienza  prevista  dall'art.  558  del   codice   di
procedura penale, per la convalida dell'arresto e per il  contestuale
giudizio direttissimo, il giudice a quo ha  rilevato  che  sussistono
gravi indizi del  reato  contestato  e  che  risultano  rispettati  i
termini  di  presentazione  dell'arrestato,  sicche'  egli   dovrebbe
procedere senz'altro alla  convalida  dell'arresto,  in  applicazione
dell'art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998, in  cio'
risiedendo la rilevanza della questione; 
        che il rimettente, pur consapevole che la norma censurata  e'
gia' stata sottoposta a scrutinio  di  costituzionalita',  e  che  la
Corte costituzionale ha ritenuto le relative questioni «inammissibili
per carenza di motivazione (sentenza n.  22  del  2007)  o  infondate
(sentenza n. 236 del 2008)», ritiene di dover  prospettare  ulteriori
profili di possibile contrasto tra  la  previsione  in  oggetto  e  i
principi di ragionevolezza e di residualita' delle misure restrittive
della liberta' personale; 
        che, in particolare, la previsione dell'arresto  obbligatorio
introdurrebbe  elementi  di  incongruenza  «nel  complessivo  sistema
repressivo   relativo   all'immigrazione   clandestina»,   tali    da
vanificarne la funzionalita', e percio' stesso sarebbe irragionevole; 
        che, dopo aver proceduto all'esame della disciplina  generale
in tema di arresto obbligatorio  e  facoltativo,  il  giudice  a  quo
evidenzia come il legislatore abbia scelto di includere il  reato  di
cui al comma 5-ter del Testo unico in materia di immigrazione  tra  i
fatti per i quali si presumono ragioni eccezionali  di  tutela  della
collettivita', tali da imporre comunque la misura precautelare; 
        che la scelta, seppure rientri - come  piu'  volte  affermato
dalla Corte costituzionale - nell'ampia discrezionalita'  di  cui  il
legislatore  dispone  per  realizzare  le   finalita'   di   politica
criminale, risulterebbe nella specie sindacabile in quanto incoerente
«con gli stessi fini che il legislatore legittimamente individua»; 
        che infatti  la  previsione  della  sanzione  penale  per  la
condotta  di  inottemperanza,  finalizzata  alla   protezione   degli
interessi gia' tutelati mediante il  sistema  di  espulsione  in  via
amministrativa,  produrrebbe  la  sovrapposizione  dei   procedimenti
amministrativo e penale, ostacolando la realizzazione della finalita'
prioritaria del rimpatrio; 
        che del resto, prosegue il giudice  a  quo,  il  legislatore,
consapevole sia della possibile sovrapposizione dei due procedimenti,
sia della  maggiore  efficacia  di  quello  amministrativo,  ha  dato
priorita' al procedimento di espulsione a fronte di  qualsiasi  reato
ascritto al  cittadino  extracomunitario  illegalmente  presente  nel
territorio nazionale (art. 13, commi 3 e 3-bis, del d.lgs. n. 286 del
1998),  manifestando  altresi'   la   cessazione   dell'interesse   a
perseguire il reo una volta eseguita  l'espulsione  (art.  13,  comma
3-quater, del medesimo decreto legislativo); 
        che, in definitiva, la previsione  dell'arresto  obbligatorio
sarebbe ad un tempo inadeguata,  in  quanto  comporta  la  privazione
della  liberta'  personale  di  un  soggetto  che   dovrebbe   essere
immediatamente espulso o,  al  piu',  trattenuto  temporaneamente  in
attesa di espulsione, ed irragionevole,  perche'  «contrasta  con  la
netta   preferenza   mostrata   dal   legislatore   per   l'immediata
applicazione  dei  provvedimenti   amministrativi»   in   vista   del
soddisfacimento di quelle stesse esigenze che sono  alla  base  delle
fattispecie di reato configurate dagli artt. 13 e 14  del  d.lgs.  n.
286 del 1998; 
        che  il  rimettente  osserva  come  la  misura   precautelare
obbligatoria non possa trovare giustificazione nemmeno nella  carenza
di  strutture  deputate  al   trattenimento   temporaneo   in   vista
dell'espulsione, ovvero in esigenze  di  tutela  della  collettivita'
diverse da quelle gia' poste alla base del sistema di espulsione; 
        che infatti, quand'anche si ammettesse  tale  finalizzazione,
risulterebbe sproporzionata per eccesso  la  previsione  dell'arresto
come obbligatorio, posto che, per  il  carattere  soltanto  eventuale
delle predette esigenze, sarebbe necessaria almeno una valutazione in
concreto ad opera della polizia giudiziaria, sulla base  dei  criteri
indicati dall'art. 381, quarto comma, cod. proc. pen.; 
        che, infine, a conferma dei dubbi prospettati, il  giudice  a
quo  pone  a  raffronto  la  norma   censurata   e   il   trattamento
precautelare,  soltanto  facoltativo,   previsto   in   relazione   a
fattispecie di reato che presuppongono la «pericolosita' in concreto»
del soggetto agente rispetto all'integrita' degli interessi  protetti
dalla norma sostanziale, come il reato di evasione; 
        che, con ordinanza deliberata il 10 dicembre 2010 (r.o. n. 28
del 2011), il Tribunale di Agrigento  ha  sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3 e 13 Cost.,  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286  del  1998,  nella
parte  in  cui   prevede   l'arresto   obbligatorio   del   cittadino
extracomunitario   inottemperante   all'ordine   di    allontanamento
impartitogli dal questore; 
        che le questioni, sollevate  nel  corso  di  un  giudizio  di
convalida dell'arresto di un  cittadino  extracomunitario  denunciato
per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n.  286  del
1998, sono prospettate in termini del tutto  coincidenti  con  quelli
dell'ordinanza r.o. n. 405 del 2010, alla cui sintesi si rinvia; 
        che, con atto depositato l'8 marzo 2011,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, e'  intervenuto  nel  giudizio  introdotto  con
l'ordinanza r.o. n. 28 del 2011, chiedendo  che  le  questioni  siano
dichiarate non fondate; 
        che  la  difesa  dello  Stato  richiama   la   giurisprudenza
costituzionale sulla  norma  oggetto  di  censura,  a  partire  dalla
sentenza n. 223 del 2004 che,  nell'ambito  di  un  diverso  contesto
normativo  (ove  il  fatto  di   inottemperanza   presentava   natura
contravvenzionale),  ne  aveva  dichiarata  l'illegittimita'  per  la
contraddizione  che  caratterizzava  la  previsione  di  una   misura
precautelare priva di qualsiasi sbocco sul piano processuale; 
        che successivamente, con l'art. 1  della  legge  12  novembre
2004,  n.  271  (Conversione  in  legge,   con   modificazioni,   del
decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti
in  materia  di  immigrazione),   il   legislatore   ha   trasformato
l'inottemperanza  all'ordine   di   allontanamento   da   fattispecie
contravvenzionale in delitto, sicche' la contraddizione  che  rendeva
illegittima la misura precautelare e' venuta meno; 
        che e' richiamata la sentenza n. 22  del  2007  -  avente  ad
oggetto la norma sostanziale oggetto della predetta modifica -  nella
quale la Corte costituzionale, dopo aver riconosciuto che la  materia
dell'immigrazione investe un grave problema  sociale,  umanitario  ed
economico  implicante  valutazioni  di   politica   legislativa,   ha
affermato che le disarmonie  presenti  nella  disciplina  di  settore
possono essere  risolte  soltanto  con  un  intervento  organico  del
legislatore; 
        che, infine, l'Avvocatura generale si sofferma sulla sentenza
n.  236  del  2008,  che  ha  dichiarato  non  fondate  questioni  di
legittimita' riguardanti la previsione dell'arresto obbligatorio, sul
rilievo   della   non   manifesta   irragionevolezza   della   scelta
legislativa,  e  cio'  sia  a  seguito  di   confronto   con   tertia
comparationis omogenei,  sia  per  l'assenza  di  una  contraddizione
intrinseca della norma censurata; 
        che, in particolare, la Corte  ha  affermato  che  la  scelta
dell'arresto obbligatorio per il reato in esame e' collegata  ad  una
risposta politica che il Parlamento ha ritenuto di attuare  a  fronte
dell'aumentata percezione sociale della  pericolosita'  del  fenomeno
regolato,  ferma  restando  la  garanzia  del  controllo   giudiziale
sull'esistenza  dei  presupposti  per  l'applicazione  della   misura
precautelare; 
        che,  secondo  la  difesa  statale,  l'odierna  ordinanza  di
rimessione non conterrebbe nuovi elementi  di  valutazione,  tali  da
indurre  la  Corte   costituzionale   a   discostarsi   dalle   linee
interpretative finora seguite. 
    Considerato che con due  distinte  ordinanze  di  analogo  tenore
(r.o. n. 405 del 2010 e n. 28 del 2011), il Tribunale  di  Agrigento,
anche in sezione distaccata di Licata, ha sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3 e  13  della  Costituzione,  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  14,   comma   5-quinquies,   del   decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero), nella parte in cui prevede  l'arresto  obbligatorio
del cittadino extracomunitario  denunciato  per  il  delitto  di  cui
all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998; 
        che, stante l'identita' delle questioni sollevate, i  giudizi
possono essere definiti congiuntamente; 
        che in entrambi i  giudizi  principali  i  rimettenti  devono
procedere   alla   convalida    dell'arresto    di    un    cittadino
extracomunitario illegalmente presente nel territorio dello Stato, in
quanto gia' destinatario dell'ordine di  allontanamento  impartitogli
dal questore; 
        che i giudici a quibus danno atto della sussistenza di  gravi
indizi di colpevolezza e rilevano che risultano rispettati i  termini
di  presentazione  dell'arrestato,  sicche'  dovrebbero   convalidare
l'arresto; 
        che, pur consapevoli delle precedenti  pronunce  sulla  norma
oggetto di censura, ed in particolare della sentenza n. 236 del 2008,
con la quale questa Corte ha escluso  la  manifesta  irragionevolezza
della medesima norma, i rimettenti ritengono di prospettare ulteriori
profili di possibile contrasto tra la disciplina  in  questione  e  i
principi di ragionevolezza e di residualita' delle misure restrittive
della liberta' personale; 
        che,  a  sostegno  della  non  manifesta  infondatezza  della
questione, si rileva come  la  previsione  dell'arresto  obbligatorio
introdurrebbe  elementi  di  incongruenza  «nel  complessivo  sistema
repressivo  relativo   all'immigrazione   clandestina»,   finalizzato
all'espulsione in via amministrativa  dei  cittadini  extracomunitari
irregolarmente presenti nel territorio nazionale, con il risultato di
comprometterne   la   funzionalita',   e   percio'   stesso   sarebbe
irragionevole; 
        che, di conseguenza, la temporanea privazione della  liberta'
personale risulterebbe priva di legittimazione costituzionale; 
        che, in epoca successiva alle  ordinanze  di  rimessione,  la
Corte di giustizia dell'Unione europea ha pronunciato la sentenza  28
aprile 2011, causa C-61/11 PPU,  avente  ad  oggetto  la  domanda  di
rinvio pregiudiziale  per  l'interpretazione  delle  norme  contenute
nella direttiva del Parlamento europeo e del  Consiglio  16  dicembre
2008, n. 2008/115/CE, recante «Norme e procedure  comuni  applicabili
negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi  terzi  il  cui
soggiorno e' irregolare», il cui termine di attuazione e' inutilmente
scaduto in data 24 dicembre 2010; 
        che  la  Corte  di  giustizia,  nella  citata  sentenza,   ha
affermato che gli  artt.  15  e  16  della  citata  direttiva  ostano
all'applicazione negli Stati membri  di  disposizioni  che  prevedano
«l'irrogazione della pena della reclusione al cittadino di  un  paese
terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi,
in violazione di un ordine di lasciare entro un  determinato  termine
il territorio di  tale  Stato,  permane  in  detto  territorio  senza
giustificato motivo»; 
        che inoltre, secondo la stessa Corte, e' compito del  giudice
nazionale «disapplicare ogni disposizione del decreto legislativo  n.
286  del  1998  contraria  al  risultato  della  direttiva  2008/115,
segnatamente l'art. 14, comma 5-ter, di  tale  decreto  legislativo»,
tenendo altresi' in  debito  conto  il  principio  «dell'applicazione
retroattiva della pena piu' mite, il quale fa parte delle  tradizioni
costituzionali comuni agli Stati membri»; 
        che,  ancora  piu'  di  recente,  la   norma   incriminatrice
contenuta nell'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del  1998,  e'
stata sostituita dall'art. 3, comma 1,  lettera  d),  numero  5,  del
decreto-legge 23 giugno 2011, n.  89  (Disposizioni  urgenti  per  il
completamento dell'attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera
circolazione dei cittadini comunitari  e  per  il  recepimento  della
direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio  dei  cittadini  di  Paesi  terzi
irregolari), in vigore dal 24 giugno 2011; 
        che, secondo il testo vigente dell'art. 14, comma  5-ter,  la
condotta di inottemperanza all'ordine di allontanamento del  questore
e' sanzionata  mediante  la  sola  pena  della  multa,  in  quantita'
variabile a seconda dei presupposti di  emissione  del  provvedimento
espulsivo; 
        che anche la disposizione processuale contenuta nell'art. 14,
comma 5-quinquies, e' stata sostituita dall'art. 3, comma 1,  lettera
d), numero 8, del richiamato d.l. n. 89 del 2011,  con  l'effetto  di
sottoporre i procedimenti per i reati di cui agli articoli 14,  commi
5-ter e 5-quater alla disciplina contenuta negli artt. 20-bis, 20-ter
e  32-bis,  del  decreto  legislativo  28   agosto   2000,   n.   274
(Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a  norma
dell'art. 24 della legge 24 novembre 1999, n. 468); 
        che a  fronte  del  richiamato  ius  superveniens,  il  quale
investe  direttamente  l'applicabilita'  della  norma  incriminatrice
contenuta nel testo previgente dell'art. 14, comma 5-ter, del  d.lgs.
n. 286 del 1998, anche  alla  luce  dei  principi  che  governano  la
successione di leggi penali nel tempo, e considerato  che  la  stessa
disciplina processuale  della  fattispecie  ha  subito  significative
modificazioni (a partire  dall'esclusione  dell'arresto),  spetta  al
giudice rimettente la valutazione circa la perdurante rilevanza delle
questioni aventi ad oggetto la legittimita' della misura precautelare
sottoposta al suo giudizio.